Cassazione: L'ente previdenziale non può ridurre l'importo della pensione concessa, perché ciò lederebbe l'affidamento del pensionato
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- Creato Venerdì, 01 Gennaio 2010 13:06
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L'ente previdenziale non può ridurre l'importo della pensione concessa, perché ciò lederebbe l'affidamento del pensionato
PREVIDENZA SOCIALE - PROFESSIONI INTELLETTUALI
Cass. civ. Sez. lavoro, 27-11-2009, n. 25030
Fatto Diritto P.Q.M.
Svolgimento del processo
Con ricorso al Tribunale, giudice del lavoro, di Monza, regolarmente notificato, P.G., premesso di essere titolare dal giugno 2000 di pensione di vecchiaia a carico della Cassa Nazionale di Previdenza e Assistenza a favore dei Dottori Commercialisti, rilevava di aver subito a far tempo dal gennaio 2004 una trattenuta sulla pensione a titolo di "contributo di solidarieta’" ai sensi dell’art. 22 del Regolamento di disciplina del regime previdenziale.
Assumeva il ricorrente che la L. n. 335 del 1995, art. 3, comma 12 attribuiva alle Casse professionali il potere di adottare qualsiasi "criterio di determinazione del trattamento pensionistico nel rispetto del principio del pro rata", mentre il taglio della pensione gia’ da tempo quantificata ed attribuita non era certamente un criterio di "determinazione" della stessa.
Ritenuta pertanto la illegittimita’ della predetta norma regolamentare chiedeva, essendo stato rigettato il ricorso amministrativo proposto al Consiglio di amministrazione della Cassa, che venisse dichiarata la illegittimita’ della disposizione in questione, e condannata la convenuta al pagamento della somma indebitamente trattenuta, oltre agli interessi di legge.
Con sentenza in data 11.5.2006 il Tribunale adito accoglieva la domanda.
Avverso tale sentenza proponeva appello la Cassa Nazionale di Previdenza e Assistenza a favore dei Dottori Commercialisti lamentandone la erroneita’ sotto diversi profili e chiedendo il rigetto delle domande proposte da controparte con il ricorso introduttivo.
La Corte di Appello di Milano, con sentenza in data 9.2.2007, in accoglimento del gravame, rigettava le domande proposte in primo grado compensando tra le parti le spese di entrambi i gradi del giudizio.
Avverso questa sentenza propone ricorso per Cassazione P. G.G. con sei motivi di impugnazione.
Resiste con controricorso la Cassa intimata, che propone a sua volta ricorso incidentale affidato ad un motivo di gravame.
Il ricorrente principale resiste a sua volta con controricorso al ricorso incidentale.
Lo stesso ha depositato memoria ex art. 378 c.p.c..
Motivi della decisione
Preliminarmente va disposta la riunione ai sensi dell’art. 335 c.p.c. dei due ricorsi perche’ proposti avverso la medesima sentenza.
Col primo motivo di gravame il ricorrente principale lamenta violazione e falsa interpretazione della L. n. 335 del 1995, art. 3, comma 12, previgente (art. 360 c.p.c., n. 3) con riferimento alla nozione di "variazione delle aliquote contributive".
In particolare rileva il ricorrente che erroneamente la Corte territoriale aveva attribuito al contributo di solidarieta’ la natura di "una vera e propria forma di contribuzione posta a carico degli stessi pensionati", che sarebbe legittima in quanto compresa fra i provvedimenti di variazione delle aliquote contributive. Per contro il contributo suddetto non poteva considerarsi un contributo previdenziale secondo la nozione desumibile dalla legislazione di settore, e non costituiva neanche un provvedimento di variazione delle aliquote contributive perche’ non vi era stata una variazione di aliquota ma l’introduzione, nel luglio 2004, di una trattenuta nuova con effetto retroattivo dall’11.1.2004.
Col secondo motivo di gravame il ricorrente lamenta violazione della L. n. 335 del 1995, art. 3, comma 12, previgente (art. 360 c.p.c., n. 3) con riferimento alla nozione di "stabilita’ non inferiore a quindici anni".
Rileva il ricorrente la illegittimita’ della scelta operata dalla Cassa della stabilita’ quarantennale, sebbene la legge richiedesse una stabilita’ minima di quindici anni, scelta rivelatrice dell’interesse della Cassa ad elevare a dismisura l’ammontare del patrimonio da gestire.
Col terzo motivo di gravame il ricorrente lamenta violazione della L. n. 335 del 1995, art. 3, comma 12, previgente (art. 360 c.p.c., n. 3) con riferimento alla nozione di "pro rata".
In particolare rileva il ricorrente che la Cassazione, con la sentenza n. 22240/04, aveva definito il principio del pro rata quale "tendenziale corrispondenza fra contributi e prestazioni come stabilito da ciascuna delle discipline che si sono succedute nel tempo"; e con la sentenza n. 7010/05 aveva definito il pro rata quale "severa protezione delle situazioni in via di maturazione". Queste definizioni rendevano evidente che il principio del pro rata non rappresentava una applicazione del principio di ragionevolezza ma esprimeva il dovere delle gestioni previdenziali di conservare le quote di pensione teoricamente maturate al momento della introduzione delle riforme, sulla base della legislazione previgente, e, a maggior ragione, di conservare la pensione concretamente e legittimamente conseguita sulla base della legislazione previgente.
Col quarto motivo di gravame lamenta violazione dell’art. 2697 c.c., omessa insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e (subordinatamente) decisivo per il giudizio (art. 360 c.p.c., nn. 3 e 4) con riferimento alla mancanza di prova della necessita’ del "contributo di solidarieta’" per salvaguardare l’equilibrio di bilancio.
In particolare rileva il ricorrente che la Cassa non aveva minimamente provato, ai sensi dell’art. 2697 c.c., la necessita’ di adottare un "contributo di solidarieta’", ne’ aveva in alcun modo provato la necessita’ del taglio pensionistico ai fini dell’equilibrio gestionale. A tal fine osserva che l’equilibrio delle gestioni previdenziali e’ finalizzato al conseguimento dello scopo istituzionale, che e’ quello di corrispondere le prestazioni; e pertanto non era consentito raggiungere l’equilibrio cancellando, in tutto o in parte, il debito previdenziale che le gestioni dovevano garantire, piuttosto che allestire altri rimedi.
Col quinto motivo di gravame il ricorrente lamenta violazione della L. n. 335 del 1995, art. 3, comma 12, previgente (art. 360 c.p.c., n. 3) e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e (subordinatamente) decisivo per il giudizio (art. 360 c.p.c., n. 4) con riferimento alla asserita ragionevolezza del prelievo.
Rileva in particolare il ricorrente che il criterio di ragionevolezza di una norma appartiene al novero delle misure discrezionali riservate al potere legislativo e non al potere normativo secondario, di talche’ tutto cio’ che e’ "illegittimo" e’ vietato, anche se ritenuto "ragionevole". Cio’ in quanto il diritto soggettivo alla pensione puo’ essere limitato, quanto alla proporzione fra contributi versati ed ammontare delle prestazioni, dalla legge, purche’ non venga oltrepassato il limite della ragionevolezza, ossia non venga leso l’affidamento dell’assicurato in una consistenza della pensione proporzionale alla quantita’ dei contributi versati.
Col sesto motivo di gravame il ricorrente lamenta omessa e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e (subordinatamente) decisivo per il giudizio (art. 360 c.p.c., n. 5) con riferimento alla prelievo operato retroattivamente.
Rileva il ricorrente che in maniera contraddittoria la Corte territoriale, pur avendo ritenuto principio ovvio quello della "intangibilita’ delle rate gia’ riscosse", aveva ritenuto la legittimita’ del prelievo sebbene lo stesso fosse stato operato con il cedolino di novembre 2004 a decorrere dall’11.2004.
Il ricorrente infine rileva l’incidenza dello ius superveniens.
In particolare evidenzia che i motivi sopra esposti conservavano la loro efficacia anche dopo l’entrata in vigore della Legge Finanziaria n. 296 del 2006 il cui art. unico, comma 763, aveva sostituito i primi due periodi della L. n. 335 del 1995, art. 3, comma 12 ed aveva inoltre disposto, nell’ultimo periodo, che "sono fatti salvi" gli atti ed i provvedimenti adottati dalle Casse professionali in epoca anteriore all’entrata in vigore della legge; con la norma suddetta era stata quindi prorogata la efficacia degli atti e delle delibere precedenti che continuavano a produrre effetto, sempre che rispettassero il fondamentale principio del pro rata, ed anche se non erano stati assunti nell’ottica della stabilita’ a trenta anni ma a soli quindici anni.
Cio’ in quanto la norma suddetta, che non ha valore retroattivo sia perche’ non si tratta di norma interpretativa sia perche’ manca una espressa dichiarazione di retroattivita’, contiene una generica formula di salvezza degli atti gia’ deliberati in base alla normativa previgente, senza peraltro incidere sulla loro legittimita’ non potendo essere intesa come una sorta di generale sanatoria.
Una diversa interpretazione di tale norma, siccome diretta a sanare tutti i vizi delle delibere pregresse, sarebbe affetta da vizio di incostituzionalita’ per violazione dell’art. 38 Cost., che ha creato dei veri e propri "diritti" previdenziali, a fronte dei quali non puo’ stare la discrezionalita’, essendo notorio che la’ dove esistente un potere discrezionale, ivi non esistono diritti soggettivi dei singoli, ma solo interessi; pertanto la norma di salvaguardia, interpretata nel senso di una sanatoria delle violazioni in precedenza commesse, realizzerebbe direttamente ed esclusivamente l’interesse delle Casse senza lasciare alcuno spazio alla tutela dell’interesse individuale degli assicurati, che verrebbe degradato al livello di interesse legittimo.
Ed inoltre sarebbero ravvisabili altri vizi di incostituzionalita’ per contrasto con gli artt. 2 (violazione dei diritti inviolabili, fra cui la certezza del diritto), 3 (violazione dei principi di razionalita’ e di eguaglianza), 10 (violazione delle norme del diritto internazionale generalmente riconosciute, ed in particolare della Convenzione europea dei diritti umani), 23 (violazione della espressa riserva di legge in merito alle prestazioni patrimoniali), 24 e 113 (violazione della tutela giurisdizionale per la salvaguardia di una posizione soggettiva qualificabile come diritto soggettivo e comunque disparita’ di trattamento nel diritto di difesa tra le parti in causa), 70 e 76 (violazione del principio per il quale la funzione legislativa e’ esercitata dalle due Camere e puo’ essere delegata, a determinate condizioni, solo al Governo e non anche ad associazioni private quali sono le Casse) Cost..
Con l’unico motivo di ricorso la Cassa Nazionale di previdenza dei dottori commercialisti lamenta violazione di legge in relazione agli artt. 91 e 92 c.p.c..
In proposito rileva che erroneamente la Corte territoriale aveva proceduto alla compensazione delle spese di giudizio sebbene non vi fosse soccombenza reciproca, limitandosi ad una generica affermazione della presenza di "giusti motivi", senza renderli in alcun modo noti, contrariamente a quanto previsto dalla legge.
Il ricorso principale e’ fondato.
Ritiene il Collegio di dover prendere le mosse, nella trattazione della presente vicenda giudiziaria, dalla disposizione (L. 8 agosto 1995, n. 335, art. 3, comma 12 Riforma del sistema pensionistico obbligatorio e complementare) che costituisce la base giuridica ed il parametro di legittimita’ del "Regolamento di disciplina del regime previdenziale" della Cassa, approvato con D.L. 17 luglio 2004, istitutivo, all’art. 22, del "contributo di solidarieta’" che comportava una trattenuta pro rata sulla pensione di cui era titolare il ricorrente, a decorrere dal novembre 2004, cosi’ testualmente disponendo: "Nel rispetto dei principi di autonomia affermati dal D.Lgs. 30 giugno 1994, n. 509, relativo agli enti previdenziali privatizzati, allo scopo di assicurare l’equilibrio di bilancio in attuazione di quanto previsto dall’art. 2, comma 2, del predetto decreto legislativo, la stabilita’ delle rispettive gestioni e’ da ricondursi ad un arco temporale non inferiore a 15 anni. In esito alle risultanze e in attuazione di quanto disposto dall’art. 2, comma 2, del predetto decreto, sono adottati dagli enti medesimi provvedimenti di variazione delle aliquote contributive, di riparametrazione del coefficienti di rendimento o di ogni altro criterio di determinazione del trattamento pensionistico nel rispetto del principio del pro rata in relazione alle anzianita’ gia’ maturate rispetto alla introduzione delle modifiche derivanti dai provvedimenti suddetti.
Da tale norma risulta l’esplicito richiamo alla disposizione di cui al D.Lgs. 30 giugno 1994, n. 509, art. 2 Attuazione della delega conferita dalla L. 24 dicembre 1993, n. 537, art. 1, comma 32 in materia di trasformazione in persone giuridiche private degli enti gestori di forme obbligatorie di previdenza e assistenza, che ai commi 1 e 2 sancisce testualmente: "1. Le associazioni o le fondazioni (risultanti, occorre evidenziare, dalla trasformazione, ai sensi del precedente art. 1, degli enti previdenziali, a seguito della loro privatizzazione) hanno autonomia gestionale, organizzativa e contabile nei rispetto dei principi stabiliti dal presente articolo nei limiti fissati dalle disposizioni del presente decreto in relazione alla natura pubblica dell’attivita’ svolta.
2. La gestione economico - finanziaria deve assicurare l’equilibrio di bilancio mediante l’adozione di provvedimenti coerenti alle indicazioni risultanti dal bilancio tecnico da redigersi con periodicita’ almeno triennale (...)".
In funzione dell’obiettivo perseguito, esplicitamente enunciato, di assicurare equilibrio di bilancio e stabilita’ delle rispettive gestioni, risultano altresi’ ribaditi dal predetto L. n. 335 del 1995, art. 3, comma 12 i "principi di autonomia affermati dal D.Lgs. 30 giugno 1994, n. 509, relativo agli enti previdenziali privatizzati".
L’autonomia degli stessi enti, tuttavia, incontra un limite fondamentale, imposto dalla stessa disposizione che la prevede (ossia dal predetto D.Lgs. n. 509 del 1994, art. 2), la quale definisce espressamente i tipi di provvedimento da adottare, identificati, appunto, in base al loro contenuto ("variazione delle aliquote contributive, di riparametrazione dei coefficienti di rendimento o di ogni altro criterio di determinazione del trattamento pensionistico nel rispetto del principio de pro rata in relazione alle anzianita’ gia’ maturate rispetto alla introduzione delle modifiche derivanti dai provvedimenti suddetti"). Ne risulta, quindi, non solo la definizione dei tipi di provvedimento da adottare - identificati, appunto, in base al loro contenuto ("variazione delle aliquote contributive, di riparametrazione dei coefficienti di rendimento o di ogni altro criterio di determinazione del trattamento pensionistico") - ma anche la imposizione del "rispetto del principio del pro rata (...)".
Coerentemente, l’autonomia degli enti previdenziali privatizzati puo’ esercitarsi - entro gli stessi limiti - nella scelta, cioe’, di uno di quei provvedimenti ed, in ogni caso, nel "rispetto del principio del pro rata (...)".
Esula, tuttavia, dal novero (una sorta di numerus clausus) degli stessi provvedimenti - e risulta incompatibile, peraltro, con il "rispetto del principio del pro rata (...)" - qualsiasi provvedimento degli enti previdenziali privatizzati (quale, nella specie, l’art. 22 del Regolamento di disciplina del regime previdenziale), che introduca - a prescindere dal "criterio di determinazione del trattamento pensionistico" - la previsione di una trattenuta a titolo di "contributo di solidarieta’" sui trattamenti pensioni gia’ quantificati ed attribuiti.
Ed invero sul punto deve evidenziarsi che, contrariamente a quanto ritenuto dalla Corte territoriale, la imposizione di un "contributo di solidarieta’" sui trattamenti pensionistici gia’ in atto non integra, all’evidenza, ne’ una "variazione delle aliquote contributive", ne’ una "riparametrazione dei coefficienti di rendimento".
Ma alla stessa conclusione deve pervenirsi, tuttavia, con riferimento ad "ogni altro criterio di determinazione del trattamento pensionistico".
La previsione relativa - aggiunta, in via emendativa, al testo originario del disegno di legge (A.S. n. 1953, A.C. n. 2649, 12A legislatura), nel corso dell’esame parlamentare - intende riferirsi, infatti, a tutti i provvedimenti, che - al pari di quelli specificamente identificati nominativamente (di "variazione delle aliquote contributive", appunto, e di "riparametrazione dei coefficienti di rendimento") - incidano su "ogni altro criterio di determinazione del trattamento pensionistico".
Ne esula, quindi, qualsiasi provvedimento, che - lungi dall’incidere sui criteri di determinazione del trattamento pensionistico - imponga, comunque, una trattenuta sul detto trattamento - gia’ determinato, in base ai criteri ad esso applicabili -quale limite esterno della sua misura.
A prescindere dalle superiori considerazioni - peraltro assorbenti - fondate sulla tipologia dei provvedimenti considerati, la soluzione prospettata risulta confortata, vieppiu’, dalla contestuale imposizione del "rispetto del principio del pro rata in relazione alle anzianita’ gia’ maturate rispetto alla introduzione delle modifiche derivanti dai provvedimenti suddetti".
Ne risulta implicitamente escluso, infatti, qualsiasi provvedimento, che - non incidendo sui criteri di determinazione del trattamento pensionistico, ma, in ipotesi, soltanto sullo stesso trattamento, gia’ determinato, in base ai criteri ad esso applicabili - non sia compatibile con il "rispetto del principio del pro rata", in quanto il principio stesso e’ stabilito, proprio, "in relazione alle anzianita’ gia’ maturate", che concorrono, appunto, alla determinazione di quel trattamento.
Osserva altresi’ il Collegio che nel nostro sistema non vige il principio della intangibilita’ del trattamento pensionistico esistente nel momento in cui ebbe inizio l’iscrizione dell’interessato alla Cassa di previdenza, non essendo interdetto al legislatore di emanare disposizioni le quali vengano a modificare, in senso sfavorevole per i beneficiari la disciplina di rapporti di durata, e quindi di modificare la disciplina pensionistica fino al punto di ridurre il quantum del trattamento previsto, limitando, allorche’ si verifichino determinati presupposti, il detto trattamento con riferimento alla proporzione fra contributi versati ed ammontare delle prestazioni.
E’ pero’ necessario che la legge sopravvenuta non oltrepassi il limite della ragionevolezza, ossia che non leda l’affidamento dell’assicurato in una consistenza della pensione, proporzionale alla quantita’ dei contributi versati. La giurisprudenza della Corte costituzionale e’ costante nel ritenere illegittima la norma che violi "l’affidamento del cittadino nella sicurezza giuridica, quale elemento essenziale dello Stato di diritto" (Corte cost. 10.2.1993 n. 39, 26.1.1994 n. 6, 28.2.1997 n. 50, 23.12.1997 n. 432, 22.11.2000 n. 525).
Questo limite costituzionale imposto al legislatore induce a maggior ragione a ritenere contrario al principio di ragionevolezza (art. 3 Cost., comma 2) l’atto infralegislativo, amministrativo o negoziale, con cui l’ente previdenziale debitore riduca unilateralmente l’ammontare della prestazione mentre il rapporto pensionistico si svolge, ossia non si limiti a disporre pro futuro, con riguardo a pensioni non ancora maturate. In tal caso l’iniziativa unilaterale, e non legislativa, colpirebbe piu’ gravemente la sicurezza dei rapporti giuridici.
Ne’, per come detto, puo’ rinvenirsi la giustificazione del provvedimento in questione nel contenuto della norma dettata dalla L. n. 335 del 1995, art. 3, comma 12 esulando il detto atto dai previsti "provvedimenti di variazione delle aliquote contributive, di riparametrazione dei coefficienti di rendimento e di ogni altro criterio di determinazione del trattamento pensionistico".
E parimenti non puo’ ritenersi che l’esigenza generale di contenimento della spesa previdenziale ovvero di salvaguardia dell’equilibrio di bilancio puo’ esser sufficiente a legittimare atti unilaterali di riduzione delle previsioni gia’ maturate, dovendosi escludere che l’equilibrio delle gestioni previdenziali, finalizzato allo scopo istituzionale di corrispondere le prestazioni, possa essere perseguito in tutto o in parte riducendo proprio le prestazioni che le gestioni dovevano invece garantire.
Deve in conclusione affermarsi che, una volta maturato il diritto alla pensione d’anzianita’, l’ente previdenziale debitore non puo’ con atto unilaterale, regolamentare o negoziale, ridurne l’importo, tanto meno adducendo generiche ragioni finanziane, poiche’ cio’ lederebbe l’affidamento del pensionato, tutelato dal capoverso dell’art. 3 Cost., nella consistenza economica del proprio diritto soggettivo (v. in tal senso, Cass. sez. lav., 7.6.2005 n. 11792;
Cass. sez. lav., 25.11.2004 n. 22240).
A diverse conclusioni non conduce neanche lo ius superveniens costituito dalla Legge Finanziaria n. 296 del 2006 che, al comma 763, nel sostituire i primi due commi dell’art. 3 L. n. 335 del 1995, ha precisato che "sono fatti salvi" gli atti ed i provvedimenti adottati dalle Casse professionali in epoca anteriore all’entrata in vigore della legge.
La L. n. 335 del 1995, art. 3, comma 12 permette agli enti previdenziali privatizzati - attraverso la variazione delle aliquote contributive, la riparametrazione dei coefficienti di rendimento e di ogni altro criterio di determinazione del trattamento pensionistico - di variare gli elementi costitutivi del rapporto obbligatorio che li lega agli assicurati, ma non permette agli stessi di sottrarsi in parte all’adempimento, riducendo l’ammontare delle prestazioni attraverso l’imposizione di contributi di solidarieta’. Pertanto la salvezza delle deliberazioni e degli atti gia’ adottati, disposta nella L. n. 296 del 2006, art. 1, comma 763, riguarda il primo genere di provvedimenti, specificamente ed eventualmente difformi dalla L. n. 335 del 1995, art. 3 ma non sana gli atti di riduzione delle prestazioni.
Che, del resto, il comma 763 citato non abbia attuato una salvaguardia indiscriminata delle deliberazioni gia’ assunte dagli enti, risulta anche dalla sentenza della Corte Costituzionale 23 ottobre 2009 n. 263.
Tanto basta per accogliere il ricorso proposto in base al seguente principio di diritto:
"Gli enti previdenziali privatizzati (quale la Cassa Nazionale di Previdenza e Assistenza a favore dei Dottori Commercialisti) non possono adottare - in funzione dell’obiettivo (di cui alla L. 8 agosto 1995, n. 335, art. 3, comma 12), di assicurare equilibrio di bilancio e stabilita’ delle rispettive gestioni - atti o provvedimenti che, lungi dall’incidere sui criteri di determinazione del trattamento pensionistico, impongano, comunque, una trattenuta sul detto trattamento, gia’ determinato, in base ai criteri ad esso applicabili e, come tali, risultino peraltro incompatibili con il rispetto del principio del pro rata, essendo il principio stesso stabilito proprio "in relazione alle anzianita’ gia’ maturate", che concorrono, appunto, alla determinazione di quel trattamento, ed oltrepassino altresi’ il limite della ragionevolezza, ledendo l’affidamento dell’assicurato in una consistenza della pensione, proporzionale alla quantita’ dei contributi versati".
Alla stregua di quanto sopra va senz’altro accolto il ricorso principale, in esso assorbito quello incidentale proposto dalla Cassa concernente il regolamento delle spese di giudizio.
Va quindi cassata l’impugnata sentenza con rinvio alla Corte di Appello di Milano in diversa composizione, perche’ proceda al riesame della controversia e provveda, contestualmente, al regolamento delle spese del presente giudizio di legittimita’.
P.Q.M.
LA CORTE Riunisce i ricorsi; accoglie il ricorso principale; dichiara assorbito l’incidentale; cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese, alla Corte d’Appello di Milano in diversa composizione.
Cosi’ deciso in Roma, il 14 ottobre 2009.
Depositato in Cancelleria il 27 novembre 2009