Cassazione: I sottufficiali del Corpo Forestale Regionale della Sardegna sono ufficiali di polizia giudiziaria, essendo le funzioni loro attribuite del tutto omologhe a quelle del Corpo Forestale dello Stato.
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- Creato Lunedì, 13 Agosto 2012 01:32
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AGENTI E FUNZIONARI DI PUBBLICA SICUREZZA - SARDEGNA
Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 21-12-2011) 26-01-2012, n. 3220Fatto Diritto P.Q.M.
Svolgimento del processo
1. - E' impugnata la sentenza della Corte d'appello di Cagliari n. 215 del 9 marzo 2010, avente ad oggetto i reati di cui agli artt. 81, 110, 319, 321, 323, 479, 640 bis c.p., nonchè al D.Lgs. n. 490 del 1999, art. 163 e alla L. n. 47 del 1985, art. 20, lett. c), contestati ad una pluralità di soggetti in relazione alla realizzazione di una serie di opere edilizie abusive.1.1. - La discussione della causa, originariamente fissata di fronte a questa Corte per l'udienza del 25 ottobre 2011, è stata rinviata all'udienza odierna, per il difetto di tempestiva notificazione dell'avviso di fissazione ex art. 610 c.p.p., comma 5, ai difensori degli imputati P.L. e B..1.2. - L'esposizione del fatto segue l'ordine dei ricorsi presentati.
Per ogni motivo di impugnazione elencato (con numero di paragrafo in grassetto), è indicato, in nota, il punto del "Considerato in diritto" in cui il motivo stesso è trattato.1.3. - Per consentire una più chiara individuazione degli imputati e dei fatti loro ascritti, si premettono, in fotocopia: l'intestazione e il dispositivo della sentenza del Tribunale di Cagliari del 10 gennaio 2009; il dispositivo della sentenza impugnata.(vedi PDF).
2. - Per ragioni di organicità della trattazione, si richiamano brevemente, in via preliminare, i profili essenziali dei capi di imputazione, rimandando, per il resto, alla lettura della premessa e ai rilievi mossi dai ricorrenti.2.1. - Quanto ai capi A e B, dichiarati estinti per prescrizione, deve sinteticamente premettersi che l'imputato P.L. (funzionario del Servizio tutela paesaggio dell'Assessorato alla pubblica istruzione) era stato ritenuto responsabile di concorso in falso ideologico e in abuso d'ufficio, perchè, nella determinazione n. 415 del 5 marzo 2002 del Servizio tutela paesaggio, si era attestato falsamente che il complesso abusivo sito nella località (OMISSIS) era una struttura alberghiera e si era, altresì, attestato falsamente di aver visto un parere favorevole (la nota n. 7925 del 12 dicembre 2001), che invece era inesistente, mentre agli atti era presente un parere negativo sulla sanabilità della struttura qualora avesse avuto natura residenziale.In particolare, l'imputazione di cui al capo B consiste nell'aver procurato intenzionalmente un ingiusto vantaggio patrimoniale a M.A., L. e D.D., con la determinazione suddetta, ammettendo la società 3P immobiliare al pagamento dell'indennità risarcitoria ai sensi del D.Lgs. n. 490 del 1999, art. 164 atto prodromico al condono, invece di emanare l'ordine di riduzione in pristino.2.2. - I capi C, D, E, F, G sono riferiti alla vicenda " (OMISSIS)", relativa a un finanziamento pubblico illegittimamente ottenuto da P.L. e da altri dei coimputati, con la creazione di una società cui partecipavano di fatto soci occulti, per la realizzazione di un complesso edilizio abusivo; e ciò, in particolare, attraverso l'adozione della delibera n. 440 del 1999, per la concessione dell'area di proprietà comunale, da parte della Giunta anzichè del Consiglio comunale di Quartu Sant'Elena, effettivamente competente.2.3. - I capi H e H1 sono riferiti alle opere edilizie del complesso di (OMISSIS).
Si contestano accordi illecito tra Fo. (dirigente regionale), D. (titolare della società immobiliare (OMISSIS)) e P. L., concretizzatisi in alcuni provvedimenti di quest'ultimo in favore dell'imprenditore D., in cambio di un interessamento da parte di Fo. e di D., tra l'altro, per sostenere la nomina di P.L. a direttore del servizio tutela del paesaggio di Cagliari dell'assessorato della pubblica istruzione della Regione Sardegna.2.4. -1 capi I e L sono relativi alla falsa registrazione di presenze in ufficio di P.L. in giorni in cui lo stesso era assente, con conseguente induzione in errore dell'amministrazione regionale e con l'ingiusto profitto costituito dalla retribuzione per i giorni di assenza e l'equivalente danno per l'amministrazione 2.5. - I restanti capi si riferiscono, principalmente, all'illegittimo rilascio da parte di P.L., su richiesta del coimputato C.A., dirigente del Comune di Quartu Sant'Elena, di titoli abilitativi ambientali per opere edilizie già realizzate dallo stesso Comune, come se tali opere fossero ancora da realizzare.3. - Avverso la decisione della Corte d'appello ha proposto ricorso, tramite il difensore, l'imputato M.A., rilevando di essere stato oggetto di dichiarazione di non doversi procedere per intervenuta prescrizione in relazione ai reati di cui ai capi A e B ascrittigli e chiedendo l'annullamento senza rinvio della sentenza impugnata, sul rilievo che la Corte avrebbe dovuto pronunciare proscioglimento nel merito.
3.1. - In primo luogo, si lamenta la violazione dell'art. 267 c.p.p., commi 1 e 4, in riferimento all'art. 117 Cost., comma 2, lett. l), perchè le intercettazioni telefoniche acquisite al processo non avrebbero potuto essere utilizzate, in quanto eseguite in violazione di legge da personale del Corpo forestale regionale.Ad avviso della difesa, i sottufficiali del corpo forestale e di vigilanza ambientale, istituito con la L.R. 5 novembre 1985, n. 26, della Regione Sardegna non hanno la qualifica di ufficiale di polizia giudiziaria, perchè tale qualifica non è loro attribuita da nessuna norma di legge dello Stato.La Corte d'appello avrebbe, sul punto, applicato il principio enunciato dalla sentenza Cass. pen., sez. 1^, 19 giugno 2000, n. 4491, in base alla quale i sottufficiali appartenenti al corpo forestale regionale avrebbero qualifica di ufficiale di polizia giudiziaria in forza del D.Lgs. 12 marzo 1948, n. 804, art. 13.
Rileva la stessa difesa che tale norma è stata abrogata dalla L. 6 febbraio 2004, n. 36, con la conseguenza di rendere inapplicabile l'orientamento di legittimità richiamato dalla sentenza censurata.A ciò dovrebbe aggiungersi, sempre secondo la difesa, che, a norma del vigente art. 117 Cost., comma 2, lett. l), - applicabile anche alle autonomie regionali a statuto speciale - le Regioni non hanno competenza in tema di giurisdizione, norme processuali, ordinamento civile e penale e, pertanto, non possono attribuire ai loro funzionari la qualifica di ufficiali di polizia giudiziaria.La difesa rileva, inoltre, che le intercettazioni effettuate sarebbero illegittime anche sotto il diverso profilo della mancanza dei gravi indizi di reato e della non indispensabilità ai fini della prosecuzione delle indagini; elementi sui quali non vi sarebbe alcuna specifica motivazione nella sentenza impugnata (1 Motivo trattato ai punti 17.1., 17.1.1., 17.1.2., 17.2.).3.2. - Con un secondo motivo di ricorso, l'imputato deduce la violazione degli artt. 64 e 350 c.p.p..
Il ricorrente ricorda di essere chiamato a rispondere dei reati di cui agli artt. 479 e 323 c.p., perchè, a titolo di concorso con i pubblici ufficiali accusati del falso e dell'abuso, avrebbe partecipato alla redazione della determinazione n. 415 del 5 marzo 2002, che aveva applicato l'indennità risarcitoria di cui al D.Lgs. n. 490 del 1999, art. 164.Dai tabulati telefonici non risulterebbe, però, alcuna telefonata da parte dell'imputato ai funzionari dell'ufficio tutela del paesaggio;l'unico contatto sarebbe stato quello del 5 marzo, che la sentenza impugnata erroneamente interpreta come una comunicazione all'imputato dell'avvenuta adozione della determinazione in questione. (2 19.1.,- 19.5.).
3.3. - Si deduce, in terzo luogo, la violazione dell'art. 192 c.p.p..
Premette l'imputato che le fonti di prova sono le seguenti:
documentazione relativa all'abuso accertato con la sentenza 18 giugno 1996 e documentazione del procedimento presso l'ufficio tecnico provinciale per la liquidazione dell'indennità risarcitoria;materiale tratto dalle intercettazioni telefoniche;
testimonianza del maresciallo che ha svolto le intercettazioni.
Da tali fonti, la sentenza desumerebbe elementi indiziali riferiti a fatti in realtà successivi all'adozione della determinazione del 5 marzo 2002 e, pertanto, insufficienti - ad avviso della difesa - a dimostrare il coinvolgimento dell'imputato nell'adozione dell'atto (3 19.1.,-19.5.).4. - Con ricorso per cassazione proposto tramite il difensore, l'imputato P.M., condannato in primo grado, con statuizione confermata in grado d'appello, per i reati di cui ai capi C, D, E, G, rileva in primo luogo la violazione dell'art. 5 c.p. e art. 47 c.p., comma 3, sostenendo di non avere avuto al momento dei fatti la cultura giuridica e l'esperienza necessaria per valutare la legittimità e la correttezza degli atti che compiva su indicazione dello zio P.L., con il coinvolgimento di personaggi di rilievo e indubbia competenza, quali i funzionali regionali e comunali e i suoi stessi genitori (4 20.2.1.).4.1. - La difesa denuncia, in secondo luogo, la violazione dell'art. 323 c.p., sotto il profilo della carenza e manifesta contraddittorietà della motivazione, quanto alla ritenuta sussistenza dell'accordo collusivo tra il ricorrente e il pubblico funzionario che avrebbe costituito la base dei successivi provvedimenti amministrativi finalizzati a procurare un ingiusto vantaggio (capo D) (5 20.2.1.).4.2. - Si lamenta, in terzo luogo (capo D), la manifesta illogicità della motivazione in relazione alla configurabilità del dolo intenzionale del reato di abuso di ufficio, sul rilievo che la sentenza d'appello avrebbe riconosciuto che non vi sono tracce esplicite di un concorso del privato cittadino, ma soli fatti concludenti, riferiti, però, non all'imputato ma al coimputato, suo zio P.L. (6 20.2.1.).43. - Si deduce, in quarto luogo, in relazione al capo E, la manifesta illogicità della motivazione circa la sussistenza del dolo intenzionale dell'abuso d'ufficio, rilevando che i provvedimenti autorizzatoli rilasciati dal Comune di Quartu Sant'Elena, in relazione all'edificazione del complesso polisportivo, afferiscono ad un'opera non pubblica, con la conseguenza che la società Sant'Elena costruzioni fu scelta non per procurare un ingiusto profitto patrimoniale ai soci di detta società, ma unicamente per la necessità di contenere i costi e limitare i tempi per la realizzazione dell'opera (7 20.1.2.).4.4. - In quinto luogo, si lamenta, in riferimento al capo G, la carenza di una specifica motivazione, sul rilievo che la sussistenza del reato sarebbe stata desunta dalla Corte d'appello in via analogica, semplicemente estendendo le considerazioni svolte con riferimento ai reati di cui ai capi D ed E, senza considerare la totale assenza di ogni prova sull'elemento psicologico (8 20.2.1.).
4.5. - Si lamentano, in sesto luogo (capo C), la contraddittorietà della motivazione e l'erroneità dell'interpretazione dell'art. 640 bis c.p., sotto il profilo della ritenuta sussistenza degli elementi costitutivi del reato relativo al finanziamento regionale ottenuto per l'edificazione del complesso edilizio polisportivo. Si premette che - secondo la contestazione - il reato sarebbe consistito nell'indurre in inganno con raggiri ed artifici, i funzionari della Regione Sardegna e della Banca CIS, al fine di ottenere un consistente finanziamento, costituendo una società giovanile i cui soci, tra i quali il ricorrente, non avevano i requisiti soggettivi e oggettivi per accedere al finanziamento stesso, previsto dalla L.R. n. 28 del 1984.La difesa lamenta, in particolare, che - contrariamente a quanto ritenuto nella sentenza censurata - la società (OMISSIS) aveva finalità lecite, veri soci in reale stato di disoccupazione e non meri prestanome di P.L. e di sua moglie B. S..Sul piano dell'ingiusto profitto - consistente nell'utilizzo illecito del finanziamento per l'edificazione di un complesso edilizio autorizzato sulla base di autorizzazioni illecite frutto di un accordo collusivo e, in altra parte, nell'appropriazione diretta di denaro - la difesa rileva: quanto al primo profilo, che il finanziamento è stato in realtà destinato alla realizzazione del complesso polisportivo; quanto al secondo profilo, che la somma asseritamente distratta era stata invece pagata per l'attività svolta e regolarmente fatturata da P.M. quale responsabile di cantiere (9 20.2.1.).5. - Avverso la sentenza ha proposto ricorso per cassazione, tramite i difensori, l'imputata F.M.L. (capi C, D, G), chiedendo l'annullamento della sentenza censurata, e in denegata ipotesi, che la Corte di cassazione dichiari condonata la pena ai sensi della L. n. 241 del 2006 (10 La richiesta proposta in via subordinata è trattata al punti 20.2.2. e 20.2.2.2.).All'udienza del 21 dicembre 2011, il difensore dell'imputata ha depositato memoria.
5.1. - E' prospettata, in primo luogo, la violazione dell'art. 191 c.p.p., perchè al caso di specie non si applicherebbe la disciplina di cui all'art. 270 c.p.p. in materia di utilizzazione delle intercettazioni disposte in un procedimento diverso.In particolare, si lamenta che la Corte d'appello abbia ritenuto esistente, nel caso di specie, la connessione dei fatti ascritti nei capi da C a P con il reato di falso ideologico - in relazione al quale le intercettazioni erano stati originariamente disposte e contestato nei capi d'imputazione A e B - riferito alla vicenda "(OMISSIS)", alla quale la ricorrente è completamente estranea.Secondo la Corte d'appello, la connessione oggettiva tra la vicenda "(OMISSIS)" e la vicenda (OMISSIS) risulterebbe dalla rete di rapporti intessuta dall'architetto P.L., ritenuto il minimo comune denominatore di tutti gli episodi criminosi.
Ad avviso della difesa, invece, il fatto che P.L. sia imputato per entrambe le vicende non è significativo della sussistenza di una connessione oggettiva, probatoria, o finalistica.A ciò dovrebbe aggiungersi che i fatti ascritti alla ricorrente sono tutti i reati per i quali non è previsto l'arresto obbligatorio in flagranza (11 17.3.).5.2. - Con un secondo, articolato, motivo di impugnazione si denuncia la mancanza contraddittorietà, manifesta illogicità della motivazione sotto diversi profili già evidenziati nell'atto di appello (12 20.2. e 20.2.2.1.).5.2.1. - Con riferimento all'eccezione di inutilizzabilità dei risultati delle intercettazioni telefoniche, mancherebbe, ad avviso della difesa, la motivazione della ragione per cui il primo reato di falso ideologico (quello di cui al capo A) avrebbe influito sotto il profilo probatorio in relazione alle altre condotte illecite (13 17.3.).5.2.2. - Con riferimento alla reiezione dell'istanza di rinnovazione dell'istruzione dibattimentale, vi sarebbe carenza di motivazione circa le ragioni della superfluità delle richieste di perizia tecnica in materia urbanistica e di perizia volta a valutare la congruità della parcella emessa per le prestazioni professionali rese nell'interesse della (OMISSIS); nè tale motivazione potrebbe desumersi dal complesso dell'apparato argomentativo, particolarmente lacunoso quanto all'analisi degli assunti difensivi dei consulenti tecnici di parte (14 20.2.2. e 20.2.2.1.).5.2.3. - Con riferimento all'imputazione di abuso d'ufficio di cui al capo D - consistente nell'avere redatto con P.L. un progetto di opere edilizie aventi volumetria eccedente la cubatura massima consentita sull'area ed in assenza di preventiva autorizzazione del ristorante (in relazione al quale l'ingegner C.A. avrebbe rilasciato autorizzazione edilizia illegittima) e nell'aver redatto, sempre con il coimputato P.L., un progetto in variante in violazione del regolamento allegato alla deliberazione della Giunta comunale n. 440 del 2 luglio 1999 - la manifesta illogicità della motivazione emergerebbe, ad avviso della difesa, dalla circostanza che la Corte non avrebbe considerato che, al momento della redazione del progetto (e cioè a partire dal 1997), l'imputata non poteva sapere che gli organi competenti non avrebbero poi adottato la deroga richiesta dalla commissione edilizia in data 6 giugno 2000.In particolare la Corte non avrebbe tenuto conto del fatto che l'imputata non avrebbe progettato un ristorante, ma una sala ristoro, riservata ai frequentatori del complesso sportivo.
La difesa sostiene, inoltre, che la ricorrente si è limitata a presentare il progetto esecutivo e quello di variante per conto della società committente (OMISSIS) e non era, perciò, tenuta a conoscere le norme e le situazioni attinenti alle prassi amministrative che possono condizionare la legittimità dell'atto richiesto.Quanto poi alla motivazione circa la illegittimità dell'autorizzazione in variante, la carenza motivazionale emergerebbe dal non aver considerato che la piscina progettata non avrebbe potuto generare un volume fisico geometrico, con la conseguenza che non sarebbe stata necessaria alcuna deroga approvata dal Consiglio comunale; la Corte d'appello, a tale proposito, avrebbe illegittimamente collegato il concetto di volume urbanistico al concetto di precarietà e, rilevando la non precarietà dell'opera, ne avrebbe desunto la creazione di un volume. Vi sarebbe, in ogni caso, un contrasto fra gli assunti del giudice di secondo grado e le risultanze istruttorie, perchè non si sarebbe tenuto adeguatamente conto del fatto che la piscina in sè non genera volume e che le coperture, essendo amovibili, non generano volume neanche esse.Vi sarebbe, inoltre, carenza di motivazione circa la sussistenza dell'elemento soggettivo del dolo di concorso nel reato di abuso d'ufficio, su cui la Corte avrebbe argomentato attraverso un semplice rinvio alle osservazioni esposte nei riguardi degli imputati C. A. e P.L..
Mancherebbe, inoltre, un'adeguata risposta alla doglianza, sollevata con i motivi d'appello, sulla insussistenza della prova del concorso nel reato proprio, quanto alle asserite e indimostrate pressioni dell'imputata nei confronti dell'ingegner C.A., con riferimento all'autorizzazione n. 841 del 2002 e all'autorizzazione n. 169 del 2003 (15 20.2.2. e 20.2.2.1.).
5.2.4. - Con riferimento all'imputazione di cui al capo G - relativa all'avere redatto un progetto esecutivo e un progetto in variante in mancanza di titolo concessorio, essendo l'autorizzazione edilizia e l'autorizzazione in variante frutto dell'accordo criminoso - la carenza motivazionale emergerebbe dal fatto che la Corte d'appello avrebbe comunque riconosciuto la legittimità delle opere edilizie con riferimento alla contestazione relativa al mancato rispetto della superficie da destinare a verde e non avrebbe motivato con riferimento all'eccedenza della volumetria (16 20.1.3.).5.2.5. - Quanto, poi, al capo C - relativo alla truffa aggravata consistente nell'aver fatto risultare corrispettivi per il lavoro svolto superiori a quelli effettivi - la motivazione della sentenza si porrebbe in contrasto con le risultanze dibattimentali, dalle quali sarebbe emerso che le somme indicate nel capo di imputazione sarebbero state corrisposte alla B., in virtù di un accordo pregresso relativo a diverse collaborazioni svolte nel tempo dallo studio professionale della ricorrente, come sarebbe risultato da una corretta interpretazione delle conversazioni telefoniche intercettate e dalla prova testimoniale (17 20.2.2. e 20.2.2.1.).6. - Ha proposto ricorso, tramite il difensore, l'imputato S. G., premettendo che nei suoi confronti la sentenza censurata ha dichiarato non doversi procedere in ordine 1 reati di cui ai capi A e B, perchè estinti per prescrizione, con conferma delle statuizione in punto di risarcimento dei danni e rimborso delle spese legali in favore della parte civile WWF Italia.La difesa chiede l'annullamento della sentenza censurata, sia nella parte in cui dichiara prescritti i reati anzichè prosciogliere nel merito l'imputato, sia relativamente alla condanna al risarcimento del danno e rimborso delle spese legali in favore della parte civile.6.1. - Con un primo motivo di ricorso, si deducono la violazione del principio di intangibilità del giudicato penale, la mancanza, contraddittorietà, insufficienza della motivazione, la violazione ed erronea applicazione dell'art. 323 c.p..Premette la difesa che, secondo la Corte d'appello, la determinazione n. 415 del 2002 adottata dall'ufficio di tutela del paesaggio dell'assessorato regionale della pubblica istruzione, alla cui redazione l'imputato aveva partecipato quale impiegato istruttore, è da ritenersi falsa perchè affermava che il complesso di (OMISSIS) costituiva una struttura ricettivo-alberghiera invece di una struttura abitativa e perchè affermava falsamente l'esistenza di un precedente parere favorevole.Tali considerazioni si pongono - ad avviso la difesa - in contraddizione con quanto rilevato dal giudice di primo grado, il quale aveva affermato che la determinazione in questione costituiva un provvedimento conclusivo, che effettivamente esprimeva un parere favorevole alla conservazione delle opere abusive.
La contraddizione consisterebbe, in sostanza, nel travisamento di circostanze obiettive quali il parere dell'ex coordinatore generale dell'ufficio tutela del paesaggio al giudice dell'esecuzione in data 27 gennaio 1999; parere ritenuto erroneamente irrilevante, sul falso presupposto che esso implicasse il mantenimento dell'originaria destinazione alberghiera.
Altra circostanza obiettiva travisata sarebbe la perizia giurata prodotta dalla 3P con la richiesta di sanatoria paesistica ai fini dell'indicazione della destinazione alberghiera, che - sempre ad avviso della difesa - sarebbe stata male interpretata dalla Corte d'appello, la quale sarebbe giunta all'erronea conclusione che l'istanza di sanatoria all'ufficio tecnico provinciale non recasse l'indicazione della destinazione d'uso.
Del pari illogicamente la Corte avrebbe ritenuto significativa di una destinazione non alberghiera la circostanza che alcune unità immobiliari risultassero di proprietà di privati, senza tenere conto che tale parziale mutamento di destinazione sarebbe stato comunque sanabile.Da ciò conseguirebbe un assoluto difetto di motivazione in ordine alla volontarietà della condotta attribuita all'imputato (18 19.2. e 19.5.).6.2. - Con un secondo motivo di doglianza, l'imputato rileva la violazione degli artt. 74 e 538 c.p.p., nonchè la mancanza e manifesta contraddittorietà della motivazione in ordine alla conferma delle statuizione civilistiche, sul rilievo che il WWF, parte civile, non può essere ritenuto parte offesa dei reati di falso e di abuso d'ufficio.Sul punto, la Corte si sarebbe limitata a confermare le statuizione civili del Tribunale, rilevando la mancanza di specifiche doglianze e non avrebbe tenuto conto dell'assenza di prova dell'esistenza di un danno in capo al WWF (19 19.6.1.).
7. - La sentenza è stata impugnata, tramite il difensore, anche dall'imputato C.A., condannato per i reati di abuso d'ufficio, falso ideologico e violazione urbanistica (capi D, F, G, M, O).7.1. - E' dedotta, in primo luogo, la nullità della sentenza per omessa sottoscrizione da parte del Presidente del collegio, sulla premessa che la sentenza stessa, pronunciata il 9 marzo 2010, avrebbe dovuto essere depositata entro 90 giorni, e cioè entro il 7 giugno 2010. Rileva la difesa che tale deposito è invece avvenuto il 7 luglio 2010, 30 giorni dopo la scadenza del relativo termine, senza che si sia attivato il meccanismo - di cui all'art. 154, comma 4 bis delle norme di attuazione - di richiesta al Presidente della Corte d'appello della proroga dei termini previsti dall'art. 544 c.p.p., comma 3.La sentenza, inoltre, risultava sottoscritta dal solo consigliere estensore, in qualità di componente anziano del collegio, per l'impedimento del Presidente, fuoriuscito dall'ordine giudiziario.Rileva la difesa che tale impedimento avrebbe potuto e dovuto essere evitato, con la conseguenza che l'impedimento stesso non presenterebbe i requisiti richiesti dall'art. 546 c.p.p., comma 2 (20 16, 16.1., 16.2.).
7.2. - Si lamentano, in secondo luogo, l'inosservanza e l'erronea applicazione della legge penale, la mancanza contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione, la mancata assunzione di prove decisive, con riferimento a tutte le fattispecie per le quali vi è stata condanna dell'imputato, rilevando, in generale, che la sentenza si sarebbe limitata a fare proprie pregiudizialmente le valutazioni del Tribunale, aderendovi senza spiegarne le ragioni e non rispondendo alle precise censure mosse con l'atto d'appello (21 20.2.3., 20.2.3.1., 20.2.3.2., 23.) 7.2.1. - Relativamente al reato di abuso d'ufficio di cui al capo D, la difesa lamenta che il giudice di secondo grado si sarebbe limitato a ripetere quanto affermato dal Tribunale circa la violazione di legge sotto il profilo dell'incompetenza della Giunta comunale, per essere, invece, competente il Consiglio comunale.In particolare, quanto alla ritenuta illegittimità della delibera n. 440 del 1999, assunta dalla Giunta comunale, la sentenza censurata sarebbe partita dall'erroneo assunto che la L. n. 142 del 1990, art. 32, comma 2, lett. b), all'epoca vigente, affermasse la competenza del Consiglio a provvedere su programmi e progetti preliminari di opere pubbliche. Secondo la difesa, a norma della citata b) e della successiva lett. m) dello stesso articolo, la competenza del Consiglio sussisteva per le concessioni che non fossero previste espressamente in atti fondamentali del Consiglio stesso; atti fondamentali esistenti nel caso di specie, perchè con il regolamento n. 28 del 1989, l'amministrazione comunale si era dotata di una disciplina delle concessioni di aree comunali, prevedendo addirittura quali aree potessero essere date in concessione privati.Da tale travisamento del dettato normativo, la Corte avrebbe erroneamente desunto la sussistenza dell'elemento soggettivo in capo all'imputato, senza tenere conto, peraltro, del fatto che nello stesso periodo vi erano stati procedimenti amministrativi analoghi conclusi con provvedimento della Giunta e senza tenere conto del parere dell'avvocato O., in base al quale la competenza doveva essere ritenuta della Giunta e non del Consiglio.
La Corte non avrebbe tenuto conto, inoltre, del parere del dott. Lo. sul punto, della cui stessa esistenza la sentenza dubita ingiustificatamente. Da tale ultimo parere, in particolare, risulterebbe che il regolamento n. 28 del 1989 sopra citato era ancora in vigore quale atto fondamentale del Comune e determinava, perciò, la competenza a deliberare sull'istanza di concessione in capo alla Giunta e non al Consiglio (22 20.1.1.).7.2.2. - - Quanto, poi, alla ritenuta violazione della L. n. 109 del 1994, artt. 2, 37 bis, 37 ter e 37 quater all'epoca vigente - per la mancata adozione di una procedura ad evidenza pubblica e il mancato inserimento dell'opera negli strumenti di programmazione dei lavori pubblici approvati - la difesa dell'imputato rileva che proprio il citato art. 2 afferma che le norme sull'evidenza pubblica si applicano, per gli impianti sportivi, ricreativi e per il tempo libero, di importo superiore a 1 milione di Ecu per la cui realizzazione sia previsto un contributo diretto specifico che superi il 50% dell'importo dei lavori.
Ad avviso della difesa, tali due elementi non ricorrevano nel caso di specie e, in ogni caso, il piano delle opere pubbliche era stato approvato solo nel 2000, in mancanza del decreto del Ministro dei lavori pubblici che conteneva gli schemi tipo sulla base dei quali adottare programmi triennali.
Quanto poi al carattere pubblico delle opere - prosegue la difesa - la Corte d'appello avrebbe travisato gli elementi a sua disposizione, non tenendo conto del fatto che, nel caso di specie, non si poteva ricorrere a forme di pubblicità, non essendo tali forme ancora state disciplinate in concreto.Sussisteva poi, contrariamente a quanto ritenuto nella sentenza impugnata, un interesse a procedere in tempi brevi, dato l'approssimarsi della stagione estiva; nè avrebbe potuto ritenersi configurabile l'obbligo di espletare licitazione privata, in mancanza della vigenza del programma triennale; nè avrebbe potuto ritenersi sussistente l'obbligo di costituire una commissione giudicatrice, per l'inesistenza del regolamento ministeriale in materia; nè si sarebbe potuto ritenere che la società (OMISSIS) fosse priva dei requisiti soggettivi di qualificazione, in mancanza dell'istituzione di un sistema di qualificazione.La difesa prosegue contestando la natura pubblica dell'opera, sul rilievo che, nel caso di specie, sarebbero stati insussistenti i requisiti necessari e, in particolare: la pubblicità del soggetto che realizza l'opera, la natura immobiliare dell'opera, la destinazione al soddisfacimento di un interesse pubblico, il finanziamento con risorse pubbliche.Quanto alle autorizzazioni edilizie n. 841 del 2002 e n. 169 (in variante) del 2003, anche esse oggetto di contestazione con riferimento al capo D, vi sarebbe del pari carenza di motivazione, perchè la sentenza impugnata si limiterebbe a richiamare sul punto la sentenza di primo grado, senza prendere posizione nè sulla natura della piscina e della sua copertura, nè sulla realizzazione del ristorante e sulle sue caratteristiche di punto di ristoro riservato ai soci (Club House).In particolare, la difesa sottolinea che pare illogico che l'imputato, dopo aver firmato un'autorizzazione che non contemplava aumento della superficie dei volumi relativi alle piscine, debba rispondere di opere eseguite da altri a sua totale insaputa (23 20.1.2 e 20.1.3.) 7.3. - Si lamenta, in terzo luogo - quanto alla condanna per il reato di falso di cui al capo M, nel quale è stato ritenuto assorbito il reato di cui al capo N - l'erronea applicazione dell'art. 4 della circolare n. 1 dell'11 marzo 1996 dell'assessore agli enti locali della Regione autonoma della Sardegna, dell'art. 6 della direttiva n. 2 approvata con deliberazione 20 aprile 2000 dalla Giunta regionale della Sardegna e dell'art. 3, comma 2, delle disposizioni di omogeneizzazione e di coordinamento dei piani territoriali paesistici, approvate dal Consiglio regionale della Sardegna il 13 maggio 1993.Sul punto, la sentenza censurata si limiterebbe a richiamare la valutazione del giudice di primo grado senza dare conto delle doglianze difensive.
In particolare, la Corte distrettuale avrebbe scorrettamente interpretato le intercettazioni telefoniche in atti, ritenendo che queste facessero riferimento alla richiesta rivolta all'imputato di rilasciare l'autorizzazione n. 5005 del 9 giugno 2003.
A detta della difesa, invece, tali conversazioni facevano riferimento al rilascio di una copia di un'autorizzazione ambientale già rilasciata, la n. 4194 del 18 maggio 2001.Per il ricorrente, tale conclusione troverebbe conferma in una serie di elementi:
a) vi era una documentazione da fornire con urgenza agli ispettori della forestale che s'erano presentati in Comune e tale documentazione poteva identificarsi solo con l'atto n. 4194 del 2001, perchè l'autorizzazione n. 5005 del 2003 era ancora inesistente;b) vi erano documenti dai quali risultava che la stazione di sollevamento era già stata realizzata e, pertanto, non poteva rientrare nella variante di cui all'autorizzazione n. 5005;c) dall'elaborato allegato alla perizia risulta che la stazione di sollevamento e l'alloggio del gruppo elettronico si trovano all'interno della rotatoria e dunque rientravano nell'autorizzazione del 2001, anche perchè la variante riguardava solo il fabbricato servizi;d) dalle prove testimoniali risulta che gli ispettori della forestale avevano richiesto il nullaosta n. 4194 e non la successiva autorizzazione in variante.
Si sostiene, inoltre, che anche a voler aderire alla prospettazione della Corte d'appello - secondo cui il nullaosta n. 5005 era stato rilasciato per sanare a posteriori opere già eseguite ma non autorizzate - la condotta addebitata non sarebbe comunque penalmente rilevante, perchè i lavori richiamati da tale nullaosta non erano oggetto del regime autorizzatorio paesaggistico; con la conseguenza che la presunta falsità di tale autorizzazione non avrebbe potuto offendere la fede pubblica, trattandosi di atto inutile.Ci si duole, poi, del fatto che la sentenza non avrebbe valutato la relazione dell'ingegner Ca., acquisita nel corso del dibattimento d'appello, che aveva accertato che il fabbricato servizi è ubicato a oltre trecento metri dal mare; con conseguente travisamento dell'intero quadro probatorio (24 23. e 23.1.).7.4. - Con un quarto motivo di doglianza, la difesa lamenta - quanto alla conferma della sentenza di primo grado che ha ritenuto il reato di abuso d'ufficio di cui al capo N assorbito nel reato di falso contestato al capo M e che ha assolto l'imputato dallo stesso addebito di abuso d'ufficio contestato al capo N1 con la formula perchè il fatto non costituisce reato - la violazione: della direttiva n. 2, emanata in base alla L.R. n. 28 del 1998, art. 4;dell'atto di indirizzo emanato in base alla L.R. n. 31 del 1998, art. 8, comma 1, lett. a); della direttiva approvata con deliberazione 20 aprile 2000 n. 18/7 della Giunta regionale.
Sul punto, l'imputato rileva che l'aver assorbito un capo di imputazione in un altro non configura una mancanza di interesse alla modifica della formula assolutoria, perchè tale assorbimento è da considerarsi alla stregua di una decisione di condanna (25 23. E 23.2.).7.5. - Con un quinto motivo di doglianza, relativo alla contravvenzione di cui al capo G, la difesa dell'imputato deduce la violazione dell'art. 43 c.p., commi 3 e 4, artt. 47 e 110 c.p., nonchè la mancanza, contraddittorietà e illogicità della motivazione, quanto all'elemento soggettivo del reato, erroneamente desunto, dalla Corte d'appello, sulla base dell'"eccedenza dei volumi" realizzati (26 2.2.3., 20.2.3.1.).7.6. - Con un sesto motivo di doglianza, si denunciano la mancanza della motivazione circa la conferma della declaratoria di estinzione per intervenuta prescrizione della contravvenzione di cui al capo O, nonchè la violazione di legge sul punto, sul rilievo che la sentenza d'appello si sarebbe limitata a ritenere immotivata la relativa doglianza.Precisa la difesa che, invece, l'assoluzione dell'imputato nel merito avrebbe potuto essere giustificata sulla base delle norme che esplicitamente escludevano l'obbligo di autorizzazione paesistica per le opere pubbliche e le opere di preminente interesse pubblico (27 23. e 23.3.).
7.7. - Con un settimo motivo di impugnazione, relativo alla conferma dell'assoluzione dal reato di corruzione, di cui al capo F, perchè il fatto non costituisce reato, la difesa deduce la mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione, perchè la Corte d'appello avrebbe erroneamente ritenuto insussistente l'interesse in capo all'imputato ad una modifica della formula assolutoria e, contraddittoriamente, sullo stesso fatto avrebbe assolto i coimputati con la formula perchè il fatto non sussiste (28 20.2.3., 20.2.3.2.).7.8. - In ottavo luogo, si denuncia la violazione di legge e la mancanza, contraddittorietà e illogicità della motivazione circa il trattamento sanzionatorio, perchè la Corte non avrebbe tenuto in adeguato conto elementi quali l'età e la mancanza di precedenti penali e si sarebbe sensibilmente discostata dal minimo edittale (29 23.4.).8. - Ha proposto ricorso per cassazione, tramite il difensore, l'imputato E., condannato in primo grado per il capo I, in riferimento al quale la Corte d'appello, parzialmente riformando la sentenza del Tribunale, ha pronunciato assoluzione limitatamente all'episodio del 4 dicembre 2002, per non avere commesso il fatto.
La fattispecie contestata all'imputato consiste nell'avere, su sollecitazione di P.L., direttore di settore dell'assessorato alla pubblica istruzione della Regione Sardegna, procurato a quest'ultimo l'ingiusto profitto costituito dalla retribuzione per i giorni di assenza, con equivalente danno per la pubblica amministrazione, registrando con il tesserino magnetico la sua presenza in ufficio in entrata in uscita, benchè il P.L. fosse assente.Precisa la difesa che i motivi di ricorso proposti si riferiscono al solo episodio del 29 ottobre 2002, per il quale la Corte d'appello ha confermato la responsabilità penale dell'imputato.8.1. - Con un primo motivo di doglianza, si denuncia la carenza di motivazione relativamente alla prova dell'assenza del P.L. dal lavoro.
Si sostiene, in particolare, che l'intercettazione telefonica con la quale l'imputato veniva invitato dal P.L. a prelevare dal cassetto dello stesso P.L. il suo badge per documentare falsamente l'orario di uscita dall'ufficio avrebbe potuto avere valore indiziante soltanto se, per attestare l'orario, fosse stato effettivamente utilizzato il tesserino magnetico, cosa non accaduta, perchè l'orario di uscita sarebbe stato invece attestato dall'operatore GERIP, come risulterebbe dall'audizione dell'operatore stesso e dai tabulati prodotti (30 22.2. e 22.2.1.).8.2. - Con un secondo motivo di doglianza, si rileva la carenza e manifesta illogicità della motivazione quanto alla mancata concessione dell'attenuante del danno patrimoniale di lieve entità, precisando, inoltre, che era stata richiesta la rinnovazione parziale dell'istruzione dibattimentale al fine di accertare l'entità del danno effettivamente subito dalla Regione (31 22.2. e 22.2.2.).8.3. - In terzo luogo, l'imputato rileva la contraddittorietà della motivazione in ordine al rigetto della richiesta di applicazione della sanzione sostitutiva pecuniaria, nonchè la violazione della L. n. 689 del 1981, art. 58, comma 1, sul punto (32 22.2. e 22.2.3.).8.4. - Con un quarto motivo di impugnazione, si denuncia la mancanza di motivazione in ordine alla censura d'appello concernente la condanna in solido al pagamento delle spese processuali.
Si fa presente, in particolare, che le disposizioni dell'art. 535 c.p.p. vigenti all'epoca della pronuncia della sentenza di primo grado (15 luglio 2008), precedentemente alla modifica apportata dalla L. n. 69 del 2009, art. 67 prevedevano che la sentenza di condanna pone a carico del condannato il pagamento delle spese processuali relative ai reati a cui la condanna si riferisce e che i condannati per lo stesso reato o per reati connessi sono obbligati in solido al pagamento delle spese, mentre i condannati per reati non connessi sono obbligati in solido alle sole spese comuni.
Nel caso in esame - ad avviso della difesa - la connessione rilevante ai fini della solidarietà non sussisteva, perchè non avrebbe potuto essere ritenuta sufficiente una connessione meramente soggettiva o probatoria (33 22.2. e 22.2.4.).9. - Con ricorso proposto tramite il difensore, l'imputato Su.
(condannato per il capo H1) deduce, in primo luogo, la violazione dell'art. 546 c.p.p., comma 2, quanto all'assenza di un giustificato impedimento per la mancata sottoscrizione della sentenza d'appello da parte del Presidente; tale non essendo, ad avviso della difesa, il collocamento a riposo del magistrato (34 16. e 16.1.).
9.1. - Con un secondo motivo di doglianza, si denuncia la violazione dell'art. 56 dell'ordinamento giudiziario in relazione all'art. 546 c.p.p., comma 2, e art. 544 c.p.p., rilevando che la mancata sottoscrizione da parte del presidente del collegio della sentenza d'appello sarebbe dovuta al ritardo nel deposito della motivazione, con la conseguenza che sarebbe venuto meno il principio di collegialità della decisione (35 16. E 16.2.).9.2. - Con un terzo motivo di impugnazione, si deduce la carenza, manifesta illogicità e contraddittorietà della motivazione in riferimento alla sussistenza del reato di falso, che emergerebbe - secondo la sentenza censurata - dalla non corrispondenza al vero dei requisiti della precarietà e della amovibilità dei manufatti realizzati dalla società (OMISSIS).Secondo la difesa, le costruzioni che non potrebbero qualificarsi come amovibili erano già state realizzate con concessioni risalenti all'anno 2000, non rilasciate dall'imputato ma da altri funzionari e, in ogni caso, le intercettazioni effettuate escluderebbero, sotto il profilo soggettivo, la disponibilità dell'imputato a commettere falsi (36 21.1. e 21.4.).10. - Ha proposto ricorso per cassazione, tramite il difensore, l'imputato M.G., sindaco del Comune di Quartu Sant'Elena all'epoca dei fatti, condannato in grado di appello a seguito dell'impugnazione proposta dal pubblico ministero avverso la sentenza che lo aveva assolto, per il reato di abuso d'ufficio (capo D).
10.1. - La difesa deduce, in primo luogo, la violazione degli artt. 76 e 538 c.p.p., perchè l'imputato è stato condannato, in solido con altri imputati, alla rifusione delle spese sostenute dalla parte civile Sc.Gl., la quale, come risulterebbe dall'atto di costituzione di parte civile, non avrebbe promosso alcuna azione civile nei confronti dell'imputato, ma solo nei confronti dei coimputati, e per fatti diversi (37 20.2.4. e 20.2.4.1.).10.2. - Si lamenta, in secondo luogo, la mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione, quanto alla sussistenza dell'elemento soggettivo del reato d'abuso d'ufficio, in relazione alla quale la Corte d'appello avrebbe indebitamente accomunato l'imputato ai coimputati, desumendo la sua responsabilità dalla sola partecipazione alla stesura di atti illegittimi e senza tenere conto della particolare complessità giuridica delle questioni che questi doveva affrontare (38 20.2.4. e 20.2.4.2.).10.3. - In terzo luogo, si deduce l'erronea applicazione dell'art. 546 c.p.p., comma 2, sia in relazione alla mancata sottoscrizione della motivazione della sentenza censurata da parte del presidente del collegio, sia in relazione alla violazione del principio di collegialità della motivazione la sentenza, con rilievi analoghi a quelli mossi nel ricorso del coimputato Su. (39 16., 16.1. e 16.2.).10.4. - Si lamenta, in quarto luogo, la violazione dell'art. 158 c.p., sul rilievo che l'abuso d'ufficio contestato all'imputato fino al 17 marzo 2003 sarebbe basato, in realtà, su provvedimenti adottati dall'imputato stesso negli anni 1999-2000 e concettualmente del tutto autonomi rispetto al provvedimento di autorizzazione edilizia in variante adottato, appunto, il 17 marzo 2003 da soggetti diversi dall'imputato e dotati di autonomia funzionale.Si sarebbe, pertanto, verificata la prescrizione del reato, anche tenuto conto delle sospensioni verificatesi nel corso del giudizio, che ammonterebbero, secondo la Corte d'appello, a 133 giorni.
Si chiede, pertanto, in via subordinata che il reato contestato venga dichiarato estinto per prescrizione. (40 20.2.4. e 20.2.4.3.).
11. - Ha proposto ricorso per cassazione, tramite il difensore, anche l'imputato D., condannato per i capi H e H1, il quale rileva, in primo luogo, l'inosservanza ed erronea applicazione della legge, nonchè la mancanza contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione quanto alla sussistenza dei reati di corruzione e concorso in falso in atto pubblico.Sostiene la difesa che la sentenza censurata non avrebbe tenuto conto dei motivi di gravame proposti.
Rileva, in particolare, che, secondo l'imputazione, vi sarebbe un primo accordo illecito tra Fo. (dirigente regionale - giudicato separatamente) e P.L., concretizzatosi in alcuni provvedimenti di quest'ultimo in favore di D. e relativi alle opere edilizie del complesso di (OMISSIS), in cambio di un interessamento da parte di Fo. per sostenere la nomina di P. L. a direttore del servizio tutela del paesaggio di Cagliari dell'assessorato della pubblica istruzione della Regione Sardegna; in una seconda fase D. avrebbe beneficiato da P.L. di provvedimenti di favore in cambio dell'interessamento per raccomandare la nomina di P.L. a direttore del servizio sopraindicato; in una terza fase P.L. e D. si sarebbero accordati perchè il primo adottasse provvedimenti di favore e il secondo segnalasse nominativi di ditte in grado di fornire preventivi a prezzi scontati per i lavori della società (OMISSIS), che vedeva l'interessenza di P.L..A fronte di tale ricostruzione dei fatti, la Corte d'appello avrebbe illegittimamente ritenuto di non poter frazionare i comportamenti contestati agli imputati, adottando invece una visione complessiva, che non avrebbe tenuto conto delle peculiarità delle singole situazioni.Lamenta sul punto la difesa che la sentenza censurata non considererebbe che: gli atti contestati non sono illegittimi; alcuni degli atti in questione sono stati adottati quando P.L. non era ancora dirigente o quando aveva già ottenuto la nomina a direttore, per la quale, asseritamente, l'imputato si sarebbe speso; non ci sarebbe corrispettività tra tali ipotetici abusi del pubblico ufficiale e le utilità provenienti dall'imputato.In particolare: quanto al contestato accordo tra P.L. e Fo., si sostiene che D. non ne sarebbe stato a conoscenza; quanto al presunto scambio di favori tra P.L. e D., si rileva che il contenuto delle intercettazioni telefoniche non fa emergere alcuna ipotetica controprestazione da parte di quest'ultimo rispetto all'abuso asseritamente posto in essere da P.L.; quanto poi al preteso mercimonio della funzione pubblica di P.L. e alla segnalazione da parte di D. di alcune ditte che avrebbero fatto prezzi concorrenziali, non vi sarebbe alcun nesso sinallagmatico emergente dagli atti (41 21., 21.2. e 21.4.).
11.1. - La sentenza è censurata, in secondo luogo, in relazione al capo H1, per mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione e violazione di legge. Si critica innanzi tutto l'assunto del giudice d'appello per cui vi sarebbe una disparità di trattamento fra ca., precedente proprietario di (OMISSIS) e il successivo proprietario D..Si evidenzia, poi, che, pur avendo la sentenza impugnata ridimensionato la consistenza delle condotte di falso con particolare riferimento alla contestata falsità dell'indicazione della classificazione dell'area come C3, tale ridimensionamento non sarebbe stato preso in considerazione ai fini della determinazione della pena. Si sostiene, inoltre, che la sentenza avrebbe travisato i fatti laddove ritiene false le affermazioni del P.L. relative all'amovibilità e precarietà delle opere autorizzate al D..Si evidenzia, ancora, che: alcune delle autorizzazioni cui l'imputazione si riferisce costituiscono mera esecuzione di attività già autorizzate; altre sono successive alla già avvenuta nomina di P.L. quale direttore del servizio (23 gennaio 2003); altre ancora sono successive all'annullamento del piano territoriale, che fa venire meno la necessità di riscontri dal punto di vista paesistico; il provvedimento n. 5315 del 18 settembre 2002 non sarebbe falso perchè arrecherebbe la corretta indicazione della zona quale C3, in conformità allo strumento urbanistico.La sentenza non spiegherebbe, inoltre, perchè Fo. si sarebbe attivato per P.L. non nel momento in cui la nomina di quest'ultimo dipendeva dall'assessorato di cui faceva parte, ma in un momento successivo, in cui tale nomina spettava al presidente della Giunta regionale nell'esercizio del potere sostitutivo.Si lamenta, inoltre, la mancanza di motivazione in ordine alla pretesa istigazione posta in essere dall'imputato nel reato di falso.
11.2. - Con un terzo motivo di ricorso, si denunciano la mancanza contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione, nonchè la violazione di legge, con riferimento alla ritenuta utilizzabilità delle intercettazioni telefoniche poste a base della decisione, eseguite dal corpo forestale regionale.Tale corpo sarebbe, infatti, privo della qualifica di polizia giudiziaria, qualifica che solo la legge statale può attribuire, anche in base alla sentenza n. 313 del 2003 della Corte costituzionale (42 17., 17.1., 17.1.1., 17.1.2.).11.3. - In quarto luogo, in via subordinata, si chiede che la Corte di cassazione dichiari intervenuta la prescrizione in relazione alle parti di condotta effettivamente prescritte (43 21., 21.2. e 21.4.).
11.4. - In quinto luogo, quanto alla quantificazione della pena, si denuncia la violazione di legge e la mancanza e manifesta illogicità della motivazione, sul rilievo che la stessa Corte d'appello ha affermato che la consistenza delle condotte di cui al capo H1 deve essere ridimensionata.Si rileva, altresì, la carenza di motivazione circa il mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche (44 21., 21.2. e 21.4.).11.5. - In prossimità dell'udienza del 25 ottobre 2011, la difesa di D. ha presentato una memoria, con la quale insiste, tra l'altro, nei rilievi di cui al precedente punto 11.2. e chiede: in via principale, l'annullamento senza rinvio della sentenza impugnata;in via subordinata, la rimessione della questione alle sezioni unite;
in via ulteriormente subordinata, l'annullamento senza rinvio per essere i reati estinti per prescrizione.
Quanto alla questione dell'attribuzione di funzioni di polizia giudiziaria al Corpo forestale regionale, si sostiene, in particolare, che:
a) la questione non può essere risolta con il semplice richiamo alla sentenza della Corte di cassazione n. 21660 del 2010, che ribadisce tale attribuzione;b) la L. n. 804 del 1948, art. 13 che conferiva funzioni di polizia giudiziaria al Corpo forestale dello Stato e in base del quale si riteneva che anche il Corpo regionale potesse avere analoghe funzioni è stato abrogato dalla L. 6 febbraio 2004, n. 36, art. 5;c) la sentenza n. 313 del 2003 della Corte costituzionale avrebbe inequivocabilmente chiarito che la legge statale non attribuisce ai corpi forestali regionali funzioni di polizia giudiziaria e che la legge regionale, da parte sua, non ha alcuna titolarità per attribuire tali funzioni a tali corpi;d) l'art. 57 c.p.p. riconosce la qualità di ufficiale di polizia giudiziaria agli appartenenti al Corpo forestale dello Stato ai quali l'ordinamento di tali amministrazioni riconosce detta qualità, senza alcun riferimento ai corpi forestali regionali;e) il D.Lgs. n. 271 del 1989, art. 5, comma 2, dispone che possono essere applicati presso le sezioni, con provvedimento dell'amministrazione di appartenenza, ufficiali e agenti di polizia giudiziaria di altri organi esclusivamente statali;
f) non sussisterebbe alcuna omologia tra le funzioni esercitate dal Corpo statale e quelle esercitate dal Corpo regionale, e ciò contrariamente a quanto ritenuto dalla citata sentenza della Corte di cassazione n. 21660 del 2010;g) l'insussistenza di tale omologia sarebbe dimostrata anche dalla legge n. 4 del 2011, la quale confermerebbe che il Corpo forestale della Sardegna non può esercitare funzioni di polizia giudiziaria, prevedendo, all'art. 4, comma 8, che, nelle Regioni a statuto speciale, le sezioni di polizia giudiziaria sono composte anche dal personale con qualifica di polizia giudiziaria appartenente ai rispettivi Corpi forestali regionali, secondo i rispettivi ordinamenti, previa intesa tra lo Stato e la regione interessata;h) diversamente opinando, si avrebbe, un corpo di polizia giudiziaria dipendente dagli organi regionali, che costituirebbe una potenziale minaccia per l'unità nazionale.12. - Avverso la sentenza della Corte d'appello ha proposto ricorso, tramite il difensore, anche l'imputato L.P. - rispetto al quale era stata pronunciata decisione di non doversi procedere per prescrizione dei reati (capi A e B), il quale sostiene preliminarmente la tempestività del ricorso, perchè l'avviso di deposito della sentenza non gli sarebbe stato notificato (45 19.3. e 19.5.).12.1. - La difesa lamenta, in primo luogo, che vi sarebbe nullità del processo di primo grado, perchè il provvedimento di chiusura delle indagini preliminari ex art. 415 bis c.p.p. non sarebbe stato notificato all'imputato contumace, come tutti gli altri provvedimenti, tranne quello del dispositivo della sentenza (46 19.6. e 19.6.2.).12.2. - Si sostiene, in secondo luogo, la carenza e manifesta illogicità della motivazione in ordine alla sussistenza dei reati contestati, sul rilievo che la stessa sarebbe basata sul falso presupposto della natura urbanistica residenziale e non pararicettiva degli immobili (47 19.3. e 19.5.).12.3. - Con un terzo motivo di gravame, si deduce la carenza e manifesta illogicità della motivazione circa la disposta demolizione del complesso di (OMISSIS), il quale era, invece, da ritenersi conforme alla normativa urbanistica vigente (48 19.3. e 19.5.).13. - Ha proposto ricorso per cassazione, tramite il difensore, l'imputata C.R.P., per ottenere l'annullamento della sentenza impugnata limitatamente ai capi d'imputazione D e G (era stata assolta dal reato di cui al capo F, perchè il fatto non sussiste).All'udienza del 21 dicembre 2011, il difensore dell'imputata ha depositato memoria.
13.1. - Si svolgono, in primo luogo, rilievi analoghi a quelli svolti nel ricorso dell'imputata F. circa l'inutilizzabilità dei risultati delle intercettazioni telefoniche e il mancato rinnovo dell'istruttoria dibattimentale (49 17., 17.3., 20.2.5.).13.2. - La difesa passa poi a trattare dell'imputazione di abuso d'ufficio di cui al capo D - consistente nell'aver rilasciato il provvedimento di autorizzazione edilizia in variante n. 169 del 17 marzo 2003 - lamentando la manifesta illogicità e contraddittorietà della motivazione.Si svolgono, sul punto, argomentazioni analoghe a quelle svolte nel ricorso dell'imputata F. circa la natura delle piscine e delle coperture realizzate. Si precisa, in particolare, che la C.R. P. non sarebbe stata il soggetto competente al rilascio dell'autorizzazione edilizia in variante oggetto di causa, perchè l'organo deputato al rilascio del provvedimento sarebbe, secondo la prassi, il solo dirigente dell'ufficio, soggetto diverso dalla odierna imputata.Mancherebbe poi una sufficiente motivazione circa la sussistenza dell'elemento soggettivo, perchè la Corte avrebbe travisato il contenuto delle intercettazioni telefoniche poste a fondamento della decisione, in particolare ritenendo che la presentazione della pratica da parte dell'imputata nell'interesse di P.L. sia sintomo di un atteggiamento di favore.Tale assunto sarebbe invece contraddetto - ad avviso della difesa - dalla prassi secondo cui, per la mancanza di personale, sarebbero gli stessi tecnici istruttori a portare materialmente le pratiche nei vari uffici, per evitare lungaggini dovute ai tempi morti di giacenza fra un ufficio e l'altro.
Vi sarebbero - prosegue la difesa - intercettazioni telefoniche dalle quali emergerebbe, per di più, una riserva mentale dell'imputata nel favorire il P.L.; riserva incompatibile con la reale intenzione di essere a sua volta favorita da quest'ultimo per il campeggio di Capitana, che interessava il padre di lei. Vi sarebbe poi prova del fatto che sia l'imputata sia il geometra Fa. abbiano preteso di conoscere nel dettaglio il meccanismo di apertura e chiusura della copertura delle piscine, onde verificarne concretamente l'inamovibilità, sulla scorta delle verifiche già effettuate da altri funzionali circa il rispetto degli standard urbanistici: ciò sarebbe indice, ad avviso alla difesa, di imparzialità e obiettività nella trattazione della pratica.La motivazione della sentenza sarebbe contraddittoria, poi, anche sul punto in cui, a conferma dell'atteggiamento di favore tenuto dall'imputata, ritiene che questa si sia assunta la paternità dell'inserimento della prescrizione relativa al doppio accesso della (OMISSIS), uno dalla lottizzazione e l'altro dalla strada statale, facendo apparire tale prescrizione come proveniente dal Comune (50 20.1.3. e 20.2.5.).13.3. - In terzo luogo, si rileva la carenza di motivazione con riferimento all'imputazione di cui al capo G, in ordine alla quale la condotta dell'imputata sarebbe consistita nell'aver rilasciato il provvedimento di autorizzazione edilizia in variante n. 169 del 17 marzo 2003, titolo illecito secondo l'imputazione di cui al capo D. Precisa la difesa che la Corte d'appello ha riconosciuto la legittimità delle opere edilizie con riferimento alla contestazione relativa al mancato rispetto della superficie da destinare a verde e non ha minimamente motivato con riferimento all'eccedenza della volumetria.La stessa difesa svolge, poi, rilievi analoghi a quelli svolti nel ricorso dell'imputata F., precisando quanto alla posizione della C.R.P., che questa era intervenuta nel procedimento amministrativo unicamente nel febbraio-marzo 2003, limitandosi a sottoscrivere, all'esito dell'istruttoria e congiuntamente con il responsabile del procedimento, geom. Fa., il parere favorevole condizionato (51 20.1.3. e 20.2.5.).
14. - Ha proposto ricorso per cassazione, tramite il difensore, l'imputato P.L., deducendo, in primo luogo, l'inutilizzabilità delle intercettazioni telefoniche, in quanto eseguite dal corpo forestale della Sardegna (52 17., 17.1., 17.1.1., 17.1.2.).14.1. - In secondo luogo, quanto alla vicenda del complesso immobiliare di (OMISSIS), la difesa premette che è necessario ribadire l'irrilevanza penale dei fatti di cui ai capi A e B dell'imputazione, perchè, pur essendo questi estinti per prescrizione, vi è interesse a contrastare le statuizione civili che ne derivano.Il ricorrente prosegue rilevando che la Corte d'appello avrebbe indebitamente tratto dalla circostanza che la società 3P immobiliare aveva costruito in difformità della concessione edilizia il convincimento che l'imputato sapesse che la stessa società, al momento della pratica di condono, stesse sostanzialmente dichiarando il falso.A ciò dovrebbe aggiungersi, sempre secondo la difesa, che l'accertamento della destinazione d'uso non è di competenza dell'ufficio regionale, bensì dell'ufficio tecnico comunale, con la conseguenza che il Comune non sarebbe stato obbligato ad attenersi al parere dell'ufficio tutela del paesaggio della Regione, di cui faceva parte l'imputato, essendo, sul piano concettuale e costituzionale, ben distinti i due concetti di urbanistica e paesaggio.Quanto alle intercettazioni telefoniche, la Corte d'appello non avrebbe, poi, riscontrato le evidenti contraddizioni nelle affermazioni del funzionario c., il quale aveva forse fatto alcune di tali affermazioni nella convinzione di essere sottoposto ad intercettazioni.
Sempre ad avviso della difesa, il falso posto in essere sarebbe inutile, perchè le affermazioni asseritamente false non erano capaci di incidere sul valore probatorio del documento, che era limitato all'ammissione al pagamento dell'indennità risarcitoria.Del pari insussistente sarebbe il ritenuto tentativo di abuso d'ufficio, perchè tale reato sarebbe escluso dalla clausola di riserva che ne impedisce la configurabilità quando il fatto costituisca anche il più grave reato di falso. E ciò, sul duplice rilievo che: il fatto sarebbe nel caso di specie unico, consistendo nella falsa attestazione della destinazione alberghiera;la determinazione n. 415 in questione sarebbe un atto amministrativo discrezionale e, perciò solo, pacificamente insuscettibile di integrare il delitto di abuso d'ufficio.Si tratterebbe, in ogni caso, di un tentativo inidoneo, perchè preliminare ad un condono la cui concessione dipende da un soggetto terzo, e cioè il Comune (53 19.4. e 19.5.).14.2. - Con un terzo motivo di impugnazione, si deduce la mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione quanto alla vicenda del complesso di (OMISSIS).In relazione a tale vicenda, l'imputato è stato condannato per aver accettato la promessa di intercessione per la sua nomina a direttore del servizio di tutela del paesaggio da parte di Fo. e di D., nonchè per avere poi ottenuto preventivi per forniture a prezzi di favore (capo H).E' contestato anche all'imputato di aver attestato falsamente in una serie di autorizzazioni che le opere edilizie, ancora da realizzare, ricadevano nell'ambito C3 e che erano paesaggisticamente ammissibili (capo H1).
Sul punto, la difesa sostiene in particolare che:
a) il giudice d'appello ha indebitamente dedotto il favore dell'imputato per D. dai rapporti fra i due e non dall'esame dei provvedimenti emessi;
b) risulta dagli atti che Fo., capo di gabinetto dell'assessorato in cui lavorava l'imputato all'epoca dei fatti sia ritenuto istigatore degli illeciti accordi tra Pa.L. e D., pur essendo stato assolto all'esito di giudizio abbreviato;
c) vi sono numerose omissioni nell'interpretazione delle intercettazioni telefoniche;
d) la Corte d'appello avrebbe erroneamente dato rilievo al requisito della stagionalità delle opere realizzate, requisito non contemplato dalla normativa vigente, la quale si riferisce invece al solo requisito della amovibilità;e) le opere realizzate sono state erroneamente ritenute non riconducibili all'uso indicato nella lettera Ba del piano territoriale paesistico, relativa alla balneazione ed attività accessorie;f) mancherebbe l'elemento costitutivo della corruzione, rappresentato dal nesso fra le prestazioni del pubblico e del privato, essendovi stati al più dei reciproci favori di modico valore (54 21.3. e 21.4.).143. - Con un quarto motivo di impugnazione, riferito al capo C dell'imputazione, si denuncia la violazione dell'art. 640 bis c.p. e della L.R. n. 28 del 1984, art. 1.
La difesa rileva, in particolare, che l'imputazione ha per oggetto condotte poste in essere al fine di accedere al finanziamento di cui alla L.R. n. 28 del 1984, che secondo la Corte d'appello sarebbero illecite perchè dirette, da un lato, ad occultare la carenza di requisiti richiesti dalla legge in capo ai coimputati Co. e P.M., dall'altro lato, a coprire l'illegittimità dell'opera sotto il profilo urbanistico e dell'evidenza pubblica.Quanto al primo aspetto, la difesa contesta l'assunto del giudice di secondo grado per cui, pur sussistendo i requisiti soggettivi in capo ai soci, vi sarebbero dei soci occulti ( P.L. e B.) privi di tali requisiti soggettivi.
Ad avviso della difesa, infatti, tale ricostruzione contrasterebbe con: la correlazione tra accusa e sentenza; la corretta interpretazione della norma, la quale non richiederebbe una compagine societaria costituita esclusivamente da giovani; l'evidenza probatoria che esclude la presenza di soci occulti (55 20.2.6.).
14.4. - Con un quinto motivo di censura, relativo ai capi D, E, G, si denuncia la violazione dell'art. 323 c.p., essenzialmente sul rilievo che l'opera realizzata non potrebbe essere qualificata come opera pubblica, non ricorrendone i presupposti oggettivi, soggettivi teleologici.
Ad avviso della difesa, in particolare, la fattispecie in esame non potrebbe essere ricompresa nell'ambito di applicazione della L. n. 109 del 1994, art. 19 all'epoca vigente, perchè la concessione dell'area alla società (OMISSIS) non aveva finalità di realizzare un'opera pubblica per l'esercizio di un pubblico servizio, ma un'opera di proprietà della stessa società e non del Comune.Ne conseguirebbe - sempre ad avviso della difesa - l'insussistenza della violazione dei principi dell'evidenza pubblica, anche sulla scorta del regolamento comunale n. 28 del 6 aprile 1989, recante disposizioni per la concessione degli immobili e delle aree assimilate facenti parte del patrimonio disponibile del Comune.
Ne conseguirebbe, altresì, che non vi sarebbe alcuna violazione del riparto di competenze tra Giunta comunale e Consiglio comunale.Quanto a tale ultimo profilo, l'imputato deduce che, anche a prescindere dalla natura di opera pubblica degli immobili, la competenza sarebbe stata comunque della Giunta comunale, sul rilievo che la L. n. 142 del 1990, art. 32, lett. b), affida al Consiglio la fase della programmazione dei lavori pubblici soltanto a seguito dell'adozione dei programmi triennali, avvenuta - nel caso in esame - solo con il D.M. 21 giugno 2000, con la conseguenza che, all'epoca dei fatti, la competenza era da individuare, in via residuale, in base alla L. n. 142 del 1990, art. 35, comma 2, in capo alla Giunta.
Ad ulteriore conferma di tale prospettazione, la difesa evidenzia che l'amministrazione non stava deliberando la costruzione di un'opera pubblica, ma soltanto la concessione di un'area per la realizzazione di un'impresa avente ad oggetto attività sportive e sociali;concessione ispirata, peraltro, a ragioni di urgenza, per evitare la manutenzione tipica del periodo estivo: da qui l'interesse dell'amministrazione ad una celere conclusione del procedimento di assegnazione.
Una serie di considerazioni non sufficientemente valorizzate dalla sentenza d'appello, quali quelle relative alla prestazione di fideiussione bancaria assicurativa e al contenuto del disciplinare per la valutazione delle proposte, avrebbero dovuto, sempre ad avviso della difesa, indurre il giudice a ritenere che non sussisteva un intento di favorire il so..
La difesa passa poi ad evidenziare le contraddizioni motivazionali relative all'asserita violazione della disciplina urbanistica da parte della società (OMISSIS). Sotto tale profilo, osserva che:non vi sarebbero aumenti di volumetria o carenze nell'ampiezza dei parcheggi; le coperture delle piscine non avrebbero dovuto essere considerate come volume e quindi non avrebbero potuto incidere sul carico urbanistico, come evidenziato dal consulente tecnico all'udienza del 22 maggio 2007; non vi è la necessità di concessione in deroga, perchè quest'ultima era stata ritenuta semplicemente consigliabile da parte della commissione edilizia, ben potendo l'amministrazione disattendere le valutazioni di tale commissione in sede di emanazione del provvedimento finale; non vi sarebbero anomalie nel progetto di variante, anche in riferimento alla percentuale dell'area da destinare a verde.Sotto il profilo soggettivo poi, la Corte d'appello non avrebbe attribuito il giusto rilievo alle prassi comunali e non avrebbe fornito una sufficiente motivazione circa gli interessi illeciti sottesi al procedimento (56 20.1., 20.1.1., 20.1.2., 20.1.3.).
14.5. - Con un sesto motivo di ricorso, riferito ai capi I e L dell'imputazione, si denuncia la violazione dell'art. 640 c.p. rilevando l'insussistenza dei presupposti del reato contestato e, in particolare, dell'evento costituito dall'ingiusto profitto conseguito dall'imputato e dal correlativo danno subito dall'amministrazione.
Secondo il ricorrente, la sentenza non avrebbe tenuto conto del fatto che l'imputato, all'epoca dirigente, aveva una retribuzione svincolata dall'orario di presenza in ufficio, come risulterebbe dall'alt 18 del contratto collettivo allora vigente.
A ciò dovrebbe aggiungersi - sempre secondo la difesa - che i profili indicati in sentenza, relativi a permessi, ferie e buoni pasto, non potrebbero essere considerati quali componenti della retribuzione ed esulerebbero perciò dal contenuto dell'imputazione, con violazione del principio di correlazione tra accusa e sentenza.Sarebbe erronea, sul punto, anche l'interpretazione delle intercettazioni telefoniche, in particolare perchè non avrebbe tenuto conto del fatto che l'imputato si trovava in ufficio già dalle nove di mattina e che, pertanto, non avrebbe avuto senso richiedere al coimputato E. di strisciare al suo posto il tesserino magnetico in entrata e in uscita (57 22. E 22.1.).14.6. - Si deduce, in settimo luogo, in riferimento ai capi M e N dell'imputazione, la violazione dell'art. 479 c.p..
In particolare, quanto all'episodio di cui al capo M, la difesa evidenzia che i riscontri probatori non autorizzano in alcun modo a sostenere la sussistenza di una consapevolezza dell'imputato circa la falsità del contenuto dell'autorizzazione ambientale n. 5005 del 2003, in mancanza, peraltro, di una sufficiente motivazione sul punto.Rileva la difesa che, anzi, tale autorizzazione non era necessaria nel caso di specie, perchè le opere realizzate erano ubicate al di fuori della fascia dei trecento metri dalla battigia e non ricadevano in area vincolata, con la conseguenza che si tratterebbe, al più, di un falso innocuo. Non potrebbe, perciò, configurarsi neanche il delitto di cui all'art. 323 c.p., contestato al capo N, perchè ne difetterebbero gli elementi costitutivi, mancando il requisito dell'ingiusto vantaggio patrimoniale asseritamente consistente nella mancata applicazione dell'indennità risarcitoria prevista dal D.Lgs. n. 490 del 1999, art. 164 (58 23. E 23.1.).15. - Tramite il difensore, ha proposto ricorso avverso la sentenza anche l'imputata B.S., moglie del coimputato P. L. (capo C dell'imputazione).
15.1. - La difesa rileva, in primo luogo, l'inutilizzabilità delle intercettazioni telefoniche eseguite dal corpo forestale della Sardegna, sulla base di motivi analoghi a quelli prospettati da altri coimputati (59 17., 17.1., 17.1.1., 17.1.2.).15J2. - Con un secondo motivo di gravame, si denuncia la violazione dell'art. 640 bis c.p. e della L.R. n. 28 del 1984, art. 1 sulla base di argomentazioni sostanzialmente coincidenti con quelle contenute nel ricorso di P.L. (60 20.2.7.).
Motivi della decisione
16. - Devono, preliminarmente essere trattati i motivi di impugnazione (7.1., 9., 9.1., 10.3.), proposti dagli imputati C. A., Su. e M.G., relativi alla nullità della sentenza d'appello, per l'omessa sottoscrizione da parte del Presidente del collegio e per il mancato rispetto dei termini per il deposito.16.1. - Quanto al primo profilo, ci si duole del fatto che la sentenza risulta sottoscritta dal solo consigliere estensore, in qualità di componente anziano del collegio, per l'impedimento del Presidente, fuoriuscito dall'ordine giudiziario.Rilevano le difese che tale impedimento avrebbe potuto e dovuto essere evitato, con la conseguenza che esso non presenterebbe i requisiti richiesti dall'art. 546 c.p.p., comma 2, e sarebbe, dunque, tale da far venire meno la collegialità della decisione.La censura è manifestamente infondata.La sentenza impugnata reca, ai sensi dell'art. 546 c.p.p., comma 2, menzione dell'impedimento a causa il quale il Presidente del collegio non ha potuto sottoscriverla, consistente nella sua fuoriuscita dall'ordine giudiziario. Trattasi, con tutta evidenza, di un impedimento effettivo, serio, grave e duraturo e, perciò, tale - secondo la giurisprudenza di questa Corte (Sez. un. 29 ottobre 2009, n. 600/2010) - da legittimare la mancata sottoscrizione.Nè può ritenersi che si sia violato il principio di collegialità della decisione di cui all'art. 525 c.p.p., comma 2, perchè questa norma si limita a prevedere che alla deliberazione debbano concorrere gli stessi giudici che hanno partecipato al dibattimento, mentre la redazione e la sottoscrizione della motivazione sono regolate dagli artt. 544 c.p.p. e ss., tra i quali il menzionato art. 546 c.p.p., comma 2. 16.2. - Del pari manifestamente infondata è la censura relativa al mancato rispetto dei termini per il deposito della sentenza, fondata sul rilievo che la sentenza stessa, pronunciata il 9 marzo 2010, avrebbe dovuto essere depositata entro 90 giorni, e cioè entro il 7 giugno 2010 e non, come avvenuto, il 7 luglio 2010 e senza che si sia attivato il meccanismo, di cui all'art. 154 delle norme di attuazione, comma 4 bis di richiesta al Presidente della Corte d'appello della proroga dei termini previsti dall'art. 544, comma 3, del codice.E' noto, infatti, che i termini per il deposito della motivazione devono essere ritenuti ordinatori, senza che alcuna disposizione preveda che la violazione di essi comporti nullità della sentenza.La circostanza che il mancato rispetto dei termini ordinatori abbia determinato l'impossibilità della sottoscrizione del presidente del collegio, nel frattempo collocato a riposo, non determina, dunque, alcun vizio della sentenza.17. - Devono poi trattarsi i motivi 3.1., 5.1., 5.2.1., 11.2., 13.1., 14., 15.1., proposti da M., F., D., C.R.P., P.L., B., e relativi all'utilizzabilità delle intercettazioni telefoniche poste a fondamento della decisione.17.1. - Si lamenta, in primo luogo, la violazione dell'art. 267, c.p.p., commi 1 e 4, in riferimento all'art. 117 Cost., comma 2, lett. l), perchè le intercettazioni telefoniche acquisite al processo non avrebbero potuto essere utilizzate, in quanto eseguite, in violazione di legge, da personale del Corpo forestale regionale.Ad avviso delle difese, i sottufficiali del Corpo forestale e di vigilanza ambientale, istituito con la L.R. Regione Sardegna 5 novembre 1985, n. 26, non hanno la qualifica di ufficiale di polizia giudiziaria, perchè tale qualifica non è loro attribuita da nessuna norma di legge dello Stato. Nè potrebbe richiamarsi, sul punto, il principio enunciato dalla sentenza Cass. pen., sez. 1^, 19 giugno 2000, n. 4491, in base al quale i sottufficiali appartenenti al Corpo forestale regionale avrebbero qualifica di ufficiale di polizia giudiziaria in forza del D.Lgs. 12 marzo 1948, n. 804, art. 13.Rilevano i ricorrenti che tale articolo è stato abrogato dalla L. 6 febbraio 2004, n. 36, con la conseguenza di rendere inapplicabile l'orientamento di legittimità di cui sopra, richiamato dalla sentenza censurata.A ciò dovrebbe aggiungersi, sempre secondo i ricorrenti, che, a norma del vigente art. 117 Cost., comma 2, lett. l), - riferibile anche alle autonomie regionali a statuto speciale - le Regioni non hanno competenza in tema di giurisdizione, norme processuali, ordinamento civile e penale e, pertanto, non possono attribuire ai loro funzionali la qualifica di ufficiali di polizia giudiziaria.17.1.1. - I rilievi sopra riportati sono inammissibili, perchè generici.Deve richiamarsi il consolidato principio di diritto - reiteratamente affermato da questa suprema Corte - secondo cui incombe sul ricorrente, il quale eccepisca la inutilizzabilità dei risultati delle intercettazioni, un onere di allegazione dei relativi decreti, anche provvedendo a produrli in copia nel giudizio di cassazione, se non puntualmente indicati nel fascicolo di ufficio, con la conseguenza che in assenza di tale allegazione il motivo di ricorso risulta inammissibile per genericità, (Sez. 3^, 20 aprile 2011, n. 20829; Sez. 5^, 15 luglio 2008, n. 37694; Sez. 4^, 7 giugno 2006, n. 32747; Sez. 4^, 3 novembre 2005, n. 2375/2006; Sez. 4^, giugno 2004, n. 33700).Orbene, nel caso in esame non sono stati allegati ai ricorsi i decreti di autorizzazione e convalida delle intercettazioni, di cui si contesta la legittimità; nè i ricorrenti forniscono altre indicazioni utili per la loro individuazione nel fascicolo processuale, in cui, peraltro, non si rinvengono; nè vi sono analitici riferimenti alle modalità, ai tempi, ai luoghi, alle persone che hanno in concreto svolto l'attività di intercettazione.17.1.2. - Anche a prescindere da tali assorbenti considerazioni, deve rilevarsi che le censure proposte sono, comunque, manifestamente infondate.
La sentenza Cass. pen., sez. 1^, 19 giugno 2000, n. 4491 - correttamente richiamata e condivisa dalla Corte d'appello (pag. 54 della sentenza) - ha, infatti, chiarito che, alla luce della disciplina di cui all'art. 57 c.p.p., comma 2, lett. b), non è consentita un'indiscriminata attribuzione della qualifica di agenti di polizia giudiziaria a tutti gli addetti ai servizi forestali, a prescindere dal grado di cui ciascuno sia titolare.Inoltre la previsione del comma 1, lett. b), del citato articolo annovera tra gli ufficiali di polizia giudiziaria i sottufficiali ai quali l'ordinamento delle rispettive amministrazioni riconosce tale qualità, e questo riconoscimento, per i sottufficiali appartenenti al Corpo Forestale della regione Sardegna, trova la sua fonte normativa nel D.Lgs. 12 marzo 1948, n. 804, art. 13 norma operante anche successivamente all'istituzione della Regione a statuto speciale, in quanto non abrogata nè espressamente, nè implicitamente, da successive disposizioni di legge.Contrariamente a quanto opinato dai ricorrenti, è evidente che tale principio trova applicazione anche dopo l'abrogazione del D.Lgs. 12 marzo 1948, n. 804, art. 13 ad opera della L. 6 febbraio 2004, n. 36;abrogazione rispetto alla quale, peraltro, le intercettazioni in oggetto sono, in larga parte, precedenti nel tempo, come emerge dalle sentenze di primo e secondo grado.
E', infatti, agevole rilevare che quest'ultima fonte normativa si pone in assoluta continuità con la precedente, perchè mantiene inalterata l'attribuzione al Corpo forestale delle funzioni di polizia giudiziaria (art. 1, comma 2), che era oggetto dell'abrogata disciplina.In questo senso deve essere intesa l'omologia tra il Corpo regionale e quello statale evidenziata dalla sentenza di questa Corte, sez. 3^, n. 21660 del 2010.
Tale omologia trova, peraltro, conferma nell'evidente parallelismo tra le funzioni del Corpo regionale e quelle del Corpo statale, che emergono dalla comparazione dei rispettivi ordinamenti e che appaiono incentrate sulle attività di: polizia ambientale, tutela delle aree protette e vigilanza sul rispetto dei vincoli, nonchè protezione della fauna, della flora, della biodiversità.In base alla L.R. Regione Sardegna 5 novembre 1985, n. 26, art. 1 (Istituzione del Corpo forestale e di vigilanza ambientale della Regione sarda), il Corpo regionale ha, tra le altre, le seguenti funzioni: tutela tecnica ed economica dei boschi; tutela tecnica ed economica dei beni silvopastorali dei comuni e degli enti pubblici;
tutela dei parchi, riserve, biotopi ed altre aree di particolare interesse naturalistico e paesaggistico individuate con leggi o provvedimenti amministrativi; tutela della flora e della vegetazione;
tutela dei pascoli montani.
Svolge, altresì compiti di vigilanza, prevenzione e repressione secondo le leggi vigenti nelle materie indicate al precedente comma e in particolare nelle seguenti materie: caccia; pesca nelle acque interne e marittime; incendi nei boschi e, secondo i programmi regionali annuali di intervento, nelle aree extraurbane; polizia forestale; polizia fluviale e sulle pertinenze idrauliche; beni culturali.Dette competenze sono sostanzialmente analoghe a quelle del Corpo forestale dello Stato, elencate dalla L. 6 febbraio 2004, n. 36, art. 2 (Nuovo ordinamento del Corpo forestale dello Stato): ... b) vigilanza, prevenzione e repressione delle violazioni compiute in danno dell'ambiente, con specifico riferimento alla tutela del patrimonio faunistico e naturalistico nazionale e alla valutazione del danno ambientale ...; d) vigilanza e controllo dell'attuazione delle convenzioni internazionali in materia ambientale, con particolare riferimento alla tutela delle foreste e della biodiversità vegetale e animale ...; f) sorveglianza delle aree naturali protette di rilevanza internazionale e nazionale e delle altre aree protette secondo le modalità previste dalla legislazione vigente; g) tutela e salvaguardia delle riserve naturali statali riconosciute di importanza nazionale o internazionale, nonchè degli altri beni destinati alla conservazione della biodiversità animale e vegetale; h) sorveglianza e accertamento degli illeciti commessi in violazione delle norme in materia di tutela delle acque dall'inquinamento e del relativo danno ambientale ...; i) concorso nel monitoraggio e nel controllo del territorio ai fini della prevenzione del dissesto idrogeologico, nonchè collaborazione nello svolgimento dell'attività straordinaria di polizia idraulica.E tale conclusione non può opporsi che, a norma del vigente art. 117 Cost., comma 2, lett. l) - come interpretato dalla giurisprudenza costituzionale (in particolare, con la sentenza n. 313 del 2003) - le Regioni non hanno competenza in tema di giurisdizione, norme processuali, ordinamento civile e penale e, pertanto, non possono attribuire ai loro funzionari la qualifica di ufficiali di polizia giudiziaria.Nel caso in esame, infatti, la fonte della qualifica di ufficiale di polizia giudiziaria e della relativa funzione è - come già osservato nelle citate sentenze di questa Corte - la legge statale e non la legge regionale. Ed è pacifico che, ai sensi dell'art. 118 Cost., lo Stato, possa, nelle materie di cui all'art. 117 Cost., comma 2, attribuire competenze ad organi o amministrazioni afferenti alla Regione.Nè merita di essere condivisa la considerazione svolta dalla difesa di D., secondo cui l'insussistenza di poteri di polizia giudiziaria in capo al Corpo regionale sarebbe dimostrata dalla L. 3 febbraio 2011, n. 4, la quale prevede, all'art. 4, comma 8, che nelle Regioni a statuto speciale, le sezioni di polizia giudiziaria sono composte anche dal personale con qualifica di polizia giudiziaria appartenente ai rispettivi Corpi forestali regionali, secondo i rispettivi ordinamenti, previa intesa tra lo Stato e la regione interessata.Tale previsione, ad avviso della difesa, avrebbe carattere generale e innovativo, attribuendo per la prima volta ad organi regionali funzioni di polizia giudiziaria che essi prima non avevano.
E' sufficiente rilevare, sul punto, che la legge citata, a differenza della L. n. 36 del 2004, non contiene una normativa di portata generale circa le competenze dei Corpi forestali, ma una disciplina limitata ad alcuni profili del settore agroalimentare, come emerge anche dal titolo del provvedimento: "Disposizioni in materia di etichettatura e di qualità dei prodotti alimentari".Il carattere settoriale di tali previsioni, le quali hanno la finalità di attribuire ex novo competenze in una materia estranea al nucleo fondamentale della polizia ambientale e della tutela della flora e della fauna, impedisce, dunque, di ritenere che la titolarità di funzioni di polizia giudiziaria da parte dei Corpi regionali possa fondarsi su di esse.17.2. - Sempre con riferimento all'utilizzabilità delle intercettazioni, l'imputato M. deduce (motivo 3.1.) che queste sarebbero illegittime anche sotto il diverso profilo della mancanza dei gravi indizi di reato e della non indispensabilità ai fini della prosecuzione delle indagini; elementi sui quali non vi sarebbe alcuna specifica motivazione nella sentenza impugnata.Tale doglianza è inammissibile, oltre che per quanto rilevato in generale al punto 17.1.1., anche per ulteriori profili di genericità e perplessità.Infatti, il ricorrente, non solo non allega nè richiama i decreti di intercettazione, ma non chiarisce neppure quali siano le circostanze concrete a base della asserita mancanza dei requisiti di cui all'art. 267 c.p.p., comma 1, limitandosi ad affermare di avere dedotto tale mancanza con i motivi di appello.A ciò deve, peraltro, aggiungersi che, dalla stessa esposizione dei fatti riportata alla pag. 2 del ricorso, emergono sufficienti ragioni a sostegno dell'intercettazione, laddove si riferisce che questa fu disposta per i sospetti ingenerati dall'ingiustificato interessamento dell'imputato per la vicenda della demolizione di immobili in (OMISSIS), che apparentemente non lo riguardava.17.3. - Le ricorrenti F. e C.R.P. (motivi 5.1., 5.2.1. e 13.1.) deducono la violazione dell'art. 191 c.p.p., perchè al caso di specie non si applicherebbe la disciplina di cui all'art. 270 c.p.p. in materia di utilizzazione delle intercettazioni disposte in un procedimento diverso.In particolare, si lamenta che la Corte d'appello abbia ritenuto esistente, nel caso di specie, la connessione dei fatti ascritti nei capi da C a P con il reato di falso ideologico - in relazione al quale le intercettazioni erano state originariamente disposte e contestato nei capi d'imputazione A e B - riferito alla vicenda "(OMISSIS)", alla quale le ricorrenti sono completamente estranee. Secondo la Corte d'appello, la connessione oggettiva tra la vicenda "(OMISSIS)" e la vicenda (OMISSIS) risulterebbe dalla rete di rapporti intessuta dall'architetto P. L., ritenuto il minimo comune denominatore di tutti gli episodi criminosi.
Ad avviso della difesa, invece, il fatto che P.L. sia imputato per entrambe le vicende non è significativo della sussistenza di una connessione oggettiva, probatoria, o finalistica.A ciò dovrebbe aggiungersi che i fatti ascritti alle ricorrenti sono tutti i reati per i quali non è previsto l'arresto obbligatorio in flagranza.Il motivo è inammissibile, oltre che per quanto rilevato in generale al punto 17.1.1., anche per manifesta infondatezza.Questa Corte ha, infatti, chiarito che, in tema di intercettazioni di conversazioni, ai fini del divieto di utilizzazione previsto dall'art. 270 c.p.p., comma 1, il concetto di "diverso procedimento" non equivale a diverso reato e in esso non rientrano le indagini strettamente connesse e collegate sotto il profilo oggettivo, probatorio e finalistico al reato alla cui definizione il mezzo di ricerca della prova viene predisposto, sicchè la diversità del procedimento assume un carattere soltanto sostanziale, non collegabile al dato puramente formale del numero di iscrizione nel registro delle notizie di reato (Sez. 6^, 2 dicembre 2009, n. 11472/2010; Sez. 3^, 13 novembre 2007, n. 348/2008).Ne deriva, quanto al presente giudizio, che - come correttamente ricordato dalla Corte d'appello (pag. 53) - sussiste un'unitarietà del procedimento, sotto il profilo della connessione oggettiva e probatoria fra tutti i reati, perchè la prova della sussistenza del reato di cui al capo A ha influito in modo decisivo nell'individuazione delle altre condotte illecite, aventi quali elementi comuni la figura di P.L. e il collegamento con gli altri imputati di volta in volta coinvolti nei vari reati, connessi con l'amministrazione pubblica del territorio.A ciò deve aggiungersi che l'unitarietà del procedimento emerge anche dalla continuità delle indagini svolte, poichè dalla sentenza censurata risulta che le intercettazioni prese in considerazione ai fini della decisione sono state effettuate, senza soluzione, nell'arco del periodo di circa sei mesi che comprende la fine di settembre 2002 (v. pag. 61 della sentenza di appello), l'ottobre 2002 (v., ad esempio, pagg. 100 e 113 della sentenza di appello), il novembre 2002 (v., ad esempio, pagg. 76, 77 e 100 della sentenza di appello), il dicembre 2002 (v., ad esempio, pagg. 90,115 e 116), il gennaio 2003 (v., ad esempio, pagg. 73, 77 e 103), il febbraio 2003 (v. pagg. 83-85, 94), il marzo 2003 (v., ad esempio, pag. 103), il maggio 2003 (v. pagg. 118-119).18. - Quanto alle altre censure proposte - all'esame delle quali si procederà con riferimento ai diversi capi di imputazione - va osservato, in via generale, che esse, indipendentemente dalla qualificazione giuridica loro conferita dai ricorrenti, appaiono, per lo più, volte a contestare l'apparato motivazionale della sentenza impugnata. Nella maggior parte dei casi, a fronte della ricostruzione e della valutazione della Corte d'appello, i ricorrenti non offrono (cosi come impone la osservanza del principio di autosufficienza del ricorso) la compiuta rappresentazione e dimostrazione, di alcuna evidenza (pretermessa ovvero infedelmente rappresentata dal giudicante) di per sè dotata di univoca, oggettiva e immediata valenza esplicativa, tale, cioè, da disarticolare, a prescindere da ogni soggettiva valutazione, il costrutto argomentativo della decisione impugnata, per l'intrinseca incompatibilità degli enunciati.Essi si limitano, per lo più, a riproporre, senza nuove argomentazioni in punto di diritto e in punto di fatto, censure già proposte in appello e motivatamente rigettate con la sentenza impugnata.Devono, pertanto, essere preliminarmente richiamati i consolidati e noti orientamenti di questa Corte circa la portata dell'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), e comma 3. 18.1. - Va dunque ricordato, in primo luogo, che il controllo sulla motivazione demandato al giudice di legittimità resta circoscritto, in ragione dell'espressa previsione normativa dell'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), al solo accertamento sulla congruità e coerenza dell'apparato argomentativo, con riferimento a tutti gli elementi acquisiti nel corso del processo, e non può risolversi in una diversa lettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione o dell'autonoma scelta di nuovi e diversi criteri di giudizio in ordine alla ricostruzione e valutazione dei fatti.Ne consegue che, laddove le censure del ricorrente non siano tali da scalfire la logicità e la linearità della motivazione del provvedimento impugnato, queste devono ritenersi inammissibili, perchè proposte per motivi diversi da quelli consentiti, in quanto non riconducibili alla categoria generale di cui al richiamato art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), (ex plurimis, Sez. fer., 2 agosto 2011, n. 30880; Sez. 6^, 20 luglio 2011, n. 32878; Sez. 1^, 14 luglio 2011, n. 33028).18.2 - Quanto, poi, allo specifico profilo della carenza di motivazione, deve rammentarsi il principio secondo cui il giudice del gravame non è tenuto a rispondere analiticamente a tutti i rilievi mossi con l'impugnazione, purchè fornisca una motivazione intrinsecamente coerente e tale da escludere logicamente la fondatezza di tali rilievi (ex plurimis, Sez. 4^, 17 settembre 2008, n. 38824; Sez. 6^, 14 giugno 2004, n. 31080); con la conseguenza che, laddove i motivi di ricorso per cassazione si limitino a ricalcare sostanzialmente le censure già motivatamente disattese in secondo grado, questi devono essere ritenuti inammissibili, perchè diretti a sollecitare una rivalutazione del merito, preclusa in sede di legittimità. 19. - I capi A e B dell'imputazione - riferiti alle vicende del complesso edilizio di "(OMISSIS)" e relativi alla redazione della determinazione n. 415 del 5 marzo 2002, che aveva applicato l'indennità risarcitoria di cui al D.Lgs. n. 490 del 1999, art. 164 nonchè già dichiarati prescritti - sono oggetto di più doglianze.19.1. - La difesa di M. contesta sostanzialmente l'iter motivazionale della sentenza impugnata, rilevando che, dai tabulati telefonici, non risulterebbe alcuna telefonata da parte dell'imputato ai funzionari dell'ufficio tutela del paesaggio; l'unico contatto sarebbe stato quello del 5 marzo, che la sentenza impugnata erroneamente interpreta come una comunicazione all'imputato dell'avvenuta adozione della determinazione in questione.
Lamenta, inoltre, che la sentenza desumerebbe - da elementi quali: la documentazione relativa all'abuso accertato con la sentenza 18 giugno 1996 e la documentazione del procedimento presso l'ufficio tecnico provinciale per la liquidazione dell'indennità risarcitoria; il materiale tratto dalle intercettazioni telefoniche; la testimonianza del maresciallo che ha svolto le intercettazioni - elementi indiziali riferiti a fatti in realtà successivi all'adozione della determinazione del 5 marzo 2002 e, pertanto, insufficienti a dimostrare il coinvolgimento dell'imputato nell'adozione dell'atto (motivi 3.2. e 3.3.).19.2. - L'imputato S.G. lamenta, inoltre (motivo 6.1.), che le considerazioni della Corte d'appello - secondo cui la determinazione n. 415 del 2002 adottata dall'ufficio di tutela del paesaggio dell'assessorato regionale della pubblica istruzione, alla cui redazione l'imputato aveva partecipato quale impiegato istruttore, è da ritenersi falsa perchè affermava che il complesso di (OMISSIS) costituiva una struttura ricettivo-alberghiera invece di una struttura abitativa e perchè affermava falsamente l'esistenza di un precedente parere favorevole - si pongono in contraddizione con quanto rilevato dal giudice di primo grado, il quale aveva affermato che la determinazione in questione costituiva un provvedimento conclusivo, che effettivamente esprimeva un parere favorevole alla conservazione delle opere abusive.La denunciata contraddizione consisterebbe, in sostanza, nel travisamento di circostanze obiettive quali il parere dell'ex coordinatore generale dell'ufficio tutela del paesaggio al giudice dell'esecuzione in data 27 gennaio 1999; parere ritenuto erroneamente irrilevante, sul falso presupposto che esso implicasse il mantenimento dell'originaria destinazione alberghiera.
Altra circostanza obiettiva travisata sarebbe la perizia giurata prodotta dalla società 3P con la richiesta di sanatoria paesistica ai fini dell'indicazione della destinazione alberghiera, che - sempre ad avviso della difesa - sarebbe stata male interpretata dalla Corte d'appello, la quale sarebbe giunta all'erronea conclusione che l'istanza di sanatoria all'ufficio tecnico provinciale non recasse l'indicazione della destinazione d'uso.Del pari illogicamente la Corte avrebbe ritenuto significativa di una destinazione non alberghiera la circostanza che alcune unità immobiliari risultassero di proprietà di privati, senza tenere conto che tale parziale mutamento di destinazione sarebbe stato comunque sanabile.Da ciò conseguirebbe un assoluto difetto di motivazione in ordine alla volontarietà della condotta attribuita all'imputato.19.3. - La difesa di L. (motivi 12.2. e 12.3.) - dopo avere premesso (sub 12.) che il ricorso non è tardivo, perchè l'avviso di deposito della sentenza non sarebbe stato notificato all'imputato contumace - rileva la carenza e manifesta illogicità della motivazione in ordine alla sussistenza dei reati contestati, sostenendo che la stessa sarebbe basata sul falso presupposto della natura urbanistica residenziale e non pararicettiva degli immobili;deduce, inoltre, la carenza e manifesta illogicità della motivazione circa la disposta demolizione del complesso di (OMISSIS), il quale era, invece, da ritenersi conforme alla normativa urbanistica vigente.19.4. - La difesa di P.L. (motivo 14.1.) premette che è necessario ribadire l'irrilevanza penale dei fatti di cui ai capi A e B dell'imputazione, perchè, pur essendo questi estinti per prescrizione, vi è interesse a contrastare le statuizione civili che ne derivano.Si rileva, in particolare, che la Corte d'appello avrebbe indebitamente tratto dalla circostanza che la società 3P immobiliare aveva costruito in difformità della concessione edilizia il convincimento che l'imputato sapesse che la medesima società, al momento della pratica di condono, stesse sostanzialmente dichiarando il falso.A ciò dovrebbe aggiungersi, sempre secondo la difesa, che l'accertamento della destinazione d'uso non è di competenza dell'ufficio regionale, bensì dell'ufficio tecnico comunale, con la conseguenza che il Comune non sarebbe stato obbligato ad attenersi al parere dell'ufficio tutela del paesaggio della Regione, di cui faceva parte l'imputato, essendo, sul piano concettuale e costituzionale, ben distinti i due concetti di urbanistica e paesaggio.Quanto alle intercettazioni telefoniche, la Corte d'appello non avrebbe, poi, rilevato le evidenti contraddizioni nelle affermazioni del funzionario c., il quale aveva forse fatto alcune di tali affermazioni nella convinzione di essere sottoposto ad intercettazioni.
Sempre ad avviso della difesa, il falso posto in essere sarebbe inutile, perchè le affermazioni asseritamente false non erano capaci di incidere sul valore probatorio del documento, che era limitato all'ammissione al pagamento dell'indennità risarcitoria.Del pari insussistente sarebbe il ritenuto tentativo di abuso d'ufficio, perchè tale reato sarebbe escluso dalla clausola di riserva che ne impedisce la configurabilità quando il fatto costituisca anche il più grave reato di falso. E ciò, sul duplice rilievo che: il fatto sarebbe nel caso di specie unico, consistendo nella falsa attestazione della destinazione alberghiera; la determinazione n. 415 in questione sarebbe un atto amministrativo discrezionale e, perciò solo, pacificamente insuscettibile di integrare il delitto di abuso d'ufficio.Si tratterebbe, in ogni caso, di un tentativo inidoneo, perchè preliminare ad un condono la cui concessione dipende da un soggetto terzo, e cioè il Comune.19.5. - I motivi di impugnazione sopra riportati sono inammissibili, perchè diretti - al di là della qualificazione giuridica formale contenuta nei ricorsi - a sollecitare una rivalutazione del merito del processo da parte di questa Corte, a fronte della motivazione completa e coerente sul punto contenuta nella sentenza impugnata.E ciò, a prescindere, quanto ai motivi 12.2. e 12.3., dalla genericità degli stessi, già correttamente rilevata nella decisione censurata in riferimento ai motivi d'appello dei quali essi costituiscono la sostanziale riproposizione.In relazione al ricorso di L. (sub 12.), deve preliminarmente rilevarsi che - contrariamente a quanto annotato dalla cancelleria della Corte d'appello di Cagliari in calce alla sentenza impugnata - lo stesso non è tardivo.L'avviso contumaciale è stato, infatti, notificato al solo avv. Sulpizio, difensore dell'imputato, il 16 luglio 2010.Quanto a L. personalmente, risulta che la notificazione è stata effettuata mediante immissione di avviso il 19 luglio 2010 e contestuale spedizione di raccomandata con ricevuta di ritorno.Nel fascicolo, però, risulta solo il numero di tale raccomandata, mancando l'avviso di ricevimento; con la conseguenza che non vi è certezza che tale ultima notificazione si sia validamente perfezionata.Venendo, più in generale, al merito dei motivi proposti dai ricorrenti, deve rilevarsi, in estrema sintesi, che la Corte d'appello fa correttamente conseguire la responsabilità penale degli imputati, anche sotto il profilo dell'elemento soggettivo, dai seguenti dati di fatto, che appaiono decisivi e assorbenti rispetto a tutte le censure mosse dai ricorrenti:a) la determinazione n. 415 è sicuramente falsa perchè era noto che la 3P immobiliare s.r.l. costruì, in difformità dalla concessione n. 68 del 1992, unità abitative di natura residenziale anzichè alberghiera;b) tale atto amministrativo era preordinato ad ottenere dalla Corte di cassazione la sospensione dell'esecuzione della condanna alla rimessa in pristino;
c) l'imputato P.L. conosceva la destinazione non alberghiera dei manufatti, in quanto aveva partecipato alla pratica relativa all'abuso edilizio, anche se non aveva redatto materialmente la determinazione in questione;
d) le intercettazioni telefoniche fanno emergere che P.L. era a conoscenza della destinazione residenziale del complesso immobiliare e aveva un interesse personale nella pratica;
e) il coimputato M. si era interessato per la nomina di P. L. a direttore del Servizio tutela del paesaggio della Regione sarda;
f) il falso non è innocuo, perchè poteva essere scoperto solo a seguito di accertamento sulla consistenza delle opere ed era diretto a scongiurare la demolizione delle stesse;g) anche i coimputati erano a conoscenza della destinazione residenziale degli immobili;
h) il falso aveva lo scopo di procurare un ingiusto vantaggio costituito dall'ammissione al pagamento dell'indennità risarcitoria ai sensi del D.Lgs. n. 490 del 1999, art. 164 atto prodromico al condono edilizio (in particolare, pagg. 55,60-65).Quanto, poi, alla posizione dei singoli imputati, il giudice di secondo grado analizza compiutamente e confuta con ampiezza di argomenti le singole doglianze proposte.
Per ciò che riguarda, in particolare, S.G., si rileva, infatti, che il complesso edilizio di (OMISSIS) non avrebbe potuto avere - come prospettato dalla difesa - una destinazione alberghiera, perchè la composizione della struttura, suddivisa in più unità immobiliari già oggetto di numerose compravendite a favore di soggetti che le avevano acquistate con destinazione abitativa, non era suscettibile di acquisire una destinazione diversa, in ragione dell'assenza delle necessari e parti comuni tipiche delle strutture alberghiere; sicchè l'opera non risultava in pratica sanabile.L'eventuale sanabilità dell'opera, peraltro, non avrebbe potuto escludere la sussistenza del falso, il quale aveva per oggetto la destinazione che gli immobili avevano inizialmente e non la potenziale e futura diversa destinazione degli stessi (pagg. 57-58).In riferimento alla posizione di M., la Corte di secondo grado muove dall'analisi del parere del tecnico g. circa la sanabilità del complesso, avente ad oggetto il profilo paesaggistico e basato sul presupposto della destinazione alberghiera, e ne desume che esso non esclude la sussistenza del reato, dovendosi ribadire la falsità dell'affermazione secondo cui la destinazione iniziale era quella alberghiera.In altri termini, il parere in questione - come precisato dalla stessa Corte d'appello - non è conferente, per la semplice ragione che in esso si ammette la sanabilità dell'opera sotto il profilo paesistico, solo a condizione che venga mantenuta l'originaria destinazione alberghiera (pag. 59).In particolare, sui rapporti fra P.L. e M., a partire dai quali la sentenza censurata desume il concorso di tutti i coimputati nel reato di falso, la Corte d'appello - con motivazione ampia e ineccepibile sul piano logico-giuridico - rileva che:
a) le pressioni all'ufficio di P.L. non potevano che provenire dai coimputati, non avendo costui alcun interesse economico diretto nella vicenda, ma essendo legato a M.;
b) dalle intercettazioni telefoniche risulta che tali pressioni erano illecite e che i coimputati avevano fornito a P.L. la documentazione necessaria per predisporre una falsa rappresentazione della realtà;c) dalle intercettazioni svolte risulta uno stretto collegamento tra l'affare "(OMISSIS)" e l'interessamento di M. per far ottenere a P.L. una promozione nell'ambito del Servizio tutela paesaggio (pagg. 62-63).
In relazione, poi, al delitto di abuso d'ufficio contestato al capo B, la sentenza censurata correttamente rileva, sulla scorta delle stesse considerazioni svolte per il reato di falso ideologico, la sussistenza del dolo intenzionale ascrivibile agli imputati P.L. e S.G., giungendo a qualificare il fatto come tentativo, ai sensi degli artt. 56 e 323 c.p., perchè l'azione dei due non sortì l'effetto sperato di procurare agli altri coimputati l'ingiusto vantaggio costituito dal condono edilizio (pagg. 64-65).La difesa di P.L. ha riproposto profili di doglianza relativi: alla pretesa insussistenza del ritenuto tentativo di abuso d'ufficio, perchè tale reato sarebbe escluso dalla clausola di riserva che ne impedisce la configurabilità quando il fatto costituisca anche il più grave reato di falso; al fatto che la determinazione n. 415 in questione sarebbe un atto amministrativo discrezionale e, perciò solo, insuscettibile di integrare il delitto di abuso d'ufficio; all'asserita inidoneità del tentativo, perchè si tratterebbe di un atto preliminare ad un condono la cui concessione dipende da un soggetto terzo, e cioè il Comune.In riferimento al primo di tali profili, è sufficiente qui ribadire quanto già affermato alla pag. 65 della sentenza di appello - e nella sentenza di primo grado (v. pag. 8 della sentenza d'appello) -, secondo cui, nel caso di specie, non è ravvisabile un'ipotesi di assorbimento tra il reato di falso ideologico e quello di abuso d'ufficio, perchè sono individuabili due distinte condotte: quella relativa alla determinazione n. 415, che costituiva un falso diretto allo scopo di occultare e rendere possibile l'abuso d'ufficio, e quella consistita nella determinazione dell'importo da pagare a titolo di indennità, connessa all'ingiusto vantaggio patrimoniale consistente nel condono del complesso edilizio.Quanto, poi, alla configurabilità dell'abuso d'ufficio a fronte di un potere discrezionale dell'amministrazione, è sufficiente qui richiamare il principio enunciato dalla giurisprudenza di questa Corte, per cui il delitto di abuso d'ufficio è configurabile non solo quando la condotta si ponga in contrasto con il significato letterale, o logico-sistematico di una norma di legge o di regolamento, ma anche quando la stessa contraddica lo specifico fine perseguito dalla norma, concretandosi in uno "svolgimento della funzione o del servizio" che oltrepassa ogni possibile scelta discrezionale attribuita al pubblico ufficiale o all'incaricato di pubblico servizio per realizzare tale fine (ex multis, Sez. 5^, 16 giugno 2010, n. 35501; Sez. 6^, 25 settembre 2009, n. 41402).In relazione, infine, all'asserita inidoneità del tentativo, deve ribadirsi che il procedimento posto in essere dai coimputati attraverso le condotte di cui ai capi A e B aveva carattere di unitarietà ed era stato concepito fin dall'inizio nel suo complesso per consentire il condono degli immobili, traendo in inganno l'autorità competente a pronunciarsi sul condono stesso.Proprio l'organicità e l'oggettiva complessità di tale operazione rendono evidente che essa era del tutto idonea a conseguire lo scopo di procurare ai beneficiari un ingiusto vantaggio patrimoniale; senza che possa, dunque, essere attribuito alcun rilievo al fatto che la procedura di condono necessitasse, per il suo perfezionamento, dell'intervento del Comune.19.6. - Sempre con riferimento agli stessi capi di imputazione A e B, vanno, poi, esaminati gli altri motivi di doglianza proposti dagli imputati S.G. e L..
19.6.1. - L'imputato S.G. (motivo 6.2.) - premettendo che nei suoi confronti la sentenza censurata ha dichiarato non doversi procedere in ordine i reati di cui ai capi A e B, perchè estinti per prescrizione, con conferma delle statuizione in punto di risarcimento dei danni e rimborso delle spese legali in favore della parte civile WWF Italia - chiede l'annullamento della sentenza censurata anche relativamente alla condanna al risarcimento del danno e rimborso delle spese legali in favore della parte civile.Rileva, che il WWF, parte civile, non può essere ritenuto parte offesa dei reati di falso e di abuso d'ufficio e lamenta che, sul punto, la Corte distrettuale si sarebbe limitata a confermare le statuizione civili del Tribunale, rilevando la mancanza di specifiche doglianze, e non avrebbe tenuto conto dell'assenza di prova dell'esistenza di un danno in capo al WWF. Il motivo è inammissibile, perchè generico.Come evidenziato dallo stesso ricorrente, la Corte d'appello ha confermato le statuizioni civili del Tribunale, rilevando la mancanza di specifiche doglianze; doglianze che, anche nel ricorso per cassazione, consistono nella mera indimostrata affermazione della non configurabilità di un danno a carico del WWF in conseguenza dei reati contestati e nella mancanza di prova di tale danno.Deve, peraltro, rilevarsi, in linea di principio, che, secondo quanto affermato dalla giurisprudenza di questa Corte:
a) le associazioni ambientalistiche - come il WWF - sono legittimate a costituirsi parte civile in procedimenti penali che attengano alla tutela del territorio (ex plurimis, Sez. 3^, 22 ottobre 2010, n. 3872/2011;
b) i reati di falso e abuso di ufficio possono cagionare danno anche alla posizione di soggetti privati oltrechè ai beni-interessi primariamente tutelati quali, rispettivamente, la fede pubblica e la pubblica amministrazione (v., ex plurimis: per il falso, Sez. un., 27 ottobre 2007, n. 46982; per l'abuso d'ufficio, Sez. 6^, 22 marzo 2006, n. 20399; Sez. 5^, 6 maggio 1999, n. 2133).Ne consegue che ben si può ritenere configurabile un danno, determinabile in via equitativa, in capo ad un soggetto esponenziale degli interessi del territorio anche a seguito di reati di falso e abuso che con la tutela del territorio siano connessi.A tale proposito, del resto, questa Corte ha affermato che le associazioni ambientaliste sono legittimate a costituirsi parti civili iure proprio nel processo per reati ambientali, sia come titolari di un diritto della personalità connesso al perseguimento delle finalità statutarie, sia come enti esponenziali del diritto alla tutela ambientale, anche per i reati come il falso o l'abuso d'ufficio commessi in occasione o con la finalità di violare normative dirette alla tutela dell'ambiente e del territorio, finalità che costituiscono la ragione sociale delle predette associazioni (Sez. 5^, 17 novembre 2010, n. 7015/2011; Sez. 5^, n. 384 del 2005 e Cass., n. 21085 del 28 gennaio 2004).19.6.2. - Del pari inammissibile è il motivo 12.1., con cui l'imputato L. sostiene che vi sarebbe nullità del processo di primo grado, perchè il provvedimento di chiusura delle indagini preliminari ex art. 415 bis c.p.p. non sarebbe stato notificato all'imputato contumace, come tutti gli altri provvedimenti, tranne quello del dispositivo della sentenza.Il ricorrente si limita, infatti, a riproporre, senza evidenziare ulteriori elementi, la censura da lui già dedotta e motivatamente disattesa dalla Corte d'appello alla pag. 52 della sentenza impugnata, laddove si specifica che l'imputato era stato correttamente dichiarato irreperibile dopo diversi accertamenti, con conseguente legittimità delle notificazioni effettuate al difensore d'ufficio ex art. 159 c.p.p..20. - Devono ora esaminarsi i motivi di impugnazione relativi ai capi di imputazione C, D, E, F, G, con riferimento alla vicenda " (OMISSIS)". 20.1. - Quanto agli aspetti generali della vicenda, devono preliminarmente essere trattate le censure relative alla supposta competenza della Giunta anzichè del Consiglio comunale per l'adozione della delibera n. 440 del 1999, nonchè quelle relative alla natura pubblica o privata e alla consistenza urbanistica delle opere realizzate.20.1.1. - Sul primo di tali aspetti - che discende logicamente dalla natura pubblica dell'opera (su cui v. infra 20.1.2.) - viene in rilievo quanto sostenuto dalle difese di C.A. e P.L. (motivi 7.2.1. e 14.4.), le quali lamentano che, in relazione alla ritenuta illegittimità della delibera n. 440 del 1999, assunta dalla Giunta comunale, la sentenza censurata sarebbe partita dall'erroneo presupposto che la L. n. 142 del 1990, art. 32, comma 2, lett. b), all'epoca vigente, affermasse la competenza del Consiglio a provvedere su programmi e progetti preliminari di opere pubbliche.Secondo le difese, a norma della citata lett. b) e della successiva lett. m) dello stesso articolo, la competenza del Consiglio sussisteva per le concessioni che non fossero previste espressamente in atti fondamentali del Consiglio stesso; atti fondamentali esistenti nel caso di specie, perchè con il regolamento n. 28 del 1989, l'amministrazione comunale si era dotata di una regolamentazione delle concessioni di aree comunali prevedendo addirittura quali aree potessero essere date in concessione a privati. Da tale travisamento del dettato normativo, la Corte avrebbe erroneamente desunto la sussistenza dell'elemento soggettivo del reato, senza tenere conto, peraltro, del fatto che nello stesso periodo vi erano stati procedimenti amministrativi analoghi conclusi con provvedimento della Giunta e senza tenere conto del parere dell'avvocato O., in base al quale la competenza doveva essere ritenuta della Giunta e non del Consiglio.La Corte non avrebbe tenuto conto, inoltre, del parere del dott. Lo. sul punto, della cui stessa esistenza la sentenza dubita ingiustificatamente.
Da tale ultimo parere, in particolare, risulterebbe che il regolamento n. 28 del 1989 sopra citato era ancora in vigore quale atto fondamentale del Comune e determinava, perciò, la competenza a deliberare sull'istanza di concessione in capo alla Giunta e non al Consiglio.Quanto a tale ultimo profilo, la difesa di P.L. deduce che, anche a prescindere dalla natura di opera pubblica degli immobili, la competenza sarebbe stata comunque della Giunta comunale, sul rilievo che la L. n. 142 del 1990, art. 32, lett. b), affida al Consiglio la fase della programmazione dei lavori pubblici soltanto a seguito dell'adozione dei programmi triennali, avvenuta - nel caso in esame - solo con il D.M. 21 giugno 2000, con la conseguenza che, all'epoca dei fatti, la competenza era da individuare, in via residuale, in base alla L. n. 142 del 1990, art. 35, comma 2, in capo alla Giunta.
Ad ulteriore conferma di tale prospettazione, la difesa evidenzia che l'amministrazione non stava deliberando la costruzione di un'opera pubblica, ma soltanto la concessione di un'area per la realizzazione di un'impresa avente ad oggetto attività sportive e sociali;concessione ispirata, peraltro, a ragioni di urgenza, per evitare la manutenzione tipica del periodo estivo: da qui l'interesse dell'amministrazione ad una edere conclusione del procedimento di assegnazione.
Una serie di considerazioni non sufficientemente valorizzate dalla sentenza d'appello, quali quelle relative alla prestazione di fideiussione bancaria assicurativa e al contenuto del disciplinare per la valutazione delle proposte, avrebbero dovuto - sempre ad avviso della difesa - indurre il giudice a ritenere che non sussisteva l'intento di favorire indebitamente un soggetto privato.
I motivi di ricorso sono inammissibili, perchè consistono nella sostanziale riproposizione delle censure - attinenti alla legittimità di atti amministrativi - già esaminate e motivatamente rigettate dalla Corte d'appello.Infatti, come correttamente evidenziato dalla Corte territoriale (pagg. 66-71), la delibera numero 440 del 2 luglio 1999 avrebbe dovuto essere adottata dal Consiglio comunale e non dalla Giunta, perchè la competenza a concedere l'area comunale in questione ai privati, per la realizzazione di opere pubbliche e relativi servizi, rientrava tra le attribuzioni del Consiglio a norma della L. n. 142 del 1990, art. 32, comma 2, lett. b), all'epoca vigente; disposizione che prevedeva che fosse il Consiglio ad adottare programmi e progetti preliminari di opere pubbliche.Nè a tale conclusione potrebbe opporsi che vi sarebbe stato un parere dell'avvocato O. in base al quale la competenza doveva essere ritenuta della Giunta e non del Consiglio. E ciò: in primo luogo - come correttamente osservato dalla Corte d'appello - perchè tale parere non era stato emesso in merito alla vicenda (OMISSIS); in secondo luogo, perchè il generico riferimento in esso contenuto alla possibilità di applicare il regolamento comunale n. 28 del 1989 in tema di concessioni di aree comunali - e di escludere cosi la competenza del Consiglio - appare evidentemente inidoneo a superare il dato normativo, rappresentato dalla successiva entrata in vigore della L. n. 142 del 1990, la quale, all'art. 32, comma 2, lett. m), esclude la competenza del Consiglio solo per le concessioni previste espressamente in atti fondamentali del consiglio o che ne costituiscono mera esecuzione.Dalla semplice lettura di tale regolamento comunale emerge, peraltro, con chiarezza che esso non può essere considerato atto fondamentale del Consiglio comunale ai fini della citata lett. m); e ciò, perchè esso nulla prevede circa l'individuazione delle aree ed immobili che potranno essere dati in concessione, limitandosi a disciplinare - con previsioni la cui legittimità non viene in rilievo in questa sede - i profili procedimentali amministrativi del rilascio delle concessioni.Quanto, poi, all'invocato parere di Lo. - anch'esso riferito, secondo la prospettazione difensiva, alla possibilità di applicare il regolamento comunale n. 28 del 1989 - la Corte d'appello fornisce una motivazione pienamente sufficiente, laddove evidenzia numerosi elementi di incongruenza circa l'esistenza - quanto meno nei termini invocati della difesa - di tale parere, quali: il fatto che lo stesso Lo. avesse escluso l'esistenza di tale parere in sede di sommarie informazioni; le anomalie nella protocollazione; la scorretta indicazione della qualifica amministrativa del suo autore (pag. 69 della sentenza impugnata).Quanto, infine, al rilievo proposto dalla difesa di P.L. - secondo cui la L. n. 142 del 1990, art. 32, lett. b), affidava al Consiglio la fase della programmazione dei lavori pubblici soltanto a seguito dell'adozione dei programmi triennali, avvenuta solo con il D.M. 21 giugno 2000, con la conseguenza che, all'epoca dei fatti, la competenza era da individuare, in via residuale, in base alla L. n. 142 del 1990, art. 35, comma 2, in capo alla Giunta - è sufficiente osservare che tale interpretazione non trova alcuna conferma nel sistema normativo ed è, anzi, palesemente smentita dal tenore dell'art. 32, comma 2, richiamata lett. m) della stessa legge;disposizione che disciplina il caso di specie attribuendo la competenza al Consiglio comunale, senza alcun riferimento alla necessità di previa adozione dei programmi triennali cui fa riferimento la difesa.Correttamente, dunque, la Corte d'appello, con rilievi conclusivi e assorbenti, trae dall'accertata incompetenza della Giunta comunale elementi determinanti circa la sussistenza dei reati - e, in particolare, dell'elemento soggettivo - in capo agli imputati.
20.1.2. - Quanto alla natura pubblica o privata delle opere realizzate, la difesa di P.M. (motivo 43.) denuncia, in relazione al capo E dell'imputazione, la manifesta illogicità della motivazione circa la sussistenza del dolo intenzionale dell'abuso d'ufficio, rilevando che i provvedimenti autorizzatoli rilasciati dal Comune di Quartu Sant'Elena per l'edificazione del complesso polisportivo, afferiscono ad un'opera non pubblica.Sostiene la difesa che la società Sant'Elena costruzioni fu scelta non per procurare un ingiusto profitto patrimoniale ai soci di detta società, ma unicamente per la necessità di contenere i costi e limitare i tempi per la realizzazione dell'opera.I ricorrenti C.A. e P.L. (motivi 7.2.2. e 14.4.) lamentano - con analoghe argomentazioni - che, in relazione alla ritenuta violazione della L. n. 109 del 1994, all'epoca vigente, artt. 2, 37 bis, 37 ter e 37 quater - per la mancata adozione di una procedura ad evidenza pubblica e il mancato inserimento dell'opera negli strumenti di programmazione dei lavori pubblici approvati - proprio il citato art. 2 afferma che le norme sull'evidenza pubblica si applicano, per gli impianti sportivi, ricreativi e per il tempo libero, di importo superiore a 1 milione di Ecu per la cui realizzazione sia previsto un contributo diretto specifico che superi il 50% dell'importo dei lavori.
Ad avviso delle difese, tali due elementi non ricorrevano nel caso di specie e, in ogni caso, il piano delle opere pubbliche era stato approvato solo nel 2000, in mancanza del decreto del Ministro dei lavori pubblici che conteneva gli schemi-tipo sulla base dei quali adottare i 4 programmi triennali.
Quanto poi al carattere pubblico delle opere, la Corte d'appello avrebbe travisato gli elementi a sua disposizione, non tenendo conto del fatto che, nel caso di specie, non si poteva ricorrere a forme di pubblicità, non essendo tali forme ancora state disciplinate in concreto.Sussisteva poi, contrariamente a quanto ritenuto nella sentenza impugnata, un interesse a procedere in tempi brevi, dato l'approssimarsi della stagione estiva; nè avrebbe potuto ritenersi configurabile l'obbligo di espletare licitazione privata, in mancanza della vigenza del programma triennale; nè avrebbe potuto ritenersi sussistente l'obbligo di costituire una commissione aggiudicatrice, per l'inesistenza del regolamento ministeriale in materia; nè si sarebbe potuto ritenere che la società (OMISSIS) fosse priva dei requisiti soggettivi di qualificazione, in mancanza dell'istituzione di un sistema di qualificazione.Le difese proseguono nel contestare la natura pubblica dell'opera, rilevando che, nel caso di specie, sarebbero stati insussistenti i requisiti necessari e, in particolare, la pubblicità del soggetto che realizza l'opera, la natura immobiliare dell'opera, la destinazione al soddisfacimento di un interesse pubblico, il finanziamento con risorse pubbliche.I motivi di cui sopra - che in larga parte riproducono letteralmente censure già esaminate e motivatamente rigettate dalla Corte d'appello - sono manifestamente infondati.In relazione alla pubblicità dell'opera realizzata, deve, infatti, condividersi quanto affermato dalla Corte distrettuale, secondo la quale avrebbero dovuto essere applicate le disposizioni relative alla gara pubblica nelle forme dell'appalto concorso o della licitazione privata e tutte le disposizioni conseguenti (pagg. 71-73).La fattispecie era, infatti, regolata dalla L. n. 415 del 1998, art. 2 il quale stabiliva che si intendono per lavori pubblici, se affidati dai Comuni, le attività di costruzione di opere ed impianti; vi era, di conseguenza la violazione della L. n. 109 del 1994, art. 2 in tema di evidenza pubblica.Sussistevano, poi, altri profili di illegittimità, quali:la violazione della L. n. 109 del 1994, art. 29 per l'inosservanza delle forme di pubblicità obbligatorie per gli appalti e le concessioni;l'inosservanza dei termini per la presentazione delle offerte, in quanto furono dedotte arbitrarie ragioni di urgenza;
la violazione della L. n. 109 del 1994, artt. 21 e 37 quater in relazione all'aggiudicazione dell'area per la realizzazione del complesso sportivo, in concessione gratuita trentennale alla società (OMISSIS);l'aggiudicazione dell'area della lottizzazione Sant'Anastasia- Faccheri senza la costituzione dell'apposita commissione ai sensi della L. n. 109 del 1994, art. 21;
l'aggiudicazione dell'area a soggetto privo dei requisiti di qualificazione professionale del concessionario di opere pubbliche di cui alla L. n. 109 del 1994, artt. 8 e 37 bis.
La Corte trae tali conclusioni dai seguenti elementi di fatto, puntualmente evidenziati in sentenza:
a) risultava dagli atti che la stessa amministrazione di Quartu Sant'Elena attribuì alla realizzazione dell'opera da parte della (OMISSIS) la natura di opera pubblica, come emergeva dalla convenzione stipulata il 14 ottobre 2002, con la quale veniva attribuito il diritto di superficie per trent'anni e si precisava che gli impianti e le opere sarebbero diventate di proprietà della pubblica amministrazione alla scadenza del periodo;b) l'autorizzazione edilizia n. 841 del 27 novembre 2002, rilasciata dall'imputato C.A., prevedeva, quanto al versamento degli oneri, che non era dovuto alcun contributo, trattandosi di opera pubblica;
c) la natura di opera pubblica veniva confermata anche in seguito, con l'autorizzazione in variante n. 169 del 17 marzo 2003, con la quale, proprio in ragione di tale natura dell'opera, si esonerava la società al versamento del contributo.Dai suesposti rilievi in punto di fatto circa la pubblicità dell'opera - che sono decisivi e assorbenti rispetto a tutti i profili di doglianza dedotti dai ricorrenti - la Corte d'appello desume, correttamente, che la circostanza della mancata approvazione, all'epoca della delibera del 1999, del piano triennale delle opere pubbliche appare del tutto irrilevante; ne fa logicamente conseguire, altresì, la sussistenza dell'elemento soggettivo in capo agli imputati.Nè a questa condivisibile conclusione potrebbe opporsi - come fa la difesa di C.A. - che la L. n. 109 del 1994, all'epoca vigente, all'art. 2, comma 2, lett. c), prevedeva che le norme sull'evidenza pubblica si applicassero, per gli impianti sportivi, ricreativi e per il tempo libero, di importo superiore a 1 milione di Ecu per la cui realizzazione fosse previsto un contributo diretto specifico che superi il 50% dell'importo dei lavori; condizioni entrambi non sussistenti nel caso di specie.Deve, infatti, rilevarsi che tale disposizione non si riferisce alle procedure dirette - come quella in esame - al conferimento di lavori pubblici ad un privato da parte dell'amministrazione appaltante, perchè tali procedure sono in via generale sottoposte ad evidenza pubblica, ai sensi dei commi 1 e 2, lett. a), dello stesso articolo.La disposizione si riferisce, invece, al caso - evidentemente diverso da quello di specie - in cui l'appaltante sia un soggetto privato che sta realizzando un'opera pubblica di importo superiore a 1 milione di Ecu, con un contributo diretto specifico che superi il 50% dell'importo dei lavori.
20.1.3. - Quanto alla consistenza urbanistica delle opere realizzate, la difesa di C.A. (motivo 7.2.2.) rileva che, circa le autorizzazioni edilizie n. 841 del 2002 e n. 169, in variante, del 2003, vi sarebbe carenza di motivazione nella sentenza impugnata, perchè quest'ultima si limiterebbe a richiamare sul punto la sentenza di primo grado, senza prendere posizione nè sulla natura della piscina e della sua copertura, nè sulla realizzazione del ristorante e sulle sue caratteristiche di punto di ristoro riservato ai soci (Club House).In particolare, la difesa sottolinea che pare illogico che l'imputato, dopo aver firmato un'autorizzazione che non contemplava aumento della superficie e dei volumi relativi alle piscine, debba rispondere di opere eseguite da altri a sua totale insaputa.
Analoghi rilievi sono mossi dalle difese di F. e C.R.P., le quali sostengono (motivi 5.2.4., 13.2., 13.3.) che la Corte d'appello avrebbe comunque riconosciuto la legittimità delle opere edilizie con riferimento alla contestazione relativa al mancato rispetto della superficie da destinare a verde e non avrebbe sufficientemente motivato con riferimento all'eccedenza della volumetria.La difesa di P.L. (motivo 14.4.) concentra le sue doglianze sulle contraddizioni motivazionali relative all'asserita violazione della disciplina urbanistica da parte della società (OMISSIS).Sotto tale profilo, osserva che: non vi sarebbero aumenti di volumetria o carenze nell'ampiezza dei parcheggi; le coperture delle piscine non avrebbero dovuto essere considerate come volume e quindi non avrebbero potuto incidere sul carico urbanistico, come evidenziato dal consulente tecnico all'udienza del 22 maggio 2007;
non vi sarebbe stata la necessità di concessione in deroga, perchè quest'ultima era stata ritenuta semplicemente consigliabile da parte della commissione edilizia, ben potendo l'amministrazione disattendere le valutazioni di tale commissione in sede di emanazione del provvedimento finale; non vi sarebbero anomalie nel progetto di variante, anche in riferimento alla percentuale dell'area da destinare a verde.Sotto il profilo soggettivo poi, la Corte d'appello non avrebbe attribuito il giusto rilievo alle prassi comunali e non avrebbe fornito una sufficiente motivazione circa gli interessi illeciti sottesi al procedimento.
I motivi sono inammissibili, perchè sostanzialmente diretti ad ottenere una rivalutazione del merito.Contrariamente a quanto sostenuto dai ricorrenti, la motivazione della sentenza circa le autorizzazioni in questione appare pienamente sufficiente e logicamente coerente in ogni sua parte.
Infatti la Corte d'appello precisa, quanto alla realizzazione del ristorante (in particolare, pagg. 78-79), che il piano di lottizzazione aveva previsto una volumetria di 3273 m3, con esclusivo riferimento ai volumi del fabbricato e, quindi quelli della palestra, degli spogliatoi e degli uffici.
In relazione al ristorante, la commissione edilizia, in data 6 giugno 2000, si era espressa in senso favorevole, precisando che sarebbe stata necessaria una deroga degli organi competenti.
In contrasto con le prescrizioni della commissione edilizia, per detto ristorante non venne adottata alcuna deroga, nonostante questo non rientrasse tra le finalità della convenzione annessa alla lottizzazione.Da tali elementi la Corte d'appello trae correttamente la conclusione della sussistenza della violazione di legge oggetto della contestazione in esame, perchè per il ristorante, in mancanza di deroga, non era possibile modificare in eccesso i volumi.A tali elementi, la Corte aggiunge, sul piano soggettivo i risultati delle intercettazioni telefoniche a carico di P.M., P. L. e F., che confermano la piena consapevolezza che essi avevano dell'illecito.
La sentenza censurata contiene un'ampia e corretta motivazione anche in merito alla consistenza delle piscine e alle coperture delle stesse (pagg. 79-83); motivazione pienamente idonea a superare il rilievo - mossi, in particolare dalla difesa di P.L. - per cui le coperture delle piscine non avrebbero dovuto essere considerate come volume e quindi non avrebbero potuto incidere sul carico urbanistico.
Si evidenzia, infatti, che l'autorizzazione edilizia in variante n. 169 del 17 marzo 2003, adottata su progetto della F. e di P. L., non contemplava un aumento della superficie e dei volumi relativi alle piscine; inoltre, la cubatura complessiva della struttura era esaurita con i volumi del fabbricato.
Quanto allo specifico profilo delle modalità della copertura, il giudice di secondo grado afferma che, dalle fotografie in atti, la struttura era sormontata da una semisfera mastodontica rispetto alle altre costruzioni della zona, con copertura in PVC, sostenuta da travi infisse al terreno dell'altezza di 11 m, con la conseguenza che gli imputati erano - come risulta anche dalle intercettazioni telefoniche - pienamente consapevoli che la copertura delle piscine, per come era stata concepita e progettata, creava volume e doveva essere considerata cubatura, non costituendo un semplice tendaggio, ma trattandosi, invece, di un'opera edilizia destinata ad incidere pesantemente e permanentemente sull'assetto del territorio.Con riferimento, poi, alla superficie destinata a verde, la Corte rileva che certamente tale superficie aveva subito una significativa diminuzione a causa dell'aumento della superficie della piscina e delle gradinate (pag. 82 della sentenza impugnata).
Sulla scorta di tali considerazioni, la Corte ritiene che l'autorizzazione in questione abbia violato il regolamento allegato alla deliberazione della giunta del 2 luglio 1999, numero 440, in quanto, per la realizzazione delle piscine e della copertura, era necessaria una deroga del consiglio comunale, a meno che non si trattasse di strutture amovibili.
E tali non potevano essere considerate - secondo la giurisprudenza di legittimità (ex plurimis, Sez. 3^, 19 febbraio 2004, n. 11880; Sez. 3^, 21 febbraio 2006, n. 13705) - le opere realizzate, perchè, esse erano di considerevoli dimensioni e, anche in base ai risultati delle intercettazioni effettuate, erano destinate a rimanere permanentemente in loco e stabilmente infisse al suolo, per la soddisfazione di esigenze non provvisorie.20.2. - Fatti tali rilievi sui profili comuni delle imputazioni, deve procedersi, ora, all'esame dei motivi di gravame più specificamente riferiti alla posizione dei singoli imputati.20.2.1. - L'imputato P.M. condannato in primo grado, con statuizione confermata in grado d'appello, per i reati di cui ai capi C, D, E, G, rileva (motivo 4.) la violazione dell'art. 5 c.p. e art. 47 c.p., comma 3, sostenendo di non avere avuto al momento dei fatti la cultura giuridica e l'esperienza necessaria per valutare la legittimità e la correttezza degli atti che compiva su indicazione dello zio P.L., con il coinvolgimento di personaggi di rilievo e indubbia competenza, quali i funzionali regionali e comunali e i suoi stessi genitori.Rileva, altresì (motivi 4.1. e 4.2.), la carenza e manifesta contraddittorietà della motivazione, quanto alla ritenuta sussistenza dell'accordo collusivo con il pubblico funzionario che avrebbe costituito la base dei successivi provvedimenti amministrativi finalizzati a procurare un ingiusto vantaggio, nonchè quanto alla configurabilità del dolo intenzionale del reato di abuso di ufficio.Si deduce poi, in riferimento al capo G (motivo 4.4.), la carenza di una specifica motivazione, sul rilievo che la sussistenza del reato sarebbe stata desunta dalla Corte d'appello in via analogica, semplicemente estendendo le considerazioni svolte con riferimento ai reati di cui ai capi D ed E, senza considerare la totale assenza di ogni prova sull'elemento psicologico.
Si denunciano (motivo 4.5.), inoltre, la contraddittorietà della motivazione e l'erroneità deirinterpretazione dell'art. 640 bis c.p. (capo C), sotto il profilo della ritenuta sussistenza degli elementi costitutivi del reato relativo al finanziamento regionale ottenuto per l'edificazione del complesso edilizio polisportivo.Si premette che, secondo la contestazione, il reato sarebbe consistito nell'indurre in inganno con raggiri ed artifici, i funzionali della Regione Sardegna e della Banca CIS, al fine di ottenere un consistente finanziamento, costituendo una società giovanile i cui soci, tra i quali il ricorrente, non avevano i requisiti soggettivi e oggettivi per accedere al finanziamento previsto dalla L.R. n. 28 del 1984.La difesa lamenta, in particolare, che - contrariamente a quanto ritenuto nella sentenza censurata - la società (OMISSIS) aveva finalità lecite, veri soci in reale stato di disoccupazione e non meri prestanome di P.L. e di sua moglie B. S..Sul piano dell'ingiusto profitto - consistente nell'utilizzo illecito del finanziamento per l'edificazione di un complesso edilizio assentito sulla base di autorizzazioni illecite frutto di un accordo collusivo e, in altra parte, nell'appropriazione diretta di denaro - la difesa rileva: quanto al primo profilo, che il finanziamento è stato in realtà destinato alla realizzazione del complesso polisportivo; quanto al secondo profilo, che la somma asseritamente distratta era stata invece pagata per l'attività svolta e regolarmente fatturata da P.M. quale responsabile di cantiere.I motivi sono inammissibili, perchè sostanzialmente diretti ad ottenere una rivalutazione di profili di merito, già adeguatamente esaminati dal giudice di secondo grado.Correttamente la Corte d'appello trae la convinzione del pieno coinvolgimento e della piena responsabilità dell'imputato nei fatti ascrittigli dalle intercettazioni telefoniche effettuate, dalle quali emerge che questi era l'interlocutore principale di P.L..Si evidenzia, in particolare, sul punto, il tenore di alcune conversazioni dalle quali risulta che: gli imputati P.L. e F. erano in accordo e in sintonia circa la realizzazione del centro polisportivo (OMISSIS); l'imputato era considerato da P.L. un soggetto degno di alta considerazione per le sue capacità; l'imputato aveva piena conoscenza dei problemi tecnici e dei progetti.A fronte di tali conclusive considerazioni, il ricorrente non fornisce alcun elemento concreto a sostegno della sua pretesa mancanza di cultura giuridica ed esperienza, che risulta, perciò, meramente asserita.Con particolare riferimento al delitto di truffa aggravata di cui al capo C, poi, la Corte d'appello desume correttamente la responsabilità dell'imputato dai risultati delle intercettazioni telefoniche espletate, dai quali emerge che vi era una spartizione di fondi con determinazione di parti fra i correi.Quanto poi alla sussistenza degli artifici e raggiri contestati, la sentenza rileva che, anche aderendo alle doglianze difensive circa la sussistenza dei requisiti soggettivi dei soci della (OMISSIS), la condotta truffaldina non può ritenersi esclusa; e fa correttamente conseguire tale conclusione dalla circostanza che alcuni soci, tra i quali P.M., erano prestanome, avendo tutti operato nella piena consapevolezza dell'esistenza di altri soci occulti, interessati alla buona riuscita dell'affare, e cioè all'ottenimento del contributo erogato dalla Regione (pagg. 91-93).Anche tali argomentate considerazioni del giudice di secondo grado non sono minimamente intaccate dalle doglianze di parte ricorrente, le quali risultano semplicemente dirette a proporre una ricostruzione alternativa dei fatti.
20.2.2. - Venendo all'esame della specifica posizione dell'imputata F.M.L. (capi C, D, G) - la quale chiede, in denegata ipotesi, che la Corte di cassazione dichiari condonata la pena ai sensi della L. n. 241 del 2006 (sub 5.)- devono essere esaminati i motivi 5.2., 5.2.2., 5.23., 5.2.5., con i quali si denuncia la mancanza, contraddittorietà, manifesta illogicità della motivazione sotto diversi profili.In particolare, con riferimento alla reiezione dell'istanza di rinnovazione dell'istruzione dibattimentale, vi sarebbe carenza di motivazione circa le ragioni della superfluità delle richieste di perizia tecnica in materia urbanistica e di perizia volta a valutare la congruità della parcella emessa per le prestazioni professionali rese nell'interesse della (OMISSIS); nè tale motivazione potrebbe desumersi dal complesso dell'apparato argomentativo, particolarmente lacunoso quanto all'analisi degli assunti difensivi dei consulenti tecnici di parte.Con riferimento all'imputazione di abuso d'ufficio di cui al capo D - consistente nell'avere redatto con P.L. un progetto di opere edilizie aventi volumetria eccedente la cubatura massima consentita sull'area ed in assenza di preventiva autorizzazione del ristorante (in relazione al quale l'ingegner C.A. avrebbe rilasciato autorizzazione edilizia illegittima) e nell'aver redatto, sempre con il coimputato P.L., un progetto in variante in violazione del regolamento allegato alla deliberazione della Giunta comunale n. 440 del 2 luglio 1999 - la manifesta illogicità della motivazione emergerebbe, ad avviso della difesa, dalla circostanza che la Corte non avrebbe considerato che, al momento della redazione del progetto (e cioè a partire dal 1997), l'imputata non poteva sapere che gli organi competenti non avrebbero poi adottato la deroga richiesta dalla commissione edilizia in data 6 giugno 2000.In particolare la Corte non avrebbe tenuto conto del fatto che l'imputata non avrebbe progettato un ristorante, ma una sala ristoro, riservata ai frequentatori del complesso sportivo.
La difesa sostiene, inoltre, che la ricorrente si è limitata a presentare il progetto esecutivo e quello di variante per conto della società committente (OMISSIS) e non era, perciò, tenuta a conoscere le norme e le situazioni attinenti alle prassi amministrative che possono condizionare la legittimità dell'atto richiesto. Vi sarebbe, inoltre, carenza di motivazione circa la sussistenza dell'elemento soggettivo del dolo di concorso nel reato di abuso d'ufficio, su cui la Corte avrebbe argomentato attraverso un semplice rinvio alle osservazioni esposte nei riguardi degli imputati C.A. e P.L..Mancherebbe, inoltre, un'adeguata risposta alla doglianza, sollevata con i motivi d'appello, sulla insussistenza della prova del concorso nel reato proprio, quanto alle asserite e indimostrate pressioni dell'imputata nei confronti dell'ingegner C.A., con riferimento all'autorizzazione n. 841 del 2002 e all'autorizzazione n. 169 del 2003.
Quanto, poi, al capo C - relativo alla truffa aggravata consistente nell'aver fatto risultare corrispettivi per il lavoro svolto superiori a quelli effettivi - la motivazione della sentenza si porrebbe in contrasto con le risultanze dibattimentali, dalle quali sarebbe emerso che le somme indicate nel capo di imputazione sarebbero state corrisposte alla B., in virtù di un accordo pregresso relativo a diverse collaborazioni svolte nel tempo dallo studio professionale della ricorrente, come sarebbe risultato da una corretta interpretazione delle conversazioni telefoniche intercettate e dalla prova testimoniale.20.2.2.1. - I motivi esposti sono inammissibili, perchè sostanzialmente diretti ad ottenere una rivalutazione del merito, a fronte di una motivazione completa e corretta della sentenza censurata, la quale affronta tutti i profili essenziali della vicenda.Si è già evidenziato al punto 20.1.3. quanto osservato dalla Corte d'appello a proposito della sussistenza degli elementi oggettivi del reato di cui al capo D dell'imputazione; reato nel quale la F. risulta coinvolta nella sua veste di ingegnere progettista e direttore dei lavori.La responsabilità penale dell'imputata è desunta, dalla Corte d'appello, dalla circostanza che questa ha redatto il progetto della struttura polisportiva di cui trattasi in pieno accordo con P. L..A tale accertata responsabilità la Corte d'appello fa correttamente conseguire, con riferimento a tutti i coimputati, la sussistenza della contravvenzione urbanistica di cui al capo G, trattandosi di provvedimenti adottati in contrasto con i vincoli esistenti sulla zona in base al piano territoriale paesistico, sotto il profilo, quanto meno, dell'eccedenza dei volumi.Il giudice di secondo grado ha fatto una valutazione corretta ed esauriente degli elementi a sua disposizione circa il coinvolgimento dell'imputata nei reati ascrittile, in particolare evidenziando che la distribuzione delle somme derivanti dalla truffa di cui al capo C da parte della F. a favore dei coimputati B. e P.L. non può essere spiegata sulla base dei lavori asseritamente svolti dalla stessa F. per la progettazione delle opere relative al centro polisportivo. E ciò, perchè le intercettazioni telefoniche agli atti hanno avuto per oggetto conversazioni il cui tenore nulla a che vedere con la giustificazione dedotta dalle difese della F. e della B., consistente nella restituzione di somme dovute alla B. dalla F. per pregressi lavori effettuati e non retribuiti.Come già visto al punto 20.2.1., infatti, l'oggetto delle conversazioni telefoniche fra F. e P.L. era la divisione dei proventi con quest'ultimo e non rapporti economici con la B., che restava estranea alla spartizione che i due interlocutori programmavano.Del tutto logica appare, dunque, la conseguenza tratta dalla Corte d'appello di ritenere che una parte assai rilevante della somma riportata in fattura abbia costituito l'ingiusto profitto contestato, essendo il frutto di un esorbitante fatturazione rispetto al lavoro realmente svolto dalla F..
Sul punto la stessa Corte, con motivazione pienamente sufficiente, chiarisce che non è necessario procedere alla parziale rinnovazione del dibattimento invocato dalla difesa, perchè se la somma di circa Euro 50.000,00 fosse stata il corrispettivo corrispondente al reale impegno professionale della F., quest'ultima non avrebbe avuto alcun motivo di regalare ai coniugi P.L. e al loro nipote P. M. decine di migliaia di euro; con la conseguenza che l'unica spiegazione possibile della dazione di somme rilevanti da parte della F. in favore dei coimputati sta nel fatto che i corrispettivi fossero "gonfiati".La Corte distrettuale precisa, inoltre, che la perizia tecnica urbanistica e quella sulla congruità della parcella chieste dalla difesa sono palesemente inutili in relazione alla contestazione del reato di abuso d'ufficio, alla luce dei risultati univoci dell'istruttoria già espletata (in particolare, pagg. 89-91).20.2.2.2. - Quanto, infine, alla richiesta che la Corte di cassazione dichiari condonata la pena ai sensi della L. n. 241 del 2006 - formulata dalla difesa in via subordinata (sub 5.) - va rilevato che la stessa è inammissibile, perchè, non vertendosi nel caso in cui il giudice di merito abbia esplicitamente escluso detta applicazione, la decisione deve essere ritenuta di competenza del giudice dell'esecuzione, come costantemente affermato dalla giurisprudenza di questa Corte (ex plurimis, Sez. 3^, 19 luglio 2011, n. 34901; Sez. 3^, 7 giugno 2011, n. 35862; Sez. 5^, 22 ottobre 2009, n. 43262).20.2.3. - Venendo all'analisi della specifica posizione dell'imputato C.A. - relativamente ai capi D, F, G -, devono essere esaminati i motivi 7.2., 7.5., 7.7., con i quali si denunciano la mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione sotto diversi profili.Si deduce, in generale, che la sentenza si sarebbe limitata a fare proprie pregiudizialmente le valutazioni del Tribunale, aderendovi senza spiegarne le ragioni e non rispondendo alle precise censure mosse con l'atto d'appello.
In particolare, relativamente alla contravvenzione di cui al capo G, la difesa dell'imputato deduce la violazione dell'art. 43 c.p., commi 3 e 4, artt. 47 e 110 c.p., nonchè la mancanza, contraddittorietà e illogicità della motivazione, quanto all'elemento soggettivo del reato, che sarebbe stato erroneamente desunto, dalla Corte d'appello, sulla base dell'"eccedenza dei volumi" realizzati.In riferimento, poi, alla conferma dell'assoluzione dal reato di corruzione, di cui al capo F, perchè il fatto non costituisce reato, la difesa deduce la mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione, perchè la Corte d'appello avrebbe erroneamente ritenuto insussistente l'interesse in capo all'imputato ad una modifica della formula assolutoria e, contraddittoriamente, sullo stesso fatto avrebbe assolto i coimputati con la formula perchè il fatto non sussiste.20.2.3.1. -1 motivi riferiti al capo G sono inammissibili.
Relativamente alla specifica posizione di C.A. (sui profili comuni ai coimputati v. supra 20.1. e sottoparagrafi), la Corte d'appello - con procedimento logico, coerente e corretto - desume la sussistenza dell'elemento soggettivo del dolo:
a) dalle numerose illegittimità nelle quali questo era incorso violando la normativa in tema di evidenza pubblica;b) dal quadro generale di scambio di favori nel quale si inserivano i suoi rapporti con P.L., con particolare riferimento alla connessione fra la vicenda in questione e quella di cui al capo M (pagg. 74 e 75 della sentenza impugnata);
dalle risultanze dell'intercettazione telefonica fra P.L. e P.D., avvenuta un giorno prima dell'effettivo rilascio dell'autorizzazione n. 841 del 27 novembre 2002, nella quale si faceva riferimento al fatto che, secondo lo stesso C.A. - evidentemente già contattato in via informale prima dell'adozione dell'atto - non c'erano problemi per il rilascio dell'autorizzazione in questione.Alla rilevata chiarezza del quadro probatorio a carico dell'imputato la stessa Corte fa logicamente conseguire l'inutilità dell'indagine patrimoniale sui suoi conti, in relazione a una contestazione di abuso d'ufficio che non implica trasferimenti di denaro in favore del pubblico ufficiale.A fronte di tale chiara e coerente ricostruzione del quadro probatorio, l'imputato si limita a prospettare rilevi che si concretizzano nell'inammissibile richiesta a questa Corte di un riesame del merito.
20.2.3.2. - Quanto al profilo relativo alla mancata assoluzione di C.A. dal reato di cui al capo F con formula più favorevole della formula "perchè il fatto non costituisce reato", la difesa deduce - come sopra evidenziato - che la Corte d'appello avrebbe erroneamente ritenuto insussistente l'interesse in capo all'imputato ad una modifica della formula assolutoria e, contraddittoriamente, sullo stesso fatto avrebbe assolto i coimputati con la formula "perchè il fatto non sussiste".La censura è inammissibile, perchè generica.Infatti, deve rilevarsi che l'imputato non ha fornito alcuno specifico elemento a sostegno della sua richiesta, non avendo fatto riferimento, neanche in via di prospettazione, a conseguenze pregiudizievoli sul piano civile o amministrativo derivanti dalla formula assolutoria adottata.
Trova, perciò, applicazione il principio enunciato dalla giurisprudenza di questa Corte, secondo cui, l'imputato deve, a pena di inammissibilità, dimostrare un interesse concreto e attuale all'ottenimento della formula di proscioglimento per lui più favorevole (ex plurimis, Sez. 2^, 18 maggio 2010, n. 33847; Sez. 5^, 28 settembre 2004, n. 14542).Nè a tale conclusione potrebbe opporsi che, dalla lettura delle pagine 79 e 93 della sentenza impugnata, relative alle posizioni dei coimputati C.R.P. e P.L. con riferimento al reato di corruzione di cui al capo F, emerge che questi sono stati assolti "perchè il fatto non sussiste", con conseguente esclusione della clausola di riserva contenuta nell'art. 323 c.p., e con l'ulteriore conseguenza che la fattispecie è fatta refluire - per ragioni oggettive - in quella di abuso d'ufficio di cui al capo D. Deve, infatti, rilevarsi che, nel caso di specie, non si verifica alcun effetto estensivo dell'impugnazione da questi ultimi proposta.Non trova, cioè, applicazione la previsione dell'art. 587 c.p.p., comma 1, in forza della quale anche il coimputato non impugnante o che abbia proposto un'impugnazione non ammissibile può partecipare al procedimento di impugnazione promosso da altro coimputato e giovarsi della impugnazione di lui, purchè i motivi addotti non siano esclusivamente personali.E ciò, perchè la pronuncia adottata nei confronti dei coimputati nel caso in esame si concretizza sostanzialmente nella riconduzione del fatto contestato al capo F alla fattispecie di cui al capo D, per la quale anche gli stessi coimputati sono stati ritenuti responsabili.20.2.4. - Occorre procedere ora all'esame degli aspetti specifici (sui profili comuni ai coimputati v. supra 20.1. e sottoparagrafi) della posizione dell'imputato M.G., sindaco del Comune di Quartu Sant'Elena all'epoca dei fatti e condannato in grado di appello a seguito dell'impugnazione proposta dal pubblico ministero avverso la sentenza che lo aveva assolto, per il reato di abuso d'ufficio (capo D).
Con il motivo 10.1., la difesa deduce la violazione degli artt. 76 e 538 c.p.p., perchè l'imputato è stato condannato, in solido con altri imputati, alla rifusione delle spese sostenute dalla parte civile Sc.Gl., la quale, come risulterebbe dall'atto di costituzione di parte civile, non avrebbe promosso alcuna azione civile nei suoi confronti, ma solo nei confronti dei coimputati, e per fatti diversi.Con il motivo 10.2., si lamenta, poi, la mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione, quanto alla sussistenza dell'elemento soggettivo del reato di abuso d'ufficio, in relazione alla quale la Corte d'appello avrebbe indebitamente accomunato l'imputato ai coimputati, desumendo la sua responsabilità dalla sola partecipazione alla stesura di atti illegittimi e senza tenere conto della particolare complessità giuridica delle questioni che questi doveva affrontare.Con il motivo 10.4., si prospetta la violazione dell'art. 158 c.p., sul rilievo che l'abuso d'ufficio contestato all'imputato fino al 17 marzo 2003 sarebbe basato in realtà su provvedimenti adottati dall'imputato stesso negli anni 1999-2000 e concettualmente del tutto autonomi rispetto al provvedimento di autorizzazione edilizia in variante adottato, appunto, il 17 marzo 2003 da soggetti diversi dall'imputato e dotati di autonomia funzionale.Si sarebbe allora verificata la prescrizione del reato, anche tenuto conto delle sospensioni verificatesi nel corso del giudizio, che ammonterebbero, secondo la Corte d'appello, a 133 giorni.
Si chiede, pertanto, in via subordinata che il reato contestato venga dichiarato estinto per prescrizione.
Il primo dei motivi sopra riportati è inammissibile, perchè avente ad oggetto un mero errore materiale; gli altri due sono del pari inammissibili, perchè sostanzialmente diretti ad ottenere una rivalutazione del merito.20.2.4.1. - Quanto al primo motivo, va rilevato che, dalla lettura del verbale dell'udienza del Tribunale di Cagliari del 12 giugno 2006, emerge che la Sc. ha inteso esercitare l'azione civile per il solo reato di cui al capo G; capo non contestato all'imputato M.G..
Deve preliminarmente richiamarsi, sul punto, il principio affermato dalla giurisprudenza di questa Corte, secondo cui va utilizzata la procedura di correzione degli errori materiali nel caso di condanna alla rifusione delle spese a favore della parte civile in relazione ad un reato per il quale l'imputato sia assolto, trattandosi di rettifica che non incide sul contenuto intrinseco della decisione, ma su una pronuncia accessoria, non implicante alcuna valutazione discrezionale sull'"an debeatur" da parte del giudice (ex multis, Sez. 5^, 2 febbraio 2010, n. 4597).
Tale principio trova evidentemente applicazione nel caso di specie, in cui si verte proprio di una condanna alla rifusione delle spese a favore della parte civile.
La circostanza che tale condanna sia dovuta a un mero errore materiale trova riscontro nel testo della sentenza impugnata, dal quale emerge che:
a) la Corte d'appello, in mancanza di specifiche doglianze, ha confermato le statuizioni civili di primo grado (pag. 125) e tra queste statuizioni non c'era nulla a carico dell'imputato M.G.;
b) non vi è alcuna motivazione sulla condanna di M.G. alla rifusione delle spese a favore di Sc..Ne deriva che l'imputato avrebbe dovuto richiedere, sul punto, la correzione dell'errore materiale, ai sensi dell'art. 130 c.p.p., comma 1, primo periodo, alla Corte d'appello, giudice che aveva emesso la sentenza.
Questa Corte non può, infatti, procedere alla correzione in questione, perchè, come si vedrà subito sotto (al punto 20.2.4.2.) l'impugnazione è inammissibile (art. 130 c.p.p., comma 1, secondo periodo).20.2.4.2. - Quanto alla motivazione contenuta nella sentenza impugnata circa la responsabilità penale del ricorrente, deve rilevarsi che questa appare pienamente sufficiente e coerente, laddove accoglie la tesi dell'accusa secondo cui il fatto che il coimputato C.A. fosse stato l'ispiratore della procedura illecita non escludeva la consapevole partecipazione del M.G. nell'adozione di quei provvedimenti tesi a favorire gli interessi di P.L., con le violazioni di legge contestate, perchè queste erano orientate ad eludere la possibile concorrenza di altri soggetti a beneficio del P.L..La Corte fa logicamente conseguire l'accoglimento di tale ricostruzione: in primo luogo, all'inconsistenza delle ragioni addotte dall'imputato circa l'attribuzione della competenza all'adozione dell'atto alla Giunta comunale anzichè al Consiglio; in secondo luogo, alla circostanza che, in occasione di altre delibere concernenti bandi di gara analoghi a quello oggetto di causa, si era adottata delibera del Consiglio e non della Giunta; in terzo luogo, all'esclusione di qualsivoglia portata giustificativa dei pareri " O." e " Lo."; in quarto luogo, alla sostanziale insussistenza delle ragioni di urgenza addotte nella delibera n. 440 del 1999.Correttamente il giudice di secondo grado ritiene che tali elementi concorrono a confermare la sussistenza, oltre che dell'elemento materiale del abuso d'ufficio, anche del dolo intenzionale, pur in mancanza di intercettazioni telefoniche che riguardino direttamente l'imputato (pagg. 67-71).
Quanto, poi, al tempus commissi delicti, deve rilevarsi che - contrariamente a quanto prospettato dalla difesa - dal quadro coerentemente delineato dalla Corte d'appello emerge che l'abuso d'ufficio accertato in capo all'imputato consiste in più atti tra loro logicamente collegati, dei quali l'ultimo, l'autorizzazione edilizia in variante numero 169, è del 17 marzo 2003; atti nel loro complesso diretti ad assecondare gli interessi del coimputato P. L..20.2.4.3. - Quanto, infine, alla prospettata prescrizione, essendosi il reato di cui al capo D consumato in data 17 marzo 2003, deve considerarsi il termine massimo di anni sette e mesi sei, maturato il 17 settembre 2010, cui deve aggiungersi la sospensione della prescrizione di mesi quattro e giorni 13, rilevata dalla Corte d'appello, giungendo, così, al 30 gennaio 2011, data ampiamente successiva alla pronuncia della sentenza impugnata.L'inammissibilità del ricorso di M.G. esclude, in ogni caso, che questa Corte possa provvedere sul punto.Trova, infatti, applicazione il principio per cui l'inammissibilità del ricorso per cassazione dovuta alla manifesta infondatezza dei motivi non consente il formarsi di un valido rapporto di impugnazione e preclude, pertanto, la possibilità di rilevare e dichiarare le cause di non punibilità a norma dell'art. 129 c.p.p. (ex multis, Sez. 3^, 8 ottobre 2009, n. 42839; Sez. 1^, 4 giugno 2008, n. 24688;Sez. un., 22 marzo 2005, n. 23428).
20.2.5. - Quanto ai profili attinenti alla specifica posizione dell'imputata C.R.P. (sui profili comuni ai coimputati v. supra 20.1. e sottoparagrafi) - la quale ha proposto ricorso per ottenere rannullamento della sentenza impugnata limitatamente ai capi d'imputazione D e G (era stata assolta dal reato di cui al capo F, perchè il fatto non sussiste) - va rilevato che la difesa svolge, in primo luogo, rilievi circa il mancato rinnovo dell'istruttoria dibattimentale (motivo 13.1.).Tali rilievi appaiano manifestamente infondati, a fronte dell'esauriente motivazione della sentenza impugnata sul punto.
La Corte d'appello ha infatti precisato che la completa attività istruttoria svoltasi nel giudizio di primo grado ha già portato all'esame e alla soluzione di tutte le questioni prospettate dalle partì che sono state reiterate in secondo grado; con la conseguenza che la perizia tecnica richiesta dall'imputata in materia urbanistica, al fine di verificare la conformità alle norme di legge di regolamento di documenti prodotti giudizio, deve ritenersi superflua (pagg. 120-121).La difesa passa poi a trattare (motivo 13.2.) dell'imputazione di abuso d'ufficio di cui al capo D - consistente nell'aver rilasciato il provvedimento di autorizzazione edilizia in variante n. 169 del 17 marzo 2003 - lamentando la manifesta illogicità e contraddittorietà della motivazione.Si precisa, in particolare, che la C.R.P. non sarebbe stata il soggetto competente al rilascio dell'autorizzazione edilizia in variante oggetto di causa, perchè l'organo deputato al rilascio del provvedimento sarebbe, secondo la prassi, il solo dirigente dell'ufficio, soggetto diverso dall'odierna imputata.Mancherebbe, poi, una sufficiente motivazione circa la sussistenza dell'elemento soggettivo, perchè la Corte avrebbe travisato il contenuto delle intercettazioni telefoniche poste a fondamento della decisione, in particolare ritenendo che la presentazione della pratica da parte dell'imputata nell'interesse di P.L. fosse sintomo di un atteggiamento di favore.Tale assunto sarebbe invece contraddetto - ad avviso della difesa - dalla prassi secondo cui, per la mancanza di personale, sarebbero gli stessi tecnici istruttori a portare materialmente le pratiche nei vari uffici, per evitare lungaggini dovute ai tempi morti di giacenza fra un ufficio e l'altro.
Vi sarebbero - prosegue la difesa - intercettazioni telefoniche dalle quali emergerebbe, per di più, una riserva mentale dell'imputata nel favorire il P.L.; riserva incompatibile con la reale intenzione di essere a sua volta favorita da quest'ultimo per il campeggio di Capitana, che interessava il padre di lei. Vi sarebbe, poi, prova del fatto che sia l'imputata sia il geometra Fa. hanno preteso di conoscere nel dettaglio il meccanismo di apertura e chiusura della copertura delle piscine, onde verificarne concretamente l'inamovibilità, sulla scorta delle verifiche già effettuate da altri funzionari circa il rispetto degli standard urbanistici: ciò sarebbe indice, ad avviso alla difesa, di imparzialità e obiettività nella trattazione della pratica.La motivazione della sentenza sarebbe, poi, contraddittoria anche sul punto in cui, a conferma dell'atteggiamento di favore tenuto dall'imputata, ritiene che questa si sia assunta la paternità dell'inserimento della prescrizione relativa al doppio accesso della (OMISSIS), uno dalla lottizzazione e l'altro dalla strada statale, facendo apparire tale prescrizione come proveniente dal Comune.Si rileva, inoltre (motivo 13.3.), la carenza di motivazione con riferimento all'imputazione di cui al capo G, in ordine alla quale la condotta dell'imputata sarebbe consistita nell'aver rilasciato il provvedimento di autorizzazione edilizia in variante n. 169 del 17 marzo 2003, titolo illecito secondo l'imputazione di cui al capo D. Precisa la difesa che la Corte d'appello ha riconosciuto la legittimità delle opere edilizie con riferimento alla contestazione relativa al mancato rispetto della superficie da destinare a verde e non ha minimamente motivato con riferimento all'eccedenza della volumetria.Evidenzia, altresì, che la C.R.P. era intervenuta nel procedimento amministrativo unicamente nel febbraio-marzo 2003, limitandosi a sottoscrivere, all'esito dell'istruttoria e congiuntamente con il responsabile del procedimento, geom. Fa., il parere favorevole condizionato.I motivi 13.2. e 13.3. sono manifestamente infondati, perchè diretti ad ottenere una rivalutazione del merito, in presenza di una motivazione della sentenza impugnata pienamente sufficiente e coerente su tutti i profili essenziali.In relazione alla posizione della C.R.P., la decisione gravata prende le mosse dalle conversazioni telefoniche intercettate, dalle quali emerge che gli imputati fanno esplicito riferimento alle varianti urbanistiche in questione, nel quadro di un generale atteggiamento di favore in ordine alle aspettative del P.L., e ne fa logicamente conseguire la piena consapevolezza dell'illecito.
La Corte evidenzia, in particolare, che ciò emerge, dall'esito:della conversazione del 27 gennaio 2003, nella quale l'imputata parla con P.L. della variante in questione, offrendosi di presentare personalmente il progetto all'ufficio protocollo;
della conversazione del 26 febbraio 2003, nella quale P.L. ringrazia la C.R.P.;
della conversazione del 13 marzo 2003, dalla quale emerge che l'imputata si assume la paternità dell'inserimento della prescrizione relativa al doppio accesso della (OMISSIS), facendola apparire come proveniente dal Comune.Alle risultanze di tali elementi di prova la Corte fa logicamente conseguire che la C.R.P. era consapevole di aver assecondato il P.L., con la riserva mentale di essere a sua volta favorita per il campeggio di Capitana, che interessava il padre di lei.
Deve inoltre rilevarsi che la sentenza si fa carico di rispondere alle obiezioni della difesa - sostanzialmente reiterate con il ricorso in cassazione - evidenziando, innanzi tutto, che il fatto che la prescrizione relativa al doppio ingresso fosse conforme a quanto stabilito dalla Commissione edilizia in data 26 febbraio 2003 non esclude che lo specifico interessamento della C.R.P. sul punto debba essere spiegato con la volontà di favorire (OMISSIS) e P.L. (in particolare, pagg. 82-85).La circostanza, poi, che l'imputata non fosse il capo dell'ufficio non vale evidentemente ad inficiare le conclusioni raggiunte dalla Corte territoriale circa la sua responsabilità penale, perchè, come risulta pacifico, costei sottoscriveva atti dell'ufficio stesso unitamente al dirigente, assumendosene così la paternità;circostanza, questa, che trova puntuale conferma, sul piano sostanziale, nel tenore delle conversazioni telefoniche intercettate.
20.2.6. - Venendo ora all'esame della posizione di P.L., con riferimento al capo C dell'imputazione, deve rilevarsi che (con il motivo 14.3.), l'imputato denuncia la violazione dell'art. 640 bis c.p. e della L.R. n. 28 del 1984, art. 1.
La difesa rileva, in particolare, che l'imputazione ha per oggetto condotte poste in essere al fine di accedere al finanziamento di cui alla L.R. n. 28 del 1984, che secondo la Corte d'appello sarebbero illecite perchè dirette, da un lato, ad occultare la carenza di requisiti richiesti dalla legge in capo ai coimputati Co. e P.M., dall'altro lato, a coprire l'illegittimità dell'opera sotto il profilo urbanistico e dell'evidenza pubblica.Quanto al primo aspetto, la difesa contesta l'assunto del giudice di secondo grado per cui, pur sussistendo i requisiti soggettivi in capo ai soci, vi sarebbero dei soci occulti ( P.L. e B.) privi di tali requisiti soggettivi.
Ad avviso della difesa, infatti, tale ricostruzione contrasterebbe con: la correlazione tra accusa e sentenza; la corretta interpretazione della norma, la quale non richiederebbe una compagine societaria costituita esclusivamente da giovani; l'evidenza probatoria che esclude la presenza di soci occulti.
Si tratta, a ben vedere, di doglianze analoghe a quelle proposte dai coimputati P.M. e F., trattate ai punti 20.2.1. e 20.2.2., e dichiarate inammissibili, perchè sostanzialmente dirette ad ottenere una rivalutazione del merito, a fronte di una motivazione che affronta compiutamente e correttamente tutti i profili essenziali della fattispecie, ponendo più volte l'accento sulla centralità del ruolo rivestito da P.L. nel compimento del reato.E' sufficiente, pertanto, in questa sede, richiamare la ricostruzione dei fatti quale emerge dalle considerazioni già svolte a proposito delle posizioni dei coimputati (in particolare, pagg. 91-93 della sentenza impugnata).Con particolare riferimento alla posizione di P.L., deve, peraltro, rilevarsi che la sentenza censurata evidenzia, con rilievi conclusivi e assorbenti, che egli era il dominus di tutta la complessa vicenda (OMISSIS), diretta a trarre in inganno la Banca anche sugli effettivi soggetti destinatari del finanziamento, mediante interposizione di persone apparentemente dotate dei requisiti di legge, che figuravano come soci della società destinataria del finanziamento.Proprio con riferimento a tali requisiti, la Corte d'appello precisa che la fattispecie di reato contestata risulta integrata anche a prescindere dalla loro effettiva insussistenza, perchè la condotta criminosa è consistita nell'occultamento della reale composizione societaria; e ciò, in piena corrispondenza con il capo di imputazione, che fa riferimento, non solo ai presupposti soggettivi per accedere al finanziamento, ma anche all'effettiva identità dei soggetti destinatari, alla liceità delle opere finanziate, alla destinazione effettiva degli importi ricevuti.A ciò deve aggiungersi che i soci, al fine di discolparsi dall'accusa di truffa, hanno sostenuto, in sostanza, di essere stati semplici esecutori materiali delle indicazioni provenienti da P. M., nella convinzione che egli fosse un soggetto affidabile e competente, in virtù del rapporto di parentela esistente con P. L., il quale costituiva per tutti il punto di riferimento finale.20.2.7. - Analoghe considerazioni valgono per la posizione di B.S. (capo C dell'imputazione), moglie del coimputato P.L., perchè questa (motivo 15.2.) denuncia la violazione dell'art. 640 bis c.p. e della L.R. n. 28 del 1984, art. 1 sulla base di argomentazioni sostanzialmente coincidenti con quelle contenute nel ricorso di P.L. e già ritenute inammissibili da questa Corte.Deve, inoltre, rilevarsi che, quanto allo specifico ruolo dell'imputata nell'ambito della truffa posta in essere, la sentenza censurata desume - con argomentazioni complete e coerenti - la sussistenza dell'elemento soggettivo del dolo dalla circostanza che la stessa ha prestato fideiussione secondo le indicazioni date dal marito e, discutendo di denaro e di percentuali da dividere con la F. e P.M., ha esortato il marito a non parlare di tali questioni al telefono.
A tali considerazioni, il giudice di secondo grado aggiunge che la tesi difensiva per cui la F. sarebbe stata in debito con la B. per prestazioni da quest'ultima effettuate trova ampie smentite nei risultati delle intercettazioni telefoniche svolte, dai quali non emergono riferimenti a tali prestazioni, ma soltanto a questioni relative alla divisione dell'ingiusto profitto realizzato dai coimputati (in particolare, pagg. 91-92).
Ne deriva l'inammissibilità del motivo di doglianza sopra riportato.21. - Occorre ora procedere all'esame dei motivi relativi ai capi H e H1 dell'imputazione, riferiti ai reati di corruzione propria e falso ideologico.
21.1. - L'imputato Su. (condannato per il capo H1) deduce la carenza, manifesta illogicità e contraddittorietà della motivazione in riferimento alla sussistenza del reato di falso (motivo 9.2.), che emergerebbe - secondo la sentenza censurata - dalla non corrispondenza al vero dei requisiti della precarietà e della amovibilità dei manufatti realizzati dalla società (OMISSIS).Secondo la difesa, le costruzioni che non potrebbero qualificarsi come amovibili erano già state realizzate con concessioni risalenti all'anno 2000, non rilasciate dall'imputato ma da altri funzionali e, in ogni caso, le intercettazioni effettuate escluderebbero, sotto il profilo soggettivo, la disponibilità dell'imputato a commettere falsi.21.2. - L'imputato D., condannato per i capi H e H1, rileva, in primo luogo (motivo 11.), l'inosservanza ed erronea applicazione della legge, nonchè la mancanza contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione quanto alla sussistenza dei reati di corruzione e concorso in falso in atto pubblico.Sostiene la difesa che la sentenza censurata non avrebbe tenuto conto dei motivi di gravame proposti.
Rileva, in particolare, che, secondo l'imputazione, vi sarebbe un primo accordo illecito tra Fo.Pi. e P.L., concretizzatosi in alcuni provvedimenti di quest'ultimo in favore dell'imputato e relativi alle opere edilizie del complesso di (OMISSIS), in cambio di un interessamento da parte di Fo. per sostenere la nomina di P.L. a direttore del servizio tutela del paesaggio di Cagliari dell'assessorato della pubblica istruzione della Regione Sardegna; in una seconda fase D. avrebbe ottenuto da P.L. provvedimenti di favore in cambio dell'interessamento per raccomandare la nomina dello stesso P.a.
d.d.s.s.i.u.t.f.Pani L. e.
De. si sarebbero accordati perchè il primo adottasse provvedimenti di favore e il secondo segnalasse nominativi di ditte in grado di fornire preventivi a prezzi scontati per i lavori della società (OMISSIS), che vedeva l'interessenza di P.L..A fronte di tale ricostruzione dei fatti, la Corte d'appello avrebbe illegittimamente ritenuto di non poter parcellizzare i comportamenti contestati agli imputati, adottando, invece, una visione complessiva, che non avrebbe tenuto conto delle peculiarità delle singole situazioni.Lamenta, sul punto, la difesa che la sentenza censurata non considererebbe che: gli atti contestati non sono illegittimi; alcuni degli atti in questione sono stati adottati quando P.L. non era ancora dirigente o quando aveva già ottenuto la nomina a direttore, per la quale, asseritamente, l'imputato si sarebbe speso; non ci sarebbe corrispettività tra tali ipotetici abusi del pubblico ufficiale e le utilità provenienti dall'imputato.In particolare:
quanto al contestato accordo tra P.L. e Fo., si sostiene che D. non ne sarebbe stato a conoscenza;
quanto al presunto scambio di favori tra P.L. e D., si rileva che il contenuto delle intercettazioni telefoniche non fa emergere alcuna ipotetica controprestazione da parte di quest'ultimo rispetto all'abuso asseritamente posto in essere da P.L.;
quanto poi al preteso mercimonio della funzione pubblica del P. L. e alla segnalazione da parte di D. di alcune ditte che avrebbero fatto prezzi concorrenziali, non vi sarebbe alcun nesso sinallagmatico emergente dagli atti.
La sentenza è censurata, in secondo luogo (motivo 11.1.), in relazione al capo H1, per mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione e violazione di legge.Si critica, innanzi tutto, l'assunto del giudice d'appello per cui vi sarebbe una disparità di trattamento fra ca., precedente proprietario di (OMISSIS) e il successivo proprietario D..Si evidenzia, poi, che, pur avendo la sentenza impugnata ridimensionato la consistenza delle condotte di falso con particolare riferimento alla contestata falsità dell'indicazione della classificazione dell'area come C3, tale ridimensionamento non sarebbe stato preso in considerazione ai fini della determinazione della pena.Si sostiene, inoltre, che la sentenza avrebbe travisato i fatti laddove ritiene false le affermazioni del P.L. relative all'amovibilità e precarietà delle opere autorizzate al D..Si evidenzia, ancora, che: alcune delle autorizzazioni cui l'imputazione si riferisce costituiscono mera esecuzione di attività già autorizzate; altre sono successive alla già avvenuta nomina del P.L. quale direttore del servizio (23 gennaio 2003); altre ancora sono successive all'annullamento del piano territoriale, che fa venire meno la necessità di riscontri dal punto di vista paesistico; il provvedimento n. 5315 del 18 settembre 2002 non sarebbe falso perchè arrecherebbe la corretta indicazione della zona quale C3, in conformità allo strumento urbanistico.La sentenza non spiegherebbe, inoltre, perchè Fo. si sarebbe attivato per P.L. non nel momento in cui la nomina di quest'ultimo dipendeva dall'assessorato di cui faceva parte, ma in un momento successivo, in cui tale nomina spettava al presidente della Giunta regionale nell'esercizio del potere sostitutivo.Si lamenta, inoltre, la mancanza di motivazione in ordine alla pretesa istigazione posta in essere dall'imputato nel reato di falso.
In via subordinata (motivo 11.3.), si chiede che la Corte di cassazione dichiari intervenuta la prescrizione in relazione alle parti di condotta effettivamente prescritte.
Quanto alla quantificazione della pena (motivo 11.4.), si denuncia la violazione di legge e la mancanza e manifesta illogicità della motivazione, sul rilievo che la stessa Corte d'appello ha affermato che la consistenza delle condotte di cui al capo H1 deve essere ridimensionata.Si rileva, altresì, la carenza di motivazione circa il mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche.21.3. - La difesa di P.L. (motivo 14.2.) deduce la mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione quanto alla vicenda del complesso di (OMISSIS), con rilievi in parte analoghi a quelli svolti dai coimputati.In relazione a tale vicenda, l'imputato è stato condannato - come visto - per aver accettato la promessa di intercessione per la sua nomina a direttore del servizio di tutela del paesaggio da parte di Fo. e di D., nonchè per avere poi ottenuto preventivi per forniture a prezzi di favore (capo H).E' contestato anche all'imputato di aver attestato falsamente in una serie di autorizzazioni che le opere edilizie ricadevano nell'ambito C3 e che erano paesaggisticamente ammissibili (capo H1).
Sul punto, la difesa sostiene in particolare che:
a) il giudice d'appello ha indebitamente dedotto il favore dell'imputato per D. dai rapporti fra i due e non dall'esame dei provvedimenti emessi;
b) risulta dagli atti che Fo., capo di gabinetto dell'assessorato in cui lavorava l'imputato all'epoca dei fatti sia ritenuto istigatore degli illeciti accordi tra P.L. e D., pur essendo stato assolto all'esito di giudizio abbreviato;
c) vi sono numerose omissioni nell'interpretazione delle intercettazioni telefoniche;
d) la Corte d'appello avrebbe erroneamente dato rilievo al requisito della stagionalità delle opere realizzate, requisito non contemplato dalla normativa vigente, la quale si riferisce invece al solo requisito dell'amovibilità;e) le opere realizzate sono state erroneamente ritenute non riconducibili all'uso indicato nella lettera Ba del piano territoriale paesistico, relativa alla balneazione ed attività accessorie;f) mancherebbe l'elemento costitutivo della corruzione, rappresentato dal nesso fra le prestazioni del pubblico e del privato, essendovi stati al più dei reciproci favori di modico valore.21.4. -1 motivi sono inammissibili, perchè costituiscono, in larga parte, mera riproposizione di censure già esaminate e motivamente rigettate dalla Corte d'appello e sono, comunque, diretti a sollecitare un riesame del merito, precluso in sede di legittimità.La sentenza censurata - che appare anche su tutti i punti essenziali ampiamente motivata e logicamente coerente - prende le mosse dalla considerazione preliminare secondo cui, nel caso in esame, sussiste il reato di corruzione propria, perchè vi è l'asservimento della funzione pubblica per denaro agli interessi dei privati; con la conseguenza che l'eventuale corrispondenza dell'atto ai requisiti di legge non esclude la sussistenza del reato laddove vi sia - come vi è - una violazione del dovere di imparzialità, da intendersi come inottemperanza non generica ma specifica, inerente al contenuto e alle modalità dell'atto da compiere, come affermato in via di principio dalla giurisprudenza di questa Corte (ex plurimis, Sez. 6^, 14 maggio 2009, n. 30762; 4 dicembre 2002, n. 3388/2003; 12 novembre 1998, n. 3529/1999).A tale condivisibile considerazione, il giudice di secondo grado aggiunge, in punto di fatto, che i comportamenti contestati agli imputati non possono essere frammentati in singoli episodi al fine di sminuirne la valenza accusatoria. Correttamente il giudice di secondo grado rileva che, nel caso di specie, soltanto una visione complessiva degli avvenimenti consente di apprezzare appieno il fondamento dell'accusa, da individuarsi, in estrema sintesi, nell'asservimento delle pubbliche funzioni ricoperte da P.L. agli interessi privati del D., al fine di far conseguire al P.L. stesso l'incarico di direttore del servizio tutela del paesaggio e, inoltre, preventivi e forniture di materiali a prezzo scontato da parte del D. in favore del P.L., per la realizzazione delle opere concernenti il centro polisportivo (OMISSIS).
La sentenza evidenzia anche che nulla emerge dagli atti circa i rapporti personali tra P.L. e ca., escludendo, così, in radice la fondatezza delle doglianze basate sulla natura di tali rapporti.Dopo essersi fatta ampiamente carico di rispondere alle censure dei ricorrenti evidenziandone l'infondatezza o la marginalità nel quadro della complessiva ricostruzione della vicenda, la Corte d'appello prende correttamente le mosse dall'evidenza emergente dalle intercettazioni telefoniche effettuate, esaminandone analiticamente i contenuti alle pagine 101-104 e traendone, con procedimento logico coerente e corretto, la conclusione che:a) D. è stato presentato a P.L. da Fo. affinchè P.L. assecondasse tutte le esigenze dello stesso D., anche illegittime, in cambio dell'interessamento al fine di fargli ottenere la nomina;b) tali circostanze non sono smentite dal fatto che P.L. abbia interessato anche altri personaggi per la raccomandazione, perchè il suo atteggiamento si spiega con l'oggettiva incertezza dell'esito della procedura di nomina;c) il fatto che sussistano dubbi in ordine alla consapevolezza di Su. circa la sussistenza di tutti gli elementi costitutivi del reato di corruzione, non esclude che P.L. e D. conoscessero l'illiceità dei provvedimenti adottati dall'ufficio del P.L. e di quelli adottati da Su. quale dirigente del settore urbanistica del comune di Capoterra, perchè tale illiceità emerge in modo esplicito dal tenore delle intercettazioni effettuate.Quanto allo specifico elemento dell'illiceità dei provvedimenti adottati, puntualmente elencati e analizzati dalla Corte d'appello alle pagine 105-107, la sentenza rileva che la contestazione è fondata - a prescindere dal riferimento relativo all'insistenza delle opere nel territorio in base alla classificazione paesaggistica - perchè, sia in ordine all'elemento materiale, sia in ordine all'elemento psicologico, la falsa attestazione ha interessato l'aspetto della amovibilità delle opere, le quali, nella realtà, non avevano tale requisito; nè avrebbe potuto attribuirsi alcuna rilevanza, trattandosi di falsa rappresentazione della realtà, ai profili attinenti alla legittimità formale o sostanziale degli interventi realizzati dal D..La Corte continua poi, alle pagine 108-109, ad elencare i numerosi profili di falsità degli atti; profili che - a prescindere da elementi del tutto secondari quali la classificazione paesaggistica delle aree o la portata degli strumenti di pianificazione - consentono alla stessa Corte di accertare l'illegittimità della maggioranza degli atti stessi sotto molteplici aspetti e, conseguentemente, di giungere alla conferma della sentenza di primo grado anche in punto di pena.Rileva, infatti, il giudice di secondo grado che la falsità degli atti (in particolare, le autorizzazioni nn. 408, 3870, 3871 del 2003, 407 del 2004, relative alla realizzazione dello stabilimento balneare) emerge dalla circostanza che, mentre gli interventi dovevano garantire - in base a quanto stabilito dalla commissione edilizia e dal preventivo parere dell'assessorato della pubblica istruzione del 2000 - la completa amovibilità delle opere, subordinata alla stagionalità dei manufatti autorizzati, nel caso di specie fu consentita, invece, a D. la realizzazione di una discoteca all'aperto, coperta con una struttura in pilastri e travi in acciaio in manto di copertura in tavolato e tegole canadesi, oltre al palco, gazebo, tettoia da adibire a bar, cabine e altro: opere che evidentemente erano permanenti e non amovibili e stagionali.Un ulteriore profilo di falsità, specificamente riferito all'autorizzazione n. 3871 del 6 maggio 2003, consiste, sempre secondo la ricostruzione della corte d'appello, nell'avere ritenuto che le opere di completamento dello stabilimento balneare fossero compatibili con l'uso Ba, e cioè destinate a funzioni accessorie alla balneazione; si trattava, invece, di una pista da ballo, di una terrazza pavimentata in calcestruzzo con sedute in lastre di granito e di altre opere realizzate con una sensibile trasformazione definitiva del territorio ed evidentemente senza alcuna attinenza con l'attività di balneazione.Quanto, poi, all'autorizzazione numero 407 del 19 gennaio 2004 e alla determinazione numero 1216 del 26 aprile 2004, con cui fu assentita la realizzazione della pizzeria, la falsità delle stesse è analogamente desunta dalla considerazione che anche tale opera edilizia non ha nulla a che vedere con il supporto alla balneazione.Con iter argomentativo logicamente corretto, il giudice di secondo grado desume tali conclusioni dalle risultanze dei sopralluoghi effettuati dei vigili nell'agosto del 2005.
In relazione alla specifica posizione di Su., dirigente del settore urbanistica ed edilizia privata del comune di Capoterra, la sentenza rileva che gli atti autorizzatoli da questo adottati presentavano un evidente contrasto con la situazione di fatto e descrive analiticamente le ragioni di tale contrasto (pag. 109).
La Corte territoriale fa, in particolare, riferimento alle risultanze dei sopralluoghi effettuati, da cui emerge che l'imputato aveva emesso l'autorizzazione in sanatoria n. 55 del 4 giugno 2002, nella quale si dava atto falsamente che la copertura di chiusura dell'area destinata ristorante, inserita in uno spazio delimitato da 15 pilastri in muratura ed avente una superficie di 200-300 m2, era amovibile e precaria, trattandosi invece di un vero stabile ristorante, in considerazione delle dimensioni rilevanti e della sua chiusura all'interno della zona circoscritta da pilastri in muratura già esistenti.A tali considerazioni, la Corte aggiunge, quanto all'autorizzazione n. 81 del 3 giugno 2003, emessa dallo stesso imputato, che costui era consapevole del fatto che le opere definite temporanee (formalmente da mantenersi per la durata di un anno, rinnovabile) erano in realtà di tale entità da essere definitive: si trattava, infatti, tra l'altro, di pavimentazione in calcestruzzo, copertura della pista da ballo con padiglioni in PVC, box in calcestruzzo, box prefabbricato per impianti luce, due chioschi bar, sei gazebo, una copertura su una pavimentazione di circa 575 metri quadrati in calcestruzzo, 18 box per servizi vari, numerose aiuole (pagg. 110-111).Questa completa e coerente ricostruzione del quadro generale e delle ragioni della ritenuta responsabilità penale degli imputati si pone in radicale contraddizione con le prospettazioni difensive avanzate con i motivi di gravame esaminati, le quali, pertanto, si risolvono - come anticipato - in un inammissibile tentativo di ottenere una rivalutazione del merito della vicenda.Tali devono essere ritenuti, infatti, sia i rilievi relativi alla circostanza che alcuni atti sarebbero stati adottati prima dell'intervento di P.L. o dopo che questo aveva già ottenuto la nomina auspicata, sia i rilievi diretti a sottolineare, più in generale, la legittimità delle opere in questione.Su tutti tali aspetti la sentenza censurata ampiamente si sofferma, evidenziando: l'irrilevanza della scansione temporale degli atti adottati da P.L., sul rilievo che tali atti costituivano comunque il corrispettivo illecito dei benefici promessi da D. e che, perciò, avrebbero comunque dovuto essere adottati anche dopo che P.L. aveva conseguito i vantaggi a lui promessi; la circostanza, di per sè conclusiva, che il nucleo centrale della contestazione, relativa alla salvaguardia della fede pubblica, prescinde dalla legittimità urbanistica degli interventi realizzati.La specifica doglianza relativa all'influenza sul giudizio dell'assoluzione di Fo.Pi. - che costituisce, come la maggior parte dei motivi prospettati dagli imputati, una mera riproposizione di censure già esaminati e motivatamente rigettate in appello - trova una corretta e analitica risposta alla pagina 101 della sentenza impugnata, laddove si rileva che l'assoluzione in questione è ininfluente nel presente giudizio.In base all'art. 649 c.p.p., infatti, è vietato un secondo giudizio nei confronti dell'imputato prosciolto condannato con sentenza o con decreto divenuti irrevocabili, ma non sono inibite al giudice valutazioni della posizione dell'imputato che siano diverse da quelle effettuate nel precedente giudizio; con la conseguenza che legittimamente la Corte distrettuale ha ritenuto, nel caso di specie, che il ruolo di Fo. sia stato determinante, come confermato dalle intercettazioni telefoniche in atti.Quanto, poi, alla lamentata mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche a D., va rilevato che la doglianza è manifestamente infondata, perchè la sentenza (pag. 122) contiene una motivazione pienamente sufficiente sul punto, laddove precisa che vi è una particolare intensità del dolo, emergente dal tenore delle conversazioni telefoniche intercettate, e ne fa conseguire che non sono emersi elementi positivi di giudizio ai fini del riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche.In riferimento, infine, alla censura relativa alla prescrizione del reato - che risulta, peraltro, proposta in forma meramente generica ed eventuale, perchè riferita a "tutti quegli episodi la cui collocazione temporale indica che sono o saranno già prescritti" -, va rilevato che l'inammissibilità del ricorso di D. esclude che questa Corte possa provvedere sul punto.Trova, infatti, applicazione il già richiamato principio per cui l'inammissibilità del ricorso per cassazione dovuta alla manifesta infondatezza dei motivi non consente il formarsi di un valido rapporto di impugnazione e preclude, pertanto, la possibilità di rilevare e dichiarare le cause di non punibilità a norma dell'art. 129 c.p.p. (ex multis, Sez. 3^, 8 ottobre 2009, n. 42839; Sez. 1^, 4 giugno 2008, n. 24688; Sez. un., 22 marzo 2005, n. 23428).22. - In relazione ai capi I e L dell'imputazione - relativi alla falsa registrazione di presenze in ufficio di P.L. in giorni in cui lo stesso era assente, con conseguente induzione in errore dell'amministrazione regionale e con l'ingiusto profitto costituito dalla retribuzione per i giorni di assenza e l'equivalente danno per l'amministrazione - devono essere esaminate le doglianze proposte dall'imputato P.L. e, limitatamente ai capo I, dal coimputato E..
22.1. - Con il motivo 14.5., P.L. denuncia la violazione dell'art. 640 c.p. rilevando l'insussistenza dei presupposti del reato contestato e, in particolare, dell'evento costituito dall'ingiusto profitto conseguito e dal correlativo danno subito dall'amministrazione.
Secondo il ricorrente, la sentenza non avrebbe tenuto conto del fatto che l'imputato, all'epoca dirigente, aveva una retribuzione svincolata dall'orario di presenza in ufficio, come risulterebbe dall'art. 18 del contratto collettivo allora vigente.
A ciò dovrebbe aggiungersi - sempre secondo la difesa - che i profili indicati in sentenza, relativi a permessi, ferie e buoni pasto, non potrebbero essere considerati quali componenti della retribuzione ed esulerebbero perciò dal contenuto dell'imputazione, con violazione del principio di correlazione tra accusa e sentenza.Sarebbe erronea, sul punto, anche l'interpretazione delle intercettazioni telefoniche, in particolare perchè non si sarebbe tenuto conto del fatto che l'imputato si trovava in ufficio già dalle nove di mattina e che, pertanto, non avrebbe avuto senso richiedere al coimputato E. di strisciare al suo posto il tesserino magnetico in entrata e in uscita.Il motivo è inammissibile, perchè già proposto e rigettato in appello e, comunque, diretto ad ottenere da questa Corte una rivalutazione nel merito della responsabilità penale dell'imputato.Con motivazione analitica e corretta, la Corte d'appello (pagg. 112- 115 della sentenza) ha già ampiamente confutato le argomentazioni allora proposte dalla difesa e sostanzialmente riprodotte in questa sede.Quanto, in particolare, al rilievo secondo cui la retribuzione sarebbe stata svincolata dall'orario di lavoro, ai sensi del contratto vigente all'epoca dei fatti, il giudice di secondo grado rileva che il trattamento retributivo dei dirigenti è comunque strettamente connesso all'effettivo svolgimento del servizio; con la conseguenza che l'assenza dall'ufficio, se realizzata con modalità truffaldine, causa un danno ingiusto all'amministrazione e un ingiusto profitto all'imputato, non potendosi dare rilievo alla difficoltà di determinare con esattezza il pregiudizio economico causato.La Corte desume la responsabilità penale di P.L., quanto all'episodio di cui al capo I, dalle intercettazioni telefoniche in atti (su cui v., più ampiamente, infra 22.2.1.) e ne fa logicamente conseguire l'inverosimiglianza o l'irrilevanza delle giustificazioni addotte dalla difesa.Quanto, poi, al capo L, ascritto al solo P.L. in relazione alla giornata del 10 dicembre 2002, per la quale egli risultava formalmente presente in ufficio dalle ore 8:14 alle ore 14:03, nonchè dalle ore 15:50 alle ore 19:00, il giudice di secondo grado (pagg. 116-117 della sentenza) esamina il contenuto dell'intercettazione di una conversazione telefonica con una collega e ne fa derivare che:a) l'imputato era assente dall'ufficio, perchè il suo telefono cellulare aveva agganciato punti radio distinti e lontani da quello relativo all'ufficio stesso;b) l'imputato voleva conferma del fatto che la collega con cui parlava al telefono lo avesse "coperto" facendolo risultare presente in ufficio.
22.2. - Limitatamente al capo I dell'imputazione, devono essere esaminati - come anticipato - i motivi proposti dall'imputato E. (motivi 8.1., 8.2., 8.3., 8.4.), condannato in primo grado, per il quale la Corte d'appello, parzialmente riformando la sentenza del Tribunale, ha pronunciato assoluzione in riferimento all'episodio del 4 dicembre 2002, per non avere commesso il fatto.
La fattispecie contestata all'imputato consiste nell'avere, su sollecitazione di P.L., direttore di settore dell'assessorato alla pubblica istruzione della Regione Sardegna, procurato a quest'ultimo l'ingiusto profitto costituito dalla retribuzione durante l'assenza dal lavoro, con equivalente danno per la pubblica amministrazione, registrando con il tesserino magnetico la sua presenza in ufficio in entrata e in uscita, benchè il P.L. fosse assente.Precisa la difesa che i motivi di ricorso proposti si riferiscono al solo episodio del 29 ottobre 2002, per il quale la Corte d'appello ha confermato la responsabilità penale dell'imputato.22.2.1. - Con un primo, più generale, motivo di doglianza, si denuncia la carenza di motivazione relativamente alla prova dell'assenza del P.L. dal lavoro.Si sostiene, in particolare, che l'intercettazione telefonica con la quale l'imputato veniva invitato dal P.L. a prelevare dal cassetto dello stesso P.L. il suo badge per documentare falsamente l'orario di uscita dall'ufficio avrebbe potuto avere valore indiziante soltanto se, per attestare l'orario, fosse stato effettivamente utilizzato il tesserino magnetico, cosa non accaduta, perchè l'orario di uscita sarebbe stato invece attestato dall'operatore GERIP, come risulterebbe dall'audizione dell'operatore stesso e dai tabulati prodotti.Il motivo è inammissibile, perchè riproduce sostanzialmente una doglianza già proposta in appello ed è, comunque, diretto ad ottenere da questa Corte una rivalutazione del merito.La Corte d'appello ha preso in considerazione le intercettazioni telefoniche in atti ricavandone che il giorno 29 ottobre 2002, P. L. avrebbe dovuto trovarsi in ufficio dalle 9.03 alle 18.00, come risultava dalla registrazione dell'entrata e dell'uscita, mentre l'imputato E. aveva ricevuto una chiamata alle ore 17:18, dalla quale risultava che P.L. era fuori e che gli chiedeva di prendere un oggetto dal suo cassetto.
Dal tenore di tale conversazione la Corte d'appello logicamente desume l'incontrovertibilità dell'assenza del P.L. dall'ufficio e della collaborazione fornita dall' E. per attestarne falsamente la presenza e ne fa conseguire l'inverosimiglianza o l'irrilevanza delle giustificazioni addotte dal ricorrente - e reiterate con il ricorso in cassazione - secondo le quali: P.L. gli avrebbe chiesto di guardare il suo cassetto per effettuare controlli sul personale; quel giorno P.L. si trovava in ufficio perchè aveva ricevuto la notificazione dell'informazione di garanzia; il badge che asseritamente si trova nel cassetto non era utilizzato per il rilevamento dell'entrata in uscita, che era avvenuto, invece, con il sistema GERIP (pagine 113-117).22.2.2. - Con un secondo motivo di doglianza, si rileva la carenza e manifesta illogicità della motivazione quanto alla mancata concessione dell'attenuante del danno patrimoniale di lieve entità, precisando, inoltre, che era stata richiesta la rinnovazione parziale dell'istruzione dibattimentale al fine di accertare l'entità del danno effettivamente subito dalla Regione.Anche tale motivo di impugnazione appare inammissibilmente riferito al merito della decisione di appello.
Correttamente il giudice di secondo grado rileva - come visto - che il trattamento retributivo dei dirigenti e degli altri dipendenti è strettamente connesso all'effettivo svolgimento del servizio e alle mansioni svolte, cosicchè l'assenza dall'ufficio e il conseguente mancato espletamento del servizio, se realizzati con modalità truffaldine come nel caso in esame, sono suscettibili di cagionare un danno ingiusto all'amministrazione e un ingiusto profitto dell'imputato, non avendo alcun rilievo il fatto che possa risultare difficile la determinazione e l'eventuale liquidazione del danno economico, potendo in ogni caso farsi ricorso a criteri equitativi;ciò che esclude che il danno possa essere considerato di speciale tenuità e rende superfluo disporre la rinnovazione del dibattimento al fine di sentire i funzionari competenti perchè precisino se e in quale misura l'ente pubblico abbia subito un danno (pagg. 112-113).22.2.3. - L'imputato rileva, poi, la contraddittorietà della motivazione in ordine al rigetto della richiesta di applicazione della sanzione sostitutiva pecuniaria, nonchè la violazione della L. n. 689 del 1981, art. 58, comma 1, sul punto.Il motivo è manifestamente infondato.La Corte di appello fornisce, infatti, in punto di pena, una motivazione ampiamente adeguata, laddove evidenzia che il danno per la pubblica amministrazione è stato certamente superiore alla somma delle ore non lavorate e che l'imputato, in quanto dimostratosi spontaneamente disponibile a coprire il P.L. anche quando non sollecitato da quest'ultimo, non è meritevole del beneficio della sostituzione della pena detentiva con quella pecuniaria (pagg. 124- 125).22.2.4. - E' denunciata, infine, sempre da parte dello stesso E., la mancanza di motivazione in ordine alla censura d'appello concernente la condanna in solido al pagamento delle spese processuali.
Si fa presente, in particolare, che le disposizioni dell'art. 535 c.p.p. vigenti all'epoca della pronuncia della sentenza di primo grado (15 luglio 2008), precedentemente alla modifica apportata dalla L. n. 69 del 2009, art. 67 prevedevano che la sentenza di condanna pone a carico del condannato il pagamento delle spese processuali relative ai reati a cui la condanna si riferisce e che i condannati per lo stesso reato o per reati connessi sono obbligati in solido al pagamento delle spese, mentre i condannati per reati non connessi sono obbligati in solido alle sole spese comuni.
Nel caso in esame - ad avviso della difesa - la connessione rilevante ai fini della solidarietà non sussisteva, perchè non avrebbe potuto essere ritenuta sufficiente una connessione meramente soggettiva o probatoria.Il motivo è fondato.La Corte d'appello ha parzialmente riformato la sentenza di primo grado, assolvendo l'imputato limitatamente all'episodio del 4 dicembre 2002.
Tale parziale assoluzione importa, ai sensi dell'art. 535 c.p.p. attualmente vigente e applicabile ratione temporis, che non vi sia condanna dell'imputato alle spese per il secondo grado di giudizio;
condanna che, effettivamente, la Corte d'appello non ha pronunciato.
La condanna alle spese per il primo grado di giudizio, in solido con i coimputati, è stata, invece, confermata dalla Corte d'appello.Trova applicazione, sul punto - come correttamente evidenziato dalla difesa dell'imputato - l'art. 535 c.p.p. nel testo vigente all'epoca della pronuncia della sentenza di primo grado, precedentemente alla modifica apportata dalla L. n. 69 del 2009, art. 67.
Detta disposizione prevedeva che la sentenza di condanna pone a carico del condannato il pagamento delle spese processuali relative ai reati a cui la condanna si riferisce e che i condannati per lo stesso reato o per reati connessi sono obbligati in solido al pagamento delle spese, mentre i condannati per reati non connessi sono obbligati in solido alle sole spese comuni.
Tale seconda ipotesi è quella in cui si verte nel caso di specie, in cui non vi è connessione tra il delitto contestato al capo I, relativo all'ingiusto profitto consistente nella percezione della retribuzione per periodi di ingiustificata assenza di P.L. dal lavoro, e quelli contestati agli altri capi, relativi ad una serie di abusi e di altri reati strettamente collegati con il governo del territorio.L'odierno ricorrente avrebbe dovuto, dunque, essere ritenuto obbligato in solido con gli altri condannati - in relazione alla fattispecie per la quale residua la sua responsabilità penale - con riferimento alle sole spese comuni a tutti.La Corte d'appello non ha, invece, effettuato alcuna distinzione, condannando l'imputato, in solido con i coimputati, evidentemente per tutte le spese.
Ne deriva la violazione del citato art. 535 nel testo applicabile alla fattispecie ratione temporis, con conseguente accoglimento del relativo motivo di ricorso.
22.2.5. - Essendo il reato di cui al capo I commesso in data 29 ottobre 2002 e non essendo il ricorso dell'imputato inammissibile, per l'accoglimento del motivo 8.4. (v. punto 22.2.4.), deve procedersi al computo del termine prescrizionale per detto reato.
Al termine massimo di anni sette e mesi sei, maturato il 29 aprile 2010, deve aggiungersi la sospensione della prescrizione di mesi quattro e giorni 13, rilevata dalla Corte d'appello, giungendo così al settembre 2010, momento ampiamente precedente alla pronuncia della presente sentenza.Ne deriva l'annullamento senza rinvio della decisione impugnata, quanto alla posizione di E., per essere il reato estinto per intervenuta prescrizione. A tale annullamento consegue la caducazione del capo di sentenza concernente la condanna alle spese, di cui al precedente punto 22.2.4..
23. - In riferimento ai capi M e N dell'imputazione, la difesa di P.L. deduce (motivo 14.6.) la violazione dell'art. 479 c.p..
In particolare, quanto all'episodio di cui al capo M, la difesa evidenzia che i riscontri probatori non autorizzano in alcun modo a sostenere la sussistenza di una consapevolezza dell'imputato circa la falsità del contenuto dell'autorizzazione ambientale n. 5005 del 2003, in mancanza, peraltro, di una sufficiente motivazione sul punto.Rileva la difesa che, anzi, tale autorizzazione non era necessaria nel caso di specie, perchè le opere realizzate erano ubicate al di fuori della fascia dei trecento metri dalla battigia e non ricadevano in area vincolata, con la conseguenza che si tratterebbe, al più, di un falso innocuo.Non potrebbe, perciò, configurarsi neanche il delitto di cui all'art. 323 c.p., contestato al capo N, perchè ne difetterebbero gli elementi costitutivi, mancando il requisito dell'ingiusto vantaggio patrimoniale asseritamente consistente nella mancata applicazione dell'indennità risarcitoria prevista dal D.Lgs. n. 490 del 1999, art. 164.Per i capi di imputazione M e O, viene poi nuovamente in rilievo la posizione dell'imputato C.A. (motivi 7.2., 7.3., 7.4., 7.6.).
Anche con riferimento a tali reati, la difesa rileva, in generale, che la sentenza si sarebbe limitata a fare proprie pregiudizialmente le valutazioni del Tribunale, aderendovi senza spiegarne le ragioni e non rispondendo alle precise censure mosse con l'atto d'appello.
23.1. - Relativamente alla condanna per il reato di falso di cui al capo M, nel quale è stato ritenuto assorbito il reato di cui al capo N, la difesa di C.A. denuncia l'erronea applicazione dell'art. 4 della circolare n. 1 dell'11 marzo 1996 dell'assessore agli enti locali della Regione autonoma della Sardegna, dell'art. 6 della direttiva n. 2 approvata con deliberazione 20 aprile 2000 dalla Giunta regionale della Sardegna e dell'art. 3, comma 2, delle disposizioni di omogeneizzazione e di coordinamento dei piani territoriali paesistici, approvate dal Consiglio regionale della Sardegna il 13 maggio 1993.Sul punto, la sentenza censurata si limiterebbe a richiamare la valutazione del giudice di primo grado senza dare conto delle doglianze difensive.
In particolare, la Corte distrettuale avrebbe scorrettamente interpretato le intercettazioni telefoniche in atti, ritenendo che queste si riferissero alla richiesta rivolta all'imputato di rilasciare l'autorizzazione n. 5005 del 9 giugno 2003.
A detta della difesa, invece, tali conversazioni facevano riferimento al rilascio di una copia di un'autorizzazione ambientale già rilasciata, la n. 4194 del 18 maggio 2001.Per il ricorrente, tale conclusione troverebbe conferma in una serie di elementi:
a) vi era una documentazione da fornire con urgenza agli ispettori della forestale che s'erano presentati in Comune e tale documentazione poteva identificarsi solo con l'atto n. 4194 del 2001, perchè l'autorizzazione n. 5005 del 2003 era ancora inesistente;b) vi erano documenti dai quali risultava che la stazione di sollevamento era già stata realizzata e, pertanto, non poteva rientrare nella variante di cui all'autorizzazione n. 5005;c) dall'elaborato allegato alla perizia risulta che la stazione di sollevamento e l'alloggio del gruppo elettronico si trovano all'interno della rotatoria e dunque rientravano nell'autorizzazione del 2001, anche perchè la variante riguardava solo il fabbricato servizi;d) dalle prove testimoniali risulta che gli ispettori della forestale avevano richiesto il nullaosta n. 4194 e non la successiva autorizzazione in variante.
Si sostiene, inoltre, che anche a voler aderire alla prospettazione della Corte d'appello - secondo cui il nullaosta n. 5005 era stato rilasciato per sanare a posteriori opere già eseguite ma non autorizzate - la condotta addebitata non sarebbe comunque penalmente rilevante, perchè i lavori richiamati da tale nullaosta non erano oggetto del regime autorizzatorio paesaggistico; con la conseguenza che la presunta falsità di tale autorizzazione non avrebbe potuto offendere la fede pubblica, trattandosi di atto inutile.Ci si duole, poi, del fatto che la sentenza non avrebbe valutato la relazione dell'ingegner Ca., acquisita nel corso del dibattimento d'appello, che aveva accertato che il fabbricato servizi è ubicato oltre trecento metri dal mare; e ciò, con conseguente travisamento dell'intero quadro probatorio.Si tratta di rilievi, a ben vedere, analoghi a quelli mossi dalla difesa di P.L. con il motivo 14.6., sopra riportati sub 23., che possono, pertanto, essere trattati congiuntamente.
I motivi sono inammissibili.
Deve, infatti, rilevarsi che, al di là della prospettazione formale, le difese intendono sostanzialmente richiedere a questa Corte una rivalutazione di doglianze già proposte e rigettate, a fronte di una motivazione della sentenza di appello del tutto completa e coerente.La Corte d'appello prende in esame e compiutamente confuta il nucleo essenziale della doglianza degli imputati, riproposta in questa sede.
Rileva, infatti, che il falso contestato consiste nell'avere adottato l'autorizzazione ambientale n. 5005 del 2003, avente ad oggetto un intervento risanatore della fascia costiera nel territorio comunale, per nuove opere nella zona di Molentargius e del Margine Rosso, tra cui la realizzazione di una stazione di sollevamento, di un fabbricato esterno destinato a servizi, nonchè dell'edificio destinato a casa del custode e della sala controllo degli impianti - opere in realtà già realizzate da parte dell'ufficio tecnico del comune di Quartu Sant'Elena senza il rilascio dell'autorizzazione ambientale - come se tali opere fossero ancora da realizzare.Correttamente la Corte d'appello rileva che in ciò sta la contestata falsità dell'atto, a nulla rilevando l'eventuale conformità dei lavori svolti alla normativa vigente.Quanto alla sussistenza del dolo, la Corte distrettuale prende le mosse dalle intercettazioni telefoniche in atti, rileva che dalle stesse si evince che P.L. ha aderito alla richiesta di C.A. diretta all'adozione dell'autorizzazione in questione dopo aver prospettato la possibilità di una sanatoria, e ne fa logicamente conseguire che entrambi gli imputati avevano voluto realizzare il falso, con la massima urgenza possibile, anche al fine di prevenire eventuali controlli da parte degli ispettori della forestale.Del tutto logica appare anche la conclusione cui giungono i giudici di secondo grado - sempre in base all'esame delle intercettazioni telefoniche - secondo cui il nullaosta n. 4194 del 2001, al quale la difesa fa riferimento, nulla ha a che vedere con la fattispecie in questione, riferendosi, invece, ad altri lavori e non era dunque l'atto implicitamente richiamato nelle conversazioni intercettate (pagg. 117-118).
La Corte d'appello confuta compiutamente anche l'osservazione difensiva secondo cui si tratterebbe di un falso innocuo o inutile, evidenziando che, nel caso in esame, viene in rilievo esclusivamente il pregiudizio arrecato alla fede pubblica dall'atto, consistente nella rappresentazione di una circostanza contraria al vero; e ciò, perchè altrimenti ogni atto falso non implicante conseguenze pregiudizievoli per alcuno dovrebbe ritenersi un falso innocuo.Del tutto condivisibile appare, dunque, la pronuncia censurata, laddove afferma che la sentenza Cass., Sez. un., 27 ottobre 2007, n. 46982 - richiamata dalle difese - non si attaglia alla fattispecie concreta, perchè si riferisce alla diversa questione dell'idoneità dell'atto falso a pregiudicare, oltre alla fede pubblica, anche interessi privati (pag. 119).23.2. - La difesa di C.A. lamenta - quanto alla conferma della sentenza di primo grado, che ha ritenuto il reato di abuso d'ufficio di cui al capo N assorbito nel reato di falso contestato al capo M e che ha assolto l'imputato dallo stesso addebito di abuso d'ufficio contestato al capo N1 con la formula perchè il fatto non costituisce reato - la violazione: della direttiva n. 2, emanata in base alla L.R. n. 28 del 1998, art. 4; dell'atto di indirizzo emanato in base alla L.R. n. 31 del 1998, art. 8, comma 1, lett. a); della direttiva approvata con deliberazione 20 aprile 2000 n. 18/7 della Giunta regionale.Sul punto, l'imputato rileva che l'aver assorbito un capo di imputazione in un altro non configura una mancanza di interesse alla modifica della formula assolutoria, perchè tale assorbimento è da considerarsi alla stregua di una decisione di condanna.Il motivo è inammissibile, in forza dei principi già enunciati al punto 20.2.3.2. (in riferimento ad analoghe censure proposte dallo stesso imputato in relazione al capo F).La Corte d'appello ha correttamente ritenuto insussistente l'interesse del ricorrente all'impugnazione.
Quanto al capo N, tale mancanza di interesse deriva, infatti, dalla circostanza che esso risulta privo di autonomia, perchè è stato dichiarato assorbito nella fattispecie di cui al capo M e su tale fattispecie è stata pronunciata sentenza di condanna.Precisa, infatti, sul punto, il Tribunale (pag. 675 della sentenza di primo grado) che: "la condotta materiale contestata come integrante il reato di abuso d'ufficio si sarebbe realizzata mediante l'emanazione dell'atto pubblico falso, e ciò realizza evidentemente una completa riproduzione degli elementi costitutivi del reato di abuso in quelli della fattispecie penale più grave relativa al reato di falso".Quanto, invece, al capo N1, deve rilevarsi che l'imputato non ha fornito alcuno specifico elemento a sostegno della sua richiesta, non avendo fatto riferimento, neanche in via di prospettazione, a specifiche conseguenze pregiudizievoli sul piano civile o amministrativo derivanti dalla formula assolutoria adottata.
In base al principio enunciato dalla giurisprudenza di questa Corte (e richiamato al punto 20.2.3.2.), secondo cui, l'imputato deve dimostrare un interesse concreto e attuale all'ottenimento della formula di proscioglimento per lui più favorevole (ex plurimis, Sez. 2^, 18 maggio 2010, n. 33847; Sez. 5^, 28 settembre 2004, n. 14542), la censura proposta deve, dunque, essere ritenuta inammissibile per genericità. 23.3. - La difesa di C.A. prospetta, altresì, la mancanza della motivazione circa la conferma della declaratoria di estinzione per intervenuta prescrizione della contravvenzione di cui al capo O, nonchè la violazione di legge sul punto, sul rilievo che la sentenza d'appello si sarebbe limitata a ritenere immotivata la relativa doglianza.Precisa la difesa che, invece, l'assoluzione dell'imputato nel merito avrebbe potuto essere giustificata sulla base delle norme che esplicitamente escludevano l'obbligo di autorizzazione paesistica per le opere pubbliche e le opere di preminente interesse pubblico.
Il motivo è inammissibile, perchè sostanzialmente diretto ad ottenere una rivalutazione del merito.Con motivazione pienamente sufficiente (pag. 120), la Corte d'appello ha, infatti, operato una valutazione del fatto in base alla quale l'innocenza dell'imputato non può essere desunta dalla semplice asserzione da parte di quest'ultimo che, per le opere di cui al contestato nullaosta n. 5005 non vigesse l'obbligo dell'autorizzazione paesaggistica. Trova, dunque, applicazione il principio affermato dalla giurisprudenza di questa Corte, secondo cui la formula di proscioglimento di merito prevale sulla dichiarazione di improcedibilità per prescrizione del reato soltanto nel caso in cui sia rilevabile, con una mera attività ricognitiva, l'assoluta assenza di prova di colpevolezza o, per contro, la prova positiva della innocenza dell'imputato, e non anche nel caso di mera contraddittorietà o insufficienza della prova che richiede un apprezzamento ponderato tra opposte risultanze (Sez. 5^, 17 novembre 2010, n. 7015/2011 ; Sez. un., 25 maggio 2009, n. 35490).23.4. - Si deducono, infine - sempre da parte dell'imputato C.A. - la violazione di legge e la mancanza, contraddittorietà e illogicità della motivazione circa il trattamento sanzionatorio, perchè la Corte non avrebbe tenuto in adeguato conto elementi quali l'età e la mancanza di precedenti penali e si sarebbe sensibilmente discostata dal minimo edittale (motivo 7.8.).Il motivo è inammissibile, perchè diretto ad ottenere un riesame del merito del trattamento sanzionatorio.Con valutazione completa e coerente e, dunque, insindacabile in sede di legittimità, la Corte d'appello ha evidenziato che la posizione di vertice ricoperta dell'imputato nell'amministrazione comunale, che gli avrebbe imposto di prendersi cura degli interessi dei suoi concittadini e non di quelli di P.L. e dei suoi familiari, nonchè l'uso spregiudicato della cosa pubblica, consistente nell'aver indotto lo stesso P.L. a compiere il reato di cui al capo M alla prima occasione in cui ne aveva bisogno, non consentono di attribuire rilievo agli elementi addotti dalla difesa quali l'età e l'assenza di precedenti penali (pag. 122).24. - A tali considerazioni consegue l'annullamento senza rinvio della sentenza impugnata limitatamente all'imputato E.G. A., perchè il reato ascrittogli è estinto per prescrizione.Consegue, altresì, l'inammissibilità dei ricorsi di M., P. M., F., S.G., C.A., Su., M.G., D., L., C.R.P., P.L. e B..In relazione ai rilievi delle difese di tali imputati circa l'estinzione per intervenuta prescrizione di alcuni dei reati per cui si procede, deve richiamarsi quanto già affermato al punto 21.4..Trova, dunque, applicazione il principio per cui l'inammissibilità del ricorso per cassazione dovuta alla manifesta infondatezza dei motivi non consente il formarsi di un valido rapporto di impugnazione e preclude, pertanto, la possibilità di rilevare e dichiarare le cause di non punibilità a norma dell'art. 129 c.p.p. (ex multis, Sez. 3^, 8 ottobre 2009, n. 42839; Sez. 1^, 4 giugno 2008, n. 24688;Sez. un., 22 marzo 2005, n. 4).
Tenuto conto della sentenza 13 giugno 2000, n. 186 della Corte costituzionale e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che "la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità", alla declaratoria dell'inammissibilità medesima consegue, a norma dell'art. 616 c.p.p., l'onere delle spese del procedimento nonchè quello del versamento della somma, in favore della Cassa delle Ammende, equitativamente fissata in Euro 1.000,00.P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata limitatamente all'imputato E.G.A., perchè il reato ascrittogli è estinto per prescrizione.Dichiara inammissibili tutti gli altri ricorsi e condanna i ricorrenti M.A., P.M., F.M.L., S. G., C.A., Su.Gi., M.G., D.M., L.P., C.R.P., P.L. e B.S. al pagamento delle spese del procedimento, oltre al pagamento della somma di Euro 1.000,00 ciascuno in favore della Cassa delle Ammende.