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Cassazione civile. Sezione II Ordinanza 10716 del 13-05-2011

Dettagli

Cassazione: Il giudice a quo, accogliendo le tesi dell'opponente, ha ritenuto che l'accertamento  della violazione non potesse  essere considerato attendibile, in quanto effettuato mediante uno strumento, il telelaser, al quale, necessitando dell'intervento umano ed essendo, quindi, condizionato nel funzionamento dalle doti percettive e reattive dell'agente ...


CIRCOLAZIONE STRADALE
Cass. civ. Sez. II, Ord., 13-05-2011, n. 10716
Fatto - Diritto P.Q.M.
Svolgimento del processo - Motivi della decisione
Il  Ministero  dell'Interno e l'Ufficio Territoriale del  Governo  di Livorno  impugnano, della L. 24 novembre 1981, n. 689,   ex  art.  23, comma  13,  la sentenza 30.5.05 con la quale il Giudice  di  Pace  di Piombino  ha  accolto l'opposizione proposta da                #################### avverso  l'ordinanza-ingiunzione 11.3.04 n. 387/04/Ric.  Area  4^  di quell'UTG confermativa del verbale n. (OMISSIS) redatto nei confronti dell'opponente dalla Polizia Stradale di quel capoluogo il (OMISSIS) per  contestargli l'infrazione all'art. 142 C.d.S., comma 9  (eccesso di velocità).
L'intimato non svolge attività difensiva.
Il giudice a quo, accogliendo le tesi dell'opponente, ha ritenuto che l'accertamento  della  violazione  non  potesse  essere   considerato attendibile,   in  quanto  effettuato  mediante  uno  strumento,   il telelaser,  al quale, necessitando dell'intervento umano ed  essendo, quindi,  condizionato  nel  funzionamento  dalle  doti  percettive  e reattive    dell'agente,    non    potrebbe    essere    riconosciuta quell'affidabilità che è in grado di garantire la sola  rilevazione esclusivamente strumentale, mentre il concomitante passaggio  d'altro veicolo  e  la contestazione ad opera d'un agente diverso  da  quello rilevatore   aumenterebbero  le   ragioni   di.   dubbio   in   ordine all'identificazione del veicolo sul quale è effettivamente  eseguito il   puntamento;  tali  considerazioni,  ad  avviso  del  giudicante, evidentemente consentono di superare la fede privilegiata
attribuita dall'art.  2700  c.c.  al  verbale redatto  dall'agente  accertatore, l'idoneità  probatoria  del quale non è  messa  in  discussione  in astratto ma è esclusa nel caso concreto, sulla supposta possibilità d'errore umano nella percezione e mancando un accertamento altrimenti reso incontrovertibile.
Siffatta decisione è censurata dal ricorrente con  un unico complesso motivo di ricorso - nel quale si denunziano violazioni dell'art.  142 C.d.S., comma 4, art. 345 reg. esec. C.d.S., L. n. 689 del 1981, art. 1, comma 3, artt. 2697 e 2700 c.c..
Attivatasi  procedura  ex  art. 375 c.p.c.,  il  Procuratore  Generale invia  requisitoria scritta nella quale, concordando  con  il  parere espresso   nella  nota  di  trasmissione,  conclude   con   richiesta d'accoglimento del ricorso siccome manifestamente fondato.
Al  riguardo il Collegio, riunito in camera di consiglio il 7.10.2010 e  successivamente,  a  seguito  di  riconvocazione,  il  03.05.2011, ritiene  che le considerazioni svolte dal Procuratore Generale  e  la conclusione cui è pervenuto debbano essere condivise alla luce della giurisprudenza formatasi in materia.
Considerata  la  normativa  vigente nell'ottobre  2003,  epoca  della commessa infrazione e, quindi, nella specie applicabile, va,  infatti osservato quanto segue.
L'art.  142  C.d.S.,  comma  6  dispone che  "per   la  determinazione dell'osservanza  dei  limiti di velocità sono considerate  fonti  di prova le risultanze di apparecchiature debitamente omologate, nonchè le  registrazioni  del  cronotachigrafo e  i  documenti  relativi  ai percorsi autostradali, come precisato dal regolamento".
L'art.  345  reg.  esec. C.d.S., sotto la rubrica  "Apparecchiature  e mezzi  di  accertamento della osservanza dei limiti  di velocità",  a sua  volta, dispone, al comma 1, che "Le apparecchiature destinate  a controllare  l'osservanza  dei  limiti  di  velocità  devono  essere costruite  in  modo da raggiungere detto scopo  fissando la  velocità del  veicolo  in  un  dato  momento in modo  chiaro  ed  accettabile, tutelando  la riservatezza dell'utente"; al comma 2, che "le  singole apparecchiature  devono  essere approvate dal  Ministero  dei  lavori pubblici";  al comma 4, che "per l'accertamento delle violazioni  dei limiti  di  velocità, le apparecchiature di cui al   comma  1  devono essere  gestite direttamente dagli organi di polizia stradale di  cui all'art.  12  C.d.S.  e  devono  essere  nella  disponibilità  degli stessi".
Dunque,   per   il   C.d.S.  e  per  il  relativo    Regolamento,   le apparecchiature  elettroniche di controllo  della  velocità,  devono essere  omologate  od  approvate, devono  consentire  di  fissare  la velocità  del  veicolo  in  un  dato  momento  in  modo  chiaro   ed accettabile  e possono essere utilizzate esclusivamente dagli  organi di   polizia   stradale  di  cui  all'art.  12   C.d.S.   (comma   1:
"L'espletamento dei servizi di polizia stradale previsti dal presente codice spetta: a) in via principale alla specialità Polizia Stradale della  Polizia  di Stato; b) alla Polizia di  Stato; c)  all'Arma  dei carabinieri;  d) al Corpo della guardia di finanza; d-bis) ai Corpi  e ai  servizi  di  polizia provinciale, nell'ambito del  territorio  di competenza;   e)  ai  Corpi  e  ai  servizi  di  polizia  municipale, nell'ambito  del   territorio  di competenza;  f)  ai  funzionari  del Ministero  dell'interno addetti al servizio di polizia  stradale;  f- bis)  al  Corpo  di polizia penitenziaria e al Corpo forestale  dello Stato,  in  relazione  ai  compiti di istituto"),  la  cui  presenza, tuttavia, negli indicati casi non è prescritta.
Non  è,  invece,  richiesto, come a volte ritenuto  da  giudici  del merito,  che  dette apparecchiature siano anche munite di dispositivi in  grado  d'assicurare una documentazione, con modalità  meccaniche automatiche - quale, tra le altre, la fotografica - dell'accertamento dell'infrazione, in quanto la fonte primaria prescrive  solo  che  le apparecchiature elettroniche possano costituire fonte  di  prova,  se debitamente omologate.
La norma regolamentare, alla quale rinvia l'art. 142 C.d.S., comma 6, stabilisce  i requisiti ai quali è subordinata l'approvazione  delle apparecchiature elettroniche - tra i quali l'idoneità  a  consentire la  rilevazione  della  velocità  del  veicolo   in  modo  chiaro  ed accertabile,  requisito che presuppone unicamente   la  determinazione inequivoca della velocità stessa, ben potendo l'identificazione  del veicolo  essere  demandata alla contestuale attività  d'accertamento dell'agente  di polizia addetto all'apparecchiatura, come  prescritto dal  surrichiamato art. 345 del regolamento - e tanto  dispone  senza alcun  esplicito  od  implicito  riferimento  alla  necessità  d'una documentazione      fotografica     od      altrimenti      meccanica dell'individuazione stessa.
Nè  potrebbe  arguirsi l'indispensabilità di detta  documentazione, per rendere la rilevazione della velocità chiara ed accertabile, dal fatto  che la disposizione regolamentare prescriva che l'accertamento debba avvenire tutelando la riservatezza dell'utente,  in quanto dalla previsione  esplicita,  tra l'altro a diverso fine,  d'una  modalità d'accertamento,  riferibile all'eventuale documentazione   fotografica dell'infrazione  commessa,  non può trarsi  la  conseguenza  ch'essa costituisca   l'unica   modalità   d'identificazione   del   veicolo normativamente consentita od obbligatoria.
In  considerazione della materia oggetto di regolamentazione e  della rapida   evoluzione   tecnologica,   deve,   anzi,   ritenersi    che opportunamente la fonte regolamentare si sia limitata a prevedere che le  apparecchiature debbano consentire di fissare  la  velocità  del veicolo in un determinato momento in modo chiaro ed accertabile e non abbia,  viceversa, delineato anche le caratteristiche necessarie  per l'approvazione,  attestandosi sulla tipologia  delle  apparecchiature all'epoca esistenti.
Alle   esaminate   disposizioni   di   carattere   generale   si   è successivamente  aggiunta  -  ma non  sostituita,  in  ragione  della specificità  delle ipotesi previste e regolate - la  norma  speciale posta  dal  D.L.  20 giugno 2002, n. 168, art. 4 come convertito  con modificazioni  dalla  L.  1 agosto 2002, n.  168,   con  la  quale  il legislatore,  dopo  aver disposto, al comma 1, che sulle  particolari strade indicatevi possano essere utilizzati od installati dispositivi o  mezzi  tecnici  di  controllo  del  traffico  ...  finalizzati  al rilevamento  a  distanza delle infrazioni alle norme di comportamento di  cui agli artt. 142 e 148 C.d.S., prescrive, al terzo comma,  che, in  tal  caso,  la  violazione debba essere documentata  con  sistemi fotografici,  di  ripresa video o con analoghi   dispositivi  che  ... consentano  di accertare, anche in tempi successivi, le
modalità  di svolgimento dei fatti costituenti illecito amministrativo  nonchè  i dati  d'immatricolazione  del veicolo ovvero  il  responsabile  della circolazione,   specificando,  altresì,  che   gli   apparecchi   di rilevamento  automatico della violazione debbono essere approvati  od omologati  ai  sensi  dell'art. 45 C.d.S.  ove  utilizzati  senza  la presenza od il diretto intervento degli agenti preposti.
Un'interpretazione letterale e razionale della norma  in  esame,  con particolare riferimento ai due periodi dei quali si compone il  terzo comma,  evidenzia  come  la  previsione d'apparecchiature  capaci  di documentare   mediante  fotografia  o  simili  le   modalità   della violazione e l'identificazione del veicolo  attenga alle ipotesi nelle quali l'accertamento abbia luogo in un momento successivo, id est  in base  alla  lettura  della documentazione  stessa  (previa  stampa  di quanto  registrato  su pellicola o memory stick  o  altro  supporto), essendo mancata la presenza degli agenti al momento della violazione;
diversamente,  nelle  ipotesi in cui la violazione  si  verifichi  su strade  diverse  da  quelle  considerate,  con  apparecchiature   non predisposte  per la memorizzazione dell'infrazione con i detti  mezzi ma,   comunque,   alla   presenza   degli   agenti,   rimane   valida l'applicazione della normativa generale, per la quale,  come  sì  è visto,  questi ultimi possono rilevare mediante lo strumento il  dato tecnico  della  violazione  e contestualmente  procedere  di  persona all'identificazione del veicolo.
Al  qual  riguardo,  è noto che, secondo il prevalente  orientamento della  giurisprudenza di legittimità (recentemente confermato  dalle SS.UU.  di questa Corte con sentenza 24.7.09 n. 17355), nel  giudizio d'opposizione  avverso  l'ingiunzione di pagamento  di  una  sanzione amministrativa,  il verbale d'accertamento dell'infrazione  fa  piena prova,  fino  a  querela di falso, dei fatti in  esso  attestati  dal pubblico  ufficiale come avvenuti in sua presenza nonchè  della  sua provenienza  dal  pubblico  ufficiale  medesimo,  stante  l'efficacia probatoria  privilegiata attribuita all'atto pubblico dall'art.  2700 c.c..
Ne  consegue  che  l'accertamento delle violazioni alle  norme  sulla velocità deve ritenersi provato sulla base  della verbalizzazione dei rilievi  tratti  dalle apparecchiature previste dal  detto  art.  142 C.d.S.  e  delle constatazioni personali degli agenti - constatazioni che,  attenendo a dati obiettivi quali la lettura del  display  dello strumento  e la rilevazione del numero della  targa, non costituiscono "percezioni    sensoriali"    implicanti   margini    d'apprezzamento individuale  -  facendo infatti prova il verbale fino  a  querela  di falso   dell'effettuazione  di  tali  rilievi  e  constatazioni;   le risultanze  dei rilevamenti valgono, poi, fino a prova contraria,  la quale può essere data dall'opponente in  base alla dimostrazione  del difetto  di  funzionamento  dei  dispositivi,  anche  occasionale  in relazione  alle  condizioni della strada e del  traffico
al  momento della  rilevazione,  da  fornirsi in  base a concrete  circostanze  di fatto,  mentre  non può essere ipotizzata, come nella specie,  senza alcuna  concreta  dimostrazione (Cass. 5.7.06 n.  15324,  29.3.06  n. 7126,  10.1.05 n. 287, 20.4.05 n. 8232, 24.3.04 n. 5873,  12.7.01  n. 9441, 25.5.01 n. 7106).
Orbene,  con  riferimento all'apparecchiatura  denominata  telelaser, debitamente omologata, il giudice a quo ha errato  nell'affermare  che l'accertamento  della  velocità,  con  riferimento  ad  un   singolo determinato  veicolo, non potesse essere idoneamente documentato  dal verbale  degli a-genti addetti alla rilevazione, essendo il  relativo verbale  assistito da efficacia probatoria fino a  querela  di  falso quanto  ai  dati  in  esso attestati dal pubblico  ufficiale  (SS.UU. cit.).
D'altra parte, all'esame dell'impugnata sentenza,  salvo il giudice  a quo  avesse  ritenuto  implicitamente  assorbita  la  questione,  non risulta  che  l'opponente  avesse dedotto  un  cattivo  funzionamento dell'apparecchio  utilizzato  nella  circostanza  od  un  errore   di puntamento  da  parte  degli agenti e fornito prova   degli  specifici elementi  concreti  dai  quali desumere  tali  circostanze,  all'uopo risultando del tutto generica l'allegazione del contestuale passaggio anche  d'un diverso veicolo, onde doveva essere tratta la conclusione che  le  risultanze  dell'accertamento compiuto con l'apparecchiatura elettronica non erano state vinte da prova contraria.
In  difetto  della quale - che, giova ribadire, incombe all'opponente dedurre   e   fornire   -   devesi  concludere   che   l'accertamento dell'infrazione  è  valido  e  legittimo,  dacchè,  da   un   lato, l'apparecchiatura   telelaser  consente  la   visualizzazione   della velocità  rilevata, dall'altro, la riferibilità della velocità  ad un  veicolo  determinato discende dall'operazione  di   puntamento  e, quindi, d'identificazione del veicolo stesso effettuata  ed attestata, validamente sino a querela di falso, dall'agente di polizia  stradale che ha in uso l'apparecchiatura in questione.
A  tali  principi  e  considerazioni il  giudice  a  quo  non  si  è conformato,  onde l'impugnata sentenza va annullata,   peraltro  senza rinvio.
Poichè,  infatti,  dalla sentenza stessa risulta  che  la  questione esaminata rappresentava l'unico motivo d'opposizione, questo  essendo risultato  infondato  per le ragioni sopra  esposte,  la  causa  può essere  decisa  nel merito in questa sede, ex art.  384  c.p.c.,  con rigetto dell'originaria opposizione.
Le  spese, liquidate come in dispositivo, seguono  la soccombenza  per il  giudizio di legittimità, mentre, per quello di merito, non  v'ha luogo    a    provvedere,   non   risultando   attività    difensiva dell'Amministrazione  e, comunque, non avendo  questa  depositato  la nota delle spese vive liquidabili.P.Q.M.
LA  CORTE accoglie  il  ricorso,  cassa senza rinvio  l'impugnata  sentenza   e, decidendo  nel  merito,  respinge l'originaria opposizione;  condanna                 #################### alle spese del giudizio  di  legittimità  che liquida  in Euro 400,00 per onorari oltre esborsi prenotati a  debito ed accessori di legge.

Cass. civ. Sez. II, Ord., 28-06-2011, n. 14323

Dettagli

Cassazione "...Preliminarmente   occorre   rilevare  che   in   tema   di   sanzioni amministrative  irrogate  per  violazione  al  codice  della  strada, proposta  direttamente opposizione dinanzi all'autorità  giudiziaria avverso   l'originario  verbale  di  accertamento   e   contestazione dell'infrazione,  la  legittimazione  passiva  va  riconosciuta  alle singole amministrazioni, locali, per i corpi dalle stesse dipendenti, o  centrali,  per  i corpi statuali, cui appartengono  i  vari  corpi autorizzati  alla  contestazione,  in  particolare:  per  la  polizia municipale,  il Comune in persona del sindaco; per i carabinieri,   il ministero della difesa, e, in alternativa, il ministero dell'interno, al  quale  l'art.  11  C.d.S., attribuisce specifiche  competenze  in materia  di  circolazione stradale ed ha il compito di  coordinamento dei  servizi  di vigilanza sulla circolazione stessa, in persona  dei rispettivi  ministri;  per  la  polizia  della  strada,  il   medesimo ministero  dell'interno, ecc....."


CIRCOLAZIONE STRADALE
Cass. civ. Sez. II, Ord., 28-06-2011, n. 14323
Fatto - Diritto P.Q.####################
Svolgimento del processo - Motivi della decisione
Il   consigliere  relatore ha depositato relazione ai sensi  dell'art. 380 bis c.p.c., che è stata comunicata alle parti costituite.
Essa  reca:  "Il giudice di pace di Grumello del Monte,  pronunciando sull'opposizione  proposta  da             ####################  per  impugnare  un processo  verbale  di  accertamento  e  contestazione   del  23.2.2007 redatto  dal  Corpo  di  Polizia Intercomunale dei  ####################,  rigettava l'opposizione,  ma riduceva la sanzione pecuniaria  ed   escludeva  la decurtazione dei punti patente.
Su  appello  del predetto Corpo di Polizia, il tribunale di  Bergamo, contumace la       ####################, riformava su quest'ultimo punto la decisione del  giudice di primo grado e confermava "il verbale nella  parte  in cui decurtava due punti sulla patente di guida" dell'appellata.
La        ####################  ha proposto ricorso per cassazione  notificato  il  4 marzo 2009. Parte intimata non ha svolto attività difensiva.
Preliminarmente   occorre   rilevare  che   in   tema   di   sanzioni amministrative  irrogate  per  violazione  al  codice  della  strada, proposta  direttamente opposizione dinanzi all'autorità  giudiziaria avverso   l'originario  verbale  di  accertamento   e   contestazione dell'infrazione,  la  legittimazione  passiva  va  riconosciuta  alle singole amministrazioni, locali, per i corpi dalle stesse dipendenti, o  centrali,  per  i corpi statuali, cui appartengono  i  vari  corpi autorizzati  alla  contestazione,  in  particolare:  per  la  polizia municipale,  il Comune in persona del sindaco; per i carabinieri,   il ministero della difesa, e, in alternativa, il ministero dell'interno, al  quale  l'art.  11  C.d.S., attribuisce specifiche  competenze  in materia  di  circolazione stradale ed ha il compito di  coordinamento dei  servizi  di vigilanza sulla circolazione stessa, in
persona  dei rispettivi  ministri;  per  la  polizia  della  strada,  il   medesimo ministero  dell'interno, ecc.. Detta circostanza, in quanto attinente alla   regolare  costituzione  del  contraddittorio  e,  quindi,   ad inderogabili   disposizioni   d'ordine   pubblico   processuale,   è rilevabile  d'ufficio  in ogni stato e grado del  giudizio,  compreso quello  di  legittimità,  sempre  che,  sulla  stessa,  non  si  sia precedentemente formato il giudicato. (Cass. 17189/07).
La  sentenza  citata  ha  ripreso e precisato  quanto  insegnato,  in materia,  da  SS.UU. 21624/06, a mente della quale la  legittimazione passiva  spetta all'amministrazione dalla quale  dipendono gli  agenti che  hanno  accertato la violazione, quindi, qualora il  verbale  sia stato  elevato  dalla  Polizia municipale,  legittimato  a  resistere all'opposizione  è il Comune. Nel caso in cui il ricorso  sia  stato notificato   anzichè   al   Comune   all'organo   di   una   diversa amministrazione  (nel  caso  di specie, il  Prefetto),  non  si  può ritenere  che  l'atto  sia  soltanto irregolare,  non  potendo  farsi applicazione neppure estensiva della previsione contenuta nella L. n. 260 del 1958, art. 4,  che disciplina esclusivamente la rappresentanza in  giudizio  dello  Stato;  tuttavia, poichè  nel  procedimento  di opposizione  a  sanzione  amministrativa l'obbligo  di
notificare  il ricorso  e  il decreto di fissazione udienza al soggetto passivamente legittimato grava sull'ufficio giudiziario adito, e non sulla  parte, se  anche  il  ricorrente nel proporre l'opposizione  abbia  indicato erroneamente  il  soggetto  cui notificare  l'atto,  ciò  non  esime l'ufficio  giudiziario  dall'obbligo  di  identificare  correttamente quest'ultimo.  Ne consegue che, qualora sia stato erroneamente evocato in  giudizio  un  soggetto privo di legittimazione  passiva  a  causa dell'errore  della  parte cui non abbia fatto seguito  un  intervento correttivo  della  cancelleria, l'errore  nella  identificazione  del legittimato passivo non si traduce nell'inammissibilità del ricorso, ma  in  un vizio della sentenza. Va aggiunto che la rilevabilità  di ufficio  di detto vizio è stata confermata da SSUU 26019/08, secondo la  quale: Il potere di controllo delle
nullità (non sanabili o  non sanate),  esercitabile in sede di legittimità, mediante proposizione della  questione per la prima volta in tale sede, ovvero mediante  il rilievo  officioso  da parte della Corte di cassazione,  va  ritenuto compatibile   con il sistema delineato dall'art. 111 Cost.,   allorchè si tratti di ipotesi concernenti la violazione del contraddittorio  - in  quanto tale ammissibilità consente di evitare che  la vicenda  si protragga  oltre il giudicato, attraverso la successiva  proposizione dell'actio  nullitatis  o del rimedio impugnatorio  straordinario  ex art.  404  cod. proc. civ., da parte del litisconsorte pretermesso  - ovvero  di  ipotesi  riconducibili a  carenza  assoluta  di  potestas iudicandi".
Nel  caso di specie vi è stata violazione del contraddittorio  (art. 101  c.p.c.),  erroneamente instaurato sin dal primo grado di giudizio con  il Corpo Intercomunale di polizia e non con il Comune in persona del Sindaco, organo avente potere di rappresentanza esterna dell'ente locale.  Sul  punto  non  risulta che si sia  formato  il  giudicato, poichè   manca   espressa  pronuncia  a  seguito  di   contestazione specifica.
La  Corte  potrà  pertanto rilevare il vizio  nella  formazione  del contraddittorio, con le conseguenze del caso.
Va  inoltre  rilevato che la sentenza ha avuto ad   oggetto  -  ed  il ricorso concerne - la decurtazione dei punti patente, materia che  è sottratta  al  potere  sanzionatorio  dell'ente  locale  consistendo, questa,  in  una  sanzione  accessoria che consegue  alla  violazione contestata  e  che  deve essere irrogata con specifico  provvedimento ministeriale,  rispetto  al  quale  l'attività  di  accertamento  è soltanto  propedeutica  e  contro il  quale  va  rivolta  l'eventuale opposizione ai sensi della L. 24 novembre 1981, n. 689, art. 22".
Il  Collegio condivide pienamente la relazione e ricorda che, secondo la  giurisprudenza già formatasi in riferimento a casi analoghi,  la violazione  dell'art. 101 c.p.c.,  comporta la nullità di  tutti  gli atti  del  giudizio  e  si  riflette  sull'impugnata  sentenza.  Detta circostanza,  in  quanto  attinente alla  regolare  costituzione  del contraddittorio  e,  quindi,  ad inderogabili  disposizioni  d'ordine pubblico processuale, è rilevabile anche d'ufficio in ogni  stato  e grado del giudizio, compreso quello di  legittimità.
Non  di  meno, in osservanza del dictum delle SS.UU. sopra richiamato va  dichiarata la consequenziale nullità degli atti del giudizio  e, quindi,  della  sentenza impugnata con rinvio  al  giudice  di  primo grado,  il quale dovrà procedere nuovamente agli incombenti  di  cui alla  L.  n.  689 del 1981, art. 23, ed, in particolare, disporre  la notificazione  del  ricorso  al competente  Comune,  in  persona  del Sindaco pro tempore.P.Q.####################
La  Corte decidendo sul ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche  per  le spese, al giudice di pace di Grumello del  Monte,  con termine di legge per la riassunzione.

DANNI IN MATERIA CIVILE E PENALE - LAVORO (RAPPORTO DI)

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Cassazione "...Come questa Corte ha  già  precisato (cfr.  Cass.  n. 3785/2009), per mobbing si intende una condotta  del datore  di lavoro o del superiore gerarchico, sistematica e protratta bel  tempo,  tenuta  nei  confronti del lavoratore  nell'ambiente  di lavoro,  che  si  risolve  in sistematici e  reiterati  comportamenti ostili  che  finiscono  per assumere forme  di  prevaricazione  o  di persecuzione  psicologica, da cui può conseguire  la  mortificazione morale  e l'emarginazione del dipendente, con effetto lesivo del  suo equilibrio fisio - psichico e del complesso della sua  personalità...."


DANNI IN MATERIA CIVILE E PENALE - LAVORO (RAPPORTO DI)
Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., 31-05-2011, n. 12048
Fatto Diritto ####################Q.M.
Svolgimento del processo
####################  ha convenuto in giudizio davanti al Tribunale  di San  Remo  la  ####################  sas esponendo  di  aver  lavorato  presso l'Agenzia di viaggi di quest'ultima come impiegata, rivestendo  anche il   ruolo  di  direttore  tecnico,  dapprima  con  un  contratto  di collaborazione  coordinata e continuativa e  successivamente  con  un contratto  di  lavoro  subordinato, in realtà prestando  la  propria attività lavorativa sempre alle dipendenze e sotto le direttive  del titolare  dell'impresa, e di avere subito nel corso del  rapporto  di lavoro,  a causa delle sue richieste di regolarizzazione del rapporto stesso,  una serie di comportamenti vessatori e ostili tendenti  alla sua  completa emarginazione professionale e al progressivo isolamento dai  colleghi, comportamenti per i quali aveva sofferto  di  disturbi sia fisici che psichici. Ha chiesto quindi la condanna del datore  di
lavoro  al risarcimento del danno biologico, del danno alla  vita  di relazione e del danno morale.
Il Tribunale ha respinto la domanda ritenendo che  non fosse emersa la prova   di   un   atteggiamento  persecutorio  nei  confronti   della dipendente.  Anche  l'appello  proposto  dalla       ####################  è   stato respinto  dalla Corte di Appello di Genova, che ha ritenuto  che  non fosse stata raggiunta la prova di un tale atteggiamento persecutorio.
Avverso  tale  sentenza  ricorre per cassazione                #################### affidandosi  a  cinque motivi di ricorso. L'intimata  non  ha  svolto attività difensiva.Motivi della decisione
1.-   Con il primo motivo la ricorrente deduce l'omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso decisivo per il  giudizio, sull'assunto che la Corte territoriale avrebbe ritenuto come   circostanza  pacifica  che  nel  periodo  iniziale  si   fosse instaurato  tra le parti un rapporto di lavoro autonomo,  laddove  la ricorrente aveva dedotto di avere sempre svolto attività  di  lavoro dipendente,  come,  del  resto,  era  chiaramente  emerso   all'esito dell'attività istruttoria svolta nel giudizio di primo grado.
2.-  Con  il  secondo motivo la ricorrente lamenta omessa valutazione complessiva delle prove e relativo vizio di motivazione, sul  rilievo che  il  giudice  di  appello avrebbe omesso  di  valutare  nel  loro complesso  gli  episodi posti a fondamento della   domanda,  omettendo altresì di prendere in considerazione le risultanze della consulenza tecnica  d'ufficio  disposta  in primo grado,  che  aveva  confermato l'esistenza  dei  disturbi psichici denunciati dalla ricorrente,  pur negando  il  nesso causale tra tali disturbi e l'attività lavorativa svolta.
3.-  Con  il terzo motivo si denuncia violazione o falsa applicazione dell'art.  2087 c.c.,  formulando il seguente quesito di diritto:  "la responsabilità   del   datore  di  lavoro   per   violazione   della personalità   morale  del  lavoratore  può  sussistere   anche   in conseguenza di uno (o più) atti lesivi della dignità e  del  decoro personale  e professionale dello stesso pur in difetto di un  disegno persecutorio  finalizzato ad espellere il dipendente (fattispecie  di mobbing)?".  4.- Con il quarto e il quinto motivo di ricorso si denunciano omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione in ordine alla domanda di risarcimento   del   danno  per  violazione  dell'art.   2087   c.c.,  sottolineando  che l'esistenza della responsabilità  del  datore  di lavoro,  nel  caso in esame, era stata invocata e doveva riconoscersi anche  come fondata sulla violazione
dell'art. 2043 c.c.,  non potendo dubitarsi  che  i  fatti indicati dalla ricorrente costituissero,  al tempo  stesso, violazione di obblighi contrattualmente  gravanti  sul datore  di  lavoro, ex art. 2087 c.c.,  e violazione del precetto  del neminem  laedere gravante sulla generalità dei consociati,  ex  art. 3043 c.c. 5.-  Il  ricorso  è infondato. Come questa Corte ha  già  precisato (cfr.  Cass.  n. 3785/2009), per mobbing si intende una condotta  del datore  di lavoro o del superiore gerarchico, sistematica e protratta bel  tempo,  tenuta  nei  confronti del lavoratore  nell'ambiente  di lavoro,  che  si  risolve  in sistematici e  reiterati  comportamenti ostili  che  finiscono  per assumere forme  di  prevaricazione  o  di persecuzione  psicologica, da cui può conseguire  la  mortificazione morale  e l'emarginazione del dipendente, con effetto lesivo del  suo equilibrio
fisio - psichico e del complesso della sua  personalità.
Ai  fini  della configurabilità della condotta lesiva del datore  di lavoro   sono,   pertanto,   rilevanti:  a)   la   molteplicità   di comportamenti di carattere persecutorio, illeciti o anche  leciti  se considerati  singolarmente, che siano stati posti in essere  in  modo miratamente sistematico e prolungato contro il dipendente con intento vessatorio; b) l'evento lesivo della salute o della personalità  del dipendente; c) il nesso eziologico tra la condotta del datore  o  del superiore gerarchico e il pregiudizio all'integrità psico  -  fisica del   lavoratore;   d)  la  prova  dell'elemento  soggettivo,   cioè dell'intento  persecutorio.  La domanda  di  risarcimento  del  danno proposta dal lavoratore per il mobbing subito è soggetta a specifica allegazione  e  prova  in ordine agli specifici fatti  asseriti  come lesivi  (Cass.  n. 19053/2005). Cass. 6 marzo 2006, n.  4774
 ha  poi ritenuto  che  l'illecito  del datore di  lavoro  nei  confronti  del lavoratore consistente nell'osservanza di una condotta protratta  nel tempo   e  con  le  caratteristiche  della  persecuzione  finalizzata all'emarginazione del dipendente (c.d. mobbing) - che rappresenta una violazione  dell'obbligo di sicurezza posto  a  carico  dello  stesso datore  dall'art.  2087 c.c. - si può realizzare  con  comportamenti materiali   o   provvedimentali   dello  stesso   datore   di   lavoro indipendentemente    dall'inadempimento   di    specifici    obblighi contrattuali  previsti  dalla  disciplina  del  rapporto  di   lavoro subordinato. La sussistenza della lesione del bene protetto  e  delle sue   conseguenze   deve  essere  verificata  -   procedendosi   alla valutazione complessiva degli episodi dedotti in giudizio come lesivi -  considerando l'idoneità offensiva della
condotta  del  datore  di lavoro,  che può essere dimostrata, per la sistematicità  e  durata dell'azione  nel  tempo,  dalle  sue  caratteristiche  oggettive   di persecuzione  e  discriminazione, risultanti  specificamente  da  una connotazione   emulativa  e  pretestuosa,  anche  in  assenza   della violazione  di specifiche norme attinenti alla tutela del  lavoratore subordinato.
Nella  specie, la Corte territoriale ha preso in esame l'insieme  dei comportamenti  del  datore  di  lavoro  dedotti  come  lesivi   dalla ricorrente,  escludendone ogni intento persecutorio  o emulativo,  sia con   riferimento   agli   episodi  collegati,   secondo   l'assunto, all'insorgenza  delle  "prime  manifestazioni  patologiche   sia  con riferimento  agli  episodi successivi, osservando,  quanto  a  questi ultimi,  che  dalle risultanze istruttorie non era emersa l'esistenza di  comportamenti connotati da carattere persecutorio  nei  confronti della  dipendente  e  che gli unici episodi,  comunque  marginali  ed isolati,  rispetto  ai quali poteva essere espresso  un  giudizio  di biasimo   (lancio   dello  stipendio  sul  tavolo,   consegna   della retribuzione in un sacco di monetine) si erano verificati  "in  tempi di  molto successivi all'inizio della manifestazione delle
patologie, quando la      #################### non andava più a lavorare e si recava in agenzia solo  per  ritirare  lo stipendio ...", sì che,  valutate  tutte  le circostanze  sopra  indicate,  doveva  escludersi  che  fosse   stata raggiunta la prova di un atteggiamento emarginante, discriminatorio o persecutorio nei confronti della lavoratrice.
Si  tratta  di  una  valutazione di fatto, devoluta  al  giudice  del merito, non censurabile nel giudizio di cassazione in quanto comunque assistita  da  motivazione sufficiente e non  contraddittoria;  anche perchè la ricorrente non ha riportato in ricorso il contenuto  delle deposizioni testimoniali delle quali assume essere stato omesso  ogni esame  (tranne  quello di una deposizione, che   tuttavia  non  appare decisiva ai fini della collocazione temporale degli episodi di cui si discute)  e non ha neppure indicato quali sarebbero gli elementi  che la Corte territoriale avrebbe trascurato di esaminare (in conseguenza della erronea interpretazione degli atti di causa, denunciata con  il primo  motivo) e che avrebbero dovuto orientare la decisione in senso diverso, sicchè le censure espresse nei primi due motivi di  ricorso -  al  di  là della loro corretta impostazione in diritto
circa  la definizione  dei comportamenti che possono integrare in  astratto  la fattispecie  del  mobbing  -  rimangono poi  confinate  ad  una  mera contrapposizione  rispetto alla valutazione di merito  operata  dalla Corte   d'appello,  inidonea  a  radicare  un  deducibile  vizio   di motivazione di quest'ultima. Deve ribadirsi, al riguardo,  che,  come è  stato  più volte affermato da questa Corte, la deduzione  di  un vizio  di  motivazione  della  sentenza  impugnata  con  ricorso  per cassazione  conferisce al giudice  di legittimità non  il  potere  di riesaminare  il merito dell'intera vicenda processuale sottoposta  al suo  esame,  bensì la sola facoltà di  controllo, sotto  il  profilo della  correttezza giuridica e della coerenza logico - formale, delle argomentazioni svolte dal giudice di merito, al quale spetta, in  via esclusiva,   il   compito  di  individuare  le
fonti   del   proprio convincimento, di assumere e valutare le prove e di scegliere, tra le complessive  risultanze  del processo, quelle  ritenute  maggiormente idonee  a dimostrare la veridicità dei fatti ad esse sottesi,  senza essere  tenuto  ad  un'esplicita confutazione  degli  altri  elementi probatori  non accolti, anche se allegati dalle parti.  Il  vizio  di omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione denunciabile  con ricorso  per cassazione ai sensi dell'art. 360 c.####################c.,  n. 5, ricorre, dunque,  soltanto quando nel ragionamento del giudice di   merito  sia riscontrabile  il  mancato o insufficiente esame  di  punti  decisivi della  controversia, prospettati dalle parti o rilevabili  d'ufficio, ovvero  un insanabile contrasto tra le argomentazioni adottate,  tale da non consentire l'identificazione del procedimento logico-giuridico posto  a  base  della decisione,
mentre tale vizio non  si  configura allorchè  il  giudice di merito abbia semplicemente attribuito  agli elementi   valutati  un  valore  e  un  significato   diversi   dalle aspettative  e  dalle deduzioni di parte (cfr. ex plurimis  Cass.  n. 10657/2010,  Cass.  n.  9908/2010,  Cass.  n.  27162/2009,  Cass.  n. 16499/2009,  Cass.  n.  13157/2009,  Cass.  n.  6694/2009,  Cass.  n. 42/2009,   Cass.  n.  17477/2007,  Cass.  n.  15489/2007,  Cass.   n. 7065/2007,  Cass.  n.  1754/2007,  Cass.  n.  14972/2006,  Cass.   n. 17145/2006,  Cass.  n.  12362/2006, Cass.  n.  24589/2005,  Cass.  n. 16087/2003,  Cass.  n.  7058/2003,  Cass.  n.  5434/2003,  Cass.   n. 13045/97, Cass. n. 3205/95).
6.- Il primo ed il secondo motivo vanno, pertanto, rigettati.
7.- Anche il terzo motivo, con il quale, sostanzialmente, si contesta una  non corretta interpretazione delle domande formulate con  l'atto introduttivo  e  della  normativa in  esso   richiamata,  deve  essere respinto. Invero, anche a prescindere dalla pur di per sè assorbente considerazione che la ricorrente non riporta puntualmente nel ricorso per  cassazione  il  contenuto integrale dell'atto introduttivo  (non essendo  sufficiente il richiamo di alcuni passi del ricorso ex  art. 414  c.####################c.  o la riproduzione in forma indiretta dello  stesso  atto contenuta nelle premesse del ricorso per cassazione), nè gli  esatti termini in cui la domanda è stata riproposta in appello, va rilevato che  nel  ricorso non vengono neppure indicate le norme che la  Corte territoriale  avrebbe violato nell'interpretazione di una domanda  che pure,  anche  secondo  la  ricorrente, era  diretta  a
sostenere  la sussistenza del mobbing e che negli stessi termini, a quanto si legge nella  motivazione della sentenza impugnata, sarebbe stata riprodotta nel   grado   di   appello;   e  tutto  ciò  senza  considerare   che l'interpretazione della domanda e l'apprezzamento della sua ampiezza, oltre  che  del suo contenuto, costituiscono, anche nel  giudizio  di appello,  ai  fini  della  individuazione del  devolutum,  un  tipico apprezzamento di fatto  riservato al giudice del merito  e,  pertanto, insindacabile  in  sede  di legittimità, se  non  sotto  il  profilo dell'esistenza, sufficienza  e logicità della motivazione  (Cass.  n. 20373/2008, Cass. n. 19475/2005).
8.-  Al  rigetto del terzo motivo consegue logicamente l'assorbimento del  quarto e del quinto motivo, con i quali si deduce il difetto  di motivazione  in  ordine alla domanda di risarcimento  del  danno  con riferimento    alla    responsabilità    sia    contrattuale     che extracontrattuale,  trattandosi  di motivi  che  ripropongono,  sotto diverso  profilo,  le  stesse censure del  motivo  precedente  e  che incorrono, dunque, per come formulati, negli stessi rilievi.
9.- Il ricorso va quindi rigettato.
10.-  Stante il mancato svolgimento di attività difensiva  da  parte dell'intimata, non deve provvedersi in ordine alle spese del giudizio di legittimità.####################Q.M.
LA CORTE rigetta il ricorso; nulla sulle spese.



 

Cass. civ. Sez. VI, Ord., 20-01-2011, n. 1328

Dettagli

Cassazione "...In  primo  luogo, il D.L. n. 313 del 1994, art. 1 il quale, sotto  la rubrica  "Pignoramenti sulle contabilità speciali delle  prefetture, delle direzioni di amministrazione delle Forze armate  e della Guardia di finanza", recita quanto segue: "1. I fondi di contabilità speciale a disposizione delle prefetture, delle direzioni di amministrazione delle Forze armate e della Guardia di  finanza,  nonchè le aperture di credito  a favore dei  funzionari delegati degli enti militari, degli uffici o reparti della Polizia di Stato, della Polizia penitenziaria e del Corpo forestale dello  Stato e  dei  comandi  del  Corpo nazionale dei vigili  del  fuoco,  o  del Cassiere  del Ministero dell'interno, comunque destinati a servizi  e finalità  di  protezione civile, di difesa nazionale e di  sicurezza pubblica.."

ESECUZIONE FORZATA
Cass. civ. Sez. VI, Ord., 20-01-2011, n. 1328
Fatto Diritto P.Q.M.
Svolgimento del processo
E'   stata depositata in cancelleria la seguente relazione: "1.  -  Il Ministero della Giustizia ha proposto ricorso per cassazione  avverso la   sentenza  del  16  luglio 2009, con  la  quale  il  Tribunale  di Catanzaro,  decidendo sull'opposizione all'esecuzione proposta  il  6 luglio  2007  dal Ministero contro il pignoramento di crediti  presso terzi  eseguito  nei  suoi  confronti da         P.V.,  dopo  avere considerato   correttamente   invocato  dall'opponente   il   rimedio dell'art.  615  c.p.c.,   sotto il profilo  che  l'opposizione  doveva considerarsi  inerente pignorabilità di crediti, l'ha rigettata  per le  seguenti  ragioni: a) infondatezza della deduzione originaria  di impignorabilita, ai sensi del D.P.R. n. 180 del 1950,  art.  1  delle somme  oggetto  della procedura esecutiva pignorate presso  la  Banca d'Italia,  in  qualità di tesoriere dello Stato  -  per
non  essere invocabile la norma, in quanto riferita solo all'ipotesi  in  cui   il debitore  sia  un pubblico dipendente, e non lo Stato  o  altro  ente pubblico;  b) tardività, per essere stata prospettata dal  Ministero soltanto  nella  conclusionale, della deduzione  di  impignorabilità delle somme ai sensi della L. n. 296 del 2006, art. 1, comma 1348;  c) insussistenza  della rilevabilità d'ufficio della  impignorabilità, ai  sensi  della  norma  sub b), asserita dal Ministero,  perchè  la stessa   si  riferisce  alla  procedura  svolta  dinanzi  al  giudice dell'esecuzione.
1.1. - Al ricorso ha resistito con controricorso l'intimato.
2.- Il ricorso è soggetto alle disposizioni di cui alla L. n. 69 del 2009  -  per  essere il provvedimento impugnato stato  depositato  il 16.7.2009 - e si presta ad essere trattato con il procedimento di cui all'art. 380-bis c.p.c. nel testo attuale.
3. - Il ricorso prospetta due motivi.
4.  -  Con  il  primo  si  lamenta "violazione e  falsa  applicazione dell'art. 616 c.p.c., della L. n. 266 del 2005, art. 1, comma 294 bis introdotto  dalla L. n. 296 del 2006, art. 1, comma 1348 (finanziaria 2007) in relazione all'art. 360 c.p.c.,  comma 3 e ci si duole che  la deduzione  di  applicabilità  dell'art.  1,  comma  1348  sia  stata ritenuta  tardiva perchè svolta in conclusionale, senza  considerare che  essa  non  costituiva  un nuovo motivo  di  opposizione,  bensì soltanto la deduzione con nuovi profili di un motivo già ritualmente proposto,  cioè quello fondato sulla invocazione del D.P.R.  n.  180 del  1950, art. 1.  In particolare, nel quesito di diritto -  peraltro non  necessario in relazione alla legge ratione temporis  applicabile nella specie - che conclude l'illustrazione del motivo si chiede alla Corte  di  chiarire se l'eccezione di impignorabilità ...
che  venga formulata, in sede di comparsa conclusionale, facendo richiamo a  una regolamentazione normativa ulteriore rispetto a quella già  posta  a base del motivo di opposizione, configuri sviluppo argomentativo  del motivo di impignorabilità dell'intrapresa procedura esecutiva presso terzi e non motivo nuovo.
Con  il  secondo  motivo si deduce violazione  e  falsa  applicazione dell'art. 616 c.p.c. della L. n. 266 del 2005, art. 1, comma 294  bis introdotto  dalla L. n. 296 del 2006, art. 1, comma 1348 (finanziaria 2007),  del D.L. 25 maggio 1994, n. 313, art. 1 convertito in  L.  22 luglio 1994, n. 460, del D.L. 16 settembre 2008, n. 143, art.  1  ter convertito  in L. 13 novembre 2008, n. 181 in relazione all'art.  360 c.p.c.,   comma  rectius:  n.  3.  Si  sostiene  che  erroneamente  il Tribunale      avrebbe    escluso    la    rilevabilità     d'ufficio dell'impignorabilità disposta dalla L. n. 296, art. 1,  comma  1348, nel  giudizio di opposizione all'esecuzione, mentre essa  si  sarebbe ritenere  dovuta possibile in base al D.L. n. 313 del 1994,  art.  1, comma 2 convertito con modificazioni, nella L. n. 460 del 1994 ed  in base  all'art. 1, comma 3, del d.l. citato, in relazione
al  D.L.  n. 143 del 2008, art. 1 ter convertito nella L. n. 181 del 2008.  4.1.  -  Il  primo  motivo  comporta l'esame  della  questione  della introducibilità,  con  la  comparsa  conclusionale,  da  parte   del Ministero della questione della incidenza sulla pignorabilità  delle somme  oggetto dell'esecuzione opposta della norma di cui alla L.  n. 266  del 2005, art. 1, comma 294 bis introdotto in tale legge -  dopo il comma 294 - dalla L. n. 296 del 2006, art. 1, comma 1348.  4.2. - La decisione del Tribunale di escludere detta introducibilità appare  corretta sotto il profilo processuale e, peraltro,  se  anche non   lo   fosse   stato,  l'ipotetico  accoglimento  della   censura prospettata  dal  Ministero in questa sede sarebbe stata  inidonea  a giustificare la cassazione della sentenza impugnata, perchè  l'error in procedendo - sempre ipoteticamente commesso dal Tribunale -
non si sarebbe  potuto  considerare  decisivo e,  quindi,  avrebbe  lasciato intatto il dispositivo della sentenza impugnata. Queste le ragioni.
Il  citato  comma 294-bis ebbe ad introdurre una norma  del  seguente tenore: non sono soggetti ad esecuzione forzata i fondi destinati  al pagamento   di  spese  per  servizi  e  forniture  aventi   finalità giudiziaria o penitenziaria,  nonchè gli emolumenti di qualsiasi tipo dovuti  al  personale amministrato dal Ministero  della  giustizia  e dalla  Presidenza  del  Consiglio dei Ministri, accreditati  mediante aperture  di  credito in favore dei funzionari delegati degli  uffici centrali  e  periferici del  Ministero della giustizia,  degli  uffici giudiziari  e della Direzione  nazionale antimafia e della  Presidenza del Consiglio dei ministri".
La  prospettazione del Ministero è che tale sopravvenienza normativa sarebbe  stata  applicabile  e rilevante  in  relazione  al  processo esecutivo   oggetto  dell'opposizione  all'esecuzione  decisa   dalla sentenza impugnata, che essa sarebbe stata invocabile nel giudizio di opposizione  dopo  la sua introduzione e  che avrebbe  potuto  esserlo nella conclusionale.
Ora,  pur  ipotizzando, per un momento, che il  primo  postulato  sia valido,  cioè considerando la norma idonea ad incidere sul  processo esecutivo  in  corso  fra le parti quanto alla  individuazione  della pignorabilità dei crediti aggrediti con l'esecuzione,  nel  caso  di specie assume rilievo un dato cronologico: cioè che essa era già in vigore  al  momento della proposizione dell'opposizione e,  pertanto, bene   avrebbe  potuto  e  dovuto  essere   dedotta  con   la   stessa opposizione, quale fatto costitutivo dell'inesistenza del diritto  di procedere all'esecuzione sui crediti pignorati e, quindi, quale fatto costitutivo della domanda di tutela esercitata con l'opposizione.
Al   riguardo,  va  rilevato  che  l'azione  sottesa  all'opposizione all'esecuzione sotto il profilo della non assoggettabilità  ad  essa del  bene  con questa aggredito, nella quale l'opponente  -  come  in generale nell'opposizione ai sensi dell'art. 615 c.p.c. - riveste  la qualità  di  attore. Si connota, infatti, come diretta  ad  ottenere l'accertamento    dell'inesistenza   del   diritto    di    procedere all'esecuzione  per  quella ragione, sulla  base  di  tutti  i   fatti giuridici esistenti al momento della sua proposizione, che potrebbero giustificare detta inesistenza.
Essi  assumono il carattere di fatti individuatori del diritto  fatto valere  con  l'opposizione,  che, proprio perchè  individuato  dalle ragioni   dedotte   -   in   quanto,   naturalmente,   deducibili   - dall'opponente  ha  natura eterodeterminata. Ne deriva  che  i  fatti giuridici  esistenti e deducibili al momento in  cui  viene  proposta l'opposizione identificano la domanda ad essa sottesa e,  poichè  la domanda giudiziale deve essere formulata con l'atto introduttivo  del giudizio è  di tutta evidenza che detti fatti debbono necessariamente essere prospettati con esso, mentre, se lo siano successivamente  nel corso  del  processo  di  opposizione l'allegazione  di  nuovi  fatti costitutivi  che  avrebbero  potuto  e  dovuto  essere  allegati  fin dall'introduzione  dell'opposizione  si  risolve,  proprio   per   il carattere  eterodeterminato del diritto fatto valere, in
una  mutatio libelli,  come  tale non consentita dall'art. 183  c.p.c.,   il  quale ammette  solo la precisazione o modificazione della domanda,   ma  non una domanda nuova. Se, dunque, l'effetto della previsione della norma di  cui  si  discorre fosse stato - come vorrebbe il Ministero  -  di determinare l'impossibilità di procedere dell'esecuzione  in  corso, in  quanto insorta per effetto del pignoramento - cioè una sorta  di impignorabilità sopravvenuta dei crediti pignorati  -  tale  effetto avrebbe    dovuto    essere   invocato   fin    dalla    proposizione dell'opposizione, e non solo non  avrebbe potuto essere  invocato  nel corso  del giudizio di opposizione, naturalmente fino alla fissazione del thema decidendum nell'udienza ai sensi dell'art. 183 della fase a cognizione  piena  (succeduta a quella sommaria del  procedimento  di opposizione,    nella    quale   si 
provvide    sulla    sospensione dell'esecuzione)  ma,  a  maggior ragione, non  era  invocabile  nella comparsa conclusionale: non solo perchè la conclusionale non avrebbe potuto essere utilizzata nemmeno per una emendatio libelli, ma  anche ed a monte perchè la sua prospettazione in essa si è risolta in una inammissibile mutatio libelli.
Viene in rilievo il principio di diritto secondo cui: Nel giudizio di opposizione  all'esecuzione ex art. 615 cod. proc. civ.,   l'opponente ha  veste  sostanziale e processuale di attore. Pertanto le eventuali "eccezioni" da lui sollevate per contrastare il diritto del  creditore a  procedere ad esecuzione forzata costituiscono causa petendi  della domanda  proposta  con il ricorso in opposizione e sono  soggette  al regime  sostanziale  e  processuale della domanda.  Ne  consegue  che l'opponente  non può mutare la domanda modificando le eccezioni  che ne  costituiscono  il  fondamento, nè  il  giudice  può  accogliere l'opposizione  per  motivi che costituiscono un mutamento  di   quelli espressi  nel ricorso introduttivo, ancorchè si tratti di  eccezioni rilevabili d'ufficio (Cass. n. 3477 del 2003).
Diversa  sarebbe stata la conclusione ove la sopravvenienza normativa di  cui  al  citato comma 294-bis si fosse verificata nel  corso  del giudizio   di  opposizione  ed  anche  dopo  la  precisazione   delle conclusioni:  in quel caso sarebbe stato possibile per  il  Ministero farla    valere,   poichè   la   mutatio   della   domanda   sottesa all'opposizione  sarebbe  stata giustificata  dall'impossibilità  di dedurla  prima.  Correttamente,  dunque,  il  Tribunale  ha  ritenuto tardiva l'invocazione dell'indicata norma.
4.3.  D'altro canto, l'ipotetico rilievo sul processo esecutivo della norma  di  cui  si discorre non sarebbe stato possibile d'ufficio  da pare del giudice dell'opposizione, giacchè si sarebbe risolto in una mutatio  della domanda e, quindi, nell'introduzione d'ufficio  di  un nuovo  fatto costitutivo ed individuatore della domanda,  vietata  al giudice dall'art. 99 c.p.c. 4.4.  - A ben vedere, peraltro, se anche l'invocazione del comma  294 bis  fosse avvenuta con l'atto di opposizione all'esecuzione, sarebbe stata   del   tutto   inutile  a  svolgere  la  funzione   di   fatto giustificativo   dell'inesistenza   del   diritto   di   assoggettare all'esecuzione i crediti pignorati.
Il  comma 294-bis, infatti, appare del tutto inidoneo a incidere  sui processi   esecutivi   pendenti  e,   quindi,   su   quello   oggetto dell'opposizione,  quanto  alla pignorabilità  dei  crediti  cui  si riferisce,  in quanto l'oggetto di disciplina che assume - nonostante qualche  ambiguità che può suggerire la formula con cui è espresso -  non  comprende,  come  suo oggetto di disciplina,  i  processi  di esecuzione  già iniziati, cioè non riguarda i pignoramenti  che  al momento  della sua entrata in vigore fossero già stati eseguiti,  ma concerne  esclusivamente l'esercizio di pretese esecutive non  ancora sfociate in un pignoramento, id est esecuzioni future. Invero,  detto oggetto  di  disciplina  è  espresso  dalla  proposizione   non  sono soggetti   ad  esecuzione  forzata,  la  quale  evoca  l'idea   della soggezione  all'esecuzione forzata come qualità di
determinati  beni e, quindi, una potenzialità statica, che come tale evoca l'essere  i "fondi"   contemplati   dalla  norma  assoggettabili   all'esecuzione forzata,  considerata  nel  suo  momento  iniziale  e,  quindi,   nel pignoramento.
Il  significato della proposizione normativa si coglie, in  sostanza, nel  senso di una imposizione a chi ha una pretesa  esecutiva vero  il Ministero della Giustizia di non esercitarla assoggettandovi i  fondi de  quibus.  E  poichè  l'assoggettamento ad esecuzione  forzata  di determinati  fondi, cioè somme di danaro disponibili  da  parte  del debitore  presso terzi, si risolve nel pignoramento, l'esegesi  della proposizione è nel senso che : non sono pignorabili i fondi.
Poichè  della  norma  non  è prevista un'applicazione  retroattiva, cioè  a pignoramenti già eseguiti, il divieto di cui si tratta  non può  che  riguardare  pretese esecutive  esercitate  successivamente all'entrata in vigore della norma. Il non sono soggetti ad esecuzione forzata, in definitiva, non può che riguardare l'esecuzione  forzata nel suo momento iniziale.
Se  il legislatore, invece, avesse voluto prevedere la non soggezione all'esecuzione  forzata  anche nel senso del   venir  meno,  sotto  il profilo   della   pignorabilità  dei  beni  già  pignorati,   della possibilità giuridica dell'ulteriore corso dei processi esecutivi in corso  sui fondi in questione, avrebbe potuto e dovuto parlare chiaro e,  quindi, disporre l'estinzione dei pignoramenti  e delle esecuzioni pendenti.  L'esegesi letterale prospettata, oltre ad   essere  imposta dal  tenore  della norma, sarebbe - ove fosse necessario  supportarla con  un'esegesi  teleologica - confermata anche  dall'interpretazione costituzionalmente orientata, atteso che tendenzialmente l'intervento del  legislatore  su pretese esecutive già concretatesi  e,  quindi, già  sfociate  in  pignoramenti eseguiti,  incidendo  sull'esercizio dell'azione esecutiva già in essere, appare
tendenzialmente idonea a determinare  un  sacrificio del diritto di  azione  che  deve  essere motivato  da evidenti e giustificate ragioni e  che, dunque, sottostà ad una valutazione di notevole rigore.
Ne consegue che, se il legislatore usa formulazioni che si prestano a scongiurare tale sacrificio e ad una lettura che riferisca  la  norma che  sancisce  una  preclusione  della  possibilità  dell'esecuzione forzata  di indirizzarsi su determini beni  (come un'impignorabilità) soltanto  all'esercizio  futuro con l'atto  iniziale  dell'esecuzione della   pretesa   esecutiva,  detta  lettura  dev'essere   senz'altro privilegiata.
Il primo motivo, dunque, appare infondato.
4.5. - Anche il secondo motivo non è fondato.
E' necessario riportare le fonti invocate con esso dal ricorrente.
In  primo  luogo, il D.L. n. 313 del 1994, art. 1 il quale, sotto  la rubrica  "Pignoramenti sulle contabilità speciali delle  prefetture, delle direzioni di amministrazione delle Forze armate  e della Guardia di finanza", recita quanto segue:
"1. I fondi di contabilità speciale a disposizione delle prefetture, delle direzioni di amministrazione delle Forze armate e della Guardia di  finanza,  nonchè le aperture di credito  a favore dei  funzionari delegati degli enti militari, degli uffici o reparti della Polizia di Stato, della Polizia penitenziaria e del Corpo forestale dello  Stato e  dei  comandi  del  Corpo nazionale dei vigili  del  fuoco,  o  del Cassiere  del Ministero dell'interno, comunque destinati a servizi  e finalità  di  protezione civile, di difesa nazionale e di  sicurezza pubblica,   al  rimborso  delle  spese  anticipate  dai  comuni   per l'organizzazione delle consultazioni elettorali, nonchè al pagamento di  emolumenti  e  pensioni a qualsiasi titolo  dovuti  al  personale amministrato, non sono soggetti ad esecuzione forzata, salvo che  per i  casi  previsti dal capo 5^ del titolo 6^ del libro 1^
del  codice civile, nonchè dal testo unico delle leggi concernenti il sequestro, il  pignoramento e la cessione degli stipendi, salari e pensioni  dei dipendenti  delle pubbliche amministrazioni, approvato con  D.P.R.  5 gennaio 1950, n. 180.  2. I pignoramenti ed i sequestri aventi per oggetto le somme affluite nelle  contabilità  speciali delle prefetture e delle  direzioni  di amministrazione ed a favore dei funzionari delegati di cui  al  comma 1,    si  eseguono  esclusivamente,  a  pena  di  nullità  rilevabile d'ufficio, secondo le disposizioni del libro 3^ - titolo 2^ - capo 2^ c.p.c.,  con  atto notificato al direttore di ragioneria responsabile presso  le  prefetture  o  al  direttore  di  amministrazione  od  al funzionario  delegato  nella  cui circoscrizione  risiedono  soggetti privati  interessati, con l'effetto di sospendere ogni  emissione  di ordinativi  di
pagamento  relativamente  alle  somme  pignorate.  Il funzionario  di  prefettura,  o  il direttore  di  amministrazione  o funzionario delegato cui sia stato notificato atto di pignoramento  o di   sequestro, è tenuto a vincolare l'ammontare, semprechè esistano sulla contabilità speciale fondi la cui destinazione sia diversa  da quelle  indicate  al comma 1, per cui si procede con annotazione  nel libro  giornale;  la notifica rimane priva di effetti  riguardo  agli ordini di  pagamento che risultino già emessi.
3.  Non sono ammessi atti di sequestro o di pignoramento ai sensi del presente articolo presso le sezioni di tesoreria dello Stato  a  pena di  nullità rilevabile anche d'ufficio. Gli atti di sequestro  o  di pignoramento  eventualmente  notificati non   determinano  obbligo  di accantonamento  da  parte  delle  sezioni  medesime  nè   sospendono l'accreditamento di somme nelle contabilità speciali intestate  alle prefetture ed alle direzioni di amministrazione  ed in quelle a favore dei funzionari delegati di cui al comma 1. 4. Viene effettuata secondo le stesse modalità stabilite nel comma 2 la  notifica  di  ogni  altro  atto consequenziale  nei  procedimenti relativi agli atti di pignoramento o di sequestro.".
In  secondo luogo va richiamato il D.L. n. 143 del 2008, art.  1  ter convertito  nella  L.  n. 181 del 2008,  il quale,  sotto  la  rubrica Pignoramenti   sulla  contabilità  ordinaria  del  Ministero   della giustizia,  degli  uffici  giudiziari  e  della  Direzione  nazionale antimafia  recita quanto segue: 1. il D.L. 25 maggio  1994,  n.  313, art.  1  convertito, con modificazioni, dalla L. 22 luglio  1994,  n. 460,   e successive modificazioni, si applica anche ai fondi destinati al  pagamento  di  spese  per  servizi e forniture  aventi  finalità giudiziaria  o  penitenziaria,  nonchè agli emolumenti  di  qualsiasi tipo  dovuti al personale amministrato dal Ministero della giustizia, accreditati  mediante  aperture di credito in favore  dei  funzionari delegati  degli  uffici  centrali e periferici  del  Ministero  della giustizia,  degli  uffici  giudiziari  e  della
Direzione  nazionale antimafia.".  Ora,  deve  considerarsi che  l'art.  1  ter  è  stato introdotto con la legge di conversione che è stata pubblicata  nella Gazz.  Uff.  del 15 novembre 2008, n. 268 e, quindi,  è  entrato  in vigore  in  un momento nel quale  parte ricorrente non avrebbe  potuto far  valere il suo intervento, provvedendo alla mutatio della domanda implicata  dalla  sua introduzione nel processo di  opposizione  come nuovo   motivo   attestante,   sostanzialmente,   un'impignorabilità sopravvenuta  delle somme pignorate: infatti, la causa venne  rimessa in decisione all'udienza del 25 settembre 2008.
In  tale  situazione,  si  dovrebbe considerare  ammissibile  che  la deduzione  della  sopravvenienza avvenga  in  questa  sede,  come  in effetti è avvenuta. Ciò, se fosse vero che la sopravvenienza de qua fosse  effettivamente  tale,  cioè  avesse  introdotto  elementi  di novità  normativa rispetto alla situazione precedente. Il  fatto  è che  non di sopravvenienza in questo senso si è  trattato, atteso che la  previsione  di applicabilità del D.L. n. 313 del  1994,  art.  1 disposta nella sua interezza dall'art. 1 ter ha determinato  la  mera reiterazione  per nuovo regolamento della materia del  comma  294-bis già introdotto dall'art. 1, comma 1348 quanto alla norma secondo non sono  soggetti ad esecuzione forzata i fondi di cui si tratta, mentre l'elemento  di  novità  è  rappresentato  dalla  estensione   delle eccezioni a tale regola previste dal D.L. n. 313 del 1994,
art. 1,  n. 1 e dalle previsioni del comma 2 e del comma 3 dello stesso articolo, che, però, non vengono in rilievo nella specie (quella del comma  3, assumendo  come oggetto di disciplina i pignoramenti - ed i sequestri -  ed  operando  solo  per il futuro, concerne  solo  i  pignoramenti successivi  all'entrata in vigore dell'art. 1 ter). Ne  conseguirebbe che  l'introduzione  in questa sede di legittimità  della  questione fondata sull'art. 1 ter si dovrebbe ritenere preclusa, perchè  questa norma  ripete  una previsione che avrebbe potuto essere invocata   fin dall'atto   di   opposizione  e,  dunque,  una  nuova  attività   di allegazione in questa sede non potrebbe essere giustificata sotto  il  profilo dello jus superveniens, che sarebbe, per quanto rileva,  solo formale.
Per  completezza,  si rileva, comunque, che, se anche  quanto  appena osservato  non fosse vero e la previsione dell'art. 1 ter, in  quanto dispositiva  dell'applicazione del D.L. n. 313 del 1994,  art.  1  si considerasse norma nuova, per la parte in cui il comma  1  di  questa norma  dispone  che non sono soggetti ad esecuzione forzata  i  fondi contemplati nell'art. 1 ter (fra cui, lo si nota per incidens  ed  in replica  a  quanto  eccepito  dal  resistente,  rientrano  le   somme pignorate  a seguito di ordine di accreditamento emesso dal Ministero con  riguardo  ad indennità di magistrati ordinari:  è  sufficiente osservare  che  tali  indennità rientrano  nel  concetto  dei  fondi destinati  al  pagamento  di  spese per servizi  e  forniture   aventi finalità  giudiziaria, cui allude l'art. 1 ter sopra citato,  atteso che  l'attività  dei magistrati onorari fa parte del  c.d.
 servizio giustizia),   e,  pertanto,  invocabile  in  questa  sede,   la    sua invocazione  non  gioverebbe al Ministero per le  ragioni  esposte  a proposito del primo motivo, perchè la norma - stante il suo tenore - non  potrebbe riguardare i pignoramenti già eseguiti e le esecuzioni in  corso  (e non diversa conclusione, come si è detto,  varrebbe  a proposito  del comma 3, concernente la rilevabilità d'ufficio  della nullità dei pignoramenti).
4.6.  In base alle considerazioni svolte sembra dunque che il ricorso debba esser rigettato".
La  relazione è stata comunicata al pubblico ministero e  notificata ai difensori delle parti.
Non sono state presentate conclusioni scritte, nè alcuna delle parti è stata ascoltata in camera di consiglio.Motivi della decisione
A   seguito  della  discussione sul ricorso, tenuta  nella  camera  di consiglio,  il Collegio ha condiviso i motivi in fatto ed in  diritto esposti nella relazione.
Conclusivamente, il ricorso deve essere rigettato.
La complessità delle questioni trattate giustifica la compensazione, fra le parti, delle spese del giudizio di cassazione.P.Q.M.
LA CORTE rigetta il ricorso. Compensa spese.

Cassazione, Sezione Terza Civile, n. 14107 del 27 giugno 2011 - Insegnante di scuola materna e arresto cardiaco in corso di servizio

Dettagli
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. TRIFONE Francesco - Presidente
Dott. PETTI Giovanni Battista - Consigliere
Dott. SPAGNA MUSSO Bruno - rel. Consigliere
Dott. D'ALESSANDRO Paolo - Consigliere
Dott. SCARANO Luigi Alessandro - Consigliere
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso 11913-2009 proposto da:
COMUNE TERLIZZI (OMISSIS), in persona del Sindaco pro tempore ing. D.T.V., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA NIZZA 53, presso lo studio dell'avvocato -
- ricorrente -
contro
-

- controricorrenti -

avverso la sentenza n. 282/2008 della CORTE D'APPELLO di BARI, Terza
Sezione civile, emessa il 13/02/2008, depositata il 18/03/2008;

R.G.N. 575/2004;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 19/05/2011 dal Consigliere Dott. PAOLO D'ALESSANDRO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. FUCCI Costantino che ha concluso per rigetto.

 




Fatto


Il Comune di Terlizzi propone ricorso per cassazione, affidato a sette motivi, avverso la sentenza della Corte di appello di Bari che, in parziale riforma della sentenza di primo grado, lo ha condannato, in solido con il MIUR, al pagamento della somma di Euro 310.000,00, oltre rivalutazione ed interessi, in favore di D.L.V., D.L. S. e D.L.C., a titolo di risarcimento del danno per la morte di D.P.M., coniuge di D.L.V. e madre di D.L.C. e S., insegnante di ruolo di scuola materna, avvenuta il 22/1/91 per arresto cardiaco in corso di servizio.

Resistono con controricorso tanto D.L.V., D.L.C. e D.L.S. quanto il MIUR.



 
Diritto
 


1.- Con il primo motivo, sotto il profilo della violazione di legge (art 360 c.p.c., n. 3), il ricorrente lamenta il vizio di ultrapetizione, assumendo che gli attori non avrebbero mai formulato una domanda di risarcimento danni per responsabilità extracontrattuale nei suoi confronti.

1.1.- Il primo motivo è infondato, per l'assorbente considerazione che il giudice - che nella specie ha configurato una azione di responsabilità extracontrattuale - ha il potere-dovere di qualificare giuridicamente l'azione e di attribuire al rapporto dedotto in giudizio un nomen juris eventualmente diverso da quello indicato dalle parti, purchè non sostituisca la domanda proposta con una diversa, modificandone i fatti costitutivi o fondandosi su una realtà fattuale non dedotta e allegata in giudizio tra le parti (Cass. 17 luglio 1997, n. 15925).

2.- Con il secondo motivo il ricorrente, sotto il profilo della violazione di legge, chiede, nel quesito di diritto ex art. 366-bis, se esso Comune "può essere condannato (e quindi considerato legittimato passivo) al risarcimento di danni patrimoniali e non patrimoniali per il decesso di una insegnante dipendente MIUR in base ad una domanda di natura contrattuale, fondata sull'art. 2087 c.c.; ed in subordine, qualora fosse qualificata come extracontrattuale la domanda, se può rinvenirsi il fatto colposo nella violazione della L. n. 444 del 1968, art. 7".
 
2.1.- Il secondo motivo è infondato.

Premessa la ammissibilità, in tema di protezione dell'integrità psico-fisica del lavoratore, del concorso tra la azione ex art. 2087 cod. civ. e l'azione ex art. 2043 (Cass. 24 febbraio 2006, n. 4184), va considerato che il Comune è obbligato, dalla L. 18 marzo 1968, n. 444, art. 7 a curare la manutenzione degli edifici adibiti a scuola materna e che tale obbligo, di natura pubblicistica, incide sul diritto primario alla salute (art. 32 Cost.) di coloro che l'immobile sono tenuti a frequentare come docenti, discenti o personale comunque dipendente dal MIUR. Ne discende la responsabilità del Comune per la violazione di tale diritto in conseguenza del proprio inadempimento, una volta che in fatto sia stato accertato il nesso causale tra detto inadempimento ed il fatto dannoso.

 
3.- Con il terzo motivo il Comune ricorrente, sotto il profilo della violazione dell'art. 2697 cod. civ., lamenta il difetto di prova riguardo al nesso di causaiità tra le condizioni ambientali di espletamento dell'attività lavorativa e l'evento morte.

3.1.- Il terzo motivo è inammissibile, in quanto il vizio lamentato, sostanziandosi in un difetto di motivazione, avrebbe dovuto semmai farsi valere con riferimento all'art. 360 c.p.c., n. 5.
 
4.- Con il quarto motivo il ricorrente lamenta la violazione degli artt. 40 e 41 cod. pen., chiedendo nel quesito di diritto se il giudice "possa attribuire nella produzione dell'evento esclusiva efficienza causale alla insalubrità dei locali ove si è svolta l'attività lavorativa, anche in presenza di una conclamata grave patologia cardiaca (idonea anche da sola a produrre la stessa causa di morte)".
4.1.- Anche il quarto motivo è inammissibile, in quanto il vizio lamentato, sostanziandosi in un vizio dì motivazione, avrebbe dovuto semmai farsi valere con riferimento all'art. 360 c.p.c., n. 5.
 
5.- Il Comune ricorrente, con il quinto motivo, lamenta il vizio di ultrapetizione in relazione alla liquidazione del danno morale.

5.1.- Il quinto motivo è infondato.

Come riportato in sentenza, gli appellanti incidentali hanno reiterato in sede di gravame tutte le richieste risarcitorie che si ricollegano a "responsabilità extracontrattuale dei convenuti, da cui consegue il diritto al risarcimento dei danni morali e patrimoniali subiti dalla defunta D.P. e dagli istanti come ontologicamente specificati in citazione, e riformulati in sede di conclusioni". Non sussiste, dunque, alcuna ultrapetizione da parte del giudice di appello.

 
6.- Il Comune ricorrente, sotto i profili della violazione di legge e del vizio di motivazione, censura con il sesto motivo la sentenza impugnata quanto al riconoscimento de danno biologico iure hereditatis e del danno patrimoniale.
6.1.- Quanto al danno biologico iure hereditatis il mezzo è infondato, in quanto il rigetto dell'appello del Comune sul punto è motivato con la circostanza (non contestata) che "la sig.ra D. P. non decedette all'istante senza maturare il diritto al risarcimento da trasferire agli eredi, ma subì un progressivo deterioramento delle sue condizioni di salute e, dunque, tale danno va collegato alla lunga durata della malattia e alta progressiva sofferenza sino alla morte per un apprezzabile lasso di tempo".

Il sesto motivo è peraltro infondato anche quanto al danno patrimoniale.

Il ricorrente sostiene che gli attori non avrebbero provato il contributo economico della loro congiunta al patrimonio familiare.

Al riguardo va considerato che la valutazione equitativa del danno (quale quella compiuta nella specie dal giudice di merito), in quanto inevitabilmente caratterizzata da un certo grado di approssimatività, è suscettibile di rilievi in sede di legittimità, sotto il profilo del vizio della motivazione, solo se difetti totalmente la giustificazione che quella statuizione sorregge, o macroscopicamente si discosti dai dati di comune esperienza, o sia radicalmente contraddittoria (Cass. 26 gennaio 2010, n. 1529).

Nella specie il giudice di merito, considerando che un terzo del reddito della D.P. sarebbe stato destinato ai bisogni della famiglia, non si è discostato da dati di comune esperienza, tenuto conto - come si legge in sentenza - "delle esigenze personali del percettore dei reddito in relazione al tenore di vita, all'educazione, all'istruzione, alla posizione sociale ed all'età al momento del decesso". Nè, d'altro canto, compete al giudice di legittimità (trattandosi di questione di merito) valutare se fosse congrua, in relazione alle condizioni di salute della D.P., una previsione di attività lavorativa di dieci anni.

 
7.- Con il settimo motivo il Comune lamenta il vizio di ultrapetizione in relazione alla condanna (che si assume non richiesta) alla rifusione delle spese di CTU, svolta in primo grado.

 
7.1.- Il mezzo è infondato. La parziale riforma della sentenza di primo grado, in senso favorevole agli attori, giustifica infatti una modifica, anche d'ufficio, del regolamento delle spese del grado, anche riguardo alla CTU.
 
8.- Conclusivamente, il ricorso va rigettato, con la condanna dei ricorrente al pagamento delle spese quanto ai D.L., liquidate in Euro 6.200, di cui Euro 6.000 per onorari, oltre spese generali ed accessori di legge, apparendo invece equo disporre la compensazione nei confronti del MIUR.




P.Q.M.



la Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese nei confronti dei D.L., liquidate in Euro 6.200, di cui Euro 6.000 per onorari, oltre spese generali ed accessori di legge; spese compensate nei confronti del MIUR.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Terza Sezione civile, il 19 maggio 2011.

 
   

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