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Cassazione civile. Sezione II Ordinanza 10716 del 13-05-2011
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Cassazione: Il giudice a quo, accogliendo le tesi dell'opponente, ha ritenuto che l'accertamento della violazione non potesse essere considerato attendibile, in quanto effettuato mediante uno strumento, il telelaser, al quale, necessitando dell'intervento umano ed essendo, quindi, condizionato nel funzionamento dalle doti percettive e reattive dell'agente ...
CIRCOLAZIONE STRADALE
Cass. civ. Sez. II, Ord., 13-05-2011, n. 10716
Fatto - Diritto P.Q.M.
Svolgimento del processo - Motivi della decisione
Il Ministero dell'Interno e l'Ufficio Territoriale del Governo di Livorno impugnano, della L. 24 novembre 1981, n. 689, ex art. 23, comma 13, la sentenza 30.5.05 con la quale il Giudice di Pace di Piombino ha accolto l'opposizione proposta da #################### avverso l'ordinanza-ingiunzione 11.3.04 n. 387/04/Ric. Area 4^ di quell'UTG confermativa del verbale n. (OMISSIS) redatto nei confronti dell'opponente dalla Polizia Stradale di quel capoluogo il (OMISSIS) per contestargli l'infrazione all'art. 142 C.d.S., comma 9 (eccesso di velocità).
L'intimato non svolge attività difensiva.
Il giudice a quo, accogliendo le tesi dell'opponente, ha ritenuto che l'accertamento della violazione non potesse essere considerato attendibile, in quanto effettuato mediante uno strumento, il telelaser, al quale, necessitando dell'intervento umano ed essendo, quindi, condizionato nel funzionamento dalle doti percettive e reattive dell'agente, non potrebbe essere riconosciuta quell'affidabilità che è in grado di garantire la sola rilevazione esclusivamente strumentale, mentre il concomitante passaggio d'altro veicolo e la contestazione ad opera d'un agente diverso da quello rilevatore aumenterebbero le ragioni di. dubbio in ordine all'identificazione del veicolo sul quale è effettivamente eseguito il puntamento; tali considerazioni, ad avviso del giudicante, evidentemente consentono di superare la fede privilegiata
attribuita dall'art. 2700 c.c. al verbale redatto dall'agente accertatore, l'idoneità probatoria del quale non è messa in discussione in astratto ma è esclusa nel caso concreto, sulla supposta possibilità d'errore umano nella percezione e mancando un accertamento altrimenti reso incontrovertibile.
Siffatta decisione è censurata dal ricorrente con un unico complesso motivo di ricorso - nel quale si denunziano violazioni dell'art. 142 C.d.S., comma 4, art. 345 reg. esec. C.d.S., L. n. 689 del 1981, art. 1, comma 3, artt. 2697 e 2700 c.c..
Attivatasi procedura ex art. 375 c.p.c., il Procuratore Generale invia requisitoria scritta nella quale, concordando con il parere espresso nella nota di trasmissione, conclude con richiesta d'accoglimento del ricorso siccome manifestamente fondato.
Al riguardo il Collegio, riunito in camera di consiglio il 7.10.2010 e successivamente, a seguito di riconvocazione, il 03.05.2011, ritiene che le considerazioni svolte dal Procuratore Generale e la conclusione cui è pervenuto debbano essere condivise alla luce della giurisprudenza formatasi in materia.
Considerata la normativa vigente nell'ottobre 2003, epoca della commessa infrazione e, quindi, nella specie applicabile, va, infatti osservato quanto segue.
L'art. 142 C.d.S., comma 6 dispone che "per la determinazione dell'osservanza dei limiti di velocità sono considerate fonti di prova le risultanze di apparecchiature debitamente omologate, nonchè le registrazioni del cronotachigrafo e i documenti relativi ai percorsi autostradali, come precisato dal regolamento".
L'art. 345 reg. esec. C.d.S., sotto la rubrica "Apparecchiature e mezzi di accertamento della osservanza dei limiti di velocità", a sua volta, dispone, al comma 1, che "Le apparecchiature destinate a controllare l'osservanza dei limiti di velocità devono essere costruite in modo da raggiungere detto scopo fissando la velocità del veicolo in un dato momento in modo chiaro ed accettabile, tutelando la riservatezza dell'utente"; al comma 2, che "le singole apparecchiature devono essere approvate dal Ministero dei lavori pubblici"; al comma 4, che "per l'accertamento delle violazioni dei limiti di velocità, le apparecchiature di cui al comma 1 devono essere gestite direttamente dagli organi di polizia stradale di cui all'art. 12 C.d.S. e devono essere nella disponibilità degli stessi".
Dunque, per il C.d.S. e per il relativo Regolamento, le apparecchiature elettroniche di controllo della velocità, devono essere omologate od approvate, devono consentire di fissare la velocità del veicolo in un dato momento in modo chiaro ed accettabile e possono essere utilizzate esclusivamente dagli organi di polizia stradale di cui all'art. 12 C.d.S. (comma 1:
"L'espletamento dei servizi di polizia stradale previsti dal presente codice spetta: a) in via principale alla specialità Polizia Stradale della Polizia di Stato; b) alla Polizia di Stato; c) all'Arma dei carabinieri; d) al Corpo della guardia di finanza; d-bis) ai Corpi e ai servizi di polizia provinciale, nell'ambito del territorio di competenza; e) ai Corpi e ai servizi di polizia municipale, nell'ambito del territorio di competenza; f) ai funzionari del Ministero dell'interno addetti al servizio di polizia stradale; f- bis) al Corpo di polizia penitenziaria e al Corpo forestale dello Stato, in relazione ai compiti di istituto"), la cui presenza, tuttavia, negli indicati casi non è prescritta.
Non è, invece, richiesto, come a volte ritenuto da giudici del merito, che dette apparecchiature siano anche munite di dispositivi in grado d'assicurare una documentazione, con modalità meccaniche automatiche - quale, tra le altre, la fotografica - dell'accertamento dell'infrazione, in quanto la fonte primaria prescrive solo che le apparecchiature elettroniche possano costituire fonte di prova, se debitamente omologate.
La norma regolamentare, alla quale rinvia l'art. 142 C.d.S., comma 6, stabilisce i requisiti ai quali è subordinata l'approvazione delle apparecchiature elettroniche - tra i quali l'idoneità a consentire la rilevazione della velocità del veicolo in modo chiaro ed accertabile, requisito che presuppone unicamente la determinazione inequivoca della velocità stessa, ben potendo l'identificazione del veicolo essere demandata alla contestuale attività d'accertamento dell'agente di polizia addetto all'apparecchiatura, come prescritto dal surrichiamato art. 345 del regolamento - e tanto dispone senza alcun esplicito od implicito riferimento alla necessità d'una documentazione fotografica od altrimenti meccanica dell'individuazione stessa.
Nè potrebbe arguirsi l'indispensabilità di detta documentazione, per rendere la rilevazione della velocità chiara ed accertabile, dal fatto che la disposizione regolamentare prescriva che l'accertamento debba avvenire tutelando la riservatezza dell'utente, in quanto dalla previsione esplicita, tra l'altro a diverso fine, d'una modalità d'accertamento, riferibile all'eventuale documentazione fotografica dell'infrazione commessa, non può trarsi la conseguenza ch'essa costituisca l'unica modalità d'identificazione del veicolo normativamente consentita od obbligatoria.
In considerazione della materia oggetto di regolamentazione e della rapida evoluzione tecnologica, deve, anzi, ritenersi che opportunamente la fonte regolamentare si sia limitata a prevedere che le apparecchiature debbano consentire di fissare la velocità del veicolo in un determinato momento in modo chiaro ed accertabile e non abbia, viceversa, delineato anche le caratteristiche necessarie per l'approvazione, attestandosi sulla tipologia delle apparecchiature all'epoca esistenti.
Alle esaminate disposizioni di carattere generale si è successivamente aggiunta - ma non sostituita, in ragione della specificità delle ipotesi previste e regolate - la norma speciale posta dal D.L. 20 giugno 2002, n. 168, art. 4 come convertito con modificazioni dalla L. 1 agosto 2002, n. 168, con la quale il legislatore, dopo aver disposto, al comma 1, che sulle particolari strade indicatevi possano essere utilizzati od installati dispositivi o mezzi tecnici di controllo del traffico ... finalizzati al rilevamento a distanza delle infrazioni alle norme di comportamento di cui agli artt. 142 e 148 C.d.S., prescrive, al terzo comma, che, in tal caso, la violazione debba essere documentata con sistemi fotografici, di ripresa video o con analoghi dispositivi che ... consentano di accertare, anche in tempi successivi, le
modalità di svolgimento dei fatti costituenti illecito amministrativo nonchè i dati d'immatricolazione del veicolo ovvero il responsabile della circolazione, specificando, altresì, che gli apparecchi di rilevamento automatico della violazione debbono essere approvati od omologati ai sensi dell'art. 45 C.d.S. ove utilizzati senza la presenza od il diretto intervento degli agenti preposti.
Un'interpretazione letterale e razionale della norma in esame, con particolare riferimento ai due periodi dei quali si compone il terzo comma, evidenzia come la previsione d'apparecchiature capaci di documentare mediante fotografia o simili le modalità della violazione e l'identificazione del veicolo attenga alle ipotesi nelle quali l'accertamento abbia luogo in un momento successivo, id est in base alla lettura della documentazione stessa (previa stampa di quanto registrato su pellicola o memory stick o altro supporto), essendo mancata la presenza degli agenti al momento della violazione;
diversamente, nelle ipotesi in cui la violazione si verifichi su strade diverse da quelle considerate, con apparecchiature non predisposte per la memorizzazione dell'infrazione con i detti mezzi ma, comunque, alla presenza degli agenti, rimane valida l'applicazione della normativa generale, per la quale, come sì è visto, questi ultimi possono rilevare mediante lo strumento il dato tecnico della violazione e contestualmente procedere di persona all'identificazione del veicolo.
Al qual riguardo, è noto che, secondo il prevalente orientamento della giurisprudenza di legittimità (recentemente confermato dalle SS.UU. di questa Corte con sentenza 24.7.09 n. 17355), nel giudizio d'opposizione avverso l'ingiunzione di pagamento di una sanzione amministrativa, il verbale d'accertamento dell'infrazione fa piena prova, fino a querela di falso, dei fatti in esso attestati dal pubblico ufficiale come avvenuti in sua presenza nonchè della sua provenienza dal pubblico ufficiale medesimo, stante l'efficacia probatoria privilegiata attribuita all'atto pubblico dall'art. 2700 c.c..
Ne consegue che l'accertamento delle violazioni alle norme sulla velocità deve ritenersi provato sulla base della verbalizzazione dei rilievi tratti dalle apparecchiature previste dal detto art. 142 C.d.S. e delle constatazioni personali degli agenti - constatazioni che, attenendo a dati obiettivi quali la lettura del display dello strumento e la rilevazione del numero della targa, non costituiscono "percezioni sensoriali" implicanti margini d'apprezzamento individuale - facendo infatti prova il verbale fino a querela di falso dell'effettuazione di tali rilievi e constatazioni; le risultanze dei rilevamenti valgono, poi, fino a prova contraria, la quale può essere data dall'opponente in base alla dimostrazione del difetto di funzionamento dei dispositivi, anche occasionale in relazione alle condizioni della strada e del traffico
al momento della rilevazione, da fornirsi in base a concrete circostanze di fatto, mentre non può essere ipotizzata, come nella specie, senza alcuna concreta dimostrazione (Cass. 5.7.06 n. 15324, 29.3.06 n. 7126, 10.1.05 n. 287, 20.4.05 n. 8232, 24.3.04 n. 5873, 12.7.01 n. 9441, 25.5.01 n. 7106).
Orbene, con riferimento all'apparecchiatura denominata telelaser, debitamente omologata, il giudice a quo ha errato nell'affermare che l'accertamento della velocità, con riferimento ad un singolo determinato veicolo, non potesse essere idoneamente documentato dal verbale degli a-genti addetti alla rilevazione, essendo il relativo verbale assistito da efficacia probatoria fino a querela di falso quanto ai dati in esso attestati dal pubblico ufficiale (SS.UU. cit.).
D'altra parte, all'esame dell'impugnata sentenza, salvo il giudice a quo avesse ritenuto implicitamente assorbita la questione, non risulta che l'opponente avesse dedotto un cattivo funzionamento dell'apparecchio utilizzato nella circostanza od un errore di puntamento da parte degli agenti e fornito prova degli specifici elementi concreti dai quali desumere tali circostanze, all'uopo risultando del tutto generica l'allegazione del contestuale passaggio anche d'un diverso veicolo, onde doveva essere tratta la conclusione che le risultanze dell'accertamento compiuto con l'apparecchiatura elettronica non erano state vinte da prova contraria.
In difetto della quale - che, giova ribadire, incombe all'opponente dedurre e fornire - devesi concludere che l'accertamento dell'infrazione è valido e legittimo, dacchè, da un lato, l'apparecchiatura telelaser consente la visualizzazione della velocità rilevata, dall'altro, la riferibilità della velocità ad un veicolo determinato discende dall'operazione di puntamento e, quindi, d'identificazione del veicolo stesso effettuata ed attestata, validamente sino a querela di falso, dall'agente di polizia stradale che ha in uso l'apparecchiatura in questione.
A tali principi e considerazioni il giudice a quo non si è conformato, onde l'impugnata sentenza va annullata, peraltro senza rinvio.
Poichè, infatti, dalla sentenza stessa risulta che la questione esaminata rappresentava l'unico motivo d'opposizione, questo essendo risultato infondato per le ragioni sopra esposte, la causa può essere decisa nel merito in questa sede, ex art. 384 c.p.c., con rigetto dell'originaria opposizione.
Le spese, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza per il giudizio di legittimità, mentre, per quello di merito, non v'ha luogo a provvedere, non risultando attività difensiva dell'Amministrazione e, comunque, non avendo questa depositato la nota delle spese vive liquidabili.P.Q.M.
LA CORTE accoglie il ricorso, cassa senza rinvio l'impugnata sentenza e, decidendo nel merito, respinge l'originaria opposizione; condanna #################### alle spese del giudizio di legittimità che liquida in Euro 400,00 per onorari oltre esborsi prenotati a debito ed accessori di legge.
Cass. civ. Sez. II, Ord., 28-06-2011, n. 14323
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- Creato Venerdì, 16 Settembre 2011 18:54
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Cassazione "...Preliminarmente occorre rilevare che in tema di sanzioni amministrative irrogate per violazione al codice della strada, proposta direttamente opposizione dinanzi all'autorità giudiziaria avverso l'originario verbale di accertamento e contestazione dell'infrazione, la legittimazione passiva va riconosciuta alle singole amministrazioni, locali, per i corpi dalle stesse dipendenti, o centrali, per i corpi statuali, cui appartengono i vari corpi autorizzati alla contestazione, in particolare: per la polizia municipale, il Comune in persona del sindaco; per i carabinieri, il ministero della difesa, e, in alternativa, il ministero dell'interno, al quale l'art. 11 C.d.S., attribuisce specifiche competenze in materia di circolazione stradale ed ha il compito di coordinamento dei servizi di vigilanza sulla circolazione stessa, in persona dei rispettivi ministri; per la polizia della strada, il medesimo ministero dell'interno, ecc....."
CIRCOLAZIONE STRADALE
Cass. civ. Sez. II, Ord., 28-06-2011, n. 14323
Fatto - Diritto P.Q.####################
Svolgimento del processo - Motivi della decisione
Il consigliere relatore ha depositato relazione ai sensi dell'art. 380 bis c.p.c., che è stata comunicata alle parti costituite.
Essa reca: "Il giudice di pace di Grumello del Monte, pronunciando sull'opposizione proposta da #################### per impugnare un processo verbale di accertamento e contestazione del 23.2.2007 redatto dal Corpo di Polizia Intercomunale dei ####################, rigettava l'opposizione, ma riduceva la sanzione pecuniaria ed escludeva la decurtazione dei punti patente.
Su appello del predetto Corpo di Polizia, il tribunale di Bergamo, contumace la ####################, riformava su quest'ultimo punto la decisione del giudice di primo grado e confermava "il verbale nella parte in cui decurtava due punti sulla patente di guida" dell'appellata.
La #################### ha proposto ricorso per cassazione notificato il 4 marzo 2009. Parte intimata non ha svolto attività difensiva.
Preliminarmente occorre rilevare che in tema di sanzioni amministrative irrogate per violazione al codice della strada, proposta direttamente opposizione dinanzi all'autorità giudiziaria avverso l'originario verbale di accertamento e contestazione dell'infrazione, la legittimazione passiva va riconosciuta alle singole amministrazioni, locali, per i corpi dalle stesse dipendenti, o centrali, per i corpi statuali, cui appartengono i vari corpi autorizzati alla contestazione, in particolare: per la polizia municipale, il Comune in persona del sindaco; per i carabinieri, il ministero della difesa, e, in alternativa, il ministero dell'interno, al quale l'art. 11 C.d.S., attribuisce specifiche competenze in materia di circolazione stradale ed ha il compito di coordinamento dei servizi di vigilanza sulla circolazione stessa, in
persona dei rispettivi ministri; per la polizia della strada, il medesimo ministero dell'interno, ecc.. Detta circostanza, in quanto attinente alla regolare costituzione del contraddittorio e, quindi, ad inderogabili disposizioni d'ordine pubblico processuale, è rilevabile d'ufficio in ogni stato e grado del giudizio, compreso quello di legittimità, sempre che, sulla stessa, non si sia precedentemente formato il giudicato. (Cass. 17189/07).
La sentenza citata ha ripreso e precisato quanto insegnato, in materia, da SS.UU. 21624/06, a mente della quale la legittimazione passiva spetta all'amministrazione dalla quale dipendono gli agenti che hanno accertato la violazione, quindi, qualora il verbale sia stato elevato dalla Polizia municipale, legittimato a resistere all'opposizione è il Comune. Nel caso in cui il ricorso sia stato notificato anzichè al Comune all'organo di una diversa amministrazione (nel caso di specie, il Prefetto), non si può ritenere che l'atto sia soltanto irregolare, non potendo farsi applicazione neppure estensiva della previsione contenuta nella L. n. 260 del 1958, art. 4, che disciplina esclusivamente la rappresentanza in giudizio dello Stato; tuttavia, poichè nel procedimento di opposizione a sanzione amministrativa l'obbligo di
notificare il ricorso e il decreto di fissazione udienza al soggetto passivamente legittimato grava sull'ufficio giudiziario adito, e non sulla parte, se anche il ricorrente nel proporre l'opposizione abbia indicato erroneamente il soggetto cui notificare l'atto, ciò non esime l'ufficio giudiziario dall'obbligo di identificare correttamente quest'ultimo. Ne consegue che, qualora sia stato erroneamente evocato in giudizio un soggetto privo di legittimazione passiva a causa dell'errore della parte cui non abbia fatto seguito un intervento correttivo della cancelleria, l'errore nella identificazione del legittimato passivo non si traduce nell'inammissibilità del ricorso, ma in un vizio della sentenza. Va aggiunto che la rilevabilità di ufficio di detto vizio è stata confermata da SSUU 26019/08, secondo la quale: Il potere di controllo delle
nullità (non sanabili o non sanate), esercitabile in sede di legittimità, mediante proposizione della questione per la prima volta in tale sede, ovvero mediante il rilievo officioso da parte della Corte di cassazione, va ritenuto compatibile con il sistema delineato dall'art. 111 Cost., allorchè si tratti di ipotesi concernenti la violazione del contraddittorio - in quanto tale ammissibilità consente di evitare che la vicenda si protragga oltre il giudicato, attraverso la successiva proposizione dell'actio nullitatis o del rimedio impugnatorio straordinario ex art. 404 cod. proc. civ., da parte del litisconsorte pretermesso - ovvero di ipotesi riconducibili a carenza assoluta di potestas iudicandi".
Nel caso di specie vi è stata violazione del contraddittorio (art. 101 c.p.c.), erroneamente instaurato sin dal primo grado di giudizio con il Corpo Intercomunale di polizia e non con il Comune in persona del Sindaco, organo avente potere di rappresentanza esterna dell'ente locale. Sul punto non risulta che si sia formato il giudicato, poichè manca espressa pronuncia a seguito di contestazione specifica.
La Corte potrà pertanto rilevare il vizio nella formazione del contraddittorio, con le conseguenze del caso.
Va inoltre rilevato che la sentenza ha avuto ad oggetto - ed il ricorso concerne - la decurtazione dei punti patente, materia che è sottratta al potere sanzionatorio dell'ente locale consistendo, questa, in una sanzione accessoria che consegue alla violazione contestata e che deve essere irrogata con specifico provvedimento ministeriale, rispetto al quale l'attività di accertamento è soltanto propedeutica e contro il quale va rivolta l'eventuale opposizione ai sensi della L. 24 novembre 1981, n. 689, art. 22".
Il Collegio condivide pienamente la relazione e ricorda che, secondo la giurisprudenza già formatasi in riferimento a casi analoghi, la violazione dell'art. 101 c.p.c., comporta la nullità di tutti gli atti del giudizio e si riflette sull'impugnata sentenza. Detta circostanza, in quanto attinente alla regolare costituzione del contraddittorio e, quindi, ad inderogabili disposizioni d'ordine pubblico processuale, è rilevabile anche d'ufficio in ogni stato e grado del giudizio, compreso quello di legittimità.
Non di meno, in osservanza del dictum delle SS.UU. sopra richiamato va dichiarata la consequenziale nullità degli atti del giudizio e, quindi, della sentenza impugnata con rinvio al giudice di primo grado, il quale dovrà procedere nuovamente agli incombenti di cui alla L. n. 689 del 1981, art. 23, ed, in particolare, disporre la notificazione del ricorso al competente Comune, in persona del Sindaco pro tempore.P.Q.####################
La Corte decidendo sul ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese, al giudice di pace di Grumello del Monte, con termine di legge per la riassunzione.
DANNI IN MATERIA CIVILE E PENALE - LAVORO (RAPPORTO DI)
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- Creato Giovedì, 15 Settembre 2011 21:08
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Cassazione "...Come questa Corte ha già precisato (cfr. Cass. n. 3785/2009), per mobbing si intende una condotta del datore di lavoro o del superiore gerarchico, sistematica e protratta bel tempo, tenuta nei confronti del lavoratore nell'ambiente di lavoro, che si risolve in sistematici e reiterati comportamenti ostili che finiscono per assumere forme di prevaricazione o di persecuzione psicologica, da cui può conseguire la mortificazione morale e l'emarginazione del dipendente, con effetto lesivo del suo equilibrio fisio - psichico e del complesso della sua personalità...."
DANNI IN MATERIA CIVILE E PENALE - LAVORO (RAPPORTO DI)
Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., 31-05-2011, n. 12048
Fatto Diritto ####################Q.M.
Svolgimento del processo
#################### ha convenuto in giudizio davanti al Tribunale di San Remo la #################### sas esponendo di aver lavorato presso l'Agenzia di viaggi di quest'ultima come impiegata, rivestendo anche il ruolo di direttore tecnico, dapprima con un contratto di collaborazione coordinata e continuativa e successivamente con un contratto di lavoro subordinato, in realtà prestando la propria attività lavorativa sempre alle dipendenze e sotto le direttive del titolare dell'impresa, e di avere subito nel corso del rapporto di lavoro, a causa delle sue richieste di regolarizzazione del rapporto stesso, una serie di comportamenti vessatori e ostili tendenti alla sua completa emarginazione professionale e al progressivo isolamento dai colleghi, comportamenti per i quali aveva sofferto di disturbi sia fisici che psichici. Ha chiesto quindi la condanna del datore di
lavoro al risarcimento del danno biologico, del danno alla vita di relazione e del danno morale.
Il Tribunale ha respinto la domanda ritenendo che non fosse emersa la prova di un atteggiamento persecutorio nei confronti della dipendente. Anche l'appello proposto dalla #################### è stato respinto dalla Corte di Appello di Genova, che ha ritenuto che non fosse stata raggiunta la prova di un tale atteggiamento persecutorio.
Avverso tale sentenza ricorre per cassazione #################### affidandosi a cinque motivi di ricorso. L'intimata non ha svolto attività difensiva.Motivi della decisione
1.- Con il primo motivo la ricorrente deduce l'omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso decisivo per il giudizio, sull'assunto che la Corte territoriale avrebbe ritenuto come circostanza pacifica che nel periodo iniziale si fosse instaurato tra le parti un rapporto di lavoro autonomo, laddove la ricorrente aveva dedotto di avere sempre svolto attività di lavoro dipendente, come, del resto, era chiaramente emerso all'esito dell'attività istruttoria svolta nel giudizio di primo grado.
2.- Con il secondo motivo la ricorrente lamenta omessa valutazione complessiva delle prove e relativo vizio di motivazione, sul rilievo che il giudice di appello avrebbe omesso di valutare nel loro complesso gli episodi posti a fondamento della domanda, omettendo altresì di prendere in considerazione le risultanze della consulenza tecnica d'ufficio disposta in primo grado, che aveva confermato l'esistenza dei disturbi psichici denunciati dalla ricorrente, pur negando il nesso causale tra tali disturbi e l'attività lavorativa svolta.
3.- Con il terzo motivo si denuncia violazione o falsa applicazione dell'art. 2087 c.c., formulando il seguente quesito di diritto: "la responsabilità del datore di lavoro per violazione della personalità morale del lavoratore può sussistere anche in conseguenza di uno (o più) atti lesivi della dignità e del decoro personale e professionale dello stesso pur in difetto di un disegno persecutorio finalizzato ad espellere il dipendente (fattispecie di mobbing)?". 4.- Con il quarto e il quinto motivo di ricorso si denunciano omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione in ordine alla domanda di risarcimento del danno per violazione dell'art. 2087 c.c., sottolineando che l'esistenza della responsabilità del datore di lavoro, nel caso in esame, era stata invocata e doveva riconoscersi anche come fondata sulla violazione
dell'art. 2043 c.c., non potendo dubitarsi che i fatti indicati dalla ricorrente costituissero, al tempo stesso, violazione di obblighi contrattualmente gravanti sul datore di lavoro, ex art. 2087 c.c., e violazione del precetto del neminem laedere gravante sulla generalità dei consociati, ex art. 3043 c.c. 5.- Il ricorso è infondato. Come questa Corte ha già precisato (cfr. Cass. n. 3785/2009), per mobbing si intende una condotta del datore di lavoro o del superiore gerarchico, sistematica e protratta bel tempo, tenuta nei confronti del lavoratore nell'ambiente di lavoro, che si risolve in sistematici e reiterati comportamenti ostili che finiscono per assumere forme di prevaricazione o di persecuzione psicologica, da cui può conseguire la mortificazione morale e l'emarginazione del dipendente, con effetto lesivo del suo equilibrio
fisio - psichico e del complesso della sua personalità.
Ai fini della configurabilità della condotta lesiva del datore di lavoro sono, pertanto, rilevanti: a) la molteplicità di comportamenti di carattere persecutorio, illeciti o anche leciti se considerati singolarmente, che siano stati posti in essere in modo miratamente sistematico e prolungato contro il dipendente con intento vessatorio; b) l'evento lesivo della salute o della personalità del dipendente; c) il nesso eziologico tra la condotta del datore o del superiore gerarchico e il pregiudizio all'integrità psico - fisica del lavoratore; d) la prova dell'elemento soggettivo, cioè dell'intento persecutorio. La domanda di risarcimento del danno proposta dal lavoratore per il mobbing subito è soggetta a specifica allegazione e prova in ordine agli specifici fatti asseriti come lesivi (Cass. n. 19053/2005). Cass. 6 marzo 2006, n. 4774
ha poi ritenuto che l'illecito del datore di lavoro nei confronti del lavoratore consistente nell'osservanza di una condotta protratta nel tempo e con le caratteristiche della persecuzione finalizzata all'emarginazione del dipendente (c.d. mobbing) - che rappresenta una violazione dell'obbligo di sicurezza posto a carico dello stesso datore dall'art. 2087 c.c. - si può realizzare con comportamenti materiali o provvedimentali dello stesso datore di lavoro indipendentemente dall'inadempimento di specifici obblighi contrattuali previsti dalla disciplina del rapporto di lavoro subordinato. La sussistenza della lesione del bene protetto e delle sue conseguenze deve essere verificata - procedendosi alla valutazione complessiva degli episodi dedotti in giudizio come lesivi - considerando l'idoneità offensiva della
condotta del datore di lavoro, che può essere dimostrata, per la sistematicità e durata dell'azione nel tempo, dalle sue caratteristiche oggettive di persecuzione e discriminazione, risultanti specificamente da una connotazione emulativa e pretestuosa, anche in assenza della violazione di specifiche norme attinenti alla tutela del lavoratore subordinato.
Nella specie, la Corte territoriale ha preso in esame l'insieme dei comportamenti del datore di lavoro dedotti come lesivi dalla ricorrente, escludendone ogni intento persecutorio o emulativo, sia con riferimento agli episodi collegati, secondo l'assunto, all'insorgenza delle "prime manifestazioni patologiche sia con riferimento agli episodi successivi, osservando, quanto a questi ultimi, che dalle risultanze istruttorie non era emersa l'esistenza di comportamenti connotati da carattere persecutorio nei confronti della dipendente e che gli unici episodi, comunque marginali ed isolati, rispetto ai quali poteva essere espresso un giudizio di biasimo (lancio dello stipendio sul tavolo, consegna della retribuzione in un sacco di monetine) si erano verificati "in tempi di molto successivi all'inizio della manifestazione delle
patologie, quando la #################### non andava più a lavorare e si recava in agenzia solo per ritirare lo stipendio ...", sì che, valutate tutte le circostanze sopra indicate, doveva escludersi che fosse stata raggiunta la prova di un atteggiamento emarginante, discriminatorio o persecutorio nei confronti della lavoratrice.
Si tratta di una valutazione di fatto, devoluta al giudice del merito, non censurabile nel giudizio di cassazione in quanto comunque assistita da motivazione sufficiente e non contraddittoria; anche perchè la ricorrente non ha riportato in ricorso il contenuto delle deposizioni testimoniali delle quali assume essere stato omesso ogni esame (tranne quello di una deposizione, che tuttavia non appare decisiva ai fini della collocazione temporale degli episodi di cui si discute) e non ha neppure indicato quali sarebbero gli elementi che la Corte territoriale avrebbe trascurato di esaminare (in conseguenza della erronea interpretazione degli atti di causa, denunciata con il primo motivo) e che avrebbero dovuto orientare la decisione in senso diverso, sicchè le censure espresse nei primi due motivi di ricorso - al di là della loro corretta impostazione in diritto
circa la definizione dei comportamenti che possono integrare in astratto la fattispecie del mobbing - rimangono poi confinate ad una mera contrapposizione rispetto alla valutazione di merito operata dalla Corte d'appello, inidonea a radicare un deducibile vizio di motivazione di quest'ultima. Deve ribadirsi, al riguardo, che, come è stato più volte affermato da questa Corte, la deduzione di un vizio di motivazione della sentenza impugnata con ricorso per cassazione conferisce al giudice di legittimità non il potere di riesaminare il merito dell'intera vicenda processuale sottoposta al suo esame, bensì la sola facoltà di controllo, sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza logico - formale, delle argomentazioni svolte dal giudice di merito, al quale spetta, in via esclusiva, il compito di individuare le
fonti del proprio convincimento, di assumere e valutare le prove e di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad esse sottesi, senza essere tenuto ad un'esplicita confutazione degli altri elementi probatori non accolti, anche se allegati dalle parti. Il vizio di omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione denunciabile con ricorso per cassazione ai sensi dell'art. 360 c.####################c., n. 5, ricorre, dunque, soltanto quando nel ragionamento del giudice di merito sia riscontrabile il mancato o insufficiente esame di punti decisivi della controversia, prospettati dalle parti o rilevabili d'ufficio, ovvero un insanabile contrasto tra le argomentazioni adottate, tale da non consentire l'identificazione del procedimento logico-giuridico posto a base della decisione,
mentre tale vizio non si configura allorchè il giudice di merito abbia semplicemente attribuito agli elementi valutati un valore e un significato diversi dalle aspettative e dalle deduzioni di parte (cfr. ex plurimis Cass. n. 10657/2010, Cass. n. 9908/2010, Cass. n. 27162/2009, Cass. n. 16499/2009, Cass. n. 13157/2009, Cass. n. 6694/2009, Cass. n. 42/2009, Cass. n. 17477/2007, Cass. n. 15489/2007, Cass. n. 7065/2007, Cass. n. 1754/2007, Cass. n. 14972/2006, Cass. n. 17145/2006, Cass. n. 12362/2006, Cass. n. 24589/2005, Cass. n. 16087/2003, Cass. n. 7058/2003, Cass. n. 5434/2003, Cass. n. 13045/97, Cass. n. 3205/95).
6.- Il primo ed il secondo motivo vanno, pertanto, rigettati.
7.- Anche il terzo motivo, con il quale, sostanzialmente, si contesta una non corretta interpretazione delle domande formulate con l'atto introduttivo e della normativa in esso richiamata, deve essere respinto. Invero, anche a prescindere dalla pur di per sè assorbente considerazione che la ricorrente non riporta puntualmente nel ricorso per cassazione il contenuto integrale dell'atto introduttivo (non essendo sufficiente il richiamo di alcuni passi del ricorso ex art. 414 c.####################c. o la riproduzione in forma indiretta dello stesso atto contenuta nelle premesse del ricorso per cassazione), nè gli esatti termini in cui la domanda è stata riproposta in appello, va rilevato che nel ricorso non vengono neppure indicate le norme che la Corte territoriale avrebbe violato nell'interpretazione di una domanda che pure, anche secondo la ricorrente, era diretta a
sostenere la sussistenza del mobbing e che negli stessi termini, a quanto si legge nella motivazione della sentenza impugnata, sarebbe stata riprodotta nel grado di appello; e tutto ciò senza considerare che l'interpretazione della domanda e l'apprezzamento della sua ampiezza, oltre che del suo contenuto, costituiscono, anche nel giudizio di appello, ai fini della individuazione del devolutum, un tipico apprezzamento di fatto riservato al giudice del merito e, pertanto, insindacabile in sede di legittimità, se non sotto il profilo dell'esistenza, sufficienza e logicità della motivazione (Cass. n. 20373/2008, Cass. n. 19475/2005).
8.- Al rigetto del terzo motivo consegue logicamente l'assorbimento del quarto e del quinto motivo, con i quali si deduce il difetto di motivazione in ordine alla domanda di risarcimento del danno con riferimento alla responsabilità sia contrattuale che extracontrattuale, trattandosi di motivi che ripropongono, sotto diverso profilo, le stesse censure del motivo precedente e che incorrono, dunque, per come formulati, negli stessi rilievi.
9.- Il ricorso va quindi rigettato.
10.- Stante il mancato svolgimento di attività difensiva da parte dell'intimata, non deve provvedersi in ordine alle spese del giudizio di legittimità.####################Q.M.
LA CORTE rigetta il ricorso; nulla sulle spese.
Cass. civ. Sez. VI, Ord., 20-01-2011, n. 1328
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Cassazione "...In primo luogo, il D.L. n. 313 del 1994, art. 1 il quale, sotto la rubrica "Pignoramenti sulle contabilità speciali delle prefetture, delle direzioni di amministrazione delle Forze armate e della Guardia di finanza", recita quanto segue: "1. I fondi di contabilità speciale a disposizione delle prefetture, delle direzioni di amministrazione delle Forze armate e della Guardia di finanza, nonchè le aperture di credito a favore dei funzionari delegati degli enti militari, degli uffici o reparti della Polizia di Stato, della Polizia penitenziaria e del Corpo forestale dello Stato e dei comandi del Corpo nazionale dei vigili del fuoco, o del Cassiere del Ministero dell'interno, comunque destinati a servizi e finalità di protezione civile, di difesa nazionale e di sicurezza pubblica.."
ESECUZIONE FORZATA
Cass. civ. Sez. VI, Ord., 20-01-2011, n. 1328
Fatto Diritto P.Q.M.
Svolgimento del processo
E' stata depositata in cancelleria la seguente relazione: "1. - Il Ministero della Giustizia ha proposto ricorso per cassazione avverso la sentenza del 16 luglio 2009, con la quale il Tribunale di Catanzaro, decidendo sull'opposizione all'esecuzione proposta il 6 luglio 2007 dal Ministero contro il pignoramento di crediti presso terzi eseguito nei suoi confronti da P.V., dopo avere considerato correttamente invocato dall'opponente il rimedio dell'art. 615 c.p.c., sotto il profilo che l'opposizione doveva considerarsi inerente pignorabilità di crediti, l'ha rigettata per le seguenti ragioni: a) infondatezza della deduzione originaria di impignorabilita, ai sensi del D.P.R. n. 180 del 1950, art. 1 delle somme oggetto della procedura esecutiva pignorate presso la Banca d'Italia, in qualità di tesoriere dello Stato - per
non essere invocabile la norma, in quanto riferita solo all'ipotesi in cui il debitore sia un pubblico dipendente, e non lo Stato o altro ente pubblico; b) tardività, per essere stata prospettata dal Ministero soltanto nella conclusionale, della deduzione di impignorabilità delle somme ai sensi della L. n. 296 del 2006, art. 1, comma 1348; c) insussistenza della rilevabilità d'ufficio della impignorabilità, ai sensi della norma sub b), asserita dal Ministero, perchè la stessa si riferisce alla procedura svolta dinanzi al giudice dell'esecuzione.
1.1. - Al ricorso ha resistito con controricorso l'intimato.
2.- Il ricorso è soggetto alle disposizioni di cui alla L. n. 69 del 2009 - per essere il provvedimento impugnato stato depositato il 16.7.2009 - e si presta ad essere trattato con il procedimento di cui all'art. 380-bis c.p.c. nel testo attuale.
3. - Il ricorso prospetta due motivi.
4. - Con il primo si lamenta "violazione e falsa applicazione dell'art. 616 c.p.c., della L. n. 266 del 2005, art. 1, comma 294 bis introdotto dalla L. n. 296 del 2006, art. 1, comma 1348 (finanziaria 2007) in relazione all'art. 360 c.p.c., comma 3 e ci si duole che la deduzione di applicabilità dell'art. 1, comma 1348 sia stata ritenuta tardiva perchè svolta in conclusionale, senza considerare che essa non costituiva un nuovo motivo di opposizione, bensì soltanto la deduzione con nuovi profili di un motivo già ritualmente proposto, cioè quello fondato sulla invocazione del D.P.R. n. 180 del 1950, art. 1. In particolare, nel quesito di diritto - peraltro non necessario in relazione alla legge ratione temporis applicabile nella specie - che conclude l'illustrazione del motivo si chiede alla Corte di chiarire se l'eccezione di impignorabilità ...
che venga formulata, in sede di comparsa conclusionale, facendo richiamo a una regolamentazione normativa ulteriore rispetto a quella già posta a base del motivo di opposizione, configuri sviluppo argomentativo del motivo di impignorabilità dell'intrapresa procedura esecutiva presso terzi e non motivo nuovo.
Con il secondo motivo si deduce violazione e falsa applicazione dell'art. 616 c.p.c. della L. n. 266 del 2005, art. 1, comma 294 bis introdotto dalla L. n. 296 del 2006, art. 1, comma 1348 (finanziaria 2007), del D.L. 25 maggio 1994, n. 313, art. 1 convertito in L. 22 luglio 1994, n. 460, del D.L. 16 settembre 2008, n. 143, art. 1 ter convertito in L. 13 novembre 2008, n. 181 in relazione all'art. 360 c.p.c., comma rectius: n. 3. Si sostiene che erroneamente il Tribunale avrebbe escluso la rilevabilità d'ufficio dell'impignorabilità disposta dalla L. n. 296, art. 1, comma 1348, nel giudizio di opposizione all'esecuzione, mentre essa si sarebbe ritenere dovuta possibile in base al D.L. n. 313 del 1994, art. 1, comma 2 convertito con modificazioni, nella L. n. 460 del 1994 ed in base all'art. 1, comma 3, del d.l. citato, in relazione
al D.L. n. 143 del 2008, art. 1 ter convertito nella L. n. 181 del 2008. 4.1. - Il primo motivo comporta l'esame della questione della introducibilità, con la comparsa conclusionale, da parte del Ministero della questione della incidenza sulla pignorabilità delle somme oggetto dell'esecuzione opposta della norma di cui alla L. n. 266 del 2005, art. 1, comma 294 bis introdotto in tale legge - dopo il comma 294 - dalla L. n. 296 del 2006, art. 1, comma 1348. 4.2. - La decisione del Tribunale di escludere detta introducibilità appare corretta sotto il profilo processuale e, peraltro, se anche non lo fosse stato, l'ipotetico accoglimento della censura prospettata dal Ministero in questa sede sarebbe stata inidonea a giustificare la cassazione della sentenza impugnata, perchè l'error in procedendo - sempre ipoteticamente commesso dal Tribunale -
non si sarebbe potuto considerare decisivo e, quindi, avrebbe lasciato intatto il dispositivo della sentenza impugnata. Queste le ragioni.
Il citato comma 294-bis ebbe ad introdurre una norma del seguente tenore: non sono soggetti ad esecuzione forzata i fondi destinati al pagamento di spese per servizi e forniture aventi finalità giudiziaria o penitenziaria, nonchè gli emolumenti di qualsiasi tipo dovuti al personale amministrato dal Ministero della giustizia e dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri, accreditati mediante aperture di credito in favore dei funzionari delegati degli uffici centrali e periferici del Ministero della giustizia, degli uffici giudiziari e della Direzione nazionale antimafia e della Presidenza del Consiglio dei ministri".
La prospettazione del Ministero è che tale sopravvenienza normativa sarebbe stata applicabile e rilevante in relazione al processo esecutivo oggetto dell'opposizione all'esecuzione decisa dalla sentenza impugnata, che essa sarebbe stata invocabile nel giudizio di opposizione dopo la sua introduzione e che avrebbe potuto esserlo nella conclusionale.
Ora, pur ipotizzando, per un momento, che il primo postulato sia valido, cioè considerando la norma idonea ad incidere sul processo esecutivo in corso fra le parti quanto alla individuazione della pignorabilità dei crediti aggrediti con l'esecuzione, nel caso di specie assume rilievo un dato cronologico: cioè che essa era già in vigore al momento della proposizione dell'opposizione e, pertanto, bene avrebbe potuto e dovuto essere dedotta con la stessa opposizione, quale fatto costitutivo dell'inesistenza del diritto di procedere all'esecuzione sui crediti pignorati e, quindi, quale fatto costitutivo della domanda di tutela esercitata con l'opposizione.
Al riguardo, va rilevato che l'azione sottesa all'opposizione all'esecuzione sotto il profilo della non assoggettabilità ad essa del bene con questa aggredito, nella quale l'opponente - come in generale nell'opposizione ai sensi dell'art. 615 c.p.c. - riveste la qualità di attore. Si connota, infatti, come diretta ad ottenere l'accertamento dell'inesistenza del diritto di procedere all'esecuzione per quella ragione, sulla base di tutti i fatti giuridici esistenti al momento della sua proposizione, che potrebbero giustificare detta inesistenza.
Essi assumono il carattere di fatti individuatori del diritto fatto valere con l'opposizione, che, proprio perchè individuato dalle ragioni dedotte - in quanto, naturalmente, deducibili - dall'opponente ha natura eterodeterminata. Ne deriva che i fatti giuridici esistenti e deducibili al momento in cui viene proposta l'opposizione identificano la domanda ad essa sottesa e, poichè la domanda giudiziale deve essere formulata con l'atto introduttivo del giudizio è di tutta evidenza che detti fatti debbono necessariamente essere prospettati con esso, mentre, se lo siano successivamente nel corso del processo di opposizione l'allegazione di nuovi fatti costitutivi che avrebbero potuto e dovuto essere allegati fin dall'introduzione dell'opposizione si risolve, proprio per il carattere eterodeterminato del diritto fatto valere, in
una mutatio libelli, come tale non consentita dall'art. 183 c.p.c., il quale ammette solo la precisazione o modificazione della domanda, ma non una domanda nuova. Se, dunque, l'effetto della previsione della norma di cui si discorre fosse stato - come vorrebbe il Ministero - di determinare l'impossibilità di procedere dell'esecuzione in corso, in quanto insorta per effetto del pignoramento - cioè una sorta di impignorabilità sopravvenuta dei crediti pignorati - tale effetto avrebbe dovuto essere invocato fin dalla proposizione dell'opposizione, e non solo non avrebbe potuto essere invocato nel corso del giudizio di opposizione, naturalmente fino alla fissazione del thema decidendum nell'udienza ai sensi dell'art. 183 della fase a cognizione piena (succeduta a quella sommaria del procedimento di opposizione, nella quale si
provvide sulla sospensione dell'esecuzione) ma, a maggior ragione, non era invocabile nella comparsa conclusionale: non solo perchè la conclusionale non avrebbe potuto essere utilizzata nemmeno per una emendatio libelli, ma anche ed a monte perchè la sua prospettazione in essa si è risolta in una inammissibile mutatio libelli.
Viene in rilievo il principio di diritto secondo cui: Nel giudizio di opposizione all'esecuzione ex art. 615 cod. proc. civ., l'opponente ha veste sostanziale e processuale di attore. Pertanto le eventuali "eccezioni" da lui sollevate per contrastare il diritto del creditore a procedere ad esecuzione forzata costituiscono causa petendi della domanda proposta con il ricorso in opposizione e sono soggette al regime sostanziale e processuale della domanda. Ne consegue che l'opponente non può mutare la domanda modificando le eccezioni che ne costituiscono il fondamento, nè il giudice può accogliere l'opposizione per motivi che costituiscono un mutamento di quelli espressi nel ricorso introduttivo, ancorchè si tratti di eccezioni rilevabili d'ufficio (Cass. n. 3477 del 2003).
Diversa sarebbe stata la conclusione ove la sopravvenienza normativa di cui al citato comma 294-bis si fosse verificata nel corso del giudizio di opposizione ed anche dopo la precisazione delle conclusioni: in quel caso sarebbe stato possibile per il Ministero farla valere, poichè la mutatio della domanda sottesa all'opposizione sarebbe stata giustificata dall'impossibilità di dedurla prima. Correttamente, dunque, il Tribunale ha ritenuto tardiva l'invocazione dell'indicata norma.
4.3. D'altro canto, l'ipotetico rilievo sul processo esecutivo della norma di cui si discorre non sarebbe stato possibile d'ufficio da pare del giudice dell'opposizione, giacchè si sarebbe risolto in una mutatio della domanda e, quindi, nell'introduzione d'ufficio di un nuovo fatto costitutivo ed individuatore della domanda, vietata al giudice dall'art. 99 c.p.c. 4.4. - A ben vedere, peraltro, se anche l'invocazione del comma 294 bis fosse avvenuta con l'atto di opposizione all'esecuzione, sarebbe stata del tutto inutile a svolgere la funzione di fatto giustificativo dell'inesistenza del diritto di assoggettare all'esecuzione i crediti pignorati.
Il comma 294-bis, infatti, appare del tutto inidoneo a incidere sui processi esecutivi pendenti e, quindi, su quello oggetto dell'opposizione, quanto alla pignorabilità dei crediti cui si riferisce, in quanto l'oggetto di disciplina che assume - nonostante qualche ambiguità che può suggerire la formula con cui è espresso - non comprende, come suo oggetto di disciplina, i processi di esecuzione già iniziati, cioè non riguarda i pignoramenti che al momento della sua entrata in vigore fossero già stati eseguiti, ma concerne esclusivamente l'esercizio di pretese esecutive non ancora sfociate in un pignoramento, id est esecuzioni future. Invero, detto oggetto di disciplina è espresso dalla proposizione non sono soggetti ad esecuzione forzata, la quale evoca l'idea della soggezione all'esecuzione forzata come qualità di
determinati beni e, quindi, una potenzialità statica, che come tale evoca l'essere i "fondi" contemplati dalla norma assoggettabili all'esecuzione forzata, considerata nel suo momento iniziale e, quindi, nel pignoramento.
Il significato della proposizione normativa si coglie, in sostanza, nel senso di una imposizione a chi ha una pretesa esecutiva vero il Ministero della Giustizia di non esercitarla assoggettandovi i fondi de quibus. E poichè l'assoggettamento ad esecuzione forzata di determinati fondi, cioè somme di danaro disponibili da parte del debitore presso terzi, si risolve nel pignoramento, l'esegesi della proposizione è nel senso che : non sono pignorabili i fondi.
Poichè della norma non è prevista un'applicazione retroattiva, cioè a pignoramenti già eseguiti, il divieto di cui si tratta non può che riguardare pretese esecutive esercitate successivamente all'entrata in vigore della norma. Il non sono soggetti ad esecuzione forzata, in definitiva, non può che riguardare l'esecuzione forzata nel suo momento iniziale.
Se il legislatore, invece, avesse voluto prevedere la non soggezione all'esecuzione forzata anche nel senso del venir meno, sotto il profilo della pignorabilità dei beni già pignorati, della possibilità giuridica dell'ulteriore corso dei processi esecutivi in corso sui fondi in questione, avrebbe potuto e dovuto parlare chiaro e, quindi, disporre l'estinzione dei pignoramenti e delle esecuzioni pendenti. L'esegesi letterale prospettata, oltre ad essere imposta dal tenore della norma, sarebbe - ove fosse necessario supportarla con un'esegesi teleologica - confermata anche dall'interpretazione costituzionalmente orientata, atteso che tendenzialmente l'intervento del legislatore su pretese esecutive già concretatesi e, quindi, già sfociate in pignoramenti eseguiti, incidendo sull'esercizio dell'azione esecutiva già in essere, appare
tendenzialmente idonea a determinare un sacrificio del diritto di azione che deve essere motivato da evidenti e giustificate ragioni e che, dunque, sottostà ad una valutazione di notevole rigore.
Ne consegue che, se il legislatore usa formulazioni che si prestano a scongiurare tale sacrificio e ad una lettura che riferisca la norma che sancisce una preclusione della possibilità dell'esecuzione forzata di indirizzarsi su determini beni (come un'impignorabilità) soltanto all'esercizio futuro con l'atto iniziale dell'esecuzione della pretesa esecutiva, detta lettura dev'essere senz'altro privilegiata.
Il primo motivo, dunque, appare infondato.
4.5. - Anche il secondo motivo non è fondato.
E' necessario riportare le fonti invocate con esso dal ricorrente.
In primo luogo, il D.L. n. 313 del 1994, art. 1 il quale, sotto la rubrica "Pignoramenti sulle contabilità speciali delle prefetture, delle direzioni di amministrazione delle Forze armate e della Guardia di finanza", recita quanto segue:
"1. I fondi di contabilità speciale a disposizione delle prefetture, delle direzioni di amministrazione delle Forze armate e della Guardia di finanza, nonchè le aperture di credito a favore dei funzionari delegati degli enti militari, degli uffici o reparti della Polizia di Stato, della Polizia penitenziaria e del Corpo forestale dello Stato e dei comandi del Corpo nazionale dei vigili del fuoco, o del Cassiere del Ministero dell'interno, comunque destinati a servizi e finalità di protezione civile, di difesa nazionale e di sicurezza pubblica, al rimborso delle spese anticipate dai comuni per l'organizzazione delle consultazioni elettorali, nonchè al pagamento di emolumenti e pensioni a qualsiasi titolo dovuti al personale amministrato, non sono soggetti ad esecuzione forzata, salvo che per i casi previsti dal capo 5^ del titolo 6^ del libro 1^
del codice civile, nonchè dal testo unico delle leggi concernenti il sequestro, il pignoramento e la cessione degli stipendi, salari e pensioni dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni, approvato con D.P.R. 5 gennaio 1950, n. 180. 2. I pignoramenti ed i sequestri aventi per oggetto le somme affluite nelle contabilità speciali delle prefetture e delle direzioni di amministrazione ed a favore dei funzionari delegati di cui al comma 1, si eseguono esclusivamente, a pena di nullità rilevabile d'ufficio, secondo le disposizioni del libro 3^ - titolo 2^ - capo 2^ c.p.c., con atto notificato al direttore di ragioneria responsabile presso le prefetture o al direttore di amministrazione od al funzionario delegato nella cui circoscrizione risiedono soggetti privati interessati, con l'effetto di sospendere ogni emissione di ordinativi di
pagamento relativamente alle somme pignorate. Il funzionario di prefettura, o il direttore di amministrazione o funzionario delegato cui sia stato notificato atto di pignoramento o di sequestro, è tenuto a vincolare l'ammontare, semprechè esistano sulla contabilità speciale fondi la cui destinazione sia diversa da quelle indicate al comma 1, per cui si procede con annotazione nel libro giornale; la notifica rimane priva di effetti riguardo agli ordini di pagamento che risultino già emessi.
3. Non sono ammessi atti di sequestro o di pignoramento ai sensi del presente articolo presso le sezioni di tesoreria dello Stato a pena di nullità rilevabile anche d'ufficio. Gli atti di sequestro o di pignoramento eventualmente notificati non determinano obbligo di accantonamento da parte delle sezioni medesime nè sospendono l'accreditamento di somme nelle contabilità speciali intestate alle prefetture ed alle direzioni di amministrazione ed in quelle a favore dei funzionari delegati di cui al comma 1. 4. Viene effettuata secondo le stesse modalità stabilite nel comma 2 la notifica di ogni altro atto consequenziale nei procedimenti relativi agli atti di pignoramento o di sequestro.".
In secondo luogo va richiamato il D.L. n. 143 del 2008, art. 1 ter convertito nella L. n. 181 del 2008, il quale, sotto la rubrica Pignoramenti sulla contabilità ordinaria del Ministero della giustizia, degli uffici giudiziari e della Direzione nazionale antimafia recita quanto segue: 1. il D.L. 25 maggio 1994, n. 313, art. 1 convertito, con modificazioni, dalla L. 22 luglio 1994, n. 460, e successive modificazioni, si applica anche ai fondi destinati al pagamento di spese per servizi e forniture aventi finalità giudiziaria o penitenziaria, nonchè agli emolumenti di qualsiasi tipo dovuti al personale amministrato dal Ministero della giustizia, accreditati mediante aperture di credito in favore dei funzionari delegati degli uffici centrali e periferici del Ministero della giustizia, degli uffici giudiziari e della
Direzione nazionale antimafia.". Ora, deve considerarsi che l'art. 1 ter è stato introdotto con la legge di conversione che è stata pubblicata nella Gazz. Uff. del 15 novembre 2008, n. 268 e, quindi, è entrato in vigore in un momento nel quale parte ricorrente non avrebbe potuto far valere il suo intervento, provvedendo alla mutatio della domanda implicata dalla sua introduzione nel processo di opposizione come nuovo motivo attestante, sostanzialmente, un'impignorabilità sopravvenuta delle somme pignorate: infatti, la causa venne rimessa in decisione all'udienza del 25 settembre 2008.
In tale situazione, si dovrebbe considerare ammissibile che la deduzione della sopravvenienza avvenga in questa sede, come in effetti è avvenuta. Ciò, se fosse vero che la sopravvenienza de qua fosse effettivamente tale, cioè avesse introdotto elementi di novità normativa rispetto alla situazione precedente. Il fatto è che non di sopravvenienza in questo senso si è trattato, atteso che la previsione di applicabilità del D.L. n. 313 del 1994, art. 1 disposta nella sua interezza dall'art. 1 ter ha determinato la mera reiterazione per nuovo regolamento della materia del comma 294-bis già introdotto dall'art. 1, comma 1348 quanto alla norma secondo non sono soggetti ad esecuzione forzata i fondi di cui si tratta, mentre l'elemento di novità è rappresentato dalla estensione delle eccezioni a tale regola previste dal D.L. n. 313 del 1994,
art. 1, n. 1 e dalle previsioni del comma 2 e del comma 3 dello stesso articolo, che, però, non vengono in rilievo nella specie (quella del comma 3, assumendo come oggetto di disciplina i pignoramenti - ed i sequestri - ed operando solo per il futuro, concerne solo i pignoramenti successivi all'entrata in vigore dell'art. 1 ter). Ne conseguirebbe che l'introduzione in questa sede di legittimità della questione fondata sull'art. 1 ter si dovrebbe ritenere preclusa, perchè questa norma ripete una previsione che avrebbe potuto essere invocata fin dall'atto di opposizione e, dunque, una nuova attività di allegazione in questa sede non potrebbe essere giustificata sotto il profilo dello jus superveniens, che sarebbe, per quanto rileva, solo formale.
Per completezza, si rileva, comunque, che, se anche quanto appena osservato non fosse vero e la previsione dell'art. 1 ter, in quanto dispositiva dell'applicazione del D.L. n. 313 del 1994, art. 1 si considerasse norma nuova, per la parte in cui il comma 1 di questa norma dispone che non sono soggetti ad esecuzione forzata i fondi contemplati nell'art. 1 ter (fra cui, lo si nota per incidens ed in replica a quanto eccepito dal resistente, rientrano le somme pignorate a seguito di ordine di accreditamento emesso dal Ministero con riguardo ad indennità di magistrati ordinari: è sufficiente osservare che tali indennità rientrano nel concetto dei fondi destinati al pagamento di spese per servizi e forniture aventi finalità giudiziaria, cui allude l'art. 1 ter sopra citato, atteso che l'attività dei magistrati onorari fa parte del c.d.
servizio giustizia), e, pertanto, invocabile in questa sede, la sua invocazione non gioverebbe al Ministero per le ragioni esposte a proposito del primo motivo, perchè la norma - stante il suo tenore - non potrebbe riguardare i pignoramenti già eseguiti e le esecuzioni in corso (e non diversa conclusione, come si è detto, varrebbe a proposito del comma 3, concernente la rilevabilità d'ufficio della nullità dei pignoramenti).
4.6. In base alle considerazioni svolte sembra dunque che il ricorso debba esser rigettato".
La relazione è stata comunicata al pubblico ministero e notificata ai difensori delle parti.
Non sono state presentate conclusioni scritte, nè alcuna delle parti è stata ascoltata in camera di consiglio.Motivi della decisione
A seguito della discussione sul ricorso, tenuta nella camera di consiglio, il Collegio ha condiviso i motivi in fatto ed in diritto esposti nella relazione.
Conclusivamente, il ricorso deve essere rigettato.
La complessità delle questioni trattate giustifica la compensazione, fra le parti, delle spese del giudizio di cassazione.P.Q.M.
LA CORTE rigetta il ricorso. Compensa spese.
Cassazione, Sezione Terza Civile, n. 14107 del 27 giugno 2011 - Insegnante di scuola materna e arresto cardiaco in corso di servizio
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IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
COMUNE TERLIZZI (OMISSIS), in persona del Sindaco pro tempore ing. D.T.V., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA NIZZA 53, presso lo studio dell'avvocato -
- ricorrente -
contro
-
- controricorrenti -
avverso la sentenza n. 282/2008 della CORTE D'APPELLO di BARI, Terza
Sezione civile, emessa il 13/02/2008, depositata il 18/03/2008;
R.G.N. 575/2004;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 19/05/2011 dal Consigliere Dott. PAOLO D'ALESSANDRO;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. FUCCI Costantino che ha concluso per rigetto.
Fatto
Il Comune di Terlizzi propone ricorso per cassazione, affidato a sette motivi, avverso la sentenza della Corte di appello di Bari che, in parziale riforma della sentenza di primo grado, lo ha condannato, in solido con il MIUR, al pagamento della somma di Euro 310.000,00, oltre rivalutazione ed interessi, in favore di D.L.V., D.L. S. e D.L.C., a titolo di risarcimento del danno per la morte di D.P.M., coniuge di D.L.V. e madre di D.L.C. e S., insegnante di ruolo di scuola materna, avvenuta il 22/1/91 per arresto cardiaco in corso di servizio.
Resistono con controricorso tanto D.L.V., D.L.C. e D.L.S. quanto il MIUR.
1.- Con il primo motivo, sotto il profilo della violazione di legge (art 360 c.p.c., n. 3), il ricorrente lamenta il vizio di ultrapetizione, assumendo che gli attori non avrebbero mai formulato una domanda di risarcimento danni per responsabilità extracontrattuale nei suoi confronti.
1.1.- Il primo motivo è infondato, per l'assorbente considerazione che il giudice - che nella specie ha configurato una azione di responsabilità extracontrattuale - ha il potere-dovere di qualificare giuridicamente l'azione e di attribuire al rapporto dedotto in giudizio un nomen juris eventualmente diverso da quello indicato dalle parti, purchè non sostituisca la domanda proposta con una diversa, modificandone i fatti costitutivi o fondandosi su una realtà fattuale non dedotta e allegata in giudizio tra le parti (Cass. 17 luglio 1997, n. 15925).
2.- Con il secondo motivo il ricorrente, sotto il profilo della violazione di legge, chiede, nel quesito di diritto ex art. 366-bis, se esso Comune "può essere condannato (e quindi considerato legittimato passivo) al risarcimento di danni patrimoniali e non patrimoniali per il decesso di una insegnante dipendente MIUR in base ad una domanda di natura contrattuale, fondata sull'art. 2087 c.c.; ed in subordine, qualora fosse qualificata come extracontrattuale la domanda, se può rinvenirsi il fatto colposo nella violazione della L. n. 444 del 1968, art. 7".
Premessa la ammissibilità, in tema di protezione dell'integrità psico-fisica del lavoratore, del concorso tra la azione ex art. 2087 cod. civ. e l'azione ex art. 2043 (Cass. 24 febbraio 2006, n. 4184), va considerato che il Comune è obbligato, dalla L. 18 marzo 1968, n. 444, art. 7 a curare la manutenzione degli edifici adibiti a scuola materna e che tale obbligo, di natura pubblicistica, incide sul diritto primario alla salute (art. 32 Cost.) di coloro che l'immobile sono tenuti a frequentare come docenti, discenti o personale comunque dipendente dal MIUR. Ne discende la responsabilità del Comune per la violazione di tale diritto in conseguenza del proprio inadempimento, una volta che in fatto sia stato accertato il nesso causale tra detto inadempimento ed il fatto dannoso.
3.1.- Il terzo motivo è inammissibile, in quanto il vizio lamentato, sostanziandosi in un difetto di motivazione, avrebbe dovuto semmai farsi valere con riferimento all'art. 360 c.p.c., n. 5.
5.1.- Il quinto motivo è infondato.
Come riportato in sentenza, gli appellanti incidentali hanno reiterato in sede di gravame tutte le richieste risarcitorie che si ricollegano a "responsabilità extracontrattuale dei convenuti, da cui consegue il diritto al risarcimento dei danni morali e patrimoniali subiti dalla defunta D.P. e dagli istanti come ontologicamente specificati in citazione, e riformulati in sede di conclusioni". Non sussiste, dunque, alcuna ultrapetizione da parte del giudice di appello.
Il sesto motivo è peraltro infondato anche quanto al danno patrimoniale.
Il ricorrente sostiene che gli attori non avrebbero provato il contributo economico della loro congiunta al patrimonio familiare.
Al riguardo va considerato che la valutazione equitativa del danno (quale quella compiuta nella specie dal giudice di merito), in quanto inevitabilmente caratterizzata da un certo grado di approssimatività, è suscettibile di rilievi in sede di legittimità, sotto il profilo del vizio della motivazione, solo se difetti totalmente la giustificazione che quella statuizione sorregge, o macroscopicamente si discosti dai dati di comune esperienza, o sia radicalmente contraddittoria (Cass. 26 gennaio 2010, n. 1529).
Nella specie il giudice di merito, considerando che un terzo del reddito della D.P. sarebbe stato destinato ai bisogni della famiglia, non si è discostato da dati di comune esperienza, tenuto conto - come si legge in sentenza - "delle esigenze personali del percettore dei reddito in relazione al tenore di vita, all'educazione, all'istruzione, alla posizione sociale ed all'età al momento del decesso". Nè, d'altro canto, compete al giudice di legittimità (trattandosi di questione di merito) valutare se fosse congrua, in relazione alle condizioni di salute della D.P., una previsione di attività lavorativa di dieci anni.
P.Q.M.
la Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese nei confronti dei D.L., liquidate in Euro 6.200, di cui Euro 6.000 per onorari, oltre spese generali ed accessori di legge; spese compensate nei confronti del MIUR.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Terza Sezione civile, il 19 maggio 2011.
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