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Autovelox: segnalazione necessaria anche se c’è l’agente

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Autovelox: segnalazione necessaria anche se c’è l’agente

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Cassazione. Sentenza 14977del 07-07-2011

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Cassazione "...Corte d'Appello  di  Roma accoglieva il gravame svolto da         #################### contro la sentenza  di primo  grado  che aveva rigettato la domanda proposta  nei  confronti della   ####################   s.r.l.  per  il  riconoscimento  della   qualifica dirigenziale o, in subordine, di quadro, l'accertamento della  giusta causa  delle  dimissioni  e la condanna al pagamento  dell'indennità sostitutiva del preavviso e delle differenze sul TFR, al risarcimento del danno per dequalificazione professionale, danno biologico, morale e  per mobbing; infine, per differenze retributive con condanna della #################### s.r.l. in solido con la #################### s.r.l....


LAVORO (RAPPORTO DI)
Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., 07-07-2011, n. 14977
Fatto Diritto P.Q.M.
Svolgimento del processo
1.   Con  sentenza  del 1 settembre 2006, la Corte d'Appello  di  Roma accoglieva il gravame svolto da         #################### contro la sentenza  di primo  grado  che aveva rigettato la domanda proposta  nei  confronti della   ####################   s.r.l.  per  il  riconoscimento  della   qualifica dirigenziale o, in subordine, di quadro, l'accertamento della  giusta causa  delle  dimissioni  e la condanna al pagamento  dell'indennità sostitutiva del preavviso e delle differenze sul TFR, al risarcimento del danno per dequalificazione professionale, danno biologico, morale e  per mobbing; infine, per differenze retributive con condanna della #################### s.r.l. in solido con la #################### s.r.l.
2. La Corte territoriale puntualizzava che :
-  la pretesa di      J. concerneva il riconoscimento, in relazione alle mansioni svolte nel corso del rapporto  di lavoro intercorso  con la  s.r.l ####################, della qualifica di dirigente o, in subordine,  di quadro,  a decorrere dal 4 gennaio 1991; l'accertamento della  giusta causa delle dimissioni dalla s.r.l ####################, con conseguente condanna di   quest'ultima  al  pagamento  dell'indennità  di  preavviso;  il risarcimento  del  danno  conseguente  alla  dequalificazione  subita, nonchè   del  mobbing  sofferto  ad  opera  del  datore  di  lavoro;
l'accertamento  che i compensi erogatigli dalla s.r.l ####################, società  controllata dalla formale datrice di lavoro s.r.l ####################, erano   parte   integrante  della  retribuzione   corrispostagli   da quest'ultima, con conseguente condanna della stessa  al pagamento alle differenze  retributive dovutegli in relazione  alla  tredicesima  ed alla quattordicesima mensilità, nonchè al TFR;
alla stregua delle declaratorie contrattuali, le mansioni in concreto svolto da      J. erano riconducibili al 6 livello come emerso  dal testimoniale acquisito alla causa;
-  le  mansioni  assegnate  con lettera  del  18  novembre  1998,  di ispettore con compiti di visite periodiche e relazioni settimanali in ordine al rispetto delle procedure interne da parte dei preposti alle sale cinematografiche, pur difformi da quelle precedentemente svolte, non  determinavano  alcuna dequalificazione  per   essere  formalmente riferibili  al  livello  di inquadramento e  tali  da  utilizzare  ed arricchire  il  patrimonio professionale acquisito con la  precedente attività;
esclusa  la  dedotta dequalificazione, le dimissioni non  risultavano assistite da giusta causa, onde l'infondatezza della richiesta  della relativa indennità di preavviso;
-    non   risultavano   azioni   dal   carattere    persecutorio    o discriminatorio, tali caratteri non rinvenendosi nè  nell'aggressione verbale, rilevante ad altri fini, nè nel mutamento dell'ambiente  di lavoro in favore di una collocazione più angusta e meno confortevole in  difetto  di elementi aliunde acquisiti, non potendo, a  tal  fine rilevare un'aggressione verbale;
- nessuna pretesa risarcitoria poteva, pertanto, riferirsi al dedotto mobbing, nè sussisteva nesso eziologico tra l'aggressione verbale  e la patologia vascolare sofferta;
-       j., sebbene legato da un rapporto di lavoro con  la  s.r.l.
Radio  filmusica  non  aveva  in  concreto  mai  espletato  attività lavorativa  nè  attività  libero  professionale  in  favore   della predetta  società  e  il compenso da questa formalmente  corrisposto doveva  imputarsi  a  corrispettivo della prestazione  lavorativa  in favore   della  s.r.l.  ####################,  onde  le  differenze   retributive richieste  in  giudizio andavano esaminate tenuto conto  delle  somme complessivamente percepite da parte di entrambe le società.  5.  Avverso  l'anzidetta sentenza della Corte territoriale,  #################### s.r.l.,  in persona del legale rappresentate pro-tempore, ha proposto ricorso per cassazione fondato su due motivi. Radio filmusica s.r.l., in   persona  del legale rappresentate pro-tempore, ha  resistito  con controricorso,  illustrato con memoria.         ####################  ha  resistito con  controricorso, eccependo l'inammissibilità ed infondatezza  del
ricorso   e  ha proposto ricorso incidentale, fondato su  due  motivi.
Entrambe  le  società  hanno resistito con controricorso,  eccependo l'inammissibilità ed infondatezza del ricorso incidentale.Motivi della decisione
4.  Preliminarmente va disposta la riunione dei ricorsi, ex art.  335 c.p.c., perchè proposti avverso la medesima sentenza.
5.  Con  il  primo  motivo di ricorso la ricorrente denuncia  erronea interpretazione della L. n. 1369 del 1960, art. 1 e art.  1414  c.c.;
erronea applicazione dei principi di cui agli artt. 1362 e ss.  c.c.;
illogicità  della motivazione per erronea imputazione alla  #################### s.r.l.  delle erogazioni effettuate a      J.  dalla società  Radio filmusica  (art. 360 c.p.c.,  n. 5,). Si censura la sentenza impugnata per aver ritenuto la #################### obbligata al pagamento di spettanze  di competenza   della   ####################,  senza  che        J.   avesse dimostrato  la  sussistenza  di  ipotetiche  attività  rese  per  la #################### e che di tali attività avesse concretamente fruito la ####################   con   conseguente  onere  in  ordine   alle   obbligazioni retributive, senza compiere alcuna valutazione giuridica di  istituti legali  o  contrattuali e pervenendo alla conclusione di un  unitario centro  di imputazione economica. Ad avviso della ricorrente, nessuna circostanza  relativa all'unitarietà dei due soggetti  giuridici  è risultata  provata. La motivazione si poggia su un'unica
deposizione testimoniale  (del  responsabile amministrativo  della  ####################)  in ordine ai criteri di imputazione contabile nell'ambito del gruppo.
6. Rileva il Collegio che il quesito che correda il motivo, formulato a   conclusione  dei  due  motivi  di  censura  avverso  la  sentenza impugnata, non si informa alle prescrizioni di cui  all'art.  366  bis c.p.c.,  applicabile  ratione temporis, alla  luce  dei  criteri  che questa Corte ha già avuto occasione di precisare.
7.  A norma della prima parte della citata disposizione del codice di rito,  nei casi previsti dall'art. 360 c.p.c.,  comma 1, nn. da  1)  a 4), l'illustrazione di ciascun motivo del ricorso per cassazione deve concludersi,  a pena di inammissibilità, con  la formulazione  di  un quesito  di  diritto  proposto in modo tale che  la  Corte  non  debba procedere  ad  una previa attività interpretativa,  come  accade  in presenza  di  un  quesito multiplo la cui formulazione  imponga  alla Corte  di sostituirsi al ricorrente mediante una preventiva opera  di semplificazione,  onde  procedere a singole risposte  che  potrebbero essere tra loro diversificate (v., ex multis, Cass. 1906/2008).
8.  Si  è  anche  osservato che il ricorrente  deve  necessariamente procedere  all'enunciazione di un principio  di  diritto  diverso  da quello posto a base della decisione impugnata e che  quindi il quesito non   può   risolversi   in  una  generica  istanza   di   decisione sull'esistenza  della  violazione di legge denunciata  nel  motivo  o nell'interpello  della Corte di cassazione in ordine alla   fondatezza della  censura illustrata nello svolgimento del motivo, ma deve porre la   medesima  Corte  in  condizione  di  rispondere  ad   esso   con l'enunciazione  di una regula iuris, in quanto tale  suscettibile  di ricevere  applicazione in casi ulteriori rispetto a quello sottoposto all'esame  del giudice che ha pronunciato la sentenza impugnata  (v., ex multis, Cass. 8463/2009; 4044/2009; Cass. S.U. 25117/2008).
9.  Inoltre, questa Corte regolatrice, alla stregua della già citata formulazione  dell'art.  366 bis c.p.c., è fermissima  nel  ritenere che,  a  seguito  della  novella del 2006, per   le  censure  previste dall'art.  360 c.p.c.,  n. 5, allorchè, cioè, il ricorrente  denunzi la   sentenza   impugnata  lamentando  un  vizio  della  motivazione, l'illustrazione  di  ciascun   motivo  deve  contenere,  a   pena   di inammissibilità,  la  chiara indicazione del  fatto  controverso  in relazione al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria, ovvero  le  ragioni  per   le  quali la  dedotta  insufficienza  della motivazione  la  renda  inidonea a giustificare  la  decisione.  Ciò importa,  in  particolare, che la relativa censura deve contenere  un momento  di  sintesi  (omologo  del  quesito  di  diritto)   che   ne circoscriva  puntualmente  i limiti, in  maniera  da
non  ingenerare incertezze in sede di formulazione del ricorso e di valutazione della sua  ammissibilità Nè è sufficiente che tale fatto sia esposto nel corpo  del   motivo o che possa comprendersi dalla lettura di  questo, atteso  che  è  indispensabile che sia indicato in  una  parte,  del motivo stesso a  ciò specificamente e riassuntivamente destinata.
10. Inoltre, ove con un unico articolato motivo d'impugnazione, siano denunziati  vizi  di violazione di legge e di motivazione  in  fatto, tale  censura  è  ammissibile  solo  se  corredata  da  quesiti  che contengano un reciproco rinvio, al fine di individuare su quale fatto controverso vi sia stato, oltre che un difetto di motivazione,  anche un  errore  di  qualificazione giuridica del fatto  (v.,  ex  multis, Cass., SU 7770/2009).
11.  Nella  specie,  la  formulazione dei plurimi   quesiti  in  forma meramente  ipotetica,  senza indicare la regula  iuris  proposta  dal ricorrente, nè individuare su quale fatto controverso vi sia  stato, oltre   che   un   difetto  di  motivazione,  anche  un   errore   di qualificazione giuridica del fatto, non rispetta la prescrizione  del codice   di   rito  informandosi  all'interpretazione  datane   dalla richiamata giurisprudenza di legittimità. 12.   Con  il  secondo  motivo  di  ricorso  la  ricorrente   denuncia violazione  degli  artt. 2094, 2222 c.c. in relazione  all'art.  1362 c.c.;   vizio  di  motivazione per illogicità della  motivazione  per erronea attribuzione della valenza retributiva alle spettanze erogate dalla  soc. #################### a      J. a titolo di compenso  ex  art. 2225   c.c..  Si  censura  la  sentenza  per  aver  qualificato  come retribuzione 
mensile,   applicando  gli   istituti   indiretti,   i corrispettivi di  lavoro autonomo erogati dalla Radiofirmusica.
13.  Il motivo non è meritevole di accoglimento. Invero, la denuncia di un vizio di motivazione nella sentenza impugnata non conferisce al giudice  di  legittimità il potere di riesaminare  autonomamente  il merito  dell'intera  vicenda processuale sottoposta  al  suo  vaglio, bensì  soltanto  quello  di  controllare,  sotto  il  profilo  della correttezza   giuridica  e  della  coerenza  logico  -  formale,   le argomentazioni  - svolte dal giudice del merito, al quale  spetta  in via  esclusiva l'accertamento dei fatti, all'esito dell'insindacabile selezione e valutandone della fonti del proprio convincimento  -  con la  conseguenza che il vizio di motivazione deve emergere  dall'esame del  ragionamento svolto dal giudice di merito, quale  risulta  dalla sentenza impugnata, e può ritenersi sussistente solo quando, in quel ragionamento,  sia  rinvenibile  traccia  evidente  del
mancato   (o insufficiente)  esame  di  un fatto decisivo  e  controverso,  ovvero quando    esista   insanabile   contrasto   tra   le   argomentazioni complessivamente  adottate, tale da non consentire  l'identificazione del  procedimento logico-giuridico posto a base della decisione,  non rilevando  la  mera  divergenza tra valore e significato,  attribuiti dallo  stesso giudice di merito agli elementi da lui vagliati, ed  il valore  e  significato  diversi  che,  agli  stessi  elementi,  siano attribuiti dal ricorrente ed, in genere, dalle parti.
14  In altri termini, il controllo di logicità del giudizio di fatto - consentito al giudice di legittimità - non equivale alla revisione del  ragionamento decisorio, ossia dell'opzione che  ha  condotto  il giudice  del  merito  ad  una determinata soluzione  della  questione esaminata:   invero,   una   revisione  siffatta   si   risolverebbe, sostanzialmente,  in una nuova formulazione del  giudizio  di  fatto, riservato al giudice del merito, e  risulterebbe affatto estranea alla funzione assegnata dall'ordinamento al giudice di legittimità. 15. La sentenza impugnata ha esaminato tutte le circostanze rilevanti ai  fini della decisione, svolgendo, nei termini già indicati  nello storico   di  lite,  un  iter  argomentativo   esaustivo,  immune   da contraddizioni e vizi logici e coerente con le  emergenze  istruttorie acquisite (in particolare, che il compenso, erogato a      J.
dalla s.r.l.  ####################,  società non  operativa,   senza  che  questi avesse  mai  espletato  attività lavorativa,  nè  attività  libero professionale  in favore della predetta società, veniva   sommato  al compenso  erogato  dalla #################### e che nei preventivi  di   spesa  la sommatoria delle due erogazioni veniva imputata a tìtolo di compenso per      J.).
16. Le valutazioni svolte e le coerenti conclusioni che ne sono state tratte  configurano, quindi, un'opzione interpretativa del  materiale probatorio  del  tutto  ragionevole e  che,  pur  non  escludendo  la possibilità di altre scelte interpretative anch'esse ragionevoli, è espressione  di una potestà propria del giudice del merito  che  non può essere sindacata nel suo esercizio.
17.   In  definitiva,  quindi,  le  doglianze  della  ricorrente   si sostanziano   nell'esposizione  di  una  lettura   delle   risultanze probatorie  diversa da quella data dal giudice del  gravame  e  nella richiesta   di  un  riesame  di  merito  del  materiale   probatorio, inammissibile in questa sede di legittimità. 18.   Con  il primo motivo del ricorso incidentale      J.  denuncia omessa,   insufficiente,  contraddittoria  motivazione  su  un   punto decisivo   della   controversia;  violazione  e  falsa   applicazione dell'art. 2103 c.c. Si censura la sentenza impugnata per aver escluso la  dequalificazione professionale ponendo il mutamento  di  mansioni nell'alveo   dell'esercizio  dello  ius  variarteli  datoriale,   non accertando  la  corrispondenza  delle  mansioni,  nè  valutando  che nessuna  prova  era  stata  offerta dalla società  sull'esigenza  di esercitare  lo
 ius  variandi per asseriti motivi di  riorganizzazione aziendale.
19. Il motivo è inammissibile. Osserva il collegio che spetta in via esclusiva al giudice di merito il compito di individuare le fonti del proprio   convincimento,  di  assumere  e  valutare  le   prove,   di controllarne  attendibilità  e concludenza,  di  scegliere,  tra  le complessive  risultanze  del processo, quelle  ritenute  maggiormente idonee  a  dimostrare  la  veridicità dei  fatti  ad  esse  sottesi, assegnando  prevalenza  all'uno  o  all'altro  dei  mezzi  di   prova acquisiti.
20.   Per  di  più,  le  doglianze  del  ricorrente  si  sostanziano nell'esposizione   di   una  lettura  delle   risultanze   probatorie richiamate  solo  genericamente e per relatiomm (con espressione  del tenore  "come  descritte dai testimoni")  infirmando l'autosufficienza del  ricorso  e  deducendo circostanze, quali l'asserita  offerta  di uscire dalla #################### ed entrare nella società Ionio comprovante  la volontà datoriale di allontanarlo, per le quali trascura di indicare la  sede  e  il  segmento processuale in cui tale  deduzione  sarebbe avvenuta,  onde  consentire alla Corte di  controllarne  la  novità, prima di procedere all'esame nel merito.
21.  Con  il  secondo  motivo  di ricorso il  ricorrente  incidentale denuncia  violazione  degli  artt.  2103  e  2087  c.c.  ed  erronea, insufficiente,  contraddittoria motivazione  per  aver  la  corte  di merito  denegato  la  de qualificazione e il mobbing.  Il  motivo  si conclude con la formulazione di più quesiti di diritto.
22.   Il   motivo  è  inammissibile  perchè,  alla  stregua   della consolidata  giurisprudenza richiamata al punto  10  che  precede,  i plurimi  quesiti non consentono al Collegio di individuare  su  quale fatto  controverso e decisivo vi sia stato, oltre  che un  difetto  di motivazione,  anche un errore di qualificazione giuridica  del  fatto (v., ex multis, Cass., SU, n, 7770/2009).
23.  Per le esposte considerazioni il ricorso principale va rigettato e  il  ricorso  incidentale  dichiarato inammissibile.  La  reciproca soccombenza giustifica la compensazione delle spese fra le parti.P.Q.M.
La Corte riunisce i ricorsi; rigetta il ricorso principale e dichiara inammissibile il ricorso incidentale; spese compensate.

Accordo europeo relativo al trasporto internazionale su strada delle merci pericolose

Dettagli

Cassazione: Codice della strada - Accordo europeo relativo al trasporto internazionale su strada delle  merci pericolose (ADR), concluso a Ginevra il 30 settembre 1957


CIRCOLAZIONE STRADALE - CORTE COSTITUZIONALE
Corte cost., Sent., 07-04-2011, n. 118
Fatto Diritto P.Q.M.
Svolgimento del processo
SENTENZA
Nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 168, comma 10, del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285 (Nuovo codice della strada), promosso dal Giudice di pace di Verona nel  procedimento vertente tra la #################### s.p.a. e il Ministero dell'Interno con ordinanza del 2 dicembre 2009, iscritta al n.  282 del registro ordinanze 2010 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 40, prima serie speciale, dell'anno 2010.
Visti l'atto di costituzione della #################### s.p.a. nonchè gli atti di intervento dell'A.N.P.A.M. (Associazione Nazionale Produttori Armi e Munizioni) e del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nell'udienza pubblica del 23 febbraio 2011 il Giudice relatore Giuseppe Frigo;
uditi l'avvocato #################### per la #################### s.p.a. e l'avvocato dello Stato Chiarina Aiello per il Presidente del Consiglio dei ministri.
1. - Con ordinanza del 2 dicembre 2009 (r.o. n. 282 del 2010), il Giudice di pace di Verona ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 23, 27 e 117, primo comma, della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell'art. 168, comma 10, del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285 (Nuovo codice della strada), che estende alle sanzioni amministrative per le violazioni della «disciplina del trasporto su strada dei materiali pericolosi» la previsione del precedente art. 167, comma 9, in  forza della quale le sanzioni «si applicano sia al conducente che al proprietario del veicolo, nonché al committente, quando si tratta di trasporto eseguito per suo conto esclusivo».
Il rimettente riferisce di essere investito del giudizio di opposizione a processo verbale di accertamento e contestazione di violazione amministrativa proposto da una società, quale «committente esclusivo» di un trasporto su strada di merci pericolose: trasporto in relazione al quale identica contestazione era stata elevata, a seguito di controllo della polizia stradale, anche nei confronti del conducente e del proprietario del veicolo. Di qui la rilevanza della questione, la quale inciderebbe sulla  stessa «legittimità [della] identificazione dei soggetti passivi della verbalizzazione».
Quanto alla non manifesta infondatezza, il rimettente deduce, innanzitutto, il contrasto della disposizione censurata con il principio di personalità della responsabilità, enunciato in rapporto alle sanzioni amministrative dall'art. 3 della legge 24 novembre 1981, n. 689 (Modifiche al sistema penale) e che - secondo il giudice a quo - costituirebbe espressione dell'analogo principio sancito, in materia penale, dall'art. 27 Cost.
L'art. 168, comma 10, cod. strada sottoporrebbe, infatti, a sanzione il proprietario del mezzo e il «committente esclusivo» a titolo di responsabilità oggettiva, non essendo le violazioni in alcun modo imputabili ai predetti soggetti, privi di qualsiasi «facoltà» di effettuare controlli sulle modalità di esercizio del trasporto.
In particolare, il committente si limiterebbe a rivolgersi a un professionista abilitato al trasporto di merci pericolose e dotato di mezzi omologati a tal fine: il che gli consentirebbe - anche in forza dei principi di affidamento del pubblico e  della clientela, sanciti dall'art. 5, comma 1, del d.lgs. 2 febbraio 2006, n. 30 (Ricognizione dei princìpi fondamentali in materia di professioni, ai sensi dell'articolo 1 della legge 5 giugno 2003, n. 131)  - di confidare nel rispetto della normativa vigente e nell'esecuzione della prestazione secondo le regole della buona tecnica. Il committente non potrebbe essere, pertanto, chiamato a rispondere delle conseguenze negative derivanti dall'inadempimento del professionista, in relazione al quale sarebbe piuttosto il soggetto danneggiato.
Sanzionando soggetti ai quali l'infrazione stradale non è addebitabile, la norma censurata violerebbe anche il principio di ragionevolezza.
Al riguardo, il rimettente rileva come la disposizione in esame si differenzi da quella dall'art. 196, comma 1, cod. strada, che, sulla falsariga di quanto previsto nell'art. 6 della legge n. 689 del 1981,  stabilisce che «per le violazioni punibili con sanzione amministrativa pecuniaria il proprietario del veicolo [...] è obbligato in solido con l'autore della violazione al pagamento della somma da questi dovuta»: regola generale la cui ratio - come chiarito dalla giurisprudenza costituzionale - risiede nella duplice necessità di evitare che numerose  norme sulla circolazione stradale restino eluse e che i danneggiati da sinistri stradali possano non ottenere il giusto risarcimento. Di contro, l'art. 168, comma 10, cod. strada configurerebbe in capo al proprietario del mezzo e al «committente esclusivo» del trasporto una responsabilità, non solidale e alternativa, ma
«parallela» e per fatto altrui: assetto da reputare privo di razionale giustificazione, poiché il responsabile materiale della violazione risulterebbe «già necessariamente individuato» e nessuna norma rischierebbe di venire elusa. Ciò, senza considerare che - proprio perché si tratta di responsabilità distinte e non solidali - la possibile coincidenza tra le  varie figure sanzionate potrebbe determinare «la paradossale evenienza che un soggetto, seppure responsabile, venga sanzionato due volte per il  medesimo fatto».
Un ulteriore profilo di violazione dell'art. 3 Cost.,  per trattamento differenziato di situazioni uguali, si connetterebbe alla circostanza che la norma censurata sottoponga a sanzione il solo committente «in via esclusiva». Nella grande maggioranza dei casi, infatti, il committente non è in grado di controllare se i propri prodotti vengano trasportati da soli o insieme a quelli di altri committenti: con la conseguenza che l'elemento differenziale, ai fini dell'assoggettabilità a sanzione, non rientrerebbe nella «disponibilità»  dell'interessato. La stessa distinzione tra committente in via esclusiva o meno apparirebbe, d'altra parte, irragionevole, «dal momento  che tutti i committenti usufruiscono di un medesimo servizio».
Sarebbe, altresì, violato l'art. 117, primo comma, Cost.,  per inadempimento di obblighi internazionali e mancato rispetto dei vincoli «di omogeneità e di parità di trattamento di tutti i cittadini europei derivanti dall'ordinamento comunitario». La disciplina dettata dalla disposizione censurata risulterebbe, infatti, non conforme all'Accordo europeo relativo al trasporto internazionale su strada delle  merci pericolose (ADR), concluso a Ginevra il 30 settembre 1957, ratificato e reso esecutivo in Italia con legge 12 agosto 1962, n. 1839, successivamente recepito anche in ambito comunitario (in particolare, con la direttiva n. 94/55/CE, ora sostituita dalla direttiva n. 2008/68/CE).  Il citato Accordo contemplerebbe, infatti, nelle sezioni 1.4.2 e 1.4.3 dell'allegato A, una dettagliata ripartizione delle responsabilità tra i  diversi soggetti coinvolti nelle operazioni di
trasporto (speditore, trasportatore, destinatario, caricatore, riempitore, imballatore), della  quale l'art. 168, comma 10, cod. strada non avrebbe tenuto affatto conto.
Ne deriverebbe una concorrente lesione dell'art. 3 Cost. per difetto di «coerenza interna dell'ordinamento giuridico», ove si consideri che lo stesso art. 168 cod. strada, ai commi da 7 a 9-ter, delinea un sistema sanzionatorio volto a garantire proprio il rispetto dell'Accordo ADR, specificamente richiamato dal comma 1.
Risulterebbe leso, per altro verso, l'art. 23 Cost.,  giacché, nel comminare una sanzione a carattere «patrimoniale» nei confronti di soggetti esenti da ogni responsabilità, la norma denunciata  oltrepasserebbe i limiti del legittimo «esercizio del potere impositivo  attribuito allo Stato [...] dal parametro in parola».
Irragionevole risulterebbe, infine, l'estensione al trasporto delle merci pericolose della disciplina sanzionatoria relativa all'eccesso di carico dei veicoli adibiti al trasporto di cose,  cui si riferisce il richiamato art. 167, comma 9, cod. strada. In quest'ultima ipotesi, infatti, la responsabilità del «committente esclusivo», almeno sotto il profilo della culpa in vigilando, potrebbe essere fatta discendere dalla circostanza che egli è a conoscenza della quantità di merce trasportata e, quindi, dell'eventuale sovraccarico del  veicolo, dal quale potrebbe trarre vantaggio in termini di risparmio di  spesa dovuto all'utilizzazione di un singolo mezzo di trasporto. Al contrario, nel caso di trasporto di merci pericolose, il committente non  acquisirebbe alcun vantaggio dalla violazione delle norme sulla sicurezza del trasporto, ma ne sarebbe danneggiato, dal momento che i beni di
sua proprietà verrebbero messi in pericolo. D'altro canto, egli non avrebbe alcuna possibilità di effettuare i controlli necessari sui mezzi utilizzati e sulle loro dotazioni nel corso dell'intero viaggio. Da ciò conseguirebbe la violazione del principio di eguaglianza, perché la norma disporrebbe un trattamento uguale di situazioni differenti.
2. - È intervenuto nel giudizio di costituzionalità il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato  e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, il quale ha chiesto che la questione sia dichiarata non fondata.
Ad avviso della difesa dello Stato, la norma in esame andrebbe coordinata con la nuova disciplina in materia di autotrasporto introdotta dal d.lgs. 21 novembre 2005 n. 286 (Disposizioni per il riassetto normativo in materia di liberalizzazione  regolata dell'esercizio dell'attività di autotrasportatore), disciplina  che ruota intorno al principio della «responsabilità condivisa», tra gli operatori della cosiddetta «filiera del trasporto» (vettore, committente, caricatore e proprietario della merce), per le violazioni di alcune delle norme in materia di sicurezza della circolazione stradale. Il relativo meccanismo, attivato con l'accertamento da parte della polizia stradale della violazione commessa dal conducente, mira segnatamente a favorire la contrattazione in forma scritta, al fine di garantire la certezza dei rapporti tra le parti. Se, infatti, l'operatore di polizia verifica
che dal contratto, presente a bordo del mezzo, e dall'eventuale documentazione di accompagnamento risultano modalità di esecuzione della prestazione incompatibili con il rispetto, da parte del  conducente, delle norme del codice della strada, egli contesta la violazione al soggetto che vi ha dato causa con le istruzioni, e, inoltre, al committente, al caricatore e al proprietario delle merci: questi ultimi, dunque, risponderanno per fatto proprio, in concorso con il conducente.
Diversamente, se la copia del contratto, stipulato in forma scritta, non fosse a bordo del veicolo, l'organo accertatore ne richiede la presentazione, unitamente all'eventuale documentazione di accompagnamento; in caso di mancata esibizione sono previste apposite sanzioni.
Infine, nel caso in cui il contratto sia stato stipulato oralmente, il committente viene invitato a produrre la documentazione da cui risulti che le istruzioni impartite al vettore non  contrastano con il rispetto della norma che il conducente ha violato.
L'elemento soggettivo richiesto per la configurabilità della responsabilità in capo al vettore e al committente  sarebbe, quindi, almeno la colpa: essi rispondono, infatti, dell'infrazione commessa dal conducente solo se vi abbiano cooperato, non predisponendo adeguate e vincolanti istruzioni di sicurezza.
Escluso, dunque, che la norma censurata preveda una forma di responsabilità oggettiva, essa non contrasterebbe neppure con l'Accordo ADR, relativo al trasporto internazionale di merci pericolose su strada. L'art. 168 cod. strada si limiterebbe, infatti, a prevedere le sanzioni applicabili in caso di inosservanza delle prescrizioni contenute in detto Accordo; quest'ultimo, d'altro canto, al  punto 1.4.2.1.3 dell'allegato A, stabilisce specificamente che «quando lo speditore agisce per conto di un terzo, questi deve segnalare per iscritto allo speditore che si tratta di merci pericolose e mettere a sua disposizione tutte le informazioni e i documenti necessari all'esecuzione dei suoi obblighi»: donde l'infondatezza dell'assunto del  giudice a quo, secondo il quale l'atto internazionale in parola non sarebbe riferibile al committente.
L'Avvocatura dello Stato ricorda, da ultimo, come  la norma censurata riproduca la disposizione contenuta nell'art. 121, nono comma, del previgente codice della strada (d.P.R. 15 giugno 1959, n. 393), come sostituito dall'art. 12 della legge 10 febbraio 1982, n. 38 (Modifiche ad alcuni articoli del codice della strada, e della legge 27 novembre 1980, n. 815, riguardanti i pesi e le misure dei veicoli): disposizione che questa Corte ha ritenuto non contrastante con l'art. 3 Cost.,  escludendo, in particolare, che essa configurasse «una sorta di responsabilità oggettiva concorsuale» (ordinanza n. 3 del 1989). Alla luce di una corretta esegesi della norma, condotta sulla base dei lavori  parlamentari, il conducente, il proprietario e il committente dovevano ritenersi, infatti, gravati da autonomi obblighi di comportamento, consistenti segnatamente in un dovere di vigilanza: con la
conseguenza che ciascuno di detti soggetti rispondeva per fatto proprio.
3. - Si è costituita la s.p.a. ####################, opponente nel giudizio a quo.
Ribadita la rilevanza della questione, la parte privata ha chiesto che la stessa venga accolta sulla base di argomentazioni del tutto analoghe a quelle svolte nell'ordinanza di rimessione.
4. - È intervenuta, inoltre, la A.N.P.A.M. (Associazione Nazionale Produttori Armi e Munizioni), ritenendosi a ciò legittimata - alla luce della giurisprudenza costituzionale relativa all'ammissibilità dell'intervento di soggetti investiti di funzioni di rappresentanza di interessi generali, quali gli ordini professionali - in quanto chiamata a svolgere, ai sensi dell'art. 2 dello Statuto sociale, compiti di tutela delle imprese italiane produttrici di armi, munizioni ed esplosivi per il mercato civile, nonché di rappresentanza delle medesime nei rapporti con le istituzioni e le pubbliche amministrazioni. L'intervento sarebbe finalizzato, nella specie, a tutelare un interesse comune delle imprese associate, le quali, nell'attività quotidiana, devono ricorrere al trasporto di prodotti pericolosi.
L'interveniente ha, quindi, riproposto le considerazioni già svolte dalla s.p.a. ####################, concludendo per la declaratoria di incostituzionalità della norma oggetto di giudizio.
5. - Con memorie depositate il 2 febbraio 2011, di contenuto sostanzialmente identico, la s.p.a. #################### e  la A.N.P.A.M. hanno insistito per l'accoglimento della questione.
In particolare, hanno ribadito l'irragionevolezza  dell'equiparazione del regime sanzionatorio relativo al trasporto di merci pericolose a quello previsto per l'eccesso di carico. Solo nel caso dell'eccesso di carico, sanzionato dall'art. 167 cod. strada, infatti, il committente esclusivo potrebbe trarre un ingiusto vantaggio dalla violazione delle norme sulla circolazione, perché egli sarebbe consapevole della quantità di carico eccedente la misura trasportabile; inoltre, il solo comma 7 dell'art. 168 cod. strada sanziona l'eccesso di  carico delle merci pericolose, mentre le disposizioni contenute negli altri commi non riguardano detta violazione.Motivi della decisione
1. - Il Giudice di pace di Verona dubita della legittimità costituzionale, in riferimento agli artt. 3, 23, 27 e 117, primo comma, della Costituzione, dell'art. 168, comma 10, del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285 (Nuovo codice della strada), che estende alle sanzioni amministrative per le violazioni della «disciplina del trasporto su strada dei materiali pericolosi» la previsione del precedente art. 167, comma 9, in  forza della quale le sanzioni si applicano «sia al conducente che al proprietario del veicolo, nonché al committente, quando si tratta di trasporto eseguito per suo conto esclusivo».
Ad avviso del giudice a quo, la disposizione censurata violerebbe, anzitutto, i principi di ragionevolezza e di personalità della responsabilità penale (artt. 3 e 27 Cost.),  configurando in capo al proprietario del veicolo e al committente una responsabilità per fatto altrui e a carattere oggettivo: detti soggetti sarebbero, infatti, estranei alla violazione commessa ed esenti da ogni colpa, perché privi della possibilità di effettuare controlli sulle modalità di esercizio del trasporto. La natura autonoma, e non solidale,  della responsabilità comporterebbe, d'altro canto, che, nel caso di cumulo di più qualità fra quelle contemplate dalla norma in capo allo stesso soggetto, quest'ultimo, se pure responsabile, verrebbe sanzionato  due volte per il medesimo fatto.
Con l'assoggettare a sanzioni pecuniarie persone estranee all'illecito commesso, la disposizione denunciata si porrebbe in contrasto anche con l'art. 23 Cost., oltrepassando i limiti del legittimo esercizio del potere dello Stato di imporre prestazioni patrimoniali.
La norma censurata violerebbe l'art. 3 Cost. anche sotto due ulteriori e distinti profili. In primo luogo, in quanto  la responsabilità del committente è prevista unicamente quando si tratti di trasporto eseguito «per suo conto esclusivo»: previsione che risulterebbe irragionevole e foriera di una disparità di trattamento fra  situazioni uguali, giacché il committente non sarebbe normalmente in grado di controllare se le proprie merci vengano trasportate da sole o assieme a merci altrui, né usufruirebbe di un servizio diverso a seconda  della sua esclusività o meno.
In secondo luogo, in quanto l'estensione al trasporto di merci pericolose della disciplina relativa al sovraccarico dei mezzi adibiti al trasporto di cose, alla quale si riferisce il richiamato art. 167, comma 9, cod. strada, implicherebbe una irrazionale  equiparazione di situazioni differenti. In quest'ultimo caso, il «committente esclusivo» sarebbe infatti a conoscenza della quantità di merce trasportata e, quindi, dell'eccesso di carico del veicolo, dal quale potrebbe trarre vantaggio in termini di risparmio di spesa. Al contrario, nel caso di trasporto di merci pericolose, il committente non  solo non sarebbe in grado di controllare l'osservanza delle norme di sicurezza, ma verrebbe altresì danneggiato dalla loro violazione, la quale metterebbe in pericolo i beni di sua proprietà.
Il censurato art. 168, comma 10, cod. strad. violerebbe, ancora, l'art. 117, primo comma, Cost.,  non tenendo conto della dettagliata ripartizione delle responsabilità fra i vari soggetti coinvolti (speditore, trasportatore, destinatario, caricatore, riempitore, imballatore) prefigurata dall'Accordo europeo relativo al trasporto internazionale su strada delle merci pericolose (ADR), adottato a Ginevra il 30 settembre 1957, ratificato e reso esecutivo in Italia con legge 12 agosto 1962, n. 1839, e indi recepito anche in ambito comunitario (in particolare, con la direttiva n. 94/55/CE, ora sostituita dalla direttiva n. 2008/68/CE). Di qui anche un conclusivo profilo di violazione dell'art. 3 Cost.,  connesso al fatto che l'art. 168 cod. strada, ai commi da 7 a 9-ter, delinea un sistema sanzionatorio volto proprio ad assicurare il rispetto  del citato Accordo ADR, con conseguente
incoerenza interna della normativa.
2. - In via preliminare, deve essere dichiarata l'inammissibilità dell'intervento dell'A.N.P.A.M. (Associazione Nazionale Produttori Armi e Munizioni).
Secondo il consolidato orientamento di questa Corte, infatti, non possono partecipare al giudizio incidentale di legittimità costituzionale soggetti che non siano parti in causa nel giudizio a quo al momento del deposito o della lettura in dibattimento dell'ordinanza di rimessione (tra le ultime, sentenza n. 48 del 2010); principio ritenuto derogabile soltanto in favore di soggetti titolari di  un interesse qualificato, immediatamente inerente al rapporto sostanziale dedotto in giudizio e non semplicemente regolato, al pari di  ogni altro, dalla norma oggetto di censura (ex plurimis, sentenze n. 263 e n. 151 del 2009; ordinanze n. 393 e n. 96 del 2008).
Nel caso in esame, l'A.N.P.A.M. si dichiara portatrice di un interesse a carattere generale di tutte le imprese produttrici di armi, munizioni ed esplosivi per il mercato civile, le quali, nella loro quotidiana attività, devono inevitabilmente ricorrere al trasporto del prodotto pericoloso. La posizione giuridica dell'A.N.P.A.M., quindi, non risulta suscettibile di essere pregiudicata  in modo immediato e irrimediabile dall'esito del giudizio incidentale, dal momento che la categoria - di cui l'interveniente assume essere ente  esponenziale - potrebbe ricevere nocumento solo in via indiretta, allorché ad uno dei produttori venissero irrogate le sanzioni previste nella richiamata disposizione.
3. - Nel merito, la questione non è fondata, in relazione a tutti i parametri invocati.
4. - Quanto alla prima censura, inerente all'asserita violazione dei principi di ragionevolezza e di personalità della responsabilità penale (artt. 3 e 27 Cost.),  è dirimente, a prescindere da ogni altro rilievo, la considerazione che  le doglianze del rimettente poggiano su un erroneo presupposto interpretativo. Tale deve ritenersi l'assunto in forza del quale la norma censurata configurerebbe, a carico del proprietario del veicolo e del committente del trasporto, una responsabilità per fatto altrui e a carattere oggettivo.
Questa Corte ha già avuto modo di escludere la correttezza di tale lettura, pronunciando su questione parzialmente analoga avente ad oggetto l'art. 121, nono comma, del codice della strada abrogato (d.P.R. 15 giugno 1959, n. 303, recante il «Testo unico delle norme sulla circolazione stradale»), come sostituito dall'art. 12 della legge 10 febbraio 1982, n. 38 (Modifiche ad alcuni articoli del codice della strada, e della legge 27 novembre 1980, n. 815,  concernenti i pesi e le misure dei veicoli): norma di tenore identico a  quello del primo periodo dell'art. 167, comma 9, del vigente codice della strada, cui la disposizione censurata rinvia (ordinanza n. 3 del 1989).
Nell'occasione, questa Corte ha disatteso la tesi  secondo cui la disposizione dianzi citata avrebbe delineato «una sorta di responsabilità oggettiva concorsuale», rilevando come essa, al contrario, ponesse a carico dei soggetti coinvolti - conducente, proprietario del veicolo e committente - «autonomi obblighi di comportamento che si sostanziano [...] in un dovere di vigilanza, quando  sia escluso il concorso». Con la conseguenza che «i tre soggetti rispondono ciascuno per fatto proprio, sicché la prova della responsabilità di ognuno resta regolata dai principi generali». A sostegno della conclusione, si è fatto leva, in particolare, sull'avvenuto superamento, a seguito dei rilievi mossi nel corso dei lavori preparatori, dell'originaria impostazione della proposta di legge n. 299,  presentata alla Camera dei deputati il 10 luglio 1979, in forza della quale proprietario e
committente avrebbero dovuto rispondere delle violazioni «in solido» con il conducente.
La circostanza - su cui lo stesso rimettente pone  l'accento - che la responsabilità prevista dalla norma censurata non abbia carattere solidale, diversamente da quella sancita in via generale  dall'art. 196 cod. strada a carico del proprietario del veicolo, dimostra, in effetti, il contrario di quello che il giudice a quo intenderebbe provare: e, cioè, che la responsabilità in questione resta regolata dai principi generali in materia di sanzioni amministrative e, in particolare, da quello della responsabilità almeno per colpa, sancito  dall'art. 3 della legge 24 novembre 1981, n. 689 (Modifiche al sistema penale); principi ai quali non consta che il legislatore abbia inteso nella specie derogare.
Le indicazioni fornite da questa Corte sono state, d'altro canto, recepite dalla giurisprudenza di legittimità sia con riguardo al citato art. 121, nono comma, del codice della strada abrogato (Cass., 26 maggio 1995, n. 5854), sia in relazione all'art. 167, comma 9, del codice della strada vigente, in cui esso è stato trasfuso: essendosi ribadito, in specie, che tale disposizione pone a carico del committente un obbligo, distinto da quello del conducente e del proprietario, di vigilanza sull'idoneità del veicolo da utilizzare all'esecuzione del trasporto, in relazione alle prescrizioni normative (Cass., 29 novembre 2001, n. 15194).
Ad analoga conclusione deve quindi pervenirsi anche con riguardo al trasporto dei materiali pericolosi, al quale dalla  norma denunciata viene esteso il regime di responsabilità in questione.  Per il resto, sarà compito del giudice verificare, in rapporto alle specificità delle singole violazioni che vengono in rilievo - descritte dai commi da 7 a 9-ter dello stesso art. 168 cod. strada - e tenuto conto della particolare regolamentazione della materia, se ed entro quali limiti l'adempimento del predetto dovere di vigilanza possa considerarsi concretamente esigibile, trattandosi di presupposto per la configurabilità della colpa. Tutto ciò, indipendentemente dall'operatività della normativa, evocata dall'Avvocatura generale dello  Stato, di cui al d.lgs. 21 novembre 2005, n. 286 (Disposizioni per il riassetto normativo in materia di liberalizzazione  regolata dell'esercizio
dell'attività di autotrasportatore) e dalla riferibilità, per quanto attiene alla cosiddetta responsabilità condivisa del vettore, del committente, del caricatore e del proprietario della merce, di detta disciplina anche alle violazioni dell'art. 168 cod. strada, testualmente applicabile solo alle violazioni  dell'art. 167 cod. strada (art. 7, comma 6, lettera e, del citato decreto legislativo).
5. - Quanto, poi, al denunciato rischio di una duplice punizione dello stesso soggetto per il medesimo fatto, nel caso di cumulo di più qualifiche fra quelle contemplate dalla norma (rischio che deriverebbe proprio dal carattere autonomo delle singole responsabilità), vale osservare, da un lato, come l'eventualità che il committente del trasporto sia anche il conducente o il proprietario del veicolo per esso utilizzato appaia meramente teorica, e in fatto non ricorra nel giudizio a quo; dall'altro, come il risultato paventato possa essere in ogni caso evitato in via interpretativa - laddove la regola cautelare violata risultasse unitaria - tramite l'applicazione del principio del ne bis in idem sostanziale.
6. - Le considerazioni che precedono comportano anche l'insussistenza dell'ipotizzata violazione dell'art. 23 Cost.:  censura basata, peraltro, su un argomento non pertinente rispetto al parametro, venendo il vulnus costituzionale fatto discendere - non già dall'inosservanza della riserva di legge ivi sancita - ma esclusivamente  dalla circostanza che la norma in esame sottoponga a sanzioni pecuniarie soggetti in tesi estranei all'illecito, e dunque dal medesimo  rilievo posto a fondamento della denunciata lesione del principio di ragionevolezza.
7. - Per quanto attiene agli ulteriori profili di pretesa violazione dell'art. 3 Cost.,  parimenti insussistente è quello legato alla circostanza che il committente sia chiamato a rispondere delle violazioni in discorso unicamente «quando si tratta di trasporto eseguito per suo conto esclusivo».
La censura poggia, in effetti, sul presupposto che la formula «per suo conto esclusivo» attenga alla merce caricata sul  singolo veicolo, la quale dovrebbe appartenere, in tesi, ad un unico committente affinché la responsabilità divenga operante. Per converso, tanto nella terminologia del codice civile (si veda, in specie, l'art. 1737, recante la definizione del contratto di spedizione), quanto nell'ambito della disciplina speciale del trasporto (si consideri, in particolare, la distinzione fra il trasporto «in conto proprio» e il trasporto «per conto di terzi», quali definiti dagli artt. 31 e 40 della legge 6 giugno 1974, n. 298,  recante «Istituzione dell'albo nazionale degli autotrasportatori di cose per conto di terzi, disciplina degli autotrasporti di cose e istituzione di un sistema di tariffe a forcella per i trasporti di merci  su strada») l'espressione «per conto»
assume la valenza di «nell'interesse». In questa prospettiva, la nozione di trasporto eseguito «per [...] conto esclusivo» del committente si contrappone, non  già a quella di trasporto eseguito a favore di più committenti, ma all'altra di trasporto eseguito anche nell'interesse del trasportatore, e  cioè per soddisfare anche esigenze dell'impresa di quest'ultimo.
Tale lettura esclude le incongruenze denunciate dal giudice a quo, essendo la situazione appena sopra indicata, da un lato, agevolmente verificabile dal committente nella generalità dei casi, e, dall'altro, atta a determinare una differenziazione non irragionevolmente valorizzabile dal legislatore ai fini che qui rilevano.
8. - Contrariamente a quanto assume il rimettente, il principio di eguaglianza non può ritenersi violato neppure dalla avvenuta equiparazione, sotto l'aspetto considerato, delle  violazioni relative al trasporto di materiali pericolosi, sanzionate dall'art. 168 cod. strada, a quelle concernenti il sovraccarico dei veicoli, di cui al precedente art. 167 (il quale punisce, in realtà, anche violazioni di altro tipo, attinenti ai limiti alla circolazione dei veicoli che effettuano trasporti in condizioni di eccezionalità: art. 167, commi 4 e 7, cod. strada).
Le fattispecie poste a confronto non presentano, infatti, gli elementi differenziali che, ad avviso del giudice a quo, renderebbero irragionevole detto allineamento.
Quanto alla culpa in vigilando del committente - ipotizzabile, secondo il rimettente, solo in rapporto all'eccesso di carico - si è già rimarcato come la sua configurabilità in concreto condizioni, in base ai principi generali, la responsabilità di detto soggetto anche in rapporto alle infrazioni alla disciplina del trasporto  di materiali pericolosi (infrazioni tra le quali rientra, peraltro, anche il sovraccarico del veicolo: art. 168, comma 7, cod. strada).
Inoltre, non diversamente dalle restanti violazioni delle regole cautelari attinenti al trasporto di materiali pericolosi, anche l'eccessivo carico del mezzo di trasporto, rendendone meno sicura la circolazione, ingenera il rischio della perdita o del danneggiamento della merce: sicché non è condivisibile nemmeno l'altro argomento del giudice a quo, secondo il quale il committente trarrebbe vantaggio dagli illeciti amministrativi previsti dall'art. 167 cod. strada, mentre potrebbe essere soltanto danneggiato da quelli contemplati nell'articolo che segue.
9. - Parimenti infondata, infine, è la censura di violazione degli artt. 117, primo comma, e 3 Cost.,  conseguente all'asserita non conformità della norma censurata alle previsioni dell'Accordo europeo relativo al trasporto internazionale su strada di merci pericolose (ADR).
Al riguardo, va rilevato che il comma 2 dell'art.  168 cod. strada rinvia specificamente agli allegati a detto Accordo per  la disciplina della circolazione dei veicoli che trasportano merci pericolose, nonché «per le prescrizioni relative all'etichettaggio, all'imballaggio, al carico, allo scarico ed allo stivaggio sui veicoli stradali». In tal modo, le prescrizioni contenute negli allegati all'Accordo ADR vengono ad integrare - anche per quanto attiene alla determinazione degli obblighi gravanti sui diversi soggetti coinvolti nelle operazioni - la componente precettiva degli illeciti amministrativi previsti dai commi 9, 9-bis e 9-ter dello stesso art. 168  cod. strada, i quali sanzionano specificamente le violazioni del citato  comma 2: il che assicura la piena aderenza della disciplina interna all'atto internazionale di cui si tratta.
Il richiamo all'art. 167, comma 9, operato dal censurato comma 10 dell'art. 168 cod. strada, ha, a sua volta, una valenza estensiva, e non già delimitativa dell'area della responsabilità (basti considerare, al riguardo, l'esplicito riferimento del comma 9, secondo periodo, dell'art. 168 cod. strada alla responsabilità del «trasportatore», in contrapposizione a quella del conducente: soggetto -  il trasportatore - contemplato dall'Accordo ADR, e non pure dall'art. 167, comma 9, cod. strada).
Detta estensione non può reputarsi, d'altra parte, contrastante con l'Accordo, il cui art. 5 stabilisce espressamente che i trasporti da esso regolati restano soggetti alle norme nazionali riguardanti, in via generale, la circolazione stradale: norme che, per quanto qui rileva, prevedono, come principio di massima, la corresponsabilizzazione del proprietario del veicolo e del committente per le violazioni relative ai trasporti di cose, come emerge  non soltanto dall'art. 167, comma 9, ma anche dall'art. 10, comma 23, cod. strada, con particolare riguardo ai trasporti eccezionali o in condizioni di eccezionalità.
Inoltre, l'allegato A all'Accordo, se da un lato contempla uno specifico dovere di cooperazione del terzo nell'esecuzione  del trasporto, il quale deve segnalare per iscritto allo speditore che si tratta di merci pericolose e mettere a sua disposizione tutte le informazioni e i documenti necessari all'esecuzione dei suoi obblighi (punto 1.4.2.); dall'altro, fornisce un'indicazione dichiaratamente non esaustiva degli obblighi degli altri «operatori» (punto 1.4.3), consentendo, in tal modo, ai singoli Stati di ampliarne l'area.
10. - La questione sollevata va, in conclusione, dichiarata non fondata.P.Q.M.
La Corte costituzionale
dichiara inammissibile l'intervento della A.N.P.A.M. (Associazione Nazionale Produttori Armi e Munizioni);
dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 168, comma 10, del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285 (Nuovo codice della strada), sollevata, in riferimento agli artt. 3, 23, 27 e 117, primo comma, della Costituzione, dal Giudice di pace di Verona con l'ordinanza indicata in epigrafe.

 

Corte Costituzionale: Ordinanza 195 del 24-06-2011

Dettagli

Corte Costituzionale "...giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 10, comma 6-bis, del decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115 (Testo Unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di spese di giustizia - Testo A), introdotto dall'art. 2, comma 212, lettera b), della legge 23 dicembre 2009, n. 191,  recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2010)»..."

Corte cost., Ord., 24-06-2011, n. 195Fatto - Diritto P.Q.M.
Svolgimento del processo - Motivi della decisione
ORDINANZA
Nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 10, comma 6-bis, del decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115 (Testo Unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di spese di giustizia - Testo A), introdotto dall'art. 2, comma 212, lettera b), della legge 23 dicembre 2009, n. 191,  recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2010)», promosso dal Giudice di pace di Rimini nel procedimento vertente tra P.R. e il Comune di #################### con ordinanza del 16 marzo 2010, iscritta al n. 2 del registro ordinanze 2011 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n.  3, prima serie speciale, dell'anno 2011.
Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nella camera di consiglio dell'11 maggio 2011 il Giudice relatore Luigi Mazzella.
Ritenuto che, con ordinanza del 16 marzo 2010, il Giudice di pace di Rimini ha sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell'art. 10, comma 6-bis, del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 (Testo Unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di spese di giustizia - Testo A), introdotto dall'art. 2, comma 212, lettera b), della legge 23 dicembre 2009, n. 191, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2010)»;
che, riferisce il rimettente, con ricorso depositato il 4 gennaio 2010, R.P. aveva proposto opposizione contro il verbale redatto da Agenti del Corpo Intercomunale di Polizia Municipale #################### e #################### il 14 agosto 2009, notificato al ricorrente l'11 novembre 2009, con il quale veniva contestata la violazione dell'art. 158, comma 1, del codice della strada (divieto di sosta);
che, secondo il rimettente, in forza della norma censurata, un cittadino, legittimato alla opposizione avverso un provvedimento ritenuto ingiusto, è stato costretto al pagamento del contributo unificato;
che, pertanto, la questione sarebbe rilevante nel  giudizio a quo poiché l'imposizione di tale contributo ai giudizi di opposizione a ordinanza ingiunzione non sarebbe equa, in caso di accertamento della fondatezza del ricorso, anche qualora fosse posta a carico dell'Amministrazione soccombente;
che, invero, detta norma, darebbe luogo ad una grave disparità di trattamento tra i cittadini, precludendo ai meno abbienti di poter proporre validamente le proprie ragioni in sede giudiziaria e realizzando in tal modo una violazione non soltanto dell'art. 3 Cost., che sancisce il principio di eguaglianza di tutti i cittadini di fronte alla legge, ma altresì dell'art. 24 Cost.;
che, infatti, per effetto della disposizione censurata, i cittadini meno facoltosi si vedrebbero indirettamente privati della possibilità di tutelare i propri diritti in via giudiziaria, con grave pregiudizio al diritto di difesa riconosciuto come inviolabile dall'art. 24 Cost.;
che, in relazione alla disparità fra cittadini introdotta dalla norma de qua, non rileverebbe la circostanza che i soggetti meno abbienti possono comunque presentare il ricorso al Prefetto (che non prevede il pagamento del contributo in questione), in quanto il ricorso al giudice di pace resterebbe un mezzo di tutela riservato unicamente ai cittadini economicamente più abbienti;
che, il principio della inviolabilità del diritto  di tutti i cittadini di agire in giudizio per la tutela dei propri diritti ed interessi legittimi in ogni stato e grado del procedimento, sarebbe stato ribadito nella sentenza di questa Corte n. 114 del 2004, con la quale è stata dichiarata l'illegittimità costituzionale dell'art. 204-bis, comma 30, del d.lgs. 30 aprile 1992, n. 285 (Nuovo codice della strada), introdotto dall'art. 4, comma 1-septies del d.l. 27 giugno 2003, n. 151 (Modifiche ed integrazioni al codice della strada), convertito, con modificazioni, dalla legge 1° agosto 2003, n. 214,  relativo all'obbligo di versare presso la cancelleria del Giudice di pace una somma a titolo di cauzione, all'atto del deposito di ricorso contro una sanzione per violazione dello stesso codice della strada;
che le motivazioni formulate in quella sentenza, secondo il rimettente, ben possono essere ritenute applicabili alla norma de qua;
che, secondo il Giudice di pace rimettente, anche  nella norma censurata, come nel caso dell'obbligo di versamento della cauzione, l'imposizione, in via generalizzata, del pagamento del contributo unificato all'atto del deposito del ricorso in opposizione a sanzione amministrativa non è in alcun modo funzionale alle esigenze del  processo, mostrandosi piuttosto come provvedimento introdotto al fine di restringere il campo dei possibili ricorrenti contro le sanzioni amministrative, scoraggiandone la tutela giurisdizionale;
che è intervenuto nel giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri ed ha eccepito preliminarmente l'inammissibilità della questione per difetto di motivazione sulla rilevanza nel giudizio a  quo, dal momento che l'inadempimento, da parte del ricorrente, della prestazione patrimoniale imposta dalla censurata disposizione, a differenza da quella censurata nel precedente citato dal rimettente (sentenza n. 114 del 2004), non determinerebbe l'inammissibilità del gravame;
che, secondo l'interveniente, in ogni caso il rimettente non spiega in che modo il costo corrispondente al contributo unificato dovuto possa incidere nella decisione di adire o meno l'autorità giudiziaria;
che il Presidente del Consiglio, inoltre, ha eccepito la estrema genericità delle motivazioni poste a base dell'ordinanza di rimessione, evidenziando che, anche ammesso che l'obbligatorietà del contributo possa determinare un fattore di dissuasione alla proposizione del ricorso, non sarebbe stato individuato  in che modo detto costo possa incidere, con modalità discriminatorie, nel caso in cui il giudizio abbia ad oggetto l'impugnazione di un verbale di accertamento della polizia stradale;
che, nel merito, il Presidente del Consiglio ha chiesto che sia dichiarata l'infondatezza del ricorso, dal momento che la ripartizione in fasce di valore dell'entità del contributo assicurerebbe che la copertura dei costi di giustizia sia posta a carico  degli utenti in proporzione ai servizi offerti.
Considerato che, in base a quanto riferisce il rimettente nella propria ordinanza, il contributo unificato è stato già versato spontaneamente da parte del ricorrente;
che, dunque, la norma censurata, che impone il pagamento del predetto contributo, è già stata spontaneamente applicata dal ricorrente;
che, pertanto, l'asserito vulnus ai principi costituzionali invocati e, in particolare, a quello dell'uguaglianza dei  cittadini di fronte alla legge ed a quello dell'effettività della tutela giurisdizionale sarebbe, in ipotesi, determinato da una norma di cui il rimettente non deve fare applicazione nel giudizio a quo;
che pertanto, come recentemente affermato da questa Corte in caso analogo (ordinanza n. 143 del 2011), la questione è  manifestamente inammissibile per difetto di rilevanza nel giudizio a quo.
Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87 e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.P.Q.M.
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell'art. 10, comma 6-bis, del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 (Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di spese di giustizia. - Testo A), così come modificati dall'art 2, comma 212, lettera b), della legge 21 dicembre 2009, n. 191 (Disposizioni per la formazione del bilancio dello Stato - legge finanziaria 2010), sollevata, in riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione, dal Giudice di pace di Rimini con l'ordinanza indicata in epigrafe;



Cassazione civile. Sezione II Ordinanza 10716 del 13-05-2011

Dettagli

Cassazione: Il giudice a quo, accogliendo le tesi dell'opponente, ha ritenuto che l'accertamento  della violazione non potesse  essere considerato attendibile, in quanto effettuato mediante uno strumento, il telelaser, al quale, necessitando dell'intervento umano ed essendo, quindi, condizionato nel funzionamento dalle doti percettive e reattive dell'agente ...


CIRCOLAZIONE STRADALE
Cass. civ. Sez. II, Ord., 13-05-2011, n. 10716
Fatto - Diritto P.Q.M.
Svolgimento del processo - Motivi della decisione
Il  Ministero  dell'Interno e l'Ufficio Territoriale del  Governo  di Livorno  impugnano, della L. 24 novembre 1981, n. 689,   ex  art.  23, comma  13,  la sentenza 30.5.05 con la quale il Giudice  di  Pace  di Piombino  ha  accolto l'opposizione proposta da                #################### avverso  l'ordinanza-ingiunzione 11.3.04 n. 387/04/Ric.  Area  4^  di quell'UTG confermativa del verbale n. (OMISSIS) redatto nei confronti dell'opponente dalla Polizia Stradale di quel capoluogo il (OMISSIS) per  contestargli l'infrazione all'art. 142 C.d.S., comma 9  (eccesso di velocità).
L'intimato non svolge attività difensiva.
Il giudice a quo, accogliendo le tesi dell'opponente, ha ritenuto che l'accertamento  della  violazione  non  potesse  essere   considerato attendibile,   in  quanto  effettuato  mediante  uno  strumento,   il telelaser,  al quale, necessitando dell'intervento umano ed  essendo, quindi,  condizionato  nel  funzionamento  dalle  doti  percettive  e reattive    dell'agente,    non    potrebbe    essere    riconosciuta quell'affidabilità che è in grado di garantire la sola  rilevazione esclusivamente strumentale, mentre il concomitante passaggio  d'altro veicolo  e  la contestazione ad opera d'un agente diverso  da  quello rilevatore   aumenterebbero  le   ragioni   di.   dubbio   in   ordine all'identificazione del veicolo sul quale è effettivamente  eseguito il   puntamento;  tali  considerazioni,  ad  avviso  del  giudicante, evidentemente consentono di superare la fede privilegiata
attribuita dall'art.  2700  c.c.  al  verbale redatto  dall'agente  accertatore, l'idoneità  probatoria  del quale non è  messa  in  discussione  in astratto ma è esclusa nel caso concreto, sulla supposta possibilità d'errore umano nella percezione e mancando un accertamento altrimenti reso incontrovertibile.
Siffatta decisione è censurata dal ricorrente con  un unico complesso motivo di ricorso - nel quale si denunziano violazioni dell'art.  142 C.d.S., comma 4, art. 345 reg. esec. C.d.S., L. n. 689 del 1981, art. 1, comma 3, artt. 2697 e 2700 c.c..
Attivatasi  procedura  ex  art. 375 c.p.c.,  il  Procuratore  Generale invia  requisitoria scritta nella quale, concordando  con  il  parere espresso   nella  nota  di  trasmissione,  conclude   con   richiesta d'accoglimento del ricorso siccome manifestamente fondato.
Al  riguardo il Collegio, riunito in camera di consiglio il 7.10.2010 e  successivamente,  a  seguito  di  riconvocazione,  il  03.05.2011, ritiene  che le considerazioni svolte dal Procuratore Generale  e  la conclusione cui è pervenuto debbano essere condivise alla luce della giurisprudenza formatasi in materia.
Considerata  la  normativa  vigente nell'ottobre  2003,  epoca  della commessa infrazione e, quindi, nella specie applicabile, va,  infatti osservato quanto segue.
L'art.  142  C.d.S.,  comma  6  dispone che  "per   la  determinazione dell'osservanza  dei  limiti di velocità sono considerate  fonti  di prova le risultanze di apparecchiature debitamente omologate, nonchè le  registrazioni  del  cronotachigrafo e  i  documenti  relativi  ai percorsi autostradali, come precisato dal regolamento".
L'art.  345  reg.  esec. C.d.S., sotto la rubrica  "Apparecchiature  e mezzi  di  accertamento della osservanza dei limiti  di velocità",  a sua  volta, dispone, al comma 1, che "Le apparecchiature destinate  a controllare  l'osservanza  dei  limiti  di  velocità  devono  essere costruite  in  modo da raggiungere detto scopo  fissando la  velocità del  veicolo  in  un  dato  momento in modo  chiaro  ed  accettabile, tutelando  la riservatezza dell'utente"; al comma 2, che "le  singole apparecchiature  devono  essere approvate dal  Ministero  dei  lavori pubblici";  al comma 4, che "per l'accertamento delle violazioni  dei limiti  di  velocità, le apparecchiature di cui al   comma  1  devono essere  gestite direttamente dagli organi di polizia stradale di  cui all'art.  12  C.d.S.  e  devono  essere  nella  disponibilità  degli stessi".
Dunque,   per   il   C.d.S.  e  per  il  relativo    Regolamento,   le apparecchiature  elettroniche di controllo  della  velocità,  devono essere  omologate  od  approvate, devono  consentire  di  fissare  la velocità  del  veicolo  in  un  dato  momento  in  modo  chiaro   ed accettabile  e possono essere utilizzate esclusivamente dagli  organi di   polizia   stradale  di  cui  all'art.  12   C.d.S.   (comma   1:
"L'espletamento dei servizi di polizia stradale previsti dal presente codice spetta: a) in via principale alla specialità Polizia Stradale della  Polizia  di Stato; b) alla Polizia di  Stato; c)  all'Arma  dei carabinieri;  d) al Corpo della guardia di finanza; d-bis) ai Corpi  e ai  servizi  di  polizia provinciale, nell'ambito del  territorio  di competenza;   e)  ai  Corpi  e  ai  servizi  di  polizia  municipale, nell'ambito  del   territorio  di competenza;  f)  ai  funzionari  del Ministero  dell'interno addetti al servizio di polizia  stradale;  f- bis)  al  Corpo  di polizia penitenziaria e al Corpo forestale  dello Stato,  in  relazione  ai  compiti di istituto"),  la  cui  presenza, tuttavia, negli indicati casi non è prescritta.
Non  è,  invece,  richiesto, come a volte ritenuto  da  giudici  del merito,  che  dette apparecchiature siano anche munite di dispositivi in  grado  d'assicurare una documentazione, con modalità  meccaniche automatiche - quale, tra le altre, la fotografica - dell'accertamento dell'infrazione, in quanto la fonte primaria prescrive  solo  che  le apparecchiature elettroniche possano costituire fonte  di  prova,  se debitamente omologate.
La norma regolamentare, alla quale rinvia l'art. 142 C.d.S., comma 6, stabilisce  i requisiti ai quali è subordinata l'approvazione  delle apparecchiature elettroniche - tra i quali l'idoneità  a  consentire la  rilevazione  della  velocità  del  veicolo   in  modo  chiaro  ed accertabile,  requisito che presuppone unicamente   la  determinazione inequivoca della velocità stessa, ben potendo l'identificazione  del veicolo  essere  demandata alla contestuale attività  d'accertamento dell'agente  di polizia addetto all'apparecchiatura, come  prescritto dal  surrichiamato art. 345 del regolamento - e tanto  dispone  senza alcun  esplicito  od  implicito  riferimento  alla  necessità  d'una documentazione      fotografica     od      altrimenti      meccanica dell'individuazione stessa.
Nè  potrebbe  arguirsi l'indispensabilità di detta  documentazione, per rendere la rilevazione della velocità chiara ed accertabile, dal fatto  che la disposizione regolamentare prescriva che l'accertamento debba avvenire tutelando la riservatezza dell'utente,  in quanto dalla previsione  esplicita,  tra l'altro a diverso fine,  d'una  modalità d'accertamento,  riferibile all'eventuale documentazione   fotografica dell'infrazione  commessa,  non può trarsi  la  conseguenza  ch'essa costituisca   l'unica   modalità   d'identificazione   del   veicolo normativamente consentita od obbligatoria.
In  considerazione della materia oggetto di regolamentazione e  della rapida   evoluzione   tecnologica,   deve,   anzi,   ritenersi    che opportunamente la fonte regolamentare si sia limitata a prevedere che le  apparecchiature debbano consentire di fissare  la  velocità  del veicolo in un determinato momento in modo chiaro ed accertabile e non abbia,  viceversa, delineato anche le caratteristiche necessarie  per l'approvazione,  attestandosi sulla tipologia  delle  apparecchiature all'epoca esistenti.
Alle   esaminate   disposizioni   di   carattere   generale   si   è successivamente  aggiunta  -  ma non  sostituita,  in  ragione  della specificità  delle ipotesi previste e regolate - la  norma  speciale posta  dal  D.L.  20 giugno 2002, n. 168, art. 4 come convertito  con modificazioni  dalla  L.  1 agosto 2002, n.  168,   con  la  quale  il legislatore,  dopo  aver disposto, al comma 1, che sulle  particolari strade indicatevi possano essere utilizzati od installati dispositivi o  mezzi  tecnici  di  controllo  del  traffico  ...  finalizzati  al rilevamento  a  distanza delle infrazioni alle norme di comportamento di  cui agli artt. 142 e 148 C.d.S., prescrive, al terzo comma,  che, in  tal  caso,  la  violazione debba essere documentata  con  sistemi fotografici,  di  ripresa video o con analoghi   dispositivi  che  ... consentano  di accertare, anche in tempi successivi, le
modalità  di svolgimento dei fatti costituenti illecito amministrativo  nonchè  i dati  d'immatricolazione  del veicolo ovvero  il  responsabile  della circolazione,   specificando,  altresì,  che   gli   apparecchi   di rilevamento  automatico della violazione debbono essere approvati  od omologati  ai  sensi  dell'art. 45 C.d.S.  ove  utilizzati  senza  la presenza od il diretto intervento degli agenti preposti.
Un'interpretazione letterale e razionale della norma  in  esame,  con particolare riferimento ai due periodi dei quali si compone il  terzo comma,  evidenzia  come  la  previsione d'apparecchiature  capaci  di documentare   mediante  fotografia  o  simili  le   modalità   della violazione e l'identificazione del veicolo  attenga alle ipotesi nelle quali l'accertamento abbia luogo in un momento successivo, id est  in base  alla  lettura  della documentazione  stessa  (previa  stampa  di quanto  registrato  su pellicola o memory stick  o  altro  supporto), essendo mancata la presenza degli agenti al momento della violazione;
diversamente,  nelle  ipotesi in cui la violazione  si  verifichi  su strade  diverse  da  quelle  considerate,  con  apparecchiature   non predisposte  per la memorizzazione dell'infrazione con i detti  mezzi ma,   comunque,   alla   presenza   degli   agenti,   rimane   valida l'applicazione della normativa generale, per la quale,  come  sì  è visto,  questi ultimi possono rilevare mediante lo strumento il  dato tecnico  della  violazione  e contestualmente  procedere  di  persona all'identificazione del veicolo.
Al  qual  riguardo,  è noto che, secondo il prevalente  orientamento della  giurisprudenza di legittimità (recentemente confermato  dalle SS.UU.  di questa Corte con sentenza 24.7.09 n. 17355), nel  giudizio d'opposizione  avverso  l'ingiunzione di pagamento  di  una  sanzione amministrativa,  il verbale d'accertamento dell'infrazione  fa  piena prova,  fino  a  querela di falso, dei fatti in  esso  attestati  dal pubblico  ufficiale come avvenuti in sua presenza nonchè  della  sua provenienza  dal  pubblico  ufficiale  medesimo,  stante  l'efficacia probatoria  privilegiata attribuita all'atto pubblico dall'art.  2700 c.c..
Ne  consegue  che  l'accertamento delle violazioni alle  norme  sulla velocità deve ritenersi provato sulla base  della verbalizzazione dei rilievi  tratti  dalle apparecchiature previste dal  detto  art.  142 C.d.S.  e  delle constatazioni personali degli agenti - constatazioni che,  attenendo a dati obiettivi quali la lettura del  display  dello strumento  e la rilevazione del numero della  targa, non costituiscono "percezioni    sensoriali"    implicanti   margini    d'apprezzamento individuale  -  facendo infatti prova il verbale fino  a  querela  di falso   dell'effettuazione  di  tali  rilievi  e  constatazioni;   le risultanze  dei rilevamenti valgono, poi, fino a prova contraria,  la quale può essere data dall'opponente in  base alla dimostrazione  del difetto  di  funzionamento  dei  dispositivi,  anche  occasionale  in relazione  alle  condizioni della strada e del  traffico
al  momento della  rilevazione,  da  fornirsi in  base a concrete  circostanze  di fatto,  mentre  non può essere ipotizzata, come nella specie,  senza alcuna  concreta  dimostrazione (Cass. 5.7.06 n.  15324,  29.3.06  n. 7126,  10.1.05 n. 287, 20.4.05 n. 8232, 24.3.04 n. 5873,  12.7.01  n. 9441, 25.5.01 n. 7106).
Orbene,  con  riferimento all'apparecchiatura  denominata  telelaser, debitamente omologata, il giudice a quo ha errato  nell'affermare  che l'accertamento  della  velocità,  con  riferimento  ad  un   singolo determinato  veicolo, non potesse essere idoneamente documentato  dal verbale  degli a-genti addetti alla rilevazione, essendo il  relativo verbale  assistito da efficacia probatoria fino a  querela  di  falso quanto  ai  dati  in  esso attestati dal pubblico  ufficiale  (SS.UU. cit.).
D'altra parte, all'esame dell'impugnata sentenza,  salvo il giudice  a quo  avesse  ritenuto  implicitamente  assorbita  la  questione,  non risulta  che  l'opponente  avesse dedotto  un  cattivo  funzionamento dell'apparecchio  utilizzato  nella  circostanza  od  un  errore   di puntamento  da  parte  degli agenti e fornito prova   degli  specifici elementi  concreti  dai  quali desumere  tali  circostanze,  all'uopo risultando del tutto generica l'allegazione del contestuale passaggio anche  d'un diverso veicolo, onde doveva essere tratta la conclusione che  le  risultanze  dell'accertamento compiuto con l'apparecchiatura elettronica non erano state vinte da prova contraria.
In  difetto  della quale - che, giova ribadire, incombe all'opponente dedurre   e   fornire   -   devesi  concludere   che   l'accertamento dell'infrazione  è  valido  e  legittimo,  dacchè,  da   un   lato, l'apparecchiatura   telelaser  consente  la   visualizzazione   della velocità  rilevata, dall'altro, la riferibilità della velocità  ad un  veicolo  determinato discende dall'operazione  di   puntamento  e, quindi, d'identificazione del veicolo stesso effettuata  ed attestata, validamente sino a querela di falso, dall'agente di polizia  stradale che ha in uso l'apparecchiatura in questione.
A  tali  principi  e  considerazioni il  giudice  a  quo  non  si  è conformato,  onde l'impugnata sentenza va annullata,   peraltro  senza rinvio.
Poichè,  infatti,  dalla sentenza stessa risulta  che  la  questione esaminata rappresentava l'unico motivo d'opposizione, questo  essendo risultato  infondato  per le ragioni sopra  esposte,  la  causa  può essere  decisa  nel merito in questa sede, ex art.  384  c.p.c.,  con rigetto dell'originaria opposizione.
Le  spese, liquidate come in dispositivo, seguono  la soccombenza  per il  giudizio di legittimità, mentre, per quello di merito, non  v'ha luogo    a    provvedere,   non   risultando   attività    difensiva dell'Amministrazione  e, comunque, non avendo  questa  depositato  la nota delle spese vive liquidabili.P.Q.M.
LA  CORTE accoglie  il  ricorso,  cassa senza rinvio  l'impugnata  sentenza   e, decidendo  nel  merito,  respinge l'originaria opposizione;  condanna                 #################### alle spese del giudizio  di  legittimità  che liquida  in Euro 400,00 per onorari oltre esborsi prenotati a  debito ed accessori di legge.

 
   

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