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Se la divisa aziendale va indossata nello spogliatoio

Dettagli
Se la divisa aziendale va indossata nello spogliatoio, al dipendente va retribuito il tempo necessario
Laddove è il datore a stabilire le modalità dell'operazione, come per gli operai in fabbrica, l'attività rientra nella prestazione effettiva. Niente compenso a chi può uscire da casa con l'abito da lavoro: la vestizione è solo «diligenza preparatoria»
LAVORO (RAPPORTO DI)
Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., 10-09-2010, n. 19358
Fatto Diritto P.Q.M.
Svolgimento del processo

1. Un gruppo di dipendenti della ############### Italia srl., con separati ricorsi poi riuniti, convenivano in giudizio la predetta società per chiedere la corresponsione dell'equivalente di venti minuti di retribuzione giornaliera per 45 settimane, a fronte del cd. "tempo tuta". Esponevano che per entrare nel perimetro aziendale dovevano transitare per un tornello apribile mediante tesserino magnetico di riconoscimento, indi percorrere cento metri ed accedere allo spogliatoio, ivi indossare gli indumenti di lavoro forniti dall'azienda, effettuare una seconda timbratura del tesserino prima dell'inizio del lavoro; al termine, dovevano effettuare una terza timbratura, accedere allo spogliatoio per lasciare gli abiti di servizio, passare una quarta volta il tesserino al tornello ed uscire. Deducevano che il tempo occorrente per le suddette operazioni costituiva una "messa a disposizione" delle proprie energie in favore del datore di lavoro, onde il tempo stesso doveva essere retribuito.

2. Si costituiva la società ed eccepiva che nel corso delle operazioni suddette i lavoratori rimanevano comunque liberi di disporre del proprio tempo e non erano sottoposti al potere datoriale, mentre soltanto con l'inizio effettivo del turno di lavoro essi erano sottoposti agli ordini ed alle indicazioni dei superiori gerarchici.

3. Il Tribunale respingeva la domanda attrice, ritenendo che il tempo necessario per la vestizione non costituisse tempo di lavoro retribuito. Proponevano appello gli attori. Si costituiva e si opponeva la ###############, la quale dava atto della conciliazione intervenuta nei confronti di P.P.. La Corte di Appello di Roma , in parziale riforma della sentenza di primo grado, accoglieva le domande attrici nella misura - equitativamente determinata - del 50%. Questa in sintesi la motivazione della sentenza di appello:

- come risulta dalla sentenza della Corte di Cassazione n. 15734.2003, va considerato tempo di lavoro anche quello in cui il lavoratore si tiene a disposizione del datore di lavoro;

- quando l'obbligo di vestizione della divisa (Cass. n. 3763.1998) deve essere eseguito secondo pregnanti disposizioni del datore di lavoro circa il tempo ed il luogo dell'esecuzione, tale attività risulta "eterodiretta" e quindi da diritto alla retribuzione;

- applicati tali principi, ne risulta che il tempo impiegato nella vestizione va considerato orario di lavoro;

- ciò risulta confermato dalla direttiva n. 104.1993 della Comunità Europea, recepita nel D.Lgs. n. 66 del 2003, art. 1, comma 2 (utilizzata come indicazione interpretativa);

- poichè non è possibile individuare per ciascun attore i tempi effettivamente impiegati per indossare e dismettere gli abiti da lavoro, soccorre una valutazione equitativa ex art. 432 c.p.c..

4. Ha proposto ricorso per Cassazione la ############### Italia srl., deducendo cinque motivi. Gli attori sono rimasti intimati.
Motivi della decisione

5. Con il primo motivo del ricorso, la ricorrente deduce violazione e falsa applicazione, a sensi dell'art. 360 c.p.c., n. 3, del R.D. n. 692 del 1923, artt. 1 e 3 del R.D. n. 1955 del 1923, del D.Lgs. n. 66 del 2003, art. 1, comma 1 del D.P.R. n. 327 del 1980, del D.Lgs. n. 155 del 1997, art. 12 preleggi, artt. 2094 e 2104 c.c., art. 112 e segg. c.p.c., art. 2997 c.c.: la Corte di Appello ha violato la normativa inerente all'orario di lavoro ed il criterio dell'onere della prova, affermando apoditticamente che durante il tempo della vestizione il lavoratore sarebbe a disposizione del datore di lavoro.

Viceversa detto tempo non richiede applicazione assidua e continuativa ed è equiparabile ad un riposo intermedio ovvero al tempo necessario per recarsi al lavoro. Il lavoratore non è a disposizione del datore di lavoro e non è nell'esercizio delle sue attività. Non vi è sinallagma contrattuale, ma solo un'attività preparatoria per la resa della prestazione.

6. Con il secondo motivo del ricorso, la ricorrente deduce violazione e falsa applicazione, a sensi dell'art. 360 c.p.c., n. 3, dell'art. 2099 c.c., art. 36 Cost., omessa motivazione e mancata valutazione della disciplina di cui ai CCNL di settore 1991, 1995 e 1999, degli accordi aziendali, delle regole sull'interpretazione dei contratti di cui all'art. 1362 e segg. c.p.c.. Trascritte le norme contrattuali sull'orario di lavoro, deduce la ricorrente che la riduzione di orario pari ad un'ora settimanale ha avuto riguardo al lavoro effettivo.

7. Con il terzo motivo del ricorso, la ricorrente deduce omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione in fatto circa un punto decisivo della controversia, a sensi dell'art. 360 c.p.c., n. 5, deducendo l'omesso esame degli accordi sindacali e la mancata applicazione della regola generale dell'assorbimento del trattamento di miglior favore riferibile anche alle pause contrattuali - violazione e falsa applicazione, a sensi dell'art. 360 c.p.c., n. 3, dell'art. 1362 segg. c.c.. Ogni dipendente può entrare in fabbrica fino a 29 minuti prima dell'inizio del turno e quando ha indossato l'abito da lavoro è libero di impiegare il tempo come desidera. Tali circostanze sono state capitolate come prova. Segue la trascrizione delle fonti contrattuali e si deduce che l'eventuale credito orario doveva essere compensato, fino a concorrenza, con le riduzioni di orario effettivo.

8. I motivi sopra riportati possono essere esaminati congiuntamente, in quanto tra loro strettamente connessi. Essi risultano infondati.

La giurisprudenza di questa Corte di Cassazione, dopo qualche incertezza, si è orientata nel senso che "Ai fini di valutare se il tempo occorrente per indossare la divisa aziendale debba essere retribuito o meno, occorre far riferimento alla disciplina contrattuale specifica: in particolare, ove sia data facoltà al lavoratore di scegliere il tempo e il luogo ove indossare la divisa stessa (anche presso la propria abitazione, prima di recarsi al lavoro) la relativa attività fa parte degli atti di diligenza preparatoria allo svolgimento dell'attività lavorativa, e come tale non deve essere retribuita, mentre se tale operazione è diretta dal datore di lavoro, che ne disciplina il tempo ed il luogo di esecuzione, rientra nel lavoro effettivo e di conseguenza il tempo ad essa necessario deve essere retribuito". Così Cass. n. 15734.2003. 9. Successivamente il principio è ripreso da Cass. n. 19273.2006:

"Ai fini di valutare se il tempo occorrente per indossare la divisa aziendale debba essere retribuito o meno, occorre far riferimento alla disciplina contrattuale specifica: in particolare, ove sia data facoltà al lavoratore di scegliere il tempo e il luogo ove indossare la divisa stessa (anche presso la propria abitazione, prima di recarsi al lavoro) la relativa attività fa parte degli atti di diligenza preparatoria allo svolgimento dell'attività lavorativa, e come tale non deve essere retribuita, mentre se tale operazione è diretta dal datore di lavoro, che ne disciplina il tempo ed il luogo di esecuzione, rientra nel lavoro effettivo e di conseguenza il tempo ad essa necessario deve essere retribuito. (Nella specie, riguardante un periodo antecedente alla entrata in vigore del D.Lgs. 8 aprile 2003, n. 66 di recepimento delle direttive comunitarie 93/104 e 200/34, la S.C. ha confermato la sentenza di merito secondo la quale il tempo della vestizione, facendo corpo con quello
concernente la obbligazione principale ed attenendo un vincolo che caratterizza inevitabilmente la fase preparatoria, doveva ritenersi già remunerato dalla retribuzione ordinaria, senza necessità di distinguere la retribuzione a seconda dell'esistenza dell'obbligo di indossare o meno gli indumenti da lavoro)". 10. Più recentemente il principio è confermato da Cass. n. 15492.2009: "L'art. 5 del contratto collettivo nazionale per i lavoratori delle industrie meccaniche private in data 8 giugno 1999 e del contratto collettivo nazionale delle aziende meccaniche pubbliche aderenti all'Intersind, nella parte in cui prevede che "sono considerate ore di lavoro quelle di effettiva prestazione", deve essere interpretato nel senso che siano da ricomprendere nelle ore di lavoro effettivo, come tali da retribuire, anche le attività preparatorie o successive allo svolgimento dell'attività lavorativa, purchè eterodirette dal datore di lavoro, fra le quali deve ricomprendersi anche il tempo
necessario ad indossare la divisa aziendale, qualora il datore di lavoro ne disciplini il tempo ed il luogo di esecuzione. Nè può ritenersi incompatibile con tale interpretazione la disposizione contenuta nell'art. 5 citato secondo la quale le ore di lavoro sono contate con l'orologio dello stabilimento o reparto, posto che tale clausola non ha una funzione prescrittiva, ma ha natura meramente ordinatoria e regolativa, ed è destinata a cedere a fronte dell'eventuale ricomprensione nell'orario di lavoro di operazioni preparatorie e/o integrative della prestazione lavorativa che siano, rispettivamente, anteriori o posteriori alla timbratura dell'orologio marcatempo". 11. La giurisprudenza sopra citata conferma che nel rapporto di lavoro deve distinguersi una fase finale, che soddisfa direttamente l'interesse del datore di lavoro, ed una fase preparatoria, relativa a prestazioni od attività accessorie e strumentali, da eseguire nell'ambito della disciplina d'impresa (art. 2104 c.c.,
comma 2) ed autonomamente esigibili dal datore di lavoro, il quale ad esempio può rifiutare la prestazione finale in difetto di quella preparatoria. Di conseguenza al tempo impiegato dal lavoratore per indossare gli abiti da lavoro (tempo estraneo a quello destinato alla prestazione lavorativa finale) deve corrispondere una retribuzione aggiuntiva.

12. Con il quarto motivo del ricorso, la ricorrente deduce violazione e falsa applicazione, a sensi dell'art. 360 c.p.c., n. 3, degli artt. 414, 112 e 115 c.p.c., art. 2797 c.c. e "decadenza": la Corte di Appello ha violato il principio della corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato, perchè ha accolto una domanda diversa da quella proposta, vale a dire la corresponsione della retribuzione per tutto il tempo intermedio tra l'accesso al primo tornello e l'uscita definitiva dall'azienda.

13. Il quinto motivo del ricorso attiene alla violazione degli artt. 112, 414 e 432 c.p.c., artt. 1226 e 2697 c.c., vale a dire la quantificazione della domanda sulla base di un arbitrario esercizio dei poteri equitativi dinanzi ad una carente allegazione dei fatti contenuta nella domanda.

14. Detti due motivi, da esaminarsi anch'essi congiuntamente, sono infondati. Il giudice di merito non ha accolto una domanda diversa da quella formulata, ma ha attribuito un "quid minus" rispetto a quanto domandato dagli attori, finendo per considerare come tempo di lavoro o tempo a disposizione, eterodiretto, la metà del tempo mediamente impiegato per passare dal primo al secondo tornello e dal terzo al quarto. La relativa liquidazione è stata operata in via equitativa e con prudente apprezzamento, stante la difficoltà di accertare con precisione il "quantum" della domanda. Il giudice di merito ha fatto uso discrezionale dei poteri che gli attribuisce la norma processuale, con apprezzamento in fatto incensurabile in Cassazione, siccome adeguatamente motivato.

15. Non avendo la controparte svolto attività difensiva, non vi è luogo a provvedere sulle spese del grado.
P.Q.M.

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE rigetta il ricorso; nulla per le spese del processo di legittimità.
 

Forze armate, in genere candidati ad elezioni politiche o amministrative

Dettagli

Nuova pagina 3

Forze armate, in genere candidati ad elezioni politiche o amministrative

Forze armate - Personale - Aspettative

T.A.R. Molise Campobasso Sez. I Sent., 2 luglio 2010, n. 256
A norma dell'art. 81 comma secondo della legge n. 121/1981 gli appartenenti alle forze di polizia candidati ad elezioni politiche o amministrative sono posti in aspettativa speciale con assegni dal momento dell'accettazione della candidatura per la durata della campagna elettorale e possono svolgere attività politica e di propaganda, al di fuori dell'ambito dei rispettivi uffici e in abiti civili.
T.A.R. Molise Campobasso Sez. I Sent., 02-07-2010, n. 256
M.G. c. Ministero della Giustizia e altri
FONTI
Massima redazionale, 2010
ELEZIONI   -   FORZE ARMATE   -   IMPIEGO PUBBLICO
T.A.R. Molise Campobasso Sez. I, 02-07-2010, n. 256
Fatto - Diritto P.Q.M.
Svolgimento del processo - Motivi della decisione
 
I - La parte ricorrente, dipendente in servizio della polizia penitenziaria, avendo accettato nel 2008 la candidatura a consigliere in elezioni comunali, chiedeva di fruire dell'aspettativa speciale, con sospensione dell'attività lavorativa. Sennonché, l'Amministrazione ritiene che la decorrenza dell'aspettativa sia dalla data di accettazione della candidatura da parte della commissione elettorale, non già dalla data di presentazione della candidatura stessa. La parte ricorrente insorge, per impugnare i seguenti atti: 1) il provvedimento del Provveditore regionale per l'Abruzzo e Molise datato 4.8.2008; 2)ogni atto presupposto, consequenziale e connesso. Chiede, altresì la disapplicazione della circolare datata 11.3.2008 n. 00891172008 del Ministero della Giustizia - direzione generale personale e formazione. Chiede, infine, il riconoscimento del suo diritto a godere dell'aspettativa speciale per campagna elettorale di cui all'art. 81 comma secondo legge n. 121/1981 dalla data di accettazione della candidatura, fino al termine della campagna elettorale. Deduce i seguenti motivi: violazione e falsa applicazione art. 81 comma 2 legge n. 121/1981, violazione e falsa applicazione artt. 18, 28, 30, 32, 33 d.P.R. n. 570/1960, eccesso di potere per illogicità manifesta, erronea presupposizione di fatto e di diritto, eccesso di potere sotto ulteriori, molteplici profili.
Si costituisce l'Amministrazione intimata, deducendo, con successive memoria e note di deposito, l'infondatezza del ricorso, Conclude per la reiezione.
All'udienza del 9 giugno 2010, la causa viene introitata per la decisione.
II - Il ricorso è infondato.
III - La parte ricorrente si duole del provvedimento di riqualificazione del periodo di assenza per aspettativa elettorale, in occasione della sua candidatura nella competizione per il rinnovo di un consiglio comunale molisano. L'aspettativa, invero, viene ricondotta dall'Amministrazione resistente al termine di iniziale decorrenza dell'ammissione della lista elettorale, anziché al precedente momento di accettazione individuale della candidatura della parte ricorrente.
I motivi del ricorso sono incentrati sull'interpretazione letterale della norma di riferimento (l'art. 81 comma secondo della legge 1° aprile 1981 n. 121), nonché sulla presunta discrasia tra il momento della formalizzazione dell'impegno soggettivo nella competizione elettorale e il distacco effettivo dalla funzione esercitata nella forza di polizia di appartenenza.
A giudizio del Collegio, la prospettazione di parte ricorrente non è condivisibile. Invero, l'art. 81 comma secondo della citata legge n. 121/1981 prevede che "gli appartenenti alle forze di polizia candidati ad elezioni politiche o amministrative sono posti in aspettativa speciale con assegni dal momento dell'accettazione della candidatura per la durata della campagna elettorale e possono svolgere attività politica e di propaganda, al di fuori dell'ambito dei rispettivi uffici e in abiti civili".
Il Collegio ritiene che l'Amministrazione resistente non si discosti dal dato letterale della norma, quando afferma che la dichiarazione di accettazione della candidatura, presentata contestualmente alla presentazione della lista, si perfezioni (ovvero produca effetto) dal momento in cui la lista viene ammessa, per modo che la candidatura può dirsi realizzata con riferimento esclusivo a quel momento.
E' vero che l'art. 32 comma nono n. 2) del d.P.R. 16 maggio 1960 n. 570 impone che la dichiarazione di accettazione della candidatura alle elezioni sia predisposta con anticipo, formalmente autenticata e, quindi, confezionata in un momento precedente alla presentazione della lista, ma è altresì vero che si tratta di un atto negoziale unilaterale il quale resta confinato nella sfera interna del rapporto tra l'aspirante candidato e il gruppo politico proponente la candidatura, almeno fino al momento del controllo di validità da parte della competente commissione elettorale, controllo dal quale dipende il perfezionamento (ovvero l'efficacia) dell'atto e che può avvenire soltanto dopo la presentazione della lista (cfr.: Cons. Stato V, 18.6.2001 n. 3212; T.A.R. Napoli II, 25.7.2008 n. 9399).
Si tratta di una fattispecie complessa, integrata da tre fasi: quella della manifestazione volitiva individuale dell'aspirante candidato, quella del deposito della lista presso il competente ufficio elettorale e quella del controllo pubblico dell'ammissibilità della lista da parte di un organo paragiurisdizionale, quale la commissione elettorale, ai sensi degli artt. 30 e 33 del citato testo unico n. 570/1960.
Per meglio intendere la complessità della fattispecie, si consideri che la presentazione contestuale dei certificati elettorali dei candidati - adempimento diretto a consentire la verifica dei profili di legittimità delle candidature - costituisce un requisito esenziale, previsto "ad substantiam", per la validità della candidatura e della lista che la contiene, ai sensi dell'art. 28 comma quinto del citato testo unico n. 570/1960 (cfr.: T.A.R. Molise 12.12.1994 n. 332). Pertanto, è al momento della formale ammissione della lista che può dirsi verificata la formalizzazione della candidatura e, conseguentemente, realizzata la condizione della sua accettazione da parte del candidato.
La detta accettazione individuale può anticipare di molti giorni la presentazione della lista, ma non può dirsi perfezionata, né può produrre effetti prima del momento di formalizzazione della candidatura che, in forza dell'art. 60 del D.Lgs. 18 agosto 2000 n. 267, è anche il momento in cui viene cristallizzata l'esistenza di eventuali cause di ineleggibilità del candidato.
L'ipotetica mancata presentazione (o mancata ammissione) della lista porrebbe nel nulla l'atto individuale di accettazione della candidatura.
Non essendovi accettazione di candidatura senza una candidatura formalizzata, è del tutto inverosimile che un operatore o funzionario di polizia possa fruire dell'aspettativa speciale retribuita, prevista dal citato art. 81 della legge n. 121/1981, per la durata dei giorni che vanno dall'accettazione individuale della candidatura all'ammissione della lista, anche nel caso in cui la lista non sia presentata o non sia ammessa alla competizione. Ed è ugualmente inaccettabile che l'aspettativa decorra dal giorno in cui il detto operatore o funzionario di polizia scelga, egli stesso, di sottoscrivere l'accettazione della candidatura, piuttosto che dal giorno in cui risulta formalmente candidato nella competizione elettorale. Il fatto che l'accettazione individuale della candidatura può essere fatta in un momento variabile da caso a caso, scegliendo ciascun candidato un giorno qualsiasi precedente alla presentazione della lista, renderebbe oltremodo variabile il momento di inizio della candidatura, se fosse vero che essa decorre dall'accettazione individuale, piuttosto che dall'ammissione della lista. Conseguentemente, sarebbe variabile - a discrezione del candidato - anche il momento di inizio dell'aspettativa, se questa dovesse decorrere dal giorno dell'accettazione individuale della candidatura, anziché dal giorno in cui essa diviene efficace per effetto dell'ammissione della lista.
Pertanto, il momento della candidatura (e di efficacia della sua accettazione), per ragioni di congruità sistemica dell'ordinamento, deve farsi coincidere con il momento dell'ammissione della lista alla competizione elettorale. Ed è da quel momento che si producono gli effetti di cui alla normativa del citato art. 81 comma secondo della legge n. 121/1981.
Corretta appare dunque l'impostazione ministeriale, recepita dagli uffici periferici, di riferire al momento dell'ammissione della lista (e della candidatura) la decorrenza degli effetti dell'aspettativa speciale della parte ricorrente, con ciò significando la necessità di attendere la definitiva conferma e stabilità dell'atto di esercizio del diritto di elettorato passivo, prima di riconoscere consequenziali diritti attinenti al rapporto di pubblico impiego. In difetto del perfezionamento (o dell'efficacia) della menzionata fattispecie complessa, ovvero in presenza di declaratoria di invalidità della dichiarazione di accettazione, invero, non si concretizza il momento partecipativo effettivo alla competizione elettorale, di guisa che perde di significato e di utilità la manifestazione di adesione al progetto politicoelettorale, sottoscritta con l'accettazione della candidatura.
IV - In conclusione, il ricorso non può essere accolto. Si ravvisano giustificate ragioni per la compensazione delle spese del giudizio tra le parti.
P.Q.M.
 
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Molise respinge il ricorso in epigrafe, perché infondato.
Compensa tra le parti le spese del giudizio.
Ordina all'Autorità amministrativa di dare esecuzione alla presente sentenza.
Così deciso in Campobasso, presso la sede del T.A.R., nella Camera di Consiglio del 9 giugno 2010, dal Collegio così composto:
Goffredo Zaccardi, Presidente
Orazio Ciliberti, Consigliere, Estensore
Luca Monteferrante, Primo Referendario
 
 

Polizia di Stato - candidatura elezioni - Aspettativa speciale retribuita - Decorrenza

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Polizia di Stato - candidatura elezioni - Aspettativa speciale retribuita - Decorrenza

T.A.R. Molise Campobasso Sez. I Sent., 2 luglio 2010, n. 254
Non essendovi accettazione di candidatura senza una candidatura formalizzata, è del tutto inverosimile che un operatore o funzionario di polizia possa fruire dell'aspettativa speciale retribuita, prevista dall'art. 81 della legge n. 121/1981, per la durata dei giorni che vanno dall'accettazione individuale della candidatura all'ammissione della lista, anche nel caso in cui la lista non sia presentata o non sia ammessa alla competizione. Né è possibile che l'aspettativa decorra dal giorno in cui il detto operatore o funzionario di polizia scelga, egli stesso, di sottoscrivere l'accettazione della candidatura, piuttosto che dal giorno in cui risulta formalmente candidato nella competizione elettorale.

T.A.R. Molise Campobasso Sez. I Sent., 02-07-2010, n. 254
M.C. c. Ministero della Giustizia e altri

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Massima redazionale, 2010





ELEZIONI   -   FORZE ARMATE   -   IMPIEGO PUBBLICO
T.A.R. Molise Campobasso Sez. I, 02-07-2010, n. 254

Fatto - Diritto P.Q.M.
Svolgimento del processo - Motivi della decisione
I - La parte ricorrente, dipendente in servizio della polizia penitenziaria, avendo accettato nel 2008 la candidatura a consigliere in elezioni comunali, chiedeva di fruire dell'aspettativa speciale, con sospensione dell'attività lavorativa. Sennonché, l'Amministrazione ritiene che la decorrenza dell'aspettativa sia dalla data di accettazione della candidatura da parte della commissione elettorale, non già dalla data di presentazione della candidatura stessa. La parte ricorrente insorge, per impugnare i seguenti atti: 1)il provvedimento del Direttore Casa Circondariale di Larino datato 1.10.2008; 2)il provvedimento del Provveditore regionale per l'Abruzzo e Molise datato 14.5.2008; 3)ogni atto presupposto, consequenziale e connesso. Chiede, altresì la disapplicazione della circolare datata 11.3.2008 n. 00891172008 del Ministero della Giustizia - direzione generale personale e formazione. Chiede, infine, il riconoscimento del suo diritto a godere dell'aspettativa speciale per
campagna elettorale di cui all'art. 81 comma secondo legge n. 121/1981 dalla data di accettazione della candidatura, fino al termine della campagna elettorale. Deduce i seguenti motivi: violazione e falsa applicazione art. 81 comma 2 legge n. 121/1981, violazione e falsa applicazione artt. 18, 28, 30, 32, 33 d.P.R. n. 570/1960, eccesso di potere per illogicità manifesta, erronea presupposizione di fatto e di diritto, eccesso di potere sotto ulteriori, molteplici profili.

Si costituisce l'Amministrazione intimata, deducendo, con successive memoria e note di deposito, l'infondatezza del ricorso, Conclude per la reiezione.

All'udienza del 9 giugno 2010, la causa viene introitata per la decisione.

II - Il ricorso è infondato.

III - La parte ricorrente si duole del provvedimento di riqualificazione del periodo di assenza per aspettativa elettorale, in occasione della sua candidatura nella competizione per il rinnovo di un consiglio comunale molisano. L'aspettativa, invero, viene ricondotta dall'Amministrazione resistente al termine di iniziale decorrenza dell'ammissione della lista elettorale, anziché al precedente momento di accettazione individuale della candidatura della parte ricorrente.

I motivi del ricorso sono incentrati sull'interpretazione letterale della norma di riferimento (l'art. 81 comma secondo della legge 1° aprile 1981 n. 121), nonché sulla presunta discrasia tra il momento della formalizzazione dell'impegno soggettivo nella competizione elettorale e il distacco effettivo dalla funzione esercitata nella forza di polizia di appartenenza.

A giudizio del Collegio, la prospettazione di parte ricorrente non è condivisibile. Invero, l'art. 81 comma secondo della citata legge n. 121/1981 prevede che "gli appartenenti alle forze di polizia candidati ad elezioni politiche o amministrative sono posti in aspettativa speciale con assegni dal momento dell'accettazione della candidatura per la durata della campagna elettorale e possono svolgere attività politica e di propaganda, al di fuori dell'ambito dei rispettivi uffici e in abiti civili".

Il Collegio ritiene che l'Amministrazione resistente non si discosti dal dato letterale della norma, quando afferma che la dichiarazione di accettazione della candidatura, presentata contestualmente alla presentazione della lista, si perfezioni (ovvero produca effetto) dal momento in cui la lista viene ammessa, per modo che la candidatura può dirsi realizzata con riferimento esclusivo a quel momento.

E' vero che l'art. 32 comma nono n. 2) del d.P.R. 16 maggio 1960 n. 570 impone che la dichiarazione di accettazione della candidatura alle elezioni sia predisposta con anticipo, formalmente autenticata e, quindi, confezionata in un momento precedente alla presentazione della lista, ma è altresì vero che si tratta di un atto negoziale unilaterale il quale resta confinato nella sfera interna del rapporto tra l'aspirante candidato e il gruppo politico proponente la candidatura, almeno fino al momento del controllo di validità da parte della competente commissione elettorale, controllo dal quale dipende il perfezionamento (ovvero l'efficacia) dell'atto e che può avvenire soltanto dopo la presentazione della lista (cfr.: Cons. Stato V, 18.6.2001 n. 3212; T.A.R. Napoli II, 25.7.2008 n. 9399).

Si tratta di una fattispecie complessa, integrata da tre fasi: quella della manifestazione volitiva individuale dell'aspirante candidato, quella del deposito della lista presso il competente ufficio elettorale e quella del controllo pubblico dell'ammissibilità della lista da parte di un organo paragiurisdizionale, quale la commissione elettorale, ai sensi degli artt. 30 e 33 del citato testo unico n. 570/1960.

Per meglio intendere la complessità della fattispecie, si consideri che la presentazione contestuale dei certificati elettorali dei candidati - adempimento diretto a consentire la verifica dei profili di legittimità delle candidature - costituisce un requisito esenziale, previsto "ad substantiam", per la validità della candidatura e della lista che la contiene, ai sensi dell'art. 28 comma quinto del citato testo unico n. 570/1960 (cfr.: T.A.R. Molise 12.12.1994 n. 332). Pertanto, è al momento della formale ammissione della lista che può dirsi verificata la formalizzazione della candidatura e, conseguentemente, realizzata la condizione della sua accettazione da parte del candidato.

La detta accettazione individuale può anticipare di molti giorni la presentazione della lista, ma non può dirsi perfezionata, né può produrre effetti prima del momento di formalizzazione della candidatura che, in forza dell'art. 60 del D.Lgs. 18 agosto 2000 n. 267, è anche il momento in cui viene cristallizzata l'esistenza di eventuali cause di ineleggibilità del candidato.

L'ipotetica mancata presentazione (o mancata ammissione) della lista porrebbe nel nulla l'atto individuale di accettazione della candidatura.

Non essendovi accettazione di candidatura senza una candidatura formalizzata, è del tutto inverosimile che un operatore o funzionario di polizia possa fruire dell'aspettativa speciale retribuita, prevista dal citato art. 81 della legge n. 121/1981, per la durata dei giorni che vanno dall'accettazione individuale della candidatura all'ammissione della lista, anche nel caso in cui la lista non sia presentata o non sia ammessa alla competizione. Ed è ugualmente inaccettabile che l'aspettativa decorra dal giorno in cui il detto operatore o funzionario di polizia scelga, egli stesso, di sottoscrivere l'accettazione della candidatura, piuttosto che dal giorno in cui risulta formalmente candidato nella competizione elettorale. Il fatto che l'accettazione individuale della candidatura può essere fatta in un momento variabile da caso a caso, scegliendo ciascun candidato un giorno qualsiasi precedente alla presentazione della lista, renderebbe oltremodo variabile il momento di inizio della
candidatura, se fosse vero che essa decorre dall'accettazione individuale, piuttosto che dall'ammissione della lista. Conseguentemente, sarebbe variabile - a discrezione del candidato - anche il momento di inizio dell'aspettativa, se questa dovesse decorrere dal giorno dell'accettazione individuale della candidatura, anziché dal giorno in cui essa diviene efficace per effetto dell'ammissione della lista.

Pertanto, il momento della candidatura (e di efficacia della sua accettazione), per ragioni di congruità sistemica dell'ordinamento, deve farsi coincidere con il momento dell'ammissione della lista alla competizione elettorale. Ed è da quel momento che si producono gli effetti di cui alla normativa del citato art. 81 comma secondo della legge n. 121/1981.

Corretta appare dunque l'impostazione ministeriale, recepita dagli uffici periferici, di riferire al momento dell'ammissione della lista (e della candidatura) la decorrenza degli effetti dell'aspettativa speciale della parte ricorrente, con ciò significando la necessità di attendere la definitiva conferma e stabilità dell'atto di esercizio del diritto di elettorato passivo, prima di riconoscere consequenziali diritti attinenti al rapporto di pubblico impiego. In difetto del perfezionamento (o dell'efficacia) della menzionata fattispecie complessa, ovvero in presenza di declaratoria di invalidità della dichiarazione di accettazione, invero, non si concretizza il momento partecipativo effettivo alla competizione elettorale, di guisa che perde di significato e di utilità la manifestazione di adesione al progetto politicoelettorale, sottoscritta con l'accettazione della candidatura.

IV - In conclusione, il ricorso non può essere accolto. Si ravvisano giustificate ragioni per la compensazione delle spese del giudizio tra le parti.

P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Molise respinge il ricorso in epigrafe, perché infondato.

Compensa tra le parti le spese del giudizio.

Ordina all'Autorità amministrativa di dare esecuzione alla presente sentenza.

Così deciso in Campobasso, presso la sede del T.A.R., nella Camera di Consiglio del 9 giugno 2010, dal Collegio così composto:

Goffredo Zaccardi, Presidente

Orazio Ciliberti, Consigliere, Estensore

Luca Monteferrante, Primo Referendario

 

 

Indennità di buonuscita - Comparto Sicurezza e Difesa

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FORZE ARMATE
Forze armate, in genere


FORZE ARMATE - Servizio


Cons. Stato Sez. IV, 9 luglio 2010, n. 4463

Analizzando l'evoluzione storica del linguaggio tipico dell'ordinamento militare, emerge che la locuzione "servizio continuativo" altro non ha indicato che una diversa denominazione del medesimo rapporto giuridico a tempo indeterminato concernente i gradi più bassi del personale appartenente alle forze di polizia ad ordinamento militare (Arma dei Carabinieri e Corpo della Guardia di Finanza). Per contro il periodo di servizio in ferma prolungata, o ferma breve, o rafferma (istituti del passato, oggi sostituiti dalla ferma volontaria annuale o quadriennale) costituisce un rapporto di servizio a tempo determinato (Riforma della sentenza del T.a.r. Lazio - Roma, sez. I bis, n. 4087/2005).

Cons. Stato Sez. IV, 09-07-2010, n. 4463
Ministero della Difesa c. T.R. e altri

FONTI
Massima redazionale, 2010

N. 04463/2010 begin_of_the_skype_highlighting              04463/2010      end_of_the_skype_highlighting REG.DEC.

N. 10046/2005 REG.RIC.

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REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)

ha pronunciato la presente

DECISIONE

Sul ricorso numero di registro generale 10046 del 2005, proposto da:
Ministero della Difesa, nella persona del Ministro p.t., rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliata per legge in Roma, via dei Portoghesi n. 12;

contro

i signori --

nei confronti di

I.N.P.D.A.P., non costituito in giudizio;

per la riforma

della sentenza del T.A.R. LAZIO - ROMA: SEZIONE I BIS n. 04087/2005 begin_of_the_skype_highlighting              04087/2005      end_of_the_skype_highlighting, resa tra le parti;

Visto il ricorso in appello con i relativi allegati;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 4 maggio 2010 il Cons. Antonino Anastasi e uditi per le parti l’avvocato Coronas e l'avvocato dello Stato Elefante;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

 

FATTO

Gli odierni appellati, ora sottufficiali delle Forze Armate in s.p.e., hanno chiesto il riconoscimento del servizio prestato in ferma volontaria o rafferma ai fini del computo della indennità di buonuscita nonché la restituzione dei contributi di riscatto versati.

Con la sentenza in epigrafe il Tribunale ha accolto in parte il ricorso, accertando il diritto dei militari ad essere iscritti d’ufficio al Fondo di previdenza ENPAS, ora INPDAP, con decorrenza dall’inizio del periodo di ferma prolungata o rafferma, ai fini dell’indennità di buonuscita.

La sentenza è stata impugnata con l’atto di appello all’esame dall’Amministrazione statale, la quale ne ha chiesto l’integrale riforma.

Si sono costituiti per resistere gli appellati in epigrafe indicati.

All’udienza del 4 maggio 2010 il ricorso è stato trattenuto in decisione.

DIRITTO

1. L’appello è fondato e va pertanto accolto, con integrale riforma della sentenza gravata.

Fondato e assorbente è infatti il motivo di impugnazione mediante il quale l’Amministrazione deduce l’errore di giudizio in cui è incorso il Tribunale, allorché ha ritenuto che il servizio pre ruolo vantato dai sottufficiali ricorrenti sia computabile direttamente ai fini della indennità di buonuscita.

Sostiene al riguardo l’Amministrazione appellante che i servizi prestati dai militari – in ferma volontaria o rafferma - prima dell’immissione in s.p.e. sono sì computabili ai fini della buonuscita, ma solo previo riscatto volontario e versamento di contributi da parte del personale interessato.

2. La questione oggetto della presente controversia è stata sin qui affrontata dalla giurisprudenza amministrativa in modo non univoco.

2.1. La VI Sezione del Consiglio di Stato, con decisioni n 6363 del 2005 e n. 1643 del 2006, ha inizialmente convenuto sulla tesi interpretativa ( iscrizione d’ufficio senza versamento di contributi di riscatto) valorizzata dalla sentenza qui impugnata.

Questo indirizzo interpretativo poggia in sostanza sul rilievo che, nella posizione di «ferma» e di «rafferma» dei sottufficiali delle ff.aa., sono riconoscibili i caratteri del servizio continuativo e, conseguentemente, del rapporto di pubblico impiego, con la conseguenza che a norma dell'art. 1 d.P.R. 29 dicembre 1973 n. 1032, detto servizio dà diritto alla iscrizione al fondo di previdenza Enpas, ora Inpdap.

2.2. La IV Sezione invece, con decisioni nn. 3361 e 6660 del 2009, ha ritenuto che ai fini dell’indennità di buonuscita i servizi svolti dai sottufficiali anteriormente all’ingresso in s.p.e. non possono essere considerati direttamente utili, ma necessitano di riscatto contributivo.

Con decisioni nn. 5545, 5547 e 5606 del 2009 la VI Sezione, mutando indirizzo, ha aderito alla tesi ora richiamata (necessità del riscatto contributivo).

Di recente peraltro la stessa VI Sezione, con decisioni nn. 503 e 553 del 2010, è tornata ad affermare che i servizi in questione danno luogo a iscrizione d’ufficio al fondo INPDAP senza versamento di contributi di riscatto.

Per parte sua la giurisprudenza di primo grado risulta inizialmente orientata per l’indirizzo nel cui solco si inserisce la sentenza qui gravata: di recente tuttavia il T.A.R. Lazio ha aderito all’impostazione restrittiva (cfr. ad es. T.A.R. Lazio I Sez. n. 9546 del 2009).

3. In tale complesso contesto di riferimento giurisprudenziale, ritiene questo Collegio che l’impostazione secondo la quale i servizi pre ruolo dei sottufficiali sono utili ex se ( senza riscatto) ai fini dell’indennità di buonuscita non può essere condivisa per varie e dirimenti ragioni.

In primo luogo, l’art. 1, d.P.R. n. 1032/1973, nell’individuare i pubblici dipendenti aventi diritto all’indennità di buonuscita, menziona i <<i militari delle forze armate e dei corpi di polizia in servizio permanente o continuativo>>.

Come è noto, per “servizio permanente” o “continuativo” del militare non si intende qualunque rapporto di servizio, ma solo il servizio permanente effettivo (s.p.e.), che costituisce rapporto di pubblico impiego a tempo indeterminato.

Analizzando l’evoluzione storica del linguaggio tipico dell’ordinamento militare, emerge che la locuzione “servizio continuativo” altro non ha indicato che una diversa denominazione del medesimo rapporto giuridico a tempo indeterminato concernente i gradi più bassi del personale appartenente alle forze di polizia ad ordinamento militare (Arma dei Carabinieri e Corpo della Guardia di Finanza).

Tanto emerge dal tenore letterale delle seguenti disposizioni: artt. 1 e 2, l. n. 53 del 1989; 68, l. n. 212 del 1983; 1 e 2, l. n. 833 del 1961; 4, l. n. 1168 del 1961.

Per contro il periodo di servizio in ferma prolungata, o ferma breve, o rafferma (istituti del passato, oggi sostituiti dalla ferma volontaria annuale o quadriennale) costituisce un rapporto di servizio a tempo determinato.

Nel caso di specie non è in discussione che si controverta di rapporto di servizio che abbia i connotati del pubblico impiego, tuttavia si tratta di rapporto di pubblico impiego a tempo determinato che il legislatore, nella sua discrezionalità, non ha ritenuto automaticamente computabile al fine dell’indennità di buonuscita, come sul piano testuale si evince appunto dall’art. 1 del d.P.R. n. 1032/1973 sopra richiamato.

Del resto tale previsione trova espressa e chiara conferma nell’art. 5 del D. l.vo n. 165 del 1997, i cui commi 4, 5 e 6, così dispongono:

“4. Il servizio militare comunque prestato, anche anteriormente alla data di entrata in vigore del presente decreto, è ricongiungibile ai fini del trattamento previdenziale.

5. Per il personale in ferma di leva prolungata o breve l'amministrazione provvede al versamento dei contributi previdenziali ed assistenziali previsti dalla normativa vigente.

6. I periodi pre-ruolo per servizio militare comunque prestato, nonché quelli utili ai fini previdenziali, anche antecedentemente alla data di entrata in vigore del presente decreto, sono riscattabili ai fini dell'indennità di fine servizio.”.

Nelle disposizioni sopra riportate si fa dunque distinzione tra contribuzione a fini previdenziali e contributi al fine dell’indennità di buonuscita, proprio avendo riguardo alla ferma prolungata e breve, rilevante nel caso di specie.

Mentre, infatti, ai sensi del comma 5, ai fini previdenziali la contribuzione grava sull’amministrazione, invece ai fini dell’indennità di buonuscita tali periodi sono “riscattabili”, ossia l’interessato può vederseli computati solo se versa i contributi volontari.

Infatti la riscattabilità viene riferita dal comma 6 ai servizi pre-ruolo e a quelli utili a fini previdenziali, sicché, sia che si voglia ricondurre la ferma prolungata, quella breve e la rafferma, al servizio pre-ruolo, sia che si voglia ricondurre tali ferme ai servizi utili a fini previdenziali ai sensi del precedente comma 5, comunque ai fini dell’indennità di buonuscita si tratta di periodi riscattabili cioè soggetti a contribuzione volontaria a carico del dipendente, e non a contribuzione a carico dell’Amministrazione.

Né può condividersi la tesi del T:A.R. secondo cui tali ferme sarebbero l’indispensabile canale di accesso al s.p.e., trattandosi di un canale di accesso non unico, e costituendo tali ferme periodi di lavoro a tempo determinato a sé stanti rispetto al s.p.e., e che ben possono concludersi senza il passaggio al servizio permanente effettivo. Proprio per la considerazione che dette ferme sono periodi di lavoro a tempo determinato che possono concludersi senza trasformazione in s.p.e., il legislatore, nella sua discrezionalità, ha considerato tali periodi utili a fini previdenziali con contribuzione a carico dell’Amministrazione, e riscattabili a fini dell’indennità di buonuscita, con contribuzione volontaria a carico degli interessati.

E’ al meccanismo legale che si desume dall’art. 1, d.P.R. n. 1032/1973 e dall’art. 5, D. l.vo n. 165/1997 che nel caso di specie l’INPDAP e il Ministero della difesa si sono correttamente attenuti, posto che, per il periodo di servizio militare volontario anteriore al passaggio in s.p.e., ai militari è stato chiesto il versamento del contributo volontario (c.d. riscatto) ai fini dell’indennità di buonuscita.

4. L’appello va quindi accolto, con assorbimento di ogni altro profilo, sicché, in riforma della sentenza gravata, il ricorso di primo grado va respinto.

Le spese e gli onorari dei due gradi del giudizio seguono la soccombenza e sono liquidati in via forfettaria nel dispositivo.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale - Sez. IV, definitivamente pronunciando, accoglie l’appello n. 10046 del 2005, riforma integralmente la sentenza impugnata e per l’effetto respinge il ricorso originario.

Condanna gli appellati in solido al pagamento di Euro 6.000,00 ( seimila//00) oltre accessori di legge, per le spese e gli onorari del doppio grado di giudizio

Ordina che la presente decisione sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 4 maggio 2010 con l'intervento dei Signori:

Luigi Maruotti, Presidente FF

Antonino Anastasi, Consigliere, Estensore

Bruno Mollica, Consigliere

Salvatore Cacace, Consigliere

Raffaele Greco, Consigliere

 

 

 

 

 

 

L'ESTENSORE

 

IL PRESIDENTE

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Il Segretario

 

DEPOSITATA IN SEGRETERIA

Il 09/07/2010

(Art. 55, L. 27/4/1982, n. 186)

Il Dirigente della Sezione

 

 

Nessun automatismo tra pensione di invalidità e quella di vecchiaia

Dettagli


(Sezione lavoro, sentenza n. 15804/10; depositata il 2 luglio)
PREVIDENZA SOCIALE
Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., 02-07-2010, n. 15804
Fatto Diritto P.Q.M.
Svolgimento del processo

1. Con sentenza del 12 luglio 2004 il Tribunale di Macerata, in funzione di giudice del lavoro, accoglieva la domanda proposta da R.M. nei confronti dell'INPS, intesa ad ottenere la trasformazione della pensione di invalidità in pensione di vecchiaia con decorrenza dal primo giorno del mese successivo al compimento del sessantacinquesimo anno di età, anzichè dal primo giorno del mese successivo alla presentazione della domanda di trasformazione, così come invece ritenuto dall'Istituto.

2. Tale decisione veniva confermata dalla Corte d'appello di Ancona, che, con sentenza dell'11 aprile 2007, respingeva l'appello dell'Istituto rilevando che la regola della decorrenza della pensione di vecchiaia dal primo giorno del mese successivo a quello di compimento dell'età pensionabile non poteva trovare eccezione - in base al principio di uguaglianza e di ragionevolezza di cui all'art. 3 Cost. - nell'ipotesi in cui l'assicurato fosse già titolare della pensione di invalidità. 2. Di questa sentenza l'INPS domanda la cassazione deducendo un unico motivo di impugnazione. Il pensionato non ha svolto difese in questa fase di giudizio.
Motivi della decisione

1. Con l'unico motivo di ricorso si censura la sentenza per violazione o falsa applicazione della L. n. 222 del 1984, art. 1, comma 10, del R.D.L. n. 463 del 1983, art. 8, convertito in L. n. 638 del 1983, nonchè del R.D.L. n. 1827 del 1935, art. 60, del R.D.L. n. 636 del 1939, art. 9, della L. n. 218 del 1952, art. 2, del D.Lgs. n. 503 del 1992, artt. 1, 2, 5 e 6 (tutti in relazione all'art. 360 c.p.c., n. 3). Sostiene l'INPS che la pensione di invalidità, di cui era titolare l'assicurato in base alla normativa precedente l'entrata in vigore della L. n. 222 del 1984, non si trasforma automaticamente in pensione di vecchiaia al perfezionarsi dei relativi requisiti - tale effetto automatico essendo stato previsto solo dalla L. n. 222 del 1984 e solamente (art. 10) per i titolari di assegno di invalidità - conseguendone, per l'assicurato, la necessità di presentare la domanda di trasformazione, la cui data rileva anche ai fini della decorrenza della pensione di vecchiaia
(coincidendo tale decorrenza con il primo giorno del mese successivo a quello di presentazione della domanda in parola).

2. Il ricorso è fondato.

Come ripetutamente affermato dalla giurisprudenza di questa Corte (Cass. n. 622 del 2005, n. 855 del 2006, 4392 del 2007, 2879 del 2008 e numerose successive conformi), per quanto riguarda la pensione di invalidità di cui al R.D.L. n. 636 del 1939 - pensione della quale, incontestatamente, era titolare l'odierno intimato - nessuna disposizione normativa prevede la sua automatica trasformazione in pensione di vecchiaia. Del resto, la stessa possibilità di mutamento del titolo di pensione - anche nei casi di espressa domanda dell'assicurato -, in particolare la possibilità di ottenere, al compimento dell'età pensionabile, la trasformazione della pensione di invalidità in pensione di vecchiaia, è stata per anni oggetto di contrasto in dottrina e in giurisprudenza; detto contrasto è stato, poi, risolto in senso affermativo dalle Sezioni unite di questa Corte con la sentenza n. 8433 del 2004 in base al rilievo secondo cui è immanente, nel nostro sistema pensionistico, il principio
della mutabilità del titolo. L'esistenza di un tale principio, peraltro, non può risolversi in danno dell'assicurato e, dunque - in difetto di una specifica previsione di legge che consideri automatica la trasformazione di un trattamento pensionistico in un altro -, non può che concretarsi nel riconoscimento, all'assicurato medesimo (libero di valutarne i vantaggi), della facoltà di richiedere la trasformazione e, perciò, nel riconoscimento di uno specifico diritto di opzione che non può che essere conseguente a una sua domanda in tal senso. Nè può affermarsi che la L. n. 222 del 1984, art. 1, comma 10, sia direttamente applicabile alla fattispecie dell'invalidità disciplinata dalla normativa anteriore. La norma, sicuramente di carattere eccezionale -ove si consideri che, in materia di prestazioni previdenziali, la domanda dell'interessato costituisce la "regola" - non è, per ciò stesso, suscettibile di interpretazione analogica e, con riferimento alla "vecchia" pensione
di invalidità, neppure di interpretazione estensiva (vedi sui limiti della interpretazione estensiva di disposizioni "eccezionali" o "derogatorie" rispetto ad una avente natura di "regola": Cass. n. 9205 del 1999), considerando le profonde differenze che corrono tra le due prestazioni (la pensione è prestazione molto più favorevole all'assicurato dell'assegno) e che giustificano la diversa disciplina in materia: cambiano, infatti, nella L. n. 222 del 1984 cit., le condizioni relative alla misura dello stato invalidante, giacchè la riduzione della capacità di "guadagno" prevista per la pensione investiva un ambito di operatività più ampio rispetto alla riduzione della capacità di "lavoro" prevista per l'assegno (art. 1, comma 1); la pensione di. invalidità era prestazione a carattere definitivo, soggetta solo a revoca per riacquisto della capacità di guadagno (R.D.L. n. 636 del 1939, art. 10), mentre l'assegno ha durata triennale, confermabile su domanda dell'interessato
(art. 1, comma 7); la pensione è reversibile ai superstiti mentre l'assegno non lo è (art. 1, comma 6); più oneroso è il requisito contributivo, poichè, se per entrambe le prestazioni è previsto il quinquennio di contribuzione, per l'assegno sono necessari tre anni di contribuzione nell'ultimo quinquennio (art. 4) mentre per la pensione era sufficiente un solo anno (L. n. 1272 del 1939, art. 9, n. 2, lett. b).

In conclusione ha errato la Corte di Ancona nell'affermare che, al compimento dell'età pensionabile, la pensione di invalidità dell'odierno intimato si era automaticamente trasformata in pensione di vecchiaia, così da far decorrere il diritto alla prestazione dal compimento dell'età pensionabile, anzichè dal primo giorno del mese successivo a quello di presentazione all'INPS della domanda amministrativa di trasformazione.

3. Accolto il ricorso dell'INPS, la sentenza d'appello va cassata, e, poichè dalla stessa risulta che l'assicurato aveva dato atto di aver già ottenuto dall'Istituto previdenziale la trasformazione richiesta con la decorrenza indicata dall'Istituto medesimo (controvertendosi solo per l'affermazione del diritto alla più remota decorrenza della pensione di vecchiaia sin dal compimento dell'età pensionabile), la causa può essere decisa nel merito, ai sensi dell'art. 384 c.p.c., comma 1, con il rigetto della domanda del pensionato.

4. Nulla per le spese dell'intero processo ai sensi dell'art. 152 disp. att. c.p.c. (nel testo anteriore alle modifiche introdotte dal D.L. n. 269 del 2003, nella specie inapplicabile avuto riguardo alla data di deposito del ricorso giurisdizionale).
P.Q.M.

LA CORTE accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, rigetta la domanda. Nulla per le spese dell'intero processo.
 

 
   

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