danno alla salute, per essere stato impegnato in lavori usuranti

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Categoria: Sentenze - Ordinanza - Parere - Decreto
Creato Venerdì, 11 Febbraio 2011 12:55
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... danno alla salute, per essere stato impegnato in lavori usuranti con turni di dodici ore e in trasferta, non era ...
 

 

LAVORO E PREVIDENZA (CONTROV.)   -   LAVORO (RAPPORTO)
Cass. civ. Sez. lavoro, 05-01-2007, n. 43
Fatto Diritto P.Q.M.
Svolgimento del processo

Con sentenza del 5 agosto 2003 la Corte d'appello di L'Aquila confermava la statuizione resa dal Tribunale di Pescara, con cui erano state rigettate le domande proposte da P.M. nei confronti della Saipem s.p.a., datrice di lavoro, per far valere la illegittimità sia del trasferimento, sia del licenziamento successivamente intimato dalla società e per ottenere il risarcimento del danno alla salute asseritamente subito.

In data (OMISSIS) la società aveva disposto il trasferimento del lavoratore da (OMISSIS) a (OMISSIS) e quindi l'aveva licenziato il successivo (OMISSIS), a causa della sua mancata presentazione nella nuova sede di lavoro. La Corte territoriale in primo luogo riteneva inapplicabile alla Saipem la disposizione di cui all'allegato 13 del CCNL, ove si prevedeva, in caso di trasferimento, il termine di preavviso di due mesi, e riteneva quindi legittimo quello di un mese, di cui si era fatta applicazione, sul rilievo che il termine più lungo era prescritto solo per settori produttivi diversi da quelli a cui apparteneva la Saipem, che era inclusa in quello relativo al "montaggio impianti e condotte terra e mare - attività di perforazione", risultando, dalla medesima clausola contrattuale, come società capofila di quel settore; escludeva infatti la Corte di L'Aquila la rilevanza della circostanza emergente dalla visura della Camera di Commercio, e cioè che la Saipem eseguiva
perforazioni, sul rilievo della irrilevanza del tipo di attività esercitata, valendo solo il criterio di delimitazione dell'area di applicabilità dell'allegato contrattuale, fondato sulla volontà delle parti contraenti, che avevano inserito ciascuna azienda in un determinato settore e non in un altro. La Corte territoriale negava altresì che la società fosse tenuta a spiegare le ragioni del trasferimento, avendo già indicato che questo era dovuto alla impossibilità di adibire presso la sede di (OMISSIS) il lavoratore divenuto invalido. I Giudici di merito affermavano poi che le mansioni di fattorino assegnate a San Donato Milanese erano sicuramente inferiori a quelle di perforatore espletate a (OMISSIS), giacchè le prime appartenevano all'Area 1 le seconde all'Area 2; nè la dequalificazione poteva essere legittimata a causa della mancanza di mansioni equivalenti compatibili, giacchè per l'attribuzione di mansioni inferiori -anche quando si rende necessaria per evitare il
licenziamento - è prescritto pur sempre il consenso del lavoratore, giacchè lo ius variarteli compete al datore nei limiti delle mansioni equivalenti, ai sensi dell'art. 2103 cod. civ.; ne consegue che nel caso di sopravvenuta invalidità al lavoro, che renda impossibile la adibizione alle mansioni svolte ove non siano reperibili in azienda mansioni equivalenti, il datore non può far altro che recedere dal rapporto. Soggiungeva la Corte che non vi era però ragione per procedere alla richiesta declaratoria di illegittimità del trasferimento, difettando l'interesse alla pronuncia, giacchè era invece legittimo il licenziamento successivamente intimato. Infatti, a fronte dell'illegittimo trasferimento, il lavoratore aveva reagito, in applicazione dell'art. 1460 c.c. (sicuramente operante anche nel rapporto di lavoro), non presentandosi nella nuova sede, ma tale reazione non era proporzionata alla gravità dell'inadempimento della controparte, il quale consisteva, non già
nell'avere - senza ragione - posto in essere la dequalificazione, ma nella violazione dell'obbligo di richiedere preliminarmente il consenso del lavoratore alla assegnazione delle inferiori mansioni, per cui non si trattava di inadempimento particolarmente grave, mentre tale era quello del P., che si era rifiutato di presentarsi nella nuova sede di lavoro, senza peraltro offrire la propria prestazione nella sede di provenienza; ritenevano i Giudici di merito che questa sproporzionata reazione giustificava il licenziamento. Questo peraltro era stato intimato proprio a causa della mancata presentazione nella nuova sede, avendo la società richiamato, nell'atto di recesso, le precedenti lettere del (OMISSIS) dove veniva contestato proprio tale comportamento. Nè, contrariamente a quanto sostenuto dal P., il licenziamento era stato intimato per una recidiva non contestata, giacchè questa espressione non era stata usata in senso tecnico, ma per fare riferimento alla reiterata violazione
dell'obbligo di presentarsi al lavoro. Non risultava neppure violata la norma contrattuale relativa al termine di dieci giorni entro il quale il datore doveva adottare il provvedimento disciplinare, giacchè questo decorre dalla scadenza del termine assegnato al lavoratore per rendere le giustificazioni e, nella specie, questo scadeva il (OMISSIS), per cui il licenziamento intimato il giorno (OMISSIS) era tempestivo, a nulla rilevando che il P. avesse già reso le giustificazioni il (OMISSIS) precedente. La Corte territoriale affermava poi che la domanda di risarcimento del danno alla salute, per essere stato impegnato in lavori usuranti con turni di dodici ore e in trasferta, non era stata supportata da alcuna prova circa le effettive modalità di svolgimento della prestazione lavorativa, essendo stato indicato come teste il consulente medico di parte che non poteva che esserne all'oscuro.

Avverso detta sentenza il lavoratore soccombente propone ricorso affidato a due motivi.

Resiste la Saipem s.p.a. con controricorso e ricorso incidentale con un unico complesso motivo, cui il P. ha risposto con controricorso.
Motivi della decisione

Va preliminarmente disposta la riunione dei ricorsi ex art. 335 cod. proc. civ. Con il primo motivo del ricorso principale si denunzia violazione o erronea applicazione degli artt. 112, 115, 117, 132, 416, 437 cod. proc. civ. e dell'art. 118 disp. att. c.p.c., degli artt. 2087, 2119, 2697, 2189, 2193 cod. civ., L. n. 604 del 1966, artt. 2 e 3 e L. n. 300 del 1970, art. 7, D.P.R. n. 303 del 1956, art. 33, degli artt. 75 e 77 del CCNL settore energia Eni, allegato 13, e dell'art. 1362 e segg. cod. civ., per avere la sentenza impugnata ritenuto legittimo il termine di preavviso di un mese, e non quello di due mesi, che invece dovrebbe essere applicato ai sensi dell'allegato 13 al CCNL, che lo impone alle aziende del settore ricerca e produzione idrocarburi, a cui apparteneva la Saipem, come risultava dalla iscrizione nel registro delle imprese; la Corte avrebbe errato nel non esaminare il motivo d'appello con cui si era censurata la sentenza di primo grado sia in ordine all'irrituale
interrogatorio libero del procuratore della società disposto dal Tribunale, sia sul valore probatorio erroneamente attribuito alla statuto della società; la sentenza sarebbe errata anche per avere fondato la decisione su circostanza di fatto mai dedotta in primo grado, e cioè sulla inclusione della società nel CCNL nel settore "montaggio impianti e condotte terra e mare - attività di perforazione", violando così il principio del divieto dello ius novorum in appello ex art. 437 cod. proc. civ. ed omettendo nel contempo di indagare sulle risultanze del certificato di iscrizione nel registro delle imprese.

Questo profilo di censura non merita accoglimento. Infatti l'appello si configura pur sempre come giudizio di merito, per cui - in relazione ai profili investiti dall'impugnazione - compete al giudice dell'impugnazione il rilievo di tutte le circostanze di fatto emergenti dagli atti del processo. Nella specie la Corte territoriale doveva esaminare la questione, espressamente devoluta, della cogenza nei confronti della Saipem della clausola dell'allegato 13 del CCNL, che stabiliva il più lungo termine di preavviso di due mesi, ed, a tal fine, non era astretto all'esame delle circostanze risultanti dalla sentenza di primo grado e di quelle evidenziate con l'atto di appello, ma aveva il potere-dovere di risolvere la questione controversa valendosi dell'intero materiale probatorio versato in atti e -non essendovi dubbio che l'allegato al CCNL fosse già stato depositato i Giudici di appello non potevano esimersi dal dovere di esaminarlo ed interpretarlo. Nella specie, peraltro,
contrariamente a quanto si sostiene in ricorso, i medesimi Giudici hanno anche effettuato il raffronto tra la previsione del suddetto allegato e la certificazione della camera di commercio, attribuendo preminente rilievo alla volontà delle parti collettive, quale risultava dal tenore della clausola contrattuale. La sentenza impugnata ha quindi esaminato le deduzioni svolte dall'appellante P. sulla durata del preavviso ed ha risolto la relativa questione, come era suo potere-dovere, fondandosi su elementi probatori non espressamente invocati dalla parte, ma risultanti dagli atti di causa, per cui va esclusa la dedotta violazione dell'art. 437 c.p.c..

Il ricorrente lamenta poi che la sentenza impugnata abbia negato l'obbligo della Saipem di rispondere alla richiesta di esplicitazione dei motivi del trasferimento, ma - a prescindere dal fatto che nella specie, la Corte di L'Aquila ha ritenuto che i motivi fossero già stati comunicati - si rammenta che il provvedimento di trasferimento non deve necessariamente recare l'indicazione dei motivi, nè quindi vi era obbligo di rispondere alla richiesta avanzata in tal senso dal lavoratore, non essendo prescritto, per il provvedimento di trasferimento, alcun onere di forma, salvo poi l'onere probatorio del datore di dimostrare in giudizio le circostanze che lo giustificano, come previsto dall'art. 2103 cod. civ..

Il ricorrente deduce ancora che la sentenza impugnata - nell'affermare la illegittimità del trasferimento a causa del mancato consenso del lavoratore alla dequalificazione, ma nel ritenere poi che il licenziamento fosse giustificato perchè la mancata presenza in servizio nella nuova sede costituiva reazione eccessiva e non proporzionata all'inadempimento datoriale - avrebbe ancora violato l'art. 437 c.p.c.. Neppure questa censura merita accoglimento.

Alla Corte territoriale era infatti devoluta sia la questione della legittimità del trasferimento, sia la questione della legittimità del licenziamento intimato per la reiterata assenza in servizio nella nuova sede assegnata; quindi - una volta riconosciuta la illegittimità del trasferimento (perchè comportante l'assegnazione di mansioni inferiori) - la medesima Corte doveva necessariamente esaminare se detto inadempimento datoriale potesse giustificare l'inadempimento del P., consistente nella mancata presenza nella nuova sede di lavoro. Costituiva quindi passaggio logico necessario per statuire sul licenziamento, decidere preliminarmente sulla fondatezza della eccezione di inadempimento ex art. 1460 cod. civ. e cioè se l'inadempimento del lavoratore fosse giustificato o no alla luce dell'inadempimento della società; in altri termini,era necessario esprimere il giudizio sulla proporzionalità della reazione posta in atto dal lavoratore, rispetto all'illegittimo comportamento
datoriale, onde non è ravvisatole alcuna violazione dell'art. 437 cod. proc. civ..

Il ricorrente censura ancora l'affermazione fatta dai Giudici d'appello per cui il suo inadempimento era reso più grave dalla mancata offerta di rendere la prestazione lavorativa nella vecchia sede di (OMISSIS), perchè, si obietta in ricorso, ciò sarebbe stato impossibile stante l'inesistenza colà di uno stabilimento dove potere lavorare, esistendo solo un ufficio cui erano addette figure professionali specifiche.

Neppure questa censura può essere accolta. Invero le mansioni ordinarie che erano quelle di perforatore, non potevano logicamente, neppure per il passato, essere svolte nella sede di (OMISSIS), ma solo nei vari luoghi ove la società espletava la attività di montaggio impianti e di perforazione, per cui il P. avrebbe ben potuto comunicare di restare a disposizione nella sede precedente, mentre, come è stato evidenziato in sentenza, egli chiese immediatamente il trattamento economico previsto dal CCNL per i casi di risoluzione del contratto per mancata accettazione del trasferimento. D'altra parte il giudizio di proporzionalità tra azione e reazione compete al giudice di merito e si sottrae a censure in questa sede se, com'è nel caso di specie, sia, congruamente motivato.

Va parimenti disattesa la ulteriore censura mossa alla sentenza nella parte in cui ha escluso la necessità di statuire sulla illegittimità del trasferimento, ed infatti logicamente la Corte ha concluso che, dovendosi dichiarare la legittimità del licenziamento, ogni questione sul precedente trasferimento doveva considerarsi assorbita, non essendo il P. più dipendente dell'azienda e quindi non residuando alcuna conseguenza dal trasferimento illegittimo.

Non merita accoglimento neppure la ulteriore censura per cui nella sentenza impugnata non sarebbe stato esaminato il motivo d'appello con cui si rilevava che nelle lettere del (OMISSIS) precedenti al licenziamento era stato contestato l'abbandono del posto di lavoro, e quindi una infrazione passibile - secondo il CCNL - di mere sanzioni conservative; la Corte infatti ha logicamente ritenuto che l'abbandono del posto di lavoro contestato con le missive precedenti il licenziamento, fosse equivalente all'assenza ingiustificata, sulla quale era stata fondata la giustificazione del recesso. Nè è censurabile in questa sede, perchè priva di vizi logici e giuridici, l'interpretazione dell'atto di recesso resa dai Giudici di merito, per cui il riferimento ivi contenuto alla recidiva non doveva intendersi fatto in senso tecnico ( ossia come richiamo ad una precedente sanzione disciplinare inflitta per analoghe mancanze) ma come semplice sottolineatura che il lavoratore aveva reiteratamente
violato l'obbligo di presentarsi al lavoro, come peraltro fatto palese dal richiamo, nel medesimo atto di recesso, alle precedenti missive in cui era stato contestato proprio quel comportamento.

Infondata è la censura nella parte in cui si lamenta essere stata negata la tardività del licenziamento, giacchè, come rilevato in sentenza, il termine di dieci giorni per l'adozione della sanzione decorreva dalla scadenza del termine assegnato al lavoratore per rendere le giustificazioni, e poichè detto termine scadeva il (OMISSIS), risulta tempestiva l'intimazione del licenziamento in data 19 novembre 1997, a nulla rilevando che il lavoratore avesse reso le sue giustificazioni il (OMISSIS) precedente, giacchè non è da questa data che la norma contrattuale fa decorrere il termine di dieci giorni. Se tale è la questione, appare invero incongruo il richiamo all'orientamento giurisprudenziale che ritiene consentito al datore,ove il lavoratore abbia già reso le sue giustificazioni, di procedere al licenziamento senza attendere il decorso dei cinque giorni dalla contestazione.

Il ricorrente censura poi il rigetto della domanda di risarcimento danni alla salute ex art. 2087 cod. civ. per non averlo la società sottoposto alle prescritte visite mediche dal (OMISSIS) e per averlo adibito ad un lavoro particolarmente usurante, come l'attività di perforatore per dodici ore giornaliere. In ricorso si riporta la consulenza tecnica di parte con tutta la documentazione medica allegata, in cui si conclude che, nella eziologia della malattia cardiovascolare da cui il ricorrente è affetto, fattori di r rischio, oltre al fumo di sigarette e la familiarità positiva, è lo stress cui il medesimo era stato sottoposto nell'attività di perforatore. A sostegno della pretesa si era chiesta, nei gradi di merito, la esibizione dei libri paga per dimostrare il frequente espletamento della prestazione in trasferta sulle piattaforme marine con orario di lavoro di dodici ore giornaliere, nonchè la nomina di un consulente che esaminasse detti libri e documenti. Lamenta ora il
ricorrente che le prove richieste non siano state ammesse. La censura è infondata giacchè la sentenza ha ben evidenziato che nessuna prova era stata nè fornita, nè allegata, sulle concrete modalità di espletamento della prestazione lavorativa, essendo stato indicato come teste il consulente di parte che di dette circostanze non poteva che essere all'oscuro. D'altra parte, ha aggiunto la Corte, fino al (OMISSIS), in sede di visite di controllo, il P. era stato sempre ritenuto idoneo al lavoro. Inoltre la circostanza della mancata sottoposizione a visita di controllo fino al (OMISSIS) era stata allegata solo nel ricorso in appello.

Le stesse considerazioni valgono per disattendere il secondo motivo di ricorso, con cui si lamenta il rigetto della domanda, avanzata in via subordinata, di risarcimento dei danni perchè la società l'avrebbe reso inabile all'attività lavorativa. Con il primo motivo del ricorso incidentale si lamenta violazione dell'art. 2103 cod. civ. e difetto di motivazione, per avere ritenuto illegittimo il trasferimento con cui al P. erano state assegnate mansioni inferiori.

Il ricorso è inammissibile e quindi va rigettato, per mancanza di soccombenza a carico della società istante, dal momento che non vi è alcuna statuizione di rigetto delle sue difese, avendo la Corte territoriale affermato di non dovere descrivere sulla illegittimità del trasferimento, essendo la questione assorbita dalla legittimità del licenziamento.

Entrambi i ricorsi vano quindi rigettati.

La reciproca soccombenza induce alla compensazione delle spese.
P.Q.M.

La Corte riunisce i ricorsi e li rigetta. Compensa le spese.

Così deciso in Roma, il 17 ottobre 2006.

Depositato in Cancelleria il 5 gennaio 2007