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Porto d'armi per difesa:

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Porto d'armi per difesa: se nulla è cambiato rispetto alla condizione che ha consentito il rilascio non può essere negato il rinnovo
N. 08220/2010 begin_of_the_skype_highlighting              08220/2010      end_of_the_skype_highlighting REG.SEN.

N. 01318/2010 begin_of_the_skype_highlighting              01318/2010      end_of_the_skype_highlighting REG.RIC.



REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 1318 del 2010, proposto dal:
Ministero dell'Interno, in persona del legale rappresentante in carica, rappresentato e difeso dalla Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui uffici in Roma, alla Via dei Portoghesi n. 12, è domiciliato per legge;


contro

#################### Di ####################, rappresentato e difeso dall'avv. ---

per la riforma

della sentenza breve del T.A.R. ABRUZZO - SEZIONE STACCATA DI PESCARA- SEZIONE I n. 01230/2009 begin_of_the_skype_highlighting              01230/2009      end_of_the_skype_highlighting, resa tra le parti, concernente RIGETTO ISTANZA RINNOVO LICENZA DI PORTO DI PISTOLA PER DIFESA PERSONALE




Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio di #################### Di ####################;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 12 ottobre 2010 il Consigliere Fabio Taormina e uditi per le parti gli avvocati Guzzo per Ciprietti e l’Avvocato dello Stato Barbieri;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.




FATTO

Con il ricorso di primo grado l’appellante odierno aveva impugnato il decreto in data 16 settembre 2009 con il quale il Prefetto di Pescara aveva respinto la sua istanza intesa ad ottenere il rinnovo della licenza di porto di pistola per uso difesa personale.

Con quel gravame, si era evidenziato che l’interessato, soggetto incensurato e senza carichi pendenti, era titolare del permesso da numerosi anni, con rinnovo annuale: egli svolgeva il mestiere di ristoratore e, in quanto esposto ad aggressioni e rapine, era legittimato ad ottenere il prescritto titolo abilitativo.

Con il provvedimento il Prefetto aveva negato il rinnovo del titolo e l’odierno appellato era insorto prospettando i vizi di violazione di legge, eccesso di potere per difetto di istruttoria e di motivazione, errore sui presupposti e conseguente travisamento, inesistenza dei presupposti di fatto e di diritto, illogicità, sviamento, ingiustizia grave e manifesta.

Il Tribunale amministrativo regionale ha accolto l’impugnazione, ritenendo la carenza motivazionale del provvedimento impugnato, che si limitava ad affermare che la licenza di porto d’armi era stata a suo tempo concessa in considerazione dell’attività di ristoratore, ma che dagli accertamenti svolti non si ravvisava la necessità di girare armato.

Detta motivazione non appariva all’interessto esaustiva, sia per l’apoditticità delle affermazioni, sia perché non si esternavano le ragioni del mutamento di situazione soggettiva ed oggettiva: pur essendo consentito all’amministrazione di mutare opinamento, le ragioni dovevano essere spiegate al cittadino: ne conseguiva la illegittimità dell’impugnato decreto.

La sentenza è stata appellata dall’Amministrazione, che ne ha contestato la fondatezza evidenziando che la statuizione prefettizia doveva reputarsi legittima e che apodittico appariva l’iter motivazionale della sentenza. Questa andava annullata in quanto non aveva tenuto conto che l’amministrazione aveva adottato la determinazione sulla base di un dato – quello proveniente dalla Questura di Pescara- secondo il quale, avuto riguardo alla complessiva situazione dell’ordine pubblico nell’area interessata, l’appellato, pur titolare di due esercizi di ristorazione, non necessitava del porto d’arma.

L’errore riposava semmai nelle pregresse statuizioni ampliative, emendabili in autotutela; ne discendeva la correttezza dell’azione amministrativa spiegata, fondata su complessive valutazioni incentrate su dati statistici della criminalità sul territorio e su quelli relativi al controllo di zona in atto espletato dalle forze di polizia.

L’appellato ha chiesto che l’appello venga dichiarato inammissibile ovvero respinto nel merito, evidenziando che sussistevano le condizioni per il rilascio del titolo; ha fatto presente che sussisteva la medesima situazione di fatto in relazione alla quale (già a far data dal 1998) aveva ininterrottamente goduto del beneficio (in assenza di contestazioni circa l’uso fattone); che non aveva avuto conoscenza della nota dell’amministrazione dell’11 settembre 2009 che - comunque non contenendo alcunché di innovativo - impingeva nel divieto di ius novorum di cui all’art. 345 del Codice di procedura civile, fermo il divieto di integrazione giudiziale della motivazione.

L’’appellato stesso afferma che era titolare di due esercizi di ristorazione (“Fattoria Fernando” e “Villa Sirio”) ubicati in aree isolate; uno aveva una capienza di più di 400 posti; custodiva con sistematicità gli incassi e percorreva ogni notte itinerari ubicati in aperta campagna: ricorrevano tutte le condizioni di legge per il rinnovo del titolo.

DIRITTO

L’appello è infondato e va respinto, nei termini di cui alla motivazione che segue con conseguente conferma della appellata sentenza.

Non mette conto soffermarsi sull’eccezione di inutilizzabilità formulata dall’appellata riguardo alla nota della Questura di Pescara dell’11 settembe 2009 in quanto essa non aggiunge alcunché – sotto il profilo motivazionale ed istruttorio- a quanto in precedenza conosciuto.

Appare invece utile riassumere recenti orientamenti della giurisprudenza in materia di verifica della permanenza in capo al privato dei requisiti legittimanti la detenzione di armi (per difesa ed ad uso caccia). L’indirizzo prevalente afferma che la revoca della licenza del porto di fucile costituisce esercizio del potere di cui all'art. 43 r.d. 18 giugno 1931 n. 773, che implica una valutazione discrezionale sull'affidabilità del titolare della licenza ai fini dell'uso dell'arma (Cons. Stato, VI, 22 maggio 2006, n. 2945).

Si è pertanto affermato che sono legittimi il divieto di detenere armi, munizioni ed esplosivi e la revoca del permesso al porto di pistola disposti sulla base di una serie di fatti i quali, nell'apprezzamento dell'amministrazione, possono indurre in quel momento ad ipotizzare un uso improprio dell'arma in modo da non recare danno ed altri. (tra le tante, si veda Cons. Stato, VI, 23 giugno 2006, n. 3992).

Sotto il profilo della consistenza del dato probatorio sotteso alla valutazione amministrativa, si è considerato che ai fini della revoca del porto d'armi è sufficiente che sussistano elementi indiziari circa la mera probabilità di un abuso dell'arma da parte del privato (es., Cons. Stato, VI, 7 novembre 2005, n. 6170).

Quanto alle condotte che possono essere a base della revoca della licenza,è consolidata la tesi (che vi ricomprende anche le mere disattenzioni e le mancanze di diligenza) per cui ai fini della revoca del porto d'armi, "abuso" dell'arma non è solo il suo uso illegittimo, ma anche l'omissione delle cautele dirette ad impedire che persone diverse dal titolare possano impadronirsene e servirsene ; pertanto, legittimamente è disposta la revoca a chi abbia lasciato una pistola in un'autovettura parcheggiata, senza curarsi di chiuderla, e che per tale circostanza abbia subito il furto della macchina e della pistola (Cons. Stato, I, 10 giugno 1977, n. 1538).

Ai sensi dell’art. 39 r.d. 18 giugno 1931 n. 773, può essere vietata la detenzione delle armi a quanti ritenuti capaci di abusarne; e pergli artt. 11 e 43 la licenza di porto d’armi può essere ricusata a quanti non danno affidamento di non abusare delle armi. Tale disciplina è a presidio dell'ordine e della sicurezza pubblica, alla prevenzione del danno che possa derivare a terzi da indebito uso e inosservanza degli obblighi di custodia, nonché della commissione di reati che possano essere agevolati dall'utilizzo del mezzo di offesa.

I provvedimenti di autorizzazione alla detenzione e del porto di armi postulano quindi che il destinatario sia indenne da mende, osservi una condotta di vita improntata a puntuale osservanza delle norme penali e di tutela dell'ordine pubblico, nonché delle comuni regole di buona convivenza civile, sì che non possano emergere sintomi e sospetti di utilizzo improprio dell’arma in pregiudizio ai tranquilli ed ordinati rapporti con gli altri consociati.

Il potere di vietare la detenzione di armi a carico di quanti sono ritenuti capaci di abusarne, configura un potere di valutazione discrezionale, da esercitarsi con prevalente riguardo all’interesse pubblico all’incolumità dei cittadini ed alla prevenzione del pericolo di turbamento che può derivare dall’eventuale uso delle armi, in riferimento alla condotta ed all’affidamento che il soggetto può dare in ordine alla possibilità di abuso delle stesse. A tale affermazione consegue, tra l’altro, che, considerato il carattere preventivo delle misure di polizia, non è richiesto che vi sia stato un oggettivo ed accertato abuso da parte dell’interessato, essendo sufficiente che – sulla base di elementi obiettivi – se ne dimostri una scarsa affidabilità nell’uso delle armi, o un’insufficiente capacità di dominio dei propri impulsi ed emozioni (Cons. Stato, IV, 26 gennaio 2004, n. 238).

Analogamente, con riferimento alla revoca della licenza di porto d’armi ai sensi dell’art. 11, nonsi richiede un oggettivo ed accertato abuso, ma è sufficiente che il soggetto non dia affidamento di non abusarne e risultando, perciò, legittima – nonostante non ricorra alcuna delle ipotesi direttamente descritte dalla legge – la revoca dell’autorizzazione in base al motivato convincimento dell’Amministrazione circa la prevedibilità dell’abuso dell’autorizzazione.

Il dato complessivo che da questi orientamenti si ricava è che la valutazione amministrativa è di lata discrezionalità,e che l’esercizio di questa discrezionalità non è suscettibile di un sindacato nel merito, ma solo riguardo all’uso distorto che se ne possa fare. D’altro canto, a valutazione circa la disponibilità effettiva di un’arma a fini di difesa risente della necessità che, stante il potenziale pericolo rappresentato dal possesso e dall’utilizzo dell’arma, l’amministrazione si cauteli mercè un giudizio prognostico che, ex ante, escluda la possibilità di abuso.

Tale valutazione favorevole all’appellato è riscontrabile nel caso di specie.

Invero risulta che l’appellato non ha mai abusato del titolo; che la sua attività professionale è la medesima che diede luogo al rilascio del medesimo; che detta attività lo espone a possibili iniziative criminali.

Non è in discussione il potere dell’amministrazione di agire in autotutela con riguardo al titolo, ma i parametri cui ancorare detto esercizio dell’autotutela.

Esattamente, ritiene il Collegio, il Tribunale amministrativo ha considerato che il provvedimento negativo impugnato era carente di motivazione. Avrebbe infatti l’Amministrazione dovuto esternare adeguatamente le ragioni per cui l’interessato, già da essa ritenuto (sin dal 1998) abile alla detenzione, non era più da considerare tale. Ma una tale necessaria esposizione di ragioni difetta nell’atto impugnato. Il che concreta la denunciata illegittimità, perché non spiega le cause di questa discontinuità nella valutazione amministrativa, che si risolve in una restrizione di facoltà prima riconosciute all’interessato.

Al di fuori di generiche considerazioni in materia di ordine pubblico, non è stata invero prospettata ragione alcuna del perché l’appellato, che del titolo abilitativo non ha mai abusato, fosse divenuto non meritevole del rinnovo. Neppure è dato conoscere quale rilevante mutamento complessivo della situazione dell’ordine pubblico legittimasse uno specifico giudizio di insussistenza del pericolo.

Esattamente il Tribunale amministrativo regionale ha colto tale carenza ed ha ritenuto illegittimo il provvedimento reiettivo.

L’appello proposto va dunque respinto.

Sussistono le condizioni di legge per compensare le spese processuali sostenute dalle parti a cagione della complessità in fatto delle questioni devolute all’esame del Collegio.

P.Q.M.

definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto lo respinge e per l’effetto conferma nei termini di cui alla motivazione la sentenza appellata.

Spese processuali compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 12 ottobre 2010 con l'intervento dei magistrati:



Giuseppe Severini, Presidente

Roberto Garofoli, Consigliere

Bruno Rosario Polito, Consigliere

Roberto Giovagnoli, Consigliere

Fabio Taormina, Consigliere, Estensore





   
   
L'ESTENSORE  IL PRESIDENTE
   
   
   
   
   

DEPOSITATA IN SEGRETERIA

Il 24/11/2010

IL SEGRETARIO

(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)



 

   

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