L.104/92 - L. 53/2000 - Polizia Penitenziaria - Trasferimento

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Creato Lunedì, 17 Gennaio 2011 12:54
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L.104/92 - L. 53/2000 - Polizia Penitenziaria - Trasferimento

 


IMPIEGO PUBBLICO   -   INVALIDI
Cons. Stato Sez. IV, Sent., 03-12-2010, n. 8527
Fatto Diritto P.Q.M.
Svolgimento del processo

Con sentenza in forma succintamente motivata, n. 292/2005, il TAR di Reggio Calabria ha respinto il ricorso dell'appellante avverso il diniego dell'Amministrazione penitenziaria in ordine alla sua istanza di trasferimento ai sensi della legge n. 104/1992, fondato sull'inesistenza del requisito della continuità ed attualità dell'assistenza al momento della proposizione nella domanda (art. 33, quinto comma, della legge n. 104/1992, come modificato dall'art. 19 della legge n. 53/2000), atteso che il ricorrente svolge servizio a Reggio Calabria e la nonna invalida handicappata risiede a ####################, in provincia di ####################.

La sentenza ha motivato il rigetto del ricorso, richiamando la normativa primaria e la giurisprudenza di essa applicativa, sulla base della quale si evince il principio che l'accoglimento della richiesta di trasferimento del pubblico dipendente nella sede di lavoro più vicina al proprio domicilio, formulata ai sensi dell'art. 33 comma 5 della leggi 5 febbraio 1992, n. 104, presuppone la rigorosa dimostrazione, da parte del lavoratore, della continuità dell'assistenza al parente handicappato: circostanza, questa, smentita, a detta del TAR, dalla rilevante distanza tra sede di lavoro e residenza del parente disabile, la prima trovandosi in Calabria e la seconda in Sicilia.

Avverso la predetta sentenza ha proposto appello, con istanza cautelare, il dipendente, deducendo violazione dell'art. 33 L. n. 104/1992.

In particolare, l'appello lamenta che con la sentenza impugnata il Giudice di primo grado si sarebbe discostato dai criteri da lui stesso utilizzati per fattispecie analoghe, rigettando la domanda sul presupposto illogico e contraddittorio che la distanza intercorrente tra la sede di servizio del ricorrente e quella di residenza del disabile, impedisse di fatto di poter dare per acquisito il requisito della continuità dell'assistenza. Al contrario - osserva ancora l'appellante - tra la sede di servizio del ricorrente (Reggio Calabria) e quE1la di residenza del disabile (#################### - CT) intercorre una distanza di non più di 180 Km, percorribili in pochissime ore con un normale autoveicolo.

Il dato temporale e spaziale non poteva essere, quindi, idoneo a giustificare un giudizio di assenza del requisito della continuità dell'assistenza, tanto più che in senso diametralmente deponevano, a detta del dipendente, tutte le attestazioni allegate al ricorso, che invece evidenziavano la continuità dell'assistenza al disabile, come la dichiarazione sostitutiva dell'atto di notorietà resa dal ricorrente e la certificazione rilasciata dal Comando della Polizia Municipale di ####################, facente fede sino a querela di falso.

Con ordinanza n. 4501/2005 questa Sezione ha respinto, con chiara ed esauriente (seppur necessariamente sintetica) motivazione l'appello cautelare.

Alla pubblica udienza del 5 novembre 2010 la causa è stata trattenuta in decisone.
Motivi della decisione

1 - L'appello è palesemente infondato, come peraltro già rilevato ed anticipato da questa Sezione con la chiarissima ordinanza n. 4501/2005 di rigetto dell'istanza cautelare d'appello.

Preliminarmente, vale ricordare che la legge quadro per l'assistenza, l'integrazione sociale e i diritti delle persone handicappate, n. 104 del 521992, ha stabilito, all'articolo 33, comma 5 (come novellata dalla legge n. 53/2000), che il genitore o il familiare lavoratore pubblico o privato, che assista con continuità un parente o un affine entro il terzo grado handicappato ha diritto di scegliere, ove possibile, la sede di lavoro più vicina al proprio domicilio e non può essere trasferito senza il suo consenso ad altra sede.

La norma va letta ed applicata con il giusto rigore, che consenta di conciliare i contrapposti interessi, pubblici e privati, in essa coinvolti ed eviti i consueti e ripetuti abusi del " diritto " da essa riconosciuto, con l'invenzione, ad esempio, di situazioni di assistenza soggettivamente o oggettivamente inesistenti o drammatizzate, ovvero l'improvvisa (e sospetta) riscoperta di sentimenti di solidarietà familiare.

2 - La predetta esigenza di un criterio ermeneutico di razionale severità trova riscontro, anzitutto, nei reiterati interventi della Corte costituzionale, la quale, pur riconoscendo il valore primario della solidarietà e della tutela dei soggetti portatori di handicap, ha, tuttavia ed al contempo, dato rilievo alla discrezionalità del Legislatore nell'individuare gli strumenti normativi finalizzate a garantire la condizione del portatore di handicap mediante la interrelazione e la integrazione dei valori espressi dal complessivo disegno costituzionale (cfr. Corte costituzionale, 22 luglio 2002, n. 372; Corte cost. n. 406 del 1992; id., n. 325 del 1996; n. 246 del 1997; n. 396 del 1997; cfr. anche Cass., sez. un., 9 luglio 2009, n. 16102).

3 - La limitazione del " diritto " riconosciuto dalla legge al lavoratore che assista un parente invalido, in ragione della concomitanza e concorrenza di valori di rilievo costituzionale, quali i principi distintamente espressi dagli artt. 97 (buon andamento della P. A.) e 41 (libertà di iniziativa economica) Cost., si manifesta espressamente, nel citato art. 33, con riguardo alla scelta della sede di lavoro all'atto dell'assunzione, ovvero anche in via di successivo trasferimento a domanda, con l'inciso "ove possibile"; inciso che vale a configurare una subordinazione del predetto " diritto " alla condizione che il suo esercizio non comporti una lesione eccessiva delle esigenze organizzative ed economiche del datore di lavoro privato, ovvero non determini un danno per la collettività compromettendo il buon andamento e l'efficienza della pubblica amministrazione (cfr. Corte Cost. n. 372 del 2002; Cass., sez. un., 9 luglio 2009, n. 16102; sez. un., n. 7945 del 2008; Cass. n. 1396
del 2006; id., n. 8436 del 2003; id., n. 12692 del 2002).

4 - La stessa finalità di contemperamento di opposti interessi privati e pubblici, tutti parimenti rapportabili a valori di rango costituzionale, permane pur dopo la novella ampliativa del 2000.

Vale ricordare che con la sentenza della Corte Costituzionale n. 325 del 1996 che ha dichiarata non fondata la questione di legittimità costituzionale della L. n. 104 del 1992, art. 33, comma 5 sotto il profilo del mancato riconoscimento del diritto al lavoratore non convivente, il giudice delle leggi, pur sottolineando l'importanza dei valori costituzionali inerenti la protezione del portatore di handicap, ha tuttavia rilevato che "seguendo l'impostazione del giudice a quo, si rischia di dare alla norma un rilievo eccessivo, perché non è immaginabile che l'assistenza al disabile si fondi esclusivamente su quella familiare, sì che il legislatore ha, con la Legge Quadro n. 104, ragionevolmente previsto - quale misura aggiuntiva - la salvaguardia dell'assistenza in atto, accettata dal disabile, al fine di evitare rotture traumatiche, e dannose, della convivenza".

La legge n. 53 del 2000 ha novellato il testo originario dell'articolo 33, togliendo il requisito della convivenza ma lasciando intatti gli altri.

Il che significa che se il Legislatore, nell'esercizio della sua riconosciuta discrezionalità, ha ampliato, entro ristretti limiti, l'art. 33 della legge n. 104, tali limiti non possono essere superati mediante una interpretazione estensiva della novellata previsione, che intenda affievolire gli altri fondamentali requisiti della preesistenza (in casi di prima assegnazione di sede), della continuità e della esclusività.

Occorre, infatti, procedere ad una lettura della norma costituzionalmente orientata, considerato che proprio il precedente assetto normativo è stato ritenuto, come detto, conforme alla Costituzione (cfr.. Cass., sez. lav., 22 aprile 2010, n. 9557)

5 - Lo stesso criterio interpretativo polivalente, che contempera esigenze di solidarietà, razionalità e rigore è ripetutamente adoperato dalla giurisprudenza di questo Consiglio.

Si è infatti rilevato che la legge n. 104, al di là di una terminologia enfatica, non configura in realtà un vero diritto soggettivo di precedenza nei trasferimenti del familiare lavoratore, bensì un semplice interesse legittimo a scegliere la propria sede di servizio ove possibile, cioè compatibilmente con le necessità e le realtà obiettive organizzative ed operative della P. A.. (cfr. Cons. Stato, Sez. IV, n. 565 del 2005 e Comm. spec., 19 gennaio 1998, n. 394).

Sul piano operativo, pertanto, la pretesa del lavoratore che assiste con effettiva continuità un parente handicappato alla scelta della sede di lavoro deve trovare accoglimento solo se risulta compatibile con le specifiche esigenze funzionali dell'Amministrazione di appartenenza.

È stato, infine, precisato (CdS, Sez. VI, 30 aprile 2002, n. 2319) che, ai fini del riconoscimento del diritto alla precedenza nei procedimenti di mobilità previsto dall'art. 33, è necessario che l'handicap di cui soffre il congiunto presenti carattere di particolare gravità e necessiti di prestazioni assistenziali permanenti, incompatibili con sede distante, e che presupposti per l'applicazione del beneficio in parola, sono la continuità dell'assistenza da lui prestata e la mancanza di altri familiari residenti nello stesso Comune in cui risiede il disabile (cfr. anche Cons. stato, sez. IV, 22 febbraio 2006, n. 793).

6 - Quanto al criterio di effettività, che vale ad evitare la precostituzione di situazioni artatamente e fraudolentemente invocate per ottenere trasferimenti lesivi del principio di imparzialità, anch'esso è stato applicato con estremo rigore, laddove, ad esempio, si è fissato il principio di preesistenza della situazione di assistenza al momento dell'assunzione (ex multis: Cons. Stato, sez. IV, 24 marzo 2010, n. 1733); ovvero quando ha fornito un'interpretazione rigorosa del requisito della continuità ed esclusività dell'assistenza, cioè della mancanza di altri supporti parentali, da correlarsi a situazioni o condizioni di carattere oggettivo, concernenti eventualmente anche stati psicofisici connotati da una reale gravità, idonei a giustificare l'indisponibilità di altri familiari a prestare la loro opera di sostegno al proprio parente invalido solo nella misura in cui risultino tali da concretizzare un'effettiva esimente da vincoli di assistenza familiare, nel
contemperamento delle posizioni dei soggetti interessati. In mancanza di tali situazioni di comprovata ed oggettiva impossibilità a fornire sostegno al proprio familiare da parte di parenti ulteriori rispetto a chi richieda i benefici della legge n. 104/1992, questa finirebbe per snaturarsi e configurarsi - in spregio alle finalità solidaristiche che costituzionalmente la supportano - come strumento per atteggiamenti egoistici o opportunistici (cfr. Cons. St., sez. IV, 15 febbraio 2010, n. 825).

7 - Al rigore sostanziale che connota l'applicazione della legge n. 104 del 1992 deve fare riscontro quello processuale e probatorio.

Infatti, si è stabilito, da parte della giurisprudenza di questo Consiglio, che ai fini della fruizione del beneficio del trasferimento per prestare assistenza ad un congiunto disabile, spetta al dipendente pubblico dimostrare, mediante dati o riferimenti oggettivi, che altri parenti e affini non siano in grado o comunque non siano motivatamente e documentatamente disponibili ad occuparsi dell'assistenza del disabile. In particolare, si è precisato che detta dimostrazione non può essere data mediante semplici dichiarazioni di carattere formale, attestanti impegni di vita ordinari e comuni, ma necessita della produzione di dati ed elementi certi e di carattere oggettivo (Cons. Stato, sez. IV, 21 maggio 2010, n. 3237; sez. IV, 2 marzo 2010, n. 1219; sez. IV, 25 giugno 2010, n. 4115).

8 - Con riferimento al caso di specie, l'amministrazione ha ritenuto che mancasse il requisito della continuità assistenziale, mancanza comprovata dalla distanza tra sede di servizio e residenza della nonna invalida.

Nello stesso senso si è pronunciata l'ordinanza emessa da questo Consiglio in sede cautelare per rigettare l'istanza di sospensiva della sentenza di primo grado formulata dal dipendente.

Invero - come peraltro già osservato da questa Sezione per una vicenda per molti aspetti analoga alla presente controversia - deve convenirsi con l'appellata sentenza nell'osservazione secondo la quale non è verosimile né credibile, secondo le regole della normale esperienza, che un dipendente, considerata la distanza fra la sede di servizio ed il luogo di residenza del congiunto, presti a quest'ultimo assistenza con continuità (Cons. Stato, sez. VI, 23 gennaio 2007, n. 234).

9 - Lo stesso appellante, d'altronde, si rende conto dell'esistenza del dato oggettivo della distanza per sminuirne, tuttavia, la portata, osservando che la distanza tra la propria sede di servizio e quella di residenza della nonna disabile, non impedisce, di fatto, di poter dare per acquisito il requisito della continuità dell'assistenza, tenuto conto che tra la sede di servizio (Reggio Calabria) e que1la di residenza del disabile (provincia di C####################) intercorre una distanza di " non più di 180 Km ".

Si tratta di affermazione azzardata, la quale non tiene conto del dato oggettivo che fra andata e ritorno da e per la sede di servizio non può intercorrere un tempo inferiore almeno alle quattro ore: tempo evidentemente inconciliabile con una effettiva ed utile assistenza giornaliera.

A ulteriore supporto della tesi della continuità, l'appellante, come esposto in punto di fatto, invoca e richiama le attestazioni allegate al ricorso di primo grado, che, a suo dire, avrebbero attestato la continuità dell'assistenza alla nonna disabile, come la dichiarazione sostitutiva dell'atto di notorietà resa dal ricorrente e la certificazione rilasciata dal Comando della Polizia Municipale di ####################, facente fede sino a querela di falso.

Quanto alla prima, si tratta evidentemente di dichiarazione inidonea, come già statuito dalla giurisprudenza richiamata sub p. 7, ad essere oggetto di atto di notorietà, riguardando un dato di diretto interesse del dichiarante.

Quanto alla certificazione comunale, essa depone proprio in senso contrario all'aspirazione dell'appellante, ivi attestandosi soltanto una assistenza " periodica ", termine che, stando ad indicare una frequenza intervallata da periodi di assenza, è tutto l'opposto di " continuativa ".

10 - Ritiene il Collegio, attesa anche la delicatezza della materia coinvolgente plurimi e contrapposti interessi di valenza costituzionale, di dover tener conto dell'indirizzo " garantista " espresso pure da questo Consiglio, con riferimento alla configurazione dell'esigenza di un ordinato assetto dell'organizzazione amministrativa, in termini di esigenza di rango sotto ordinato rispetto alla necessità di ripristinare, per quanto possibile, condizioni di uguaglianza nei confronti dei soggetti portatori di handicap, tenuto conto della rilevanza costituzionale di tale finalità (sez. VI, 25 giugno 2007, n. 3566).

Al contempo, tuttavia, ritiene altresì di confermare, pur nel rispetto e nella considerazione del ricordato orientamento, l'esposto criterio di rigore sostanziale e probatorio, senza il quale le sacrosante ragioni di tutela espresse con la legge n. 104/1992 rischiano di tramutarsi in uno strumento di abuso, mediante dichiarazioni mendaci o, comunque, enfatiche, per dipendenti infedeli, privi di quel senso dell'onore e della disciplina richiesto dall'art. 54, comma 2, Cost..

11 - Conclusivamente l'appello va respinto.

Le spese, liquidate come da dispositivo nella misura conseguente anche ai chiari segnali di esito negativo dell'appello contenuti nell'ordinanza cautelare di questa Sezione, seguono, come di regola, la soccombenza (art. 26 c.p.a.).
P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)

definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto,

respinge l "appello.

Spese a carico dell'appellante in favore dell'amministrazione appellata costituita, nella misura di euro 2.500,00.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.