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Accordi sindacali e disciplina del pubblico impiego

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Accordi sindacali e disciplina del pubblico impiego

 

 

di Raffaele Jannotta
 
     (Anno di pubblicazione: 1987)

Bibliografia: Ristuccia, Sulla contrattazione collettiva nel pubblico impiego, FA, 1971, III, 619; Paleologo, Contratto collettivo e pubblico impiego, FA, 1973, II, 623; D'Aliberti, Note sui rapporti di impiego pubblico e contratto, RTDP, 1975, 531 ss.; Ghera, Lavoro e organizzazione amministrativa nel pubblico impiego, RTDP, 1975, 68; Paleologo, Associazioni sindacali e rapporto di lavoro dei dipendenti ospedalieri, RAS, 1975 (n. 7-9); Rusciano, Il rapporto di lavoro nelle pubbliche amministrazioni: crisi del modello tradizionale e ipotesi di nuova regolamentazione, RGL, 1975, I, 313; Tosi, Un modello di contrattazione collettiva nel pubblico impiego l'«accordo nazionale» per il personale ospedaliero, RTPC. 1975, 143; Contrattazione collettiva e diritti sindacali nel pubblico impiego, RGL, 1976, I; Caroli, D'Aliberti, Contrattazione collettiva e pubblico impiego: linee di tendenza degli studi, RDPu, 1976, 1247; Merusi, Recezione di accordi sindacali e controlli regionali, FA,
1977, I, 2, 172; Annali della Fondazione G. Pastore, VI, 1977 (Ricerca sui problemi della contrattazione collettiva delle condizioni di lavoro nella Pubblica Amministrazione contributi monografici), Milano, 1977; Luciani, La contrattazione collettiva con enti pubblici, Milano 1978; F. P. Rossi, La contrattazione collettiva nel parastato, Padova, 1978; Rusciano, L'impiego pubblico in Italia, Bologna, 1978, 313 s.; Severi, La contrattazione collettiva nel pubblico impiego, Milano, 1978; Id., Contrattazione collettiva, sindacato e amministrazione pubblica, Milano, 1979; Berti, Azione sindacale e funzione amministrativa, RDL, 1979, 44; Grandi, La contrattazione collettiva nel pubblico impiego e i suoi effetti sull'organizzazione e sulla funzione del sindacato, RDL, 1979, 3 ss.; Klitsche de Lagrange, Gli accordi collettivi nella giurisprudenza amministrativa, in Ross. Cons. Stato, 1979, II, 1279; Pera, Legge e contrattazione collettiva nella regolamentazione del pubblico impiego, FI,
1979, V, 127; Perlini, Contrattazione collettiva e parastato, RTDP, 1979, 77; Resta, La contrattazione collettiva nel pubblico impiego, in Ross. Cons. Stato, 1979, II, 1305; Schinaia, Gli accordi collettivi nella giurisprudenza amministrativa, in Ross. Cons. Stato, 1979, II, 1279; Atti del XX Convegno di studi di scienza dell'Amministrazione, Milano, 1980; Cervati, A proposito delta qualificazione dei decreti presidenziali recanti l'approvazione di accordi sindacali in tema di impiego negli enti pubblici, GiC, 1980, 818; Coraggio, La ricomposizione di un sistema unitario del pubblico impiego: la legge-quadro e gli accordi collettivi, in Studi per il centocinquantenario del Consiglio di Stato, I, Roma, 1981, 496; Garrone, Legge, regolamento e accordo sindacale nella disciplina del rapporto di pubblico impiego, in Rass. Cons. Stato, 1981, II, 465; La contrattazione collettiva nel pubblico impiego alla luce della prevista riforma della pubblica amministrazione, Roma, 1982 (a cura del
Former); Andreani, Riserva di legge, giusta retribuzione dei dipendenti pubblici e buon andamento degli uffici: un triangolo da chiudere, Re, 1982, 1205; De Luca, La «contrattazione» per i dipendenti ospedalieri davanti alla Corte costituzionale, FI, 1982, I, 3003; Orsi-Battaglini, Gli accordi sindacali nel pubblico impiego, Milano 1982; Giampaolino, La legge-quadro sul pubblico impiego, Milano, 1984; Fiorillo, Modelli di contrattazione collettiva nell'impiego pubblico, RGL, 1984, 55; Orsi-Battaglini, Maviglia, Albanese, Lucibello, Accordi sindacali e legge-quadro sul pubblico impiego, Milano, 1984; Id., Contrattazione collettiva e rappresentatività sindacale, PD, 1985, 3; Simi, La «legge-quadro del pubblico impiego» di fronte alla Costituzione, in Riv. it. dir. lav., 1985, 58 s.

Legislazione: l. 29-3-1983, n. 93 (legge quadro sul pubblico impiego); d.p.r. 1-2-1986, n. 13(norme risultanti dalla disciplina prevista dall'accordo intercompartimentale, di cui all'art. 12 della legge-quadro sul pubblico impiego 29-3-1983, n. 93, relativo al triennio 1985-1987); d.p.r. 5-3-1986, n. 68 (determinazione e composizione dei comparti di contrattazione collettiva, di cui all'art. 5 della legge-quadro sul pubblico impiego 29-3-1983, n. 93).
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Bibliografia: Ristuccia, Sulla contrattazione collettiva nel pubblico impiego, FA, 1971, III, 619; Paleologo, Contratto collettivo e pubblico impiego, FA, 1973, II, 623; D'Aliberti, Note sui rapporti di impiego pubblico e contratto, RTDP, 1975, 531 ss.; Ghera, Lavoro e organizzazione amministrativa nel pubblico impiego, RTDP, 1975, 68; Paleologo, Associazioni sindacali e rapporto di lavoro dei dipendenti ospedalieri, RAS, 1975 (n. 7-9); Rusciano, Il rapporto di lavoro nelle pubbliche amministrazioni: crisi del modello tradizionale e ipotesi di nuova regolamentazione, RGL, 1975, I, 313; Tosi, Un modello di contrattazione collettiva nel pubblico impiego l'«accordo nazionale» per il personale ospedaliero, RTPC. 1975, 143; Contrattazione collettiva e diritti sindacali nel pubblico impiego, RGL, 1976, I; Caroli, D'Aliberti, Contrattazione collettiva e pubblico impiego: linee di tendenza degli studi, RDPu, 1976, 1247; Merusi, Recezione di accordi sindacali e controlli regionali, FA,
1977, I, 2, 172; Annali della Fondazione G. Pastore, VI, 1977 (Ricerca sui problemi della contrattazione collettiva delle condizioni di lavoro nella Pubblica Amministrazione contributi monografici), Milano, 1977; Luciani, La contrattazione collettiva con enti pubblici, Milano 1978; F. P. Rossi, La contrattazione collettiva nel parastato, Padova, 1978; Rusciano, L'impiego pubblico in Italia, Bologna, 1978, 313 s.; Severi, La contrattazione collettiva nel pubblico impiego, Milano, 1978; Id., Contrattazione collettiva, sindacato e amministrazione pubblica, Milano, 1979; Berti, Azione sindacale e funzione amministrativa, RDL, 1979, 44; Grandi, La contrattazione collettiva nel pubblico impiego e i suoi effetti sull'organizzazione e sulla funzione del sindacato, RDL, 1979, 3 ss.; Klitsche de Lagrange, Gli accordi collettivi nella giurisprudenza amministrativa, in Ross. Cons. Stato, 1979, II, 1279; Pera, Legge e contrattazione collettiva nella regolamentazione del pubblico impiego, FI,
1979, V, 127; Perlini, Contrattazione collettiva e parastato, RTDP, 1979, 77; Resta, La contrattazione collettiva nel pubblico impiego, in Ross. Cons. Stato, 1979, II, 1305; Schinaia, Gli accordi collettivi nella giurisprudenza amministrativa, in Ross. Cons. Stato, 1979, II, 1279; Atti del XX Convegno di studi di scienza dell'Amministrazione, Milano, 1980; Cervati, A proposito delta qualificazione dei decreti presidenziali recanti l'approvazione di accordi sindacali in tema di impiego negli enti pubblici, GiC, 1980, 818; Coraggio, La ricomposizione di un sistema unitario del pubblico impiego: la legge-quadro e gli accordi collettivi, in Studi per il centocinquantenario del Consiglio di Stato, I, Roma, 1981, 496; Garrone, Legge, regolamento e accordo sindacale nella disciplina del rapporto di pubblico impiego, in Rass. Cons. Stato, 1981, II, 465; La contrattazione collettiva nel pubblico impiego alla luce della prevista riforma della pubblica amministrazione, Roma, 1982 (a cura del
Former); Andreani, Riserva di legge, giusta retribuzione dei dipendenti pubblici e buon andamento degli uffici: un triangolo da chiudere, Re, 1982, 1205; De Luca, La «contrattazione» per i dipendenti ospedalieri davanti alla Corte costituzionale, FI, 1982, I, 3003; Orsi-Battaglini, Gli accordi sindacali nel pubblico impiego, Milano 1982; Giampaolino, La legge-quadro sul pubblico impiego, Milano, 1984; Fiorillo, Modelli di contrattazione collettiva nell'impiego pubblico, RGL, 1984, 55; Orsi-Battaglini, Maviglia, Albanese, Lucibello, Accordi sindacali e legge-quadro sul pubblico impiego, Milano, 1984; Id., Contrattazione collettiva e rappresentatività sindacale, PD, 1985, 3; Simi, La «legge-quadro del pubblico impiego» di fronte alla Costituzione, in Riv. it. dir. lav., 1985, 58 s.
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Legislazione: l. 29-3-1983, n. 93 (legge quadro sul pubblico impiego); d.p.r. 1-2-1986, n. 13(norme risultanti dalla disciplina prevista dall'accordo intercompartimentale, di cui all'art. 12 della legge-quadro sul pubblico impiego 29-3-1983, n. 93, relativo al triennio 1985-1987); d.p.r. 5-3-1986, n. 68 (determinazione e composizione dei comparti di contrattazione collettiva, di cui all'art. 5 della legge-quadro sul pubblico impiego 29-3-1983, n. 93).

Sommario: 1. La contrattazione collettiva e la predisposizione delle fonti in materia di pubblico impiego. - 2. Unitarietà della contrattazione. - 3. I comparti. - 4. L'accordo collettivo; sua irriducibilità a fonte di diritto. - 5. Il decreto presidenziale come fonte di diritto. - 6. Cenno al tema degli accordi decentrati.

1. La contrattazione collettiva e la predisposizione delle fonti in materia di pubblico impiego.

La contrattazione collettiva è un metodo di predisposizione delle fonti regolamentari, dalle quali discende la disciplina del pubblico impiego, relativamente al trattamento economico e agli altri specifici aspetti del pubblico impiego, indicati dall'art. 3, l. 29 marzo 1983, n. 93. La peculiarità del metodo consiste nel condizionamento delle fonti alla stipulazione di un accordo collettivo, tra l'Amministrazione pubblica e le Associazioni di categoria, che rappresentano, in misura maggiore, gli impiegati del settore pubblico. La l. 29 marzo 1983, n. 93 disciplina l'istituto della contrattazione collettiva con riferimento a tutto l'ambito del pubblico impiego.

La legge suindicata comunque è inestensibile alle categorie di impiego che, secondo speciali fonti primarie, sono sottoposte a distinti metodi di predisposizione delle rispettive discipline (es. magistrati, avvocati dello Stato, dirigenti dello Stato, militari, l. 22 luglio 1975, n. 382).

La contrattazione collettiva, in quanto entità infraprocedimentale, non costituisce un metodo per la stipulazione di un accordo vincolante per le categorie interessate e costituite dai prestatori d'opera da un lato e le Amministrazioni (ai vari livelli) dall'altro. Infatti la legge citata dispone testualmente nel senso della necessità del completamento del procedimento mediante la fonte, che secondo l'ordinamento, è idonea a porre disposizioni imperative, applicabili indipendentemente dalla appartenenza ad una delle associazioni o delle Amministrazioni stipulanti.

La stipulazione dell'accordo collettivo, quale presupposto della fonte disciplinatrice del pubblico impiego, non è una peculiarità dei procedimenti di predisposizione normativa disciplinati dalla legge citata. Infatti, atteso il principio di libertà sindacale, esplicabile anche relativamente al settore pubblico, è prospettabile la stipulabilità dell'accordo collettivo anche per la determinazione del trattamento economico di altre categorie di impiegati pubblici, estranei all'ambito di applicazione della legge citata. Concludere diversamente postulerebbe l'ammissione della impossibilità per le categorie indicate da ultimo da organizzarsi sindacalmente e dall'altro la difficoltà per le Amministrazioni competenti di ottenere una rappresentazione compiuta dall'esigenza immanente nella categoria degli impiegati, nei cui confronti deve essere predisposta la normativa.

La differenza tra l'una e l'altra delle suindicate contrattazioni consiste nella necessità della prima e della possibilità della seconda nel senso che la fonte può essere emessa anche in difetto di contrattazione. Ulteriore differenza risiede nella tipologia delle organizzazioni sindacali, che partecipano alla contrattazione.

Nel primo tipo le organizzazioni sono quelle confederali più rappresentative sul piano nazionale, o quanto meno anche queste intervengono nella contrattazione (art. 6, l. 29 marzo 1983, n. 93, art. 4 accordo 11-2-1986 Governo-Sindacati per la determinazione dei comparti di contrattazione collettiva).

Nel secondo tipo di contrattazione le organizzazioni sindacali possono essere solo quelle della categoria, alla quale deve essere applicata la normativa da emettere.

Questa differenza d'altra parte non esclude il condizionamento dei risultati della contrattazione relativa alle categorie esenti dall'applicazione della l. 29 marzo 1983, n. 93, da quelli della contrattazione disciplinata dalla legge citata da ultimo. Infatti la seconda contrattazione segna l'ambito delle disponibilità finanziarie da destinare ai settori più numerosi del pubblico impiego e quindi fissa un limite, rispetto al quale è possibile aggiungere una spesa ulteriore, per le categorie esenti, in misura proporzionale e non già indipendente. Per altro verso non si può trascurare di osservare quanto segue: il legame tra sistema delle retribuzioni e sistema economico complessivo importa che l'eventuale proposito di fissare un trattamento economico indipendente occasiona la critica da parte delle organizzazioni sindacali che hanno accolto un diverso sistema di retribuzione(1).

2. Unitarietà della contrattazione.

La imprescindibilità della contrattazione collettiva, quale metodo di preparazione delle fonti di diritto attinenti al pubblico impiego, postula la riduzione del principio di esclusività della competenza degli uffici preordinati alla gestione del personale pubblico.

Tale esclusività fu affermata sul presupposto della impossibilità di ammettere l'influenza di impostazioni, elaborate al di fuori dei procedimenti pubblici, sulle decisioni pubbliche. Una diversa conclusione avrebbe significato la prevalenza del particolarismo sull'interesse pubblico e quindi generale(2).

In effetti tale riduzione segue al riconoscimento della irriducibilità della comunità all'apparato, della insufficienza delle procedure pubbliche a permettere l'adozione di misure, suscettibili di generalizzata accettabilità.

La risoluzione dello Stato nell'ordinamento coglie la natura determinante del fatto di essere sodali, come scelta volontaria, e quindi offre la possibilità di attribuire importanza ad iniziative o prese di posizioni estranee all'apparato e condizionanti le decisioni pubbliche(3). Questo fenomeno potrebbe essere il segno sia della tendenza ad identificare l'interesse generale, e quindi prioritario sugli altri, nelle posizioni condivise da gruppi o classi in coerenza con l'andamento della storia, sia della tendenza a ricercare il consenso sia pure temporale delle organizzazioni rappresentative delle categorie coinvolte dalle misure da adottare(4).

Per altro verso la impostazione metodologica ordinamentale può anche favorire il criterio di sollecitare l'espressione di proposte programmatiche, mediante il concorso di organismi eterogenei collegati alle categorie rilevanti nell'ordinamento; sul presupposto di tali proposte si dovrebbero adottare le decisioni di governo, ma senza il condizionamento della contrattualità (5).

La contrattazione collettiva comunque è delineata, secondo l'esperienza compiuta dopo l'introduzione della l. 29 marzo 1983, n. 93, o delle fonti limitative l'ambito delle scelte mediante accordo, come un mezzo di verifica dell'adesione alle impostazioni di politica economica fissate dal governo e delle misure da adottare, secondo le procedure specifiche, in vista del raggiungimento di altri obiettivi posti o condivisi dalle organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative. La contrattazione collettiva necessaria è disciplinata, secondo la l. 29 marzo 1983, n. 93, in modo tale da importare la stipulazione di accordi unitali per categorie omogenee di impiegati pubblici. L'unitarietà è data dalla negoziazione e stipulazione a livello nazionale; tali operazioni sono compiute dalla delegazione sindacale e da quella pubblica.

Questa è composta dal Presidente del Consiglio dei Ministri, che può delegare il Ministro per la funzione pubblica, dal Ministro del Tesoro, da quelli del Bilancio e del Lavoro, art. 6, 7 e 8, l. n. 93 del 1983 citata. La stessa delegazione è diversamente integrata a seconda del comparto di contrattazione collettiva (artt. 5, 7, 8, 9, 10, l. n. 93 del 1983 citata).

Specifica integrazione è prevista per la negoziazione e la stipulazione dell'accordo intercompartimentale, art. 12, l. n. 93 del 1983 citata.

Il d.p.r. 5 marzo 1986, n. 68, dispone, a proposito di ciascun comparto di contrattazione, che sia il Presidente del Consiglio dei Ministri sia i Ministri possono farsi sostituire dai Sottosegretari di Stato. Il Presidente del Consiglio può incaricare il sottosegretario alla Presidenza, se non è stato nominato il Ministro per la funzione pubblica, altrimenti questo Ministro deve essere delegato; questi a sua volta può incaricare il sottosegretario alla funzione pubblica, eventualmente nominato. Se il Ministro indicato da ultimo è assente o impedito, e manca il sottosegretario alla funzione pubblica, il Presidente del Consiglio, in quanto titolare della competenza permanente a presidente la delegazione pubblica, deve esplicare tale compito o delega il medesimo al sottosegretario alla Presidenza.

La delegazione sindacale è costituita dagli esponenti delle organizzazioni nazionali di categoria, maggiormente rappresentative per ogni singolo comparto; fanno parte della delegazione sindacale anche gli esponenti delle confederazioni sindacali maggiormente rappresentative su base nazionale, art. 6, comma 4, l. n. 93 del 1983 citata.

La unitarietà nel senso sopra precisato è preordinata alla valutazione complessiva delle entità e distribuzione delle risorse disponibili. Questa preordinazione del procedimento di negoziazione e stipulazione è giustificabile in rapporto da una lato alla incidenza della contrattazione sull'Amministrazione dello Stato, e quindi sui costi e la gestione della medesima, e dall'altro alla imputazione dei costi ai flussi finanziari provenienti dallo Stato, e originati dal prelievo tributario, destinati al finanziamento dei grandi servizi pubblici (Sanità, enti locali, enti del parastato, ecc).

L'unitarietà suindicata costituisce garanzia di contenimento di tendenza alla supervalutazione di posizioni specifiche di gruppi, categorie, ecc.(6).

La l. 29 marzo 1983, n. 93 è stata preceduta dalla l. 12 febbraio 1968, n. 132, art. 40, che introdusse il criterio della imprescindibilità dell'accordo collettivo unitario in vista della esplicazione della competenza regolamentare degli ospedali in materia di trattamento economico del personale.

Il metodo suindicato fu ribadito con riferimento agli enti pubblici costituenti il parastato, l. 20 marzo 1975, n. 70. Gli accordi previsti da questa legge erano posti a fondamento di un decreto del Presidente della Repubblica, con efficacia vincolante per tutti gli enti parastatali. La prima delle leggi citate era priva del divieto di fissare limiti retributivi superiori a quelli derivanti dall'accordo. Il divieto fu posto al d.d.l. 8 luglio 1974, n. 264, convertito nella l. 17 agosto 1974, n. 386, art. 7(7). Il principio della inderogabilità fu accolto anche dalla l. 20 marzo 1975, n. 70 già citata.

La l. 22 luglio 1975, n. 382 introdusse la distinzione tra contrattazione necessaria per il personale statale e determinazione della disciplina previa negoziazione libera per alcune categorie di persone (dirigenti dello Stato, militari, magistrati, avvocati dello Stato, cfr. supra par. 1).

Alle fonti sopra citate seguirono il d.d.l. 29 dicembre 1977, n. 946, convertito nella l. 27 febbraio 1978, n. 43, con il quale fu introdotto il criterio della contrattazione necessaria per i dipendenti dei comuni, provincie(8).

Per quanto riguarda il personale regionale difettò una normativa impositiva della contrattazione come propedentica alla emanazione di una fonte statale unitaria. La prassi si è svolta nel senso della stipulazione di accordi tra rappresentanti delle Regioni, costituenti un'unica delegazione regionale, tali accordi sono stati seguiti dalla emanazione di leggi regionali sulle stesse materie oggetto degli accordi(9).

La peculiarità della l. 29 marzo 1983, n. 93 sta nelle seguenti circostanze: estensione del principio della contrattazione collettiva a tutti i settori del pubblico impiego, statale e non(10), riduzione dell'accordo a elemento necessario del procedimento di predisposizione di una fonte di diritto, costituzione di delegazioni unitarie irriducibili alle sole Amministrazioni o alle associazioni delle categorie coinvolte nella disciplina del pubblico impiego.

3. I comparti.

La contrattazione, ancorché unitaria, nel senso sopra precisato, non è unica; infatti la l. 29 marzo 1983, n. 93 dispone nel senso della negoziazione e stipulazione di accordi per singoli comparti. Questi sono categorie di impiegati pubblici, individuate, secondo criteri omogenei, con decreto del Presidente della Repubblica (attualmente vige il d.p.r. 5 marzo 1986, n. 68, G.U. 20-3-1986), che all'art. 1 fissa i comparti. L'unicità dell'accordo vale con riferimento a ciascun comparto, art. 10, d.p.r. n. 68 del 1986 citato, ancorché sono identificabili posizioni differenziate nello stesso comparto. L'unicità quindi non significa uniformità di trattamento, altrimenti sarebbe disattesa la diversità dei compiti e delle qualifiche professionali comprese in un comparto. L'unicità equivale a valutabilità proporzionale e contestuale delle posizioni professionali e organizzative immanenti in ciascun comparto.

La distinzione del pubblico impiego in comparti non postula la sostanziale individualità di ciascun accordo e quindi della disciplina che ne segue. Infatti la l. 29 marzo 1983, n. 93 dispone nel senso della stipulabilità dell'accordo intercompartimentale sul cui presupposto è emesso il decreto presidenziale, con il quale si delineano i criteri da seguire nelle singole contrattazioni di comparto(11).

Ulteriore elemento per garantire la possibilità di una impostazione unitaria degli accordi è da individuare nella sostanziale stabilità della delegazione pubblica e di quella sindacale, infatti nella prima fanno costantemente parte il Presidente del Consiglio (o il Ministro per la Funzione Pubblica se nominato, altrimenti il Sottosegretario di Stato alla Presidenza), i Ministri del Tesoro, del Bilancio e della programmazione economica, del Lavoro e della Previdenza Sociale. La delegazione sindacale è costantemente composta dai rappresentanti delle confederazioni sindacali più rappresentative sul piano nazionale. Pertanto la costanza delle persone, che per i rispettivi uffici o incarichi hanno titolo a comporre le delegazioni suindicate, e la identità degli apparati ausilianti tali persone permettono la delineazione di impostazioni comuni utili per tutti i comparti.

Il comparto deve essere distinto dalla categoria. Il comparto è un settore omogeneo di pubblico impiego, identificato secondo criteri desumibili dall'organizzazione amministrativa pubblica, la categoria è la pluralità delle persone che hanno in comune qualifiche o posizioni professionali nell'ambito del comparto. Del resto il d.p.r. 5 marzo 1986, n. 68, sulla scorta della l. 29 marzo 1983, n. 93, postula la distinzione tra comparto e categoria, disponendo che la delegazione sindacale è costituita anche dai rappresentanti delle organizzazioni sindacali di categoria più rappresentative nel comparto. Non è possibile fondatamente ammettere che la categoria sia identificata nella collettività dei dipendenti.

Una conclusione del genere importerebbe l'inspiegabilità dei comparti, in quanto la esclusiva rilevanza della categoria in senso generico permetterebbe la stipulazione di un accordo unico, riguardante tutti i dipendenti pubblici. Per altro verso la identificazione generica non può essere accolta con riferimento al comparto. In quanto infatti sono comprese distinte categorie di impiegati, con aspirazioni o programmi fra loro irriducibili o comunque eterogenei.

La categoria a sua volta può essere tale da superare i limiti dei comparti, in quanto gli impiegati possono sentirsi sodali indipendentemente dai limiti suindicati e aderire ad associazioni sindacali i cui statuti sono privi di limiti di adesione corrispondenti ai comparti. Il comparto è fissato in modo eteronomo (art. 5, l. 29 marzo 1983, n. 93; d.p.r. 5 marzo 1986, n. 68), la categoria è individuabile in base alla iniziativa autonoma dei singoli. Del resto l'assenza di norme impositive delle categorie conferma questa tesi(12).

Da questi presupposti discende che il sindacato collegato alla categoria può essere la conseguenza dell'autonomia associativa dei singoli; non è fondatamente prospettabile l'ineluttabilità dell'organizzazione sindacale specifica per ogni singola categoria o per ogni qualifica, livello, profilo professionale del pubblico impiego. È ipotizzabile l'appartenenza alla stessa organizzazione sindacale di persone comprese in diverse qualifiche, ecc. D'altra parte è prospettabile l'appartenenza a una pluralità di organizzazioni sindacali delle persone appartenenti alla stessa categoria, formatasi autonomamente. Quest'ultimo fenomeno è verificabile con riferimento alla consistenza di associazioni sindacali omogenee, per quanto concerne la qualità dei singoli componenti.

Deve essere verificata la esistenza della categoria e la maggiore rappresentatività delle organizzazioni sindacali rispetto alla categoria.

Questa dimostrazione è desumibile dalla serie di voti raccolti da ciascuna organizzazione sindacale.

Tale verifica può essere operata con riferimento ai voti raccolti in occasione nelle elezioni ai Consigli di Amministrazione dei rappresentanti del personale. Tuttavia queste elezioni sono tipiche dell'Amministrazione dello Stato; dovrebbe essere introdotto un sistema generalizzato di elezioni in tutta l'Amministrazione pubblica in modo da permettere la verifica periodica e per ciascun comparto della esistenza delle categorie e del maggior grado di rappresentatività delle associazioni sindacali riferibili a ciascuna categoria. Si deve precisare che la categoria e il maggior grado di rappresentatività possono essere verificati anche se difettano associazioni costituite per ciascuna qualità o figura professionale. In questa ipotesi la categoria deve essere identificata nella complessa entità degli impiegati che aderiscono ad associazioni generali, i cui statuti permettono l'adesione agli impiegati indipendentemente dalle rispettive qualifiche.

D'altra parte la rappresentatività dell'associazione sindacale è verificabile anche quando la stessa associazione riscuota l'adesione di persone operanti in distinti comparti (es. sindacato costituito fra il personale dell'istruzione pubblica, che comprende sia quello della scuola, sia quello dell'Università)(13).

La costituzione della categoria e delle connesse associazioni sindacali può essere favorita dal mutamento, dalla costituzione di un comparto o dalla esclusione da un comparto. Infatti tali fenomeni possono importare la formazione di associazioni categoriali, favorite dall'esigenza di salvaguardare posizioni acquisite o di realizzare disegni perequativi o di miglioramento(14).

4. L'accordo collettivo; sua irriducibilità a fonte di diritto.

La contrattazione collettiva è irriducibile ad un procedimento di predisposizione di una disciplina. Infatti gli enunciati costituenti l'accordo sono insuscettibili di applicazione ai singoli rapporti d'impiego, posto che la l. 23 marzo 1983, n. 93 dispone nel senso della necessità delle deliberazioni del Consiglio dei Ministri, emanate attraverso decreti del Presidente della Repubblica, per l'introduzione della normativa relativa ai singoli comparti di pubblico impiego.

Relativamente al settore regionale, a sua volta compreso nel comparto costituito anche dal personale dei comuni, delle provincie, ecc., art. 4, d.p.r. 5 marzo 1986, n. 98, è indispensabile l'atto normativo regionale, art. 10, ultimo comma, l. n. 93 del 1983 citata.

Si pone il problema del rapporto tra l'accordo e l'atto normativo successivo.

Non può essere accolta la tesi della riduzione di tale atto a mera approvazione dell'accordo, in analogia al rapporto tra contratto amministrativo e provvedimento amministrativo(15); infatti in questo caso la disciplina deriverebbe dall'accordo, rispetto al quale il decreto (o la legge regionale) fungerebbe da condizione di efficacia. Tale interpretazione del fenomeno postula l'efficacia erga omnes dei singoli accordi, applicabili anche a soggetti estranei alle associazioni sindacali che hanno stipulato l'accordo o alle Amministrazioni che non lo hanno sottoscritto(16). In tale modo è disatteso il principio fissato dall'art. 39 Cost.(17).

Non sufficientemente chiara è la riduzione dell'accordo a fase predecisoria preordinata a vincolare il contenuto del decreto presidenziale, identificabile come atto di approvazione(18).

In effetti quest'ultima definizione induce a concludere nel senso che il decreto sia espressivo di una competenza in funzione di controllo; in tale caso sono formulabili le stesse critiche alla identificazione del decreto presidenziale come atto attribuitivo di efficacia all'accordo. Il riferimento alla natura predecisoria dell'accordo induce ad escludere che questo costituisca la fonte di disciplina del rapporto di impiego, mentre tale fonte dovrebbe essere il decreto presidenziale, che a sua volta è vincolato quanto alle disposizioni da fissare. Indubbiamente l'atto conclusivo di un procedimento potrebbe avere una limitata portata precettiva, fino al punto di risolversi nella mera emanazione di una decisione precedente. Tuttavia da questa notazione, derivante dalla eretogeneità delle competenze e dei contributi delle parti intervenute nei singoli procedimenti, dovrebbe indurre a identificare la effettiva fonte nell'accordo, con la conseguenza di ricadere nelle direzioni già
indicate.

La indicazione della coesistenza fra ordinamento intersindacale e ordinamento statale sembra risolvere il problema della salvaguardia tanto dell'autonomia sindacale quanto della effettiva imputabilità all'apparato pubblico della fonte di disciplina del rapporto di impiego(19).

La salvaguardia della separazione delle suindicate entità permette di evitare la riduzione della fonte normativa pubblica (statale o regionale) a mero strumento estetico, espressivo di decisione adottata integralmente al di fuori dell'apparato pubblico. Tale riduzione equivarrebbe a sostanziale elusione del criterio di officialità dell'azione pubblica in quanto espressiva della competenza e quindi del dovere a provvedere su specifici settori da parte di titolari di uffici la cui legittimazione discende da titoli rilevanti per l'ordinamento (procedure di preposizione a specifici uffici, scelta di programmi e di persone mediante il consenso verificabile secondo procedimenti elettorali)(20).

D'altra parte questa esigenza è imprescindibile non solo con riferimento all'adozione delle decisioni pubbliche incidenti sui consociati, singoli o associati, ma anche relativamente alla disciplina organizzativa dei servizi pubblici in genere, nella quale entra la gestione del personale(21).

Tuttavia si può osservare che l'accordo, giusta la l. 29 marzo 1983, n. 93, non è sufficiente ad impegnare lo Stato o gli altri enti pubblici, attesa la indispensabilità dei decreti presidenziali e della legge di spesa (artt. 6 e 15, l. n. 93 del 1983 e seg.). La stessa partecipazione al procedimento di negoziazione non è assicurata a tutte le parti (pubbliche e associative) interessate alla gestione del personale; pertanto risulta difficile prospettare una disciplina autonoma, in luogo di quella eteronoma del personale.

Non si potrebbe disattendere tale conclusione sul presupposto della distinzione tra il piano sindacale, rispetto al quale deve essere valutato l'accordo, e piano dell'ordinamento statale, rispetto è prospettabile un assetto eteronomo della disciplina suindicata. Al riguardo appare difficile ammettere la stipulabilità dell'accordo, rilevante per l'ordinamento intersindacale, prescindendo dalla costante verificabilità dei presupposti relativi alla cogenza e quindi alla attuabilità degli enunciati normativi imputabili allo stesso ordinamento. La legge citata prescinde dalla partecipazione di tutte le associazioni costituite nell'ambito della categoria; questo fenomeno importa l'esclusione di taluni sindacati, evita la eccessiva frammentazione associativa e quindi la rappresentazione emulativa dei programmi, ma non impedisce il superamento delle esigenze categoriali, soprattutto se sopravvenienti. La stessa presenza delle confederazioni, quali parti necessarie della negoziazione,
può essere spiegata in rapporto alla esigenza di introdurre nel procedimento elementi di conferma di finalità unitarie, ma certamente diverge rispetto ad aspirazioni categoriali, sul presupposto delle quali si disconosce il ruolo rappresentativo delle confederazioni stesse.

Non può essere trascurato il fenomeno del difetto di riconoscimento da parte di ciascuna confederazione dell'appartenenza all'ordinamento sindacale di tutte le altre confederazioni; le diversità programmatiche determinano il rifiuto di sodalità rispetto all'altro organismo confederale.

Infine non si può trascurare di sottolineare la coerenza tra le impostazioni programmatiche dei sindacati e quelle identificabili nell'esplicazione della funzione di indirizzo politico. Da questa constatazione discende che sussiste omogeneità fra l'associazionismo sindacale e quello di orientamento dell'opinione pubblica e di selezione per la preposizione agli uffici direzionali della comunità (22). Questa coerenza preclude la prospettabilità di un ordinamento sindacale, ma induce a identificare un ordinamento complessivo, quale è quello governato dagli organismi di indirizzo politico, sia pure con posizioni differenziate per l'applicazione di principi o programmi comuni.

Sul presupposto di queste considerazioni la contrattazione è irriducibile a formazione di un atto normativo consensuale autosufficiente nell'ordinamento intersindacale ed è identificabile come predisposizione di una serie di enunciati normativi, espressivi di una scelta fra tipologie di trattamento, sui quali concordano gli organismi sindacali chiamati alla negoziazione e la delegazione di parte pubblica.

Tale predisposizione è il segno della esistenza della possibilità di introdurre una disciplina coerente rispetto agli indirizzi politici, in tema di gestione del personale, di utilizzo delle risorse, di organizzazione dei servizi, e alle aspirazioni dei professionisti dell'Amministrazione, così come interpretate dalle organizzazioni sindacali. Rientra nella apprezzabilità delle scelte possibili da parte del Governo, competente a decidere la fissazione della disciplina del personale pubblico, art. 6, l. 29 marzo 1983, n. 93, saggiare l'ambito di compatibilità tra gli indirizzi e le aspirazioni categoriali, oltre che l'adattabilità dei primi alle seconde e viceversa(23).

5. Il decreto presidenziale come fonte di diritto.

Il decreto presidenziale è espressivo di una fonte regolamentare governativa(24); insuscettibile di limitare la competenza legislativa regionale ripartita (art. 117 Cost.) o esclusiva (cfr. Statuti speciali) in tema di personale.

In rapporto a questa impossibilità l'art. 11, ultimo comma, l. 29 marzo 1983, n. 93 dispone nel senso della competenza della Regione ad emettere le leggi conseguenti alla formulazione delle proposizioni concordate(25). Per gli altri settori di pubblico impiego (statale, enti strumentali dello Stato, enti locali, servizio sanitario nazionale) (26)la fonte statale può legittimamente disporre la disciplina del personale sia per l'inerenza della competenza regolamentare in esame rispetto all'organizzazione statale (comprendente anche gli enti strumentali citati), sia per la riserva statale a fissare i compiti dei Comuni, Provincie e quindi a stabilire la disciplina del personale da destinare a tali compiti. Per quanto riguarda il Servizio sanitario nazionale il fondamento della competenza regolamentare deve essere ravvisato nell'art. 47, l. 23 dicembre 1978, n. 833. D'altra parte non si può trascurare di osservare che il fondamento di tale competenza deve essere ulteriormente
individuato nell'esigenza di assicurare la coerenza della spesa per il personale rispetto delle disponibilità finanziarie tra i distinti settori di utilizzazione, disponibilità da prelevare dal prodotto nazionale, secondo il metodo tributario.

Le osservazioni suesposte riguardano non tanto la individuazione della competenza regolamentare dello Stato, attesa l'inequivocabile attribuzione di competenza suindicata giusta le norme della l. 29 marzo 1983, n. 93, ma la giustificazione di un sistema diversificato e unitario di predisposizione della disciplina del personale pubblico(27).

La fonte regolamentare deve comunque essere ricollegata a principi di natura costituzionale o primaria tali da fissare gli obbiettivi da raggiungere con l'attuazione della funzione regolamentare. Questa esigenza non potrebbe essere disattesa sul presupposto della scindibilità fra rapporto di impiego e organizzazione dei servizi. Questa infatti è influenzata dalla tipologia dei rapporti di impiego, dalle retribuzioni, dalle selezioni del personale; la disciplina del rapporto di impiego deve essere coerente rispetto alle esigenze organizzative e quindi ai compiti attributivi all'apparato(28).

Non si può quindi prescindere dal problema del rapporto fra le fonti regolamentari in esame e il principio di riserva di legge posto dall'art. 97 Cost.(29).

La presenza dei principi di livello superiore sono desumibili dalle norme costituzionali (artt. 36, 39 Cost.), dalla essenzialità dei servizi rispondenti alla salvaguardia di interessi costituzionalmente garantiti, dalle fonti attributive di compiti all'Amministrazione, dai principi dell'ordinamento. Né si può trascurare la subordinazione della fonte regolamentare alle leggi di spesa (art. 81 Cost.), tenuto conto della necessaria incidenza sul bilancio dello Stato dell'onere finanziario connesso alla disciplina prevista per ciascun comparto(30). Le fonti primarie di spesa sono da ravvisare nella legge finanziaria o in quella che fissano il bilancio pluriennale dello Stato, i vari programmi, nella l. 29 marzo 1983, n. 93 che dispone nel senso della predisposizione della legge di spesa per finanziare gli oneri conseguenti ai decreti presidenziali, art. 15.

La difformità della fonte regolamentare rispetto alle norme e principi di livello superiore importa la illegittimità della stessa fonte(31).

La fonte regolamentare è conclusiva di un procedimento la cui decisione rientra nella responsabilità del Governo; l'autorità di quest'ultimo risiede nella fiducia parlamentare o nell'assenza dei presupposti per l'affermazione della responsabilità politica(32). La ricollegabilità dell'autorità del Governo alla fonte di legittimazione popolare e non a quella identificabile nel vincolo associativo esclude che la decisione possa essere adottata da un organo diverso dal Governo, ancorché questi deve decidere sui presupposti di enunciati concordati fra persone titolari di uffici associativi sindacali e di uffici di indirizzo politico o amministrativo. La diversa origine del Governo e del sindacato spiega la priorità del primo sul secondo(33), per altro verso la necessità dell'accordo non è riducibile ad un modo di essere del procedimento, inteso come sequenza di atti, ma come mezzo di partecipazione, alla deliberazione della decisione da adottare, sotto il profilo della selezione
dei bisogni da soddisfare, della verifica delle risorse disponibili, dell'apprezzamento delle esigenze perequative. È. indubbio che questa operazione si risolve nella determinazione di un indirizzo metodologico circa la disciplina da introdurre; tuttavia, attese le ragioni suesposte, è necessario evitare di porre tale operazione al di fuori del procedimento regolamentare, al fine di escludere la subordinazione integrale della fonte all'indirizzo rispetto al quale il Governo nella sua collegiabilità rimarrebbe sostanzialmente estraneo(34). L'eventuale ingiustificabilità, secondo l'ordinamento, della fonte regolamentare costituisce una disfunzione del procedimento regolamentare. Non si potrebbe opporre l'intangibilità dell'accordo, al quale non può essere riconosciuta la natura della fonte di diritto statale. Fa sempre carico al Governo il dovere di imparziabilità, di rispetto delle fonti sovraordinate, del principio di coerenza delle misure adottate rispetto alle situazioni da
disciplinare. Non è sufficiente la partecipazione procedimentale per concludere nel senso della bontà della misura adottata; se lo stesso organo a legittimazione generalizzata, secondo i criteri tipici del governo di opinione pubblica, può adottare misure condizionate dalla prevalenza di interessi particolari, altrettanto può affermarsi per le misure precedute da enunciati concordi, che nella loro estetica generalizzante possono nascondere soluzioni particolaristiche o introdurre uniformità ingiustificabili di trattamento(35).

Da ciò segue la indispensabilità dell'osservanza del procedimento regolamentare con l'acquisizione del parere del Consiglio di Stato, art. 16, n. 1, r.d. 26 giugno 1924, n. 1054.

Tale parere non può essere escluso sul presupposto della necessità dell'accordo.

Infatti quest'ultimo non è fonte di diritto e il procedimento regolamentare è irriducibile a mera esternazione dell'accordo; del resto la prevalenza data all'accordo equivale a delineare un sistema anomalo di predisposizione normativa, sostanzialmente incensurabile.

Per la stessa ragione si deve ammettere la impugnabilità della fonte regolamentare che si assume illegittima e quindi annullabile(36).

Questa conclusione discende agevolmente dagli artt. 24 e 113 Cost. e non è superabile mediante il richiamo all'accordo, il quale è parte del procedimento regolamentare senza costituire la fonte di disciplina dei rapporto d'impiego. Oltre tutto il richiamo all'accordo, per sottolineare un equilibrio intangibile se non in via consensuale, postulerebbe una soluzione di tipo volontaristico, del tutto difforme rispetto al sistema costituzionale vigente, che permette la sindacabilità della stessa funzione legislativa oltreché di quella amministrativa.

L'eventuale procedimento di riproduzione del regolamento, in attuazione del giudicato, deve avvenire secondo i principi posti dalla l. 20 marzo 1983, n. 13.

Tuttavia l'attuazione del giudicato non può essere subordinata alla stipulazione dell'accordo; una conclusione del genere importerebbe la sostanziale elusione del giudicato, in quanto basterebbe un accordo difforme o il rifiuto di addivenire all'accordo per disattendere il giudicato stesso.

Lo stesso accordo è limitato dall'annullamento, quindi sia dall'obbligo di evitare criteri uguali a quelli fondatamente censurati in sede giudiziale e sia da quello di seguire i criteri metodologici fissati nel giudicato stesso.

L'eventuale rifiuto di addivenire all'accordo, sul presupposto per esempio della rivendicazione dell'esclusività del procedimento regolamentare a rivedere la disciplina già posta e quindi della impossibilità per il giudice amministrativo di annullare la fonte previgente, è privo di giustificazione e quindi non sono ravvisabili preclusioni all'emanazione della fonte attuativa del giudicato.

6. Cenno al tema degli accordi decentrati.

L'art. 14, l. 29 marzo 1983, n. 93 dispone la predisposizione di fonti regolamentari (o di tipo diverso) in vista della disciplina dei carichi di lavoro, l'organizzazione del lavoro ecc. nell'ambito di specifiche branche della Pubblica Amministrazione, di singoli enti o per aree territorialmente delimitate.

Tali fonti devono essere precedute da accordi stipulati tra delegazione pubblica e delegazione sindacale. La fonte regolamentare statale consiste nel decreto del Ministro competente per l'Amministrazione nel quale l'accordo è stato stipulato. Per altri enti si deve fare riferimento ai rispettivi ordinamenti. Le Regioni possono fissare la disciplina conseguente all'accordo decentrato anche con legge, posto che nessuna disposizione del citato art. 14 impone il ricorso alla fonte regolamentare regionale.

Le fonti in questione sono subordinate a quelle relative al comparto nel quale sono compresi i settori, gli enti e le branche, esse inoltre non devono essere causa di ulteriori oneri finanziari. La possibilità di applicare ai settori ecc. suindicati la normativa di comparto preclude la ineluttabilità della fonte del tipo in esame.

L'Amministrazione potrebbe decidere di astenersi dalla emanazione della fonte; la stessa impossibilità di raggiungere l'accordo potrebbe giustificatamente indurre alla scelta suindicata. Lo stesso annullamento in sede giurisdizionale o a seguito di ricorso straordinario potrebbe indurre ad evitare la riproduzione del procedimento.
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(1) La tipologia di questa critica può variare a seconda dell'accoglimento di una posizione polemica nei confronti della soluzione di merito, della divisione del lavoro, della necessità degli apparati e quindi della provvista di personale dotato professionalmente, di una posizione preordinata alla valorizzazione di ceti professionali intermedi collegati ai mutamenti organizzativi del lavoro; cfr. per una indicazione di queste posizioni politiche Bedeschi, La parabola del marxismo in Italia, Bari, 1983, HO ss. La critica può anche risolversi nella formulazione di ipotesi progettuali modificative delle soluzioni raggiunte, ancorché non condivisibili ma accettate sul presupposto dell'impossibilità di soluzioni diverse, cfr. Crespi, Elogio della negazione, Micro-Mega, 1986, 1, 190.

(2) Cfr. Ranelletti, Il sindacalismo nella pubblica amministrazione, RDPu, 1920, I, 442, che ravvisa nel sindacalismo un fenomeno di natura rivoluzionaria in contraddizione con lo Stato; Mortati, Il lavoro nella Costituzione, in Raccolta di Scritti, III, 335 s., quest'Autore, pur distinguendo fra comunità e apparato e identificando nella adesione ad alcuni programmi il fondamento nella comunità nega che nell'ambito dell'apparato possono essere ammesse iniziative tali da pregiudicare l'imparzialità delle decisioni finali specialmente se incidenti sulla distribuzione delle risorse.

(3) Cfr. sul tema della incidenza del sindacato sulla natura dello Stato S. Romano, Lo Stato moderno e la sua crisi, in Saggi di diritto costituzionale, dello stesso Autore raccolti con il titolo citato da Cammarata, Milano, 1969, 5 ss.; sulla riduzione dello Stato ad ordinamento cfr. Id., L'ordinamento giuridico, Firenze, 1946; sul significato di questa impostazione, come modo di collegare la norma alla storicità cfr. Scarpelli, Santi Romano, teorico conservatore, teorico progressista, in AA.VV., Le dottrine giuridiche di oggi e l'insegnamento di S. Romano, Milano, 1977, 45 ss.; Bobbio, Teoria e ideologia nella dottrina di S. Romano, ivi; il saggio è stato pubblicato anche Id., Dalla struttura alla funzione, Milano, 1977, 165 ss.; e in Amministrare, 1975, 447 ss.

(4) Sulla possibilità di porsi come portatore dell'interesse generale, in relazione al corso dell'evoluzione della Storia, cfr. Cerroni, Teoria del partito politico, Roma, 1979, 18 ss.; Ingrao, Massa e potere, Roma, 1977, 192 ss., Id. intervista a L'Espresso, 23-2-1986; Baldassarre, in AA.VV., Stato e società in Italia, Roma, 1978, 305. Sulla prospettazione del movimento della storia cfr. Bobbio, Da Hobbes a Marx, Napoli, 1965, 239 ss. La identificabilità del corso della storia permetterebbe di stabilire quali sono le posizioni attuali rispetto a quelle superate, ancorché espresse in forme o procedure vigenti, e quindi di individuare gli organismi, le categorie, i gruppi, autori o interpreti di tali posizioni. L'azione di quegli organismi ecc., costituisce il diritto vigente o prevalente sugli enunciati idonei a salvaguardare l'attualità delle posizioni sopravvenienti, cfr. su questa problematica Basso, Natura e funzioni dell'opposizione nell'ordinamento costituzionale italiano,
in AA.W., Studi sulla Costituzione, II, Milano, 1958, 375 ss.; Id., Per uno sviluppo democratico nell'ordinamento costituzionale italiano, in Studi per il 20° anniversario dell'Assemblea costituente, Firenze, 1969, 13.

(5) Cfr., Dossetti, Funzioni e ordinamento dello Stato moderno, in AA.VV. I problemi dello Stato, Roma, 1977, 15 ss.; un'impostazione organizzativa del genere descritto nel testo si può desumere anche da Ingrao, op. cit., sub nt. 4, 259 ss.

(6) Sulla contrattazione unitaria in vista del contenimento delle supervalutazioni indicate nel testo cfr. D'Antoni, Profili della contrattazione collettiva nell'impiego pubblico, GI, 1983, IV, 384; questo contributo, pur elaborato sulla scorta di studi nel vol. VI degli Annali della Fondazione G. Pastore, Milano, 1978, assume importanza in quanto esprime il fine specifico del sistema della l. 29 marzo 1983, n. 93 e consistente nell'evitare la contrattazione informale su singoli aspetti dei distinti rapporti d'impiego. Questo tipo di contrattazione fu identificato come un'occasione sia per attuare uno scambio di favori tra categorie e titolari delle competenze normative sia per escludere i grandi temi dell'organizzazione dei servizi.
Non sembrano colte le ragioni del sistema unitario di contrattazione in Rainaldi, Glinaccordi sindacali nel pubblico impiego, RDPu, 1978, 1430, ove si interpreta il modo di contrattazione, previsto dalla l. 12 febbraio 1968, n. 132, come la conseguenza sia di una disciplina organizzativa, concernente gli enti ospedalieri, sia di una attribuzione di competenza ai sindacati del «potere di stipulare per i dipendenti».

(7) La Corte Costituzionale con sent. n. 161 del 1982, FA, 1983, I, 929, ha dichiarato l'illegittimità della fonte indicata nel testo, nella parte in cui riservava all'accordo la disciplina economica dell'impiego ospedaliero.

(8) Su tale normativa cfr. C. St. sez. I, 17-6-1980, n. 47; e C. St. sez. I, 19-2-1982, n. 105-82.

(9) Per testo degli accordi cfr. Contratti nazionali di lavoro del personale degli enti e delle regioni triennio 1979-1981, a cura della Fed. lav. ente locali CGIL-CISL-UIL, Roma, 1982. Sull'esperienza regionale anteriore all'entrata in vigore della I. 29 marzo 1983, n. 93 cfr. Severi, La contrattazione collettiva per i dipendenti delle Regioni, in Annali, cit. sub 6, 193 ss.; ove si constata la impossibilità di assicurare l'omogeneità di trattamento sul solo presupposto dell'autonomia regionale; il risultato dell'omogeneità può essere assicurato dalla vigenza di una fonte eteronoma. Questa prospettazione è attuata dalla l. 29 marzo 1983, n. 93, cfr. infra nt. 25.

(10) Sono estranei all'ambito di applicazione della legge citata le categorie dei dirigenti, dei militari, dei magistrati, degli avvocati dello Stato, dei professori universitari, l. 22 luglio 1975, n. 382, art. 9; per quanto riguarda i professori universitari l'estraneità si desume dalla equiparazione del loro trattamento a quello dei dirigenti dello Stato, cfr. al riguardo Corte Costituzionale, sent. n. 219 del 1975, GC, 1975, 1650, e C. St. sez. VI, 30-7-1976, n. 308, FA, 1976, I, 1882, cfr. infra nt. 21. Estranei al suindicato ambito di applicazione sono i dipendenti degli enti pubblici economici, delle aziende municipalizzate, art. 1, l. 29 marzo 1983, 93.

(11) Sul presupposto dell'accordo intercompartimentale 1985 del 1987 è stato emesso il d.p.r. 1 febbraio 1986, n. 13, G.U. 3-2-1986, cfr. nt. 12.

(12) Sulla categoria cfr. V. Simi, «Categoria professionale» in Enc. dir., VI, Milano, 1960, 512; Id., Il contratto collettivo di lavoro, Padova, 1980, 16 s.; Giugni, Introduzione allo studio della autonomia collettiva, Milano 1977, 103, nt. 8, ove si esclude la natura ontologica della categoria; Pera, Legge e contrattazione collettiva nella regolamentazione del pubblico impiego, FI, 1979, V, 127. I comparti sono determinati in modo eteronomo (d.p.r. espressivo di deliberazione del Consiglio dei Ministri, preceduta da accordi con le confederazione maggiormante rappresentative art. 5, l. 29 marzo 1983, n. 93). L'accordo prescinde dalla negoziazione con sindacati costituiti dell'ambito delle categorie individuabili nei possibili comparti; questa circostanza, unitamente alla impossibilità di una contrattazione collettiva vincolante, attesa l'inattuazione dell'art. 39 Cost., preclude la prospettabilità della identificazione dei comparti in regime di autonomia collettiva.
La determinazione eteronoma dei comparti naturalmente deve essere compiuta in modo tale da permettere la giustificazione sotto il profilo dell'omogeneità. Questa può essere ravvisata in rapporto agli obbiettivi da raggiungere, per cui si potrebbero comprendere nello stesso comparto enti diversi, cfr. Orsi-Battaguni, Accordi, cit., 7 s.; Bottazzi, Problemi organizzativi dell'industria dell'acqua, in Economia Pubb., 1983, 383. Questa impostazione funzionalistica contraddice alla eterogeneità dei livelli di competenza (es. livelli di governo, operativo, di controllo) rispetto alla stessa materia. Tale eterogeneità può risolversi in eterogeneità di impegno, di professionalità, di responsabilità e implicando l'esigenza di trattamenti differenziati, né si può trascurare l'importanza del problema della omogeneità di trattamento in rapporto alla disponibilità delle risorse per i singoli settori; risorse anelastiche, in quanto provenienti da entrate tributarie o da tariffe, solo
parzialmente remunerative. La adozione esclusiva del criterio funzionalistico importerebbe l'accentuazione della tendenza volontaristica all'aggregazione a settori rispetto ai quali siano previsti trattamenti superiori a quelli possibili in Amministrazioni finanziate da un unico circuito. Per esempi al riguardo cfr. nt. 14; la tendenza suindicata è rilevabile attraverso il fenomeno alla entificazione dei servizi, cfr. l. 12 agosto 1982, n. 576, istitutiva dall'Isvap, che ha assorbito la competenza statale in tema di controllo sulle assicurazioni, e il cui personale ha un trattamento economico parificato a quello praticato nel settore assicurativo.
Altro utile esempio è la l. 4 giugno 1985, n. 281, sull'ordinamento della Commissione sulla società e borsa, il cui personale ha il trattamento economico del personale della Banca d'Italia. In senso critico sulle impostazioni retributive del personale della Commissione cfr. C. St., sez. I, 23-4-1982, n. 392-12.

(13) Il personale della scuola costituisce un comparto di contrattazione, diverso da quello dell'Università (artt. 8, 9, d.p.r. 5 marzo 1986, n. 68, G.U. 20-3-1986). Si può ipotizzare l'esistenza di sindacati, ai quali siano associate persone in servizio nei distinti livelli dell'istruzione pubblica (materna, elementare, media, superiore). Tale circostanza è inlnfluente ai fini della verifica di rappresentatività nei comparti suindicati. Si deve precisare che le suesposte notazioni sono inestensibili alla categoria dei docenti universitari, il cui trattamento è estraneo all'efficacia della l. 29 marzo 1983, n. 93, tenuto conto del collegamento della posizione di tali docenti a quella dei dirigenti dello Stato, cfr. nt. 10.

(14) Il personale in servizio presso gli istituti zooprofilattici, dopo l'introduzione della normativa attinente al trattamento del Servizio nazionale (d.p.r. 25 giugno 1983, n. 348), ha agito anche sindacalmente per l'ampliamento del comparto sanitario comprendente il personale dipendente dalla Unità sanitarie locali, art. 28, d.p.r. 20 dicembre 1979, n. 761. Tale ampliamento, disposto con la l. 7 marzo 1985, n. 97, è stato la premessa per applicare al personale degli Istituti citati il trattamento economico del comparto citato; tale applicazione era preclusa dalla irriducibilità degli istituti citati ad impianti o presidi delle Unità sanitarie locali, attesa la permanenza della personalità giuridica degli stessi istituti anche dopo la formazione delle Unità sanitarie locali, l. 23 dicembre 1978, n. 833. La l. 7 marzo 1986, n. 97 si è risolta nel passaggio, per i dipendenti degli istituti zooprofilattici, dal personale regionale, comprendente anche gli impianti degli enti
strumentali della Regione, a quello sanitario. In questo fenomeno è identificabile l'assenza di omogeneità categoriale tra il personale degli istituti zooprofilattici e quello regionale.
La costituzione dell'ente «Ferrovie dello Stato», l. 17 maggio 1985, n. 210, pur non potendo implicare la sostanziale trasformazione dell'organismo ferroviario da azienda di erogazione ad azienda di produzione o impresa, attesa la sostanziale impossibilità di prospettare il pareggio tra i costi e le entrate conseguenti alle singole unità di servizio erogate, si è risolta nell'occasione per assicurare al personale ferroviario il trattamento economico conseguente alla stipulazione di contratti collettivi estranei a qualsivoglia comparto, art. 21, l. n. 210 del 1985 citata. Quest'ultima quindi è stata emessa anche sul postulato del difetto di solidarietà categoriale fra il personale ferroviario «statale» e quello statale, in particolare addetto alle cosiddette aziende autonome.
Considerazioni simili a quelle suesposte possono essere formulate a proposito delle iniziative parlamentari, ma sollecitate da richieste di gruppi, preordinati ad escludere il personale di alcuni enti pubblici (come l'E.N.E.A., l'Azienda di assistenza al volo, L'Union camere, l'Istituto poligrafico e zecca dello Stato) da singoli comparti di impiego pubblico, cfr. Camera Deputati, Bollettino Commissioni, 2-4-1986, 27 e ivi, 3-4-1986, 65.
Il significato di queste iniziative non può essere frainteso sul presupposto della pretesa di superare dubbi interpretativi, che discenderebbero dal parere C. St. sez. I, 15-2-1985, con il quale fu chiarito, in modo inequivoco, l'appartenenza al settore pubblico degli enti suindicati; per questo tentativo di fraintendimento cfr. dichiarazioni, del tutto infondate, dell'on. Vernola, ivi, 2-4-1986, 27.
Un esempio di tentativo di modifica di comparto è verificabile a proposito dell'Istituto nazionale Commercio estero, del quale si prospetta la estraneità rispetto agli enti disciplinati dalla l. 20 marzo 1975, n. 70 e addirittura la sua riducibilità ad ente pubblico economico, cfr. dichiarazioni on. Napoli, ivi, 3-4-1986, 65, che condivide acriticamente l'equivico della equazione fra attività economica e natura di ente pubblico economico, 68. Questo tentativo, che si assume giustificato da pretese esigenze di efficienza, come se questa fosse garantita solo dagli enti pubblici economici, appare contrastato da parte delle organizzazioni sindacali, interessate ad evitare frammentazioni categoriali. Queste invero conseguirebbero al mutamento di natura dell'Istituto, il cui personale sarebbe disciplinato dal sistema fondato sui contratti collettivi di lavoro e quindi non sarebbe più sodale con gli impiegati degli enti pubblici destinatali della legge citata. Un esempio di formazione
di una specifica categoria, nell'ambito del comparto, si desume dall'accordo collettivo 11-2-1986, con il quale è stata riconosciuta l'area negoziale medica nel comparto sanitario, art. 6, comma 5, d.p.r. 5 marzo 1986, n. 68 e ss. Questa area non equivale affatto ad esclusione dei medici del servizio sanitario nazionale dal pubblico impiego o a costituzione di un comparto autonomo. L'area negoziale consiste nella stipulabilità di un accordo con le organizzazioni sindacali più rappresentative della categoria medica; tale accordo, negoziabile attraverso eventuali contatti con organizzazioni sindacali di categorie concorrenti (es. degli infermieri, dei tecnici, dei biologi, degli amministrativi, ecc.), confluisce in quello complessivo di comparto, con esclusione di qualsiasi automaticià. Infatti l'accordo per la categoria medica deve essere accolto dalle organizzazioni sindacali diverse da quelle mediche ed alla delegazione pubblica, che non partecipa integralmente alla negoziazione
dell'accordo suindicato, al fine della sua confluenza nell'accordo complessivo (art. 6, cit., 8° co.).
È opportuno segnalare che gli artt. 82 e 83, l. 1 aprile 1981, n. 121 dispongono nel senso della associabilità degli appartenenti alla polizia di Stato solo ai sindacati del personale di polizia; questi ultimi non possono associarsi o collegarsi con altre associazioni sindacali. Tali norme definiscono in modo eteronomo una categoria di pubblico impiego, precludendo la autonomia nella definizione categoriale. Tali norme possono spiegarsi in rapporto alla necessità di evitare l'influenza di impostazioni programmatiche tipiche delle confederazioni, quali organismi che aspirano ad interpretare la generalità degli interessi, sulle scelte organizzative elaborate a livello di governo dell'ordine pubblico e quindi dell'apparato della polizia.
La rilevanza del personale, della sua distribuzione in qualifiche professionali e della sua gestione, in genere, sulla funzionalità e tipologia dei servizi escludono una metodologia organizzativa caratterizzata da concorrenza decisionale tra la confederazione sindacale, necessariamente parziale, e l'autorità legittimata secondo elezioni generalizzate. Le decisioni di quest'ultima sono più giustificatamente imperative, rispetto alla comunità, di quelle ricollegabili, anche dal punto di vista dell'estetica, alle confederazioni, prive di legittimazione nei confronti di tutte le parti costituenti la comunità.

(15) Cfr. Fiengo, Assetto delle fonti normative e giurisdizione sul pubblico impiego, GiC, 1977, 538 ss.; D'Aliberti, Impiego pubblico, norme privatistiche, processo del lavoro, ivi, 1977, 512 ss.

(16) Si deve tener conto del fatto che ad es. i Comuni, le Provincie, le Comunità montane, le Camere di Commercio sono estranee al procedimento di negoziazione e stipulazione dell'accordo, posto che allo stesso partecipano persone designate dalle Associazioni di tali enti (art. 4, d.p.r. 5 marzo 1986, n. 68), i quali potrebbero trovarsi in posizione di minoranza rispetto alle impostazioni degli organi associativi; né può escludersi la stessa estraneità di singoli enti rispetto alle associazioni suindicate. Il fatto che gli statuti di queste ultime dispongono nel senso della competenza associativa a gestire questioni di comune interesse non può equivalere a sostituzione, mediante il solo mezzo statutario, dei singoli enti, ai quali fa carico il compito di curare gli interessi, tra i quali quelli organizzativi, loro affidati. Questa sostituzione può essere disposta in modo conforme al sistema di delineazione dei compiti di ciascuna categoria di enti e quindi con atti normativi
dello Stato (artt. 97, 128 Cost.). Nella specie la fonte statale deve essere identificata nella l. 29 marzo 1983, n. 93, art. 8.
Tale fonte pone problemi risolubili indipendentemente da ricorso all'accordo. Per altro verso le associazioni sindacali costituite nell'ambito della categoria potrebbero dissentire dalle conclusioni della negoziazione o rifiutare la partecipazione a quest'ultima, senza che queste circostanze precludano la conclusione dell'accordo, giusta quanto si desume dall'art. 6, comma 7, l. 29 marzo 1983, n. 93; alcune di tali organizzazioni sono senz'altro escluse dalla negoziazione, in quanto estranee all'ambito di quelle maggiormente rappresentative, cfr. Orsi-Battaglini, Relazioni, ecc., in Accordi sindacali, cit., 37 ss.

(17) La l. 14 giugno 1959, n. 741 e la l. 1 ottobre 1960, n. 1027 disposero nel senso della attribuibilità, mediante decreti presidenziali, di efficacia erga omnes ai contratti collettivi di lavoro, efficaci come tali solo relativamente alle persone o imprese associate alle organizzazioni sindacali stipulanti; la Corte Costituzionale, sent. 106 del 1962, GC, 1962, dichiarò l'illegittimità costituzionale di tali fonti, in quanto pregiudizievoli dell'autonomia collettiva, cfr. Mortati, Istituzioni di diritto pubblico, II, Padova, 1967, 947, con richiami di giurisprudenza e dottrina. La riduzione del decreto presidenziale, previsto dalla l. 29 marzo 1983, n. 93, ad atto integrativo di efficacia dell'accordo, costituente la fonte della disciplina, importerebbe la prospettabilità della illegittimità di tale legge per gli stessi motivi già precisati dalla Corte Costituzionale.
Nel senso dell'analogia tra il sistema della l. 14 giugno 1959, n. 741 e quello della concorrenza tra decreto presidenziale e accordo collettivo cfr. Rainaldi, I procedimenti, l'ambito materiale e gli oggetti specifici della contrattazione collettiva nel pubblico impiego: analisi delle fonti e della interpretazione giurisprudenziale, in Annali, cit., 85, dove tuttavia si sottolinea la differenza tra i due sistemi nel senso che l'atto presidenziale è coelemento della fissazione della disciplina del pubblico impiego, attesa l'assenza di efficacia e validità dell'accordo. La differenza comunque è più intuita che analizzata. Ignorano questa problematica Ghezzi-Romagnoli, Il diritto sindacale, I, Bologna, 1982, 216, che criticano la tesi preclusiva dell'efficacia immediata dell'accordo collettivo, trascurano la possibilità di trattamenti differenziati in rapporto al difetto di adesione di tutti gli impiegati ai sindacati di massa, e l'incidenza negativa di un'applicazione indiretta,
ivi, 1975 ss., della contrattazione collettiva sulle previsioni delle risorse finanziarie da destinare alla gestione del personale.

(18) Cfr. Rainaldi, Gli accordi, cit., 1431.

(19) Cfr. sull'elaborazione dell'ordinamento intersindacale, costituito dalle relazioni tra parti che aderiscono ai principi di tali relazioni, fondati nel criterio della convenzionalità, Giugni, Introduzione allo studio della autonomia collettiva, Milano, 1977, 93 ss.; sull'utilizzazione di tale impostazione metodologica per analizzare il rapporto fra accordo collettivo, tipico atto dell'ordinamento intersindacale, e decreto presidenziale, atto dell'ordinamento statale, cfr. Perlini, La contrattazione collettiva, cit., 463 ss.; Orsi-Battaglini, Gli accordi, cit., 221 ss.

(20) Cfr. Orsini-Battaglini. Gli accordi, cit., 55 ss.

(21) Non è fondatamente sostenibile la tesi della scindibilità del rapporto d'impiego, preordinato alla provvista di personale da preporre alla titolarità degli organi decisionali, e il rapporto d'impiego tipico del restante personale. Quest'ultimo potrebbe essere identificato come generico rapporto di lavoro in quanto estraneo all'esplicazione di una funzione pubblica; il primo tipo di rapporto sarebbe caratterizzato dalla sua autonomia rispetto al rapporto di lavoro in quanto preordinato alla esplicazione della suindicata funzione, cfr. Orsi-Battaglini, Gli accordi, cit., 50 ss., ove d'altra parte si riconosce nel principio di legalità il fondamento della pubblicità dell'impiego con l'apparato pubblico; sostiene la distinzione Rusciano, Il diritto del lavoro nel pubblico impiego, in AA.VV., Per una politica del lavoro, ed. Lavoro, Roma, 1979, 95 ss.; Perone, La contrattazione collettiva per i dipendenti civili dello Stato, in Annali, cit., 127, 139. Su questo presupposto
troverebbe spiegazione la l. 22 luglio 1975, n. 382 che, tra l'altro, esclude i magistrati, gli avvocati dello stato, i dirigenti dello stato (d.p.r. n. 748 del 1972), i militari, dal sistema della contrattazione collettiva, cfr. nt. 10.
Al riguardo comunque si deve osservare che le normative riguardanti i magistrati, gli avvocati dello Stato, i dirigenti dello Stato sono state precedute da negoziazioni, estranee comunque al sistema fissato dalla l. 29 marzo 1983, n. 93. Non si hanno dati attinenti al settore militare, ma è presumibile che anche in questo si sono avute negoziazioni. D'altra parte il livello dirigenziale nell'ambito comunale è stato introdotto con il d.p.r. 25 giugno 1983, n. 347 (G.U. 20-7-1983, n. 197, Suppl. n. 43). Lo stesso livello in ambito regionale è stato introdotto con singole leggi regionali, emesse sul presupposto dell'accordo collettivo 29-4-1983: G.U. 29-7-1983. Per altro verso il personale della polizia di stato, almeno in misura prevalente, è addetto a compiti repressivi, espressivi di funzione pubblica; malgrado questo lo stesso personale è disciplinato da norme, emesse a conclusione di procedimenti nei quali sono compresi accordi, art. 95, l. 1 aprile 1981, n. 121, e può
aderire ad associazioni sindacali autonome (artt. 82 e 83 legge citata).
Non si può trascurare di sottolineare la rilevanza della gestione del personale sull'esplicazione della funzione, che non è riducibile alla sola decisione finale; l'importanza da attribuire al procedimento, come modo di elaborazione della misura finale, implica la imprescindibilità della inerenza dell'attività esplicata, secondo diverse professionalità, nell'ambito del procedimento. In rapporto a questo fenomeno si spiegano la selezione del personale, la sua ascrizione a distinti profili professionali, la diversità delle retribuzioni, l'aggiornamento professionale in rapporto alla sopravvenienza di altre metodologie di gestione degli affari pubblici.
Queste notazioni si possono constatare con riferimento alle ipotesi di scivolamento massimo del personale da una qualifica all'altra, in attuazione di discipline di origine corporativa, di assenza di preparazione attuale del personale, di inidoneità all'uso di tecnologie, di blocchi nelle assunzioni, ecc. Si deve inoltre precisare che l'analisi dell'azione amministrativa deve essere condotta non solo superando il criterio della distinzione fra attività esterna e cosiddetta interna, distinzione che potrebbe occasionare quella insostenibile tra impiego pubblico e lavoro secondo le norme di diritto privato, ma evitando di contrapporre la funzione pubblica al servizio pubblico. Questi ultimi sono distinguibili ma non opponibili, tenuto conto del fatto che entrambi sono espressioni di compiti spettanti all'Amministrazione, intesa quale strumento di attuazione delle impostazioni programmatiche, elaborate nelle sedi competenti.
La doverosità dell'azione amministrativa, la coerenza di questa rispetto alle impostazioni programmatiche, l'esigenza di salvaguardare il riparto delle risorse, costituiscono elementi sufficienti per analizzare, in rapporto all'organizzazione dei servizi, al loro rendimento e costo, i temi della provvista, dell'addestramento, della professionalità, degli obblighi di servizio del personale, prescindendo da schematici preclusivi dell'esatta interpretazione dell'azione amministrativa, intesa nel senso precisato sopra.
Questa problematica sembra sfuggire a Rusciano, op. cit., ove si distingue tra attività burocratica e produzione di beni e servizi. ivi, 96, senza cogliere la sostanziale omogeneità dell'una e dell'altra, posto che anche l'attività cosiddetta buroscatica è produzione di beni e servizi, e la tipicità di ciascuna attività, che come tale, per l'organizzazione, le metodologie, i costi, ecc., è irriducibile ad altra. Per altro verso tale distinzione, pur rispondendo, malgrado il mutamento di estetica, a partizioni tradizionali, è sostanzialmente insostenibile sul piano dell'analisi di problemi generali dell'organizzazione e dell'azione amministrativa.

(22) Sulla indissociabilità fra ordinamento ed organismi di orientamento dell'opinione pubblica e di scelta dei responsabili cfr. Mortati, La costituzione in senso materiale, Milano, 1940.

(23) L'apprezzamento può indurre a sollecitare la rinegoziazione totale o parziale, art. 6, comma 8, l. 29 marzo 1983, n. 93, ovvero a sperimentare ipotesi di accordo compatibili con la tesi di sindacati di dissenzienti e esclusi, ma tali da proporre soluzioni generalmente accolte dall'opinione pubblica, cfr. Orsi-Battaglini. op. cit., sub nt. 16, 43. Tale apprezzamento, presente in ogni procedimento di decisione di governo, è esclusivo dello stesso governo, in quanto titolare della competenza ad adottare il regolamento del personale pubblico, e perciò stesso responsabile delle scelte operate. Spetta al governo valutare se scegliere l'adozione di una misura comprensibile dall'opinione pubblica indipendentemente dagli enunciati di provenienza sindacale o collegare le misure, adottabili, alle formule dei sindacati, ammessi o meno alla negoziazione, ma comunque identificabili come organismi di orientamento e di pedagogia dell'opinione pubblica categoriale e generale.

(24) La natura regolamentare dei decreti, emessi sul presupposto di accordi collettivi, è stata riconosciuta dalla C. Cost., sent. n. 21 del 1980, FA, 1980, I, 917; Id., n. 95 del 1986, G.U. 23-4-1956, I serie speciale n. 16, 18, e dal C. St., sez. VI, 19-1-1982, n. 32, FA, 1982, 1, 198; A. A. Cervati, A proposito, cit.; Maviglia, Il modello di contrattazione per l'impiego statale alla luce della sua concreta attuazione, in AA.VV., Accordi, cit., 210 ss.; A. Romano, Pubblico impiego e contrattazione collettiva, in Atti del XXV Convegno, cit., 201. Il decreto presidenziale ha una posizione autonoma rispetto alla deliberazione del Consiglio dei Ministri in relazione alla distinzione delle competenze spettanti al Presidente e al Consiglio, su questo presupposto si spiega il fatto che i decreti suindicati esprimono la clausola secondo la quale il Presidente della Repubblica «emana» (non approva) la fonte deliberata dal governo (regolamento, decreto legislativo, decreto legge), cfr.
circ. 26 ottobre 1981, n. 81904-10-1, G.U. 29-10-1981, n. 298.

(25) L'imprenscindibilità dell'accordo vale anche per le Regioni a statuto speciale e quindi titolari di competenza legislativa esclusiva, tenuto conto del fatto che la l. 29 marzo 1983, n. 93, per la sua incidenza sull'uso delle risorse, da destinare al pubblico impiego, e sulla fissazione della disciplina del pubblico impiego nella sua variegata complessità, ha natura di grande riforma e quindi come tale idonea a delimitare la competenza delle Regioni a statuto speciale, cfr. C. Cost., sent. n. 219 del 1984, FA, 1984, I, 1403, cfr. nt. 9.

(26) Il richiamo ai settori si giustifica in rapporto alla ricerca della competenza direzionale rispetto ai settori di azione pubblica, già indicati negli art. 6, l. 23 marzo 1983, n. 93 e seg. Seguono altresì alla normativa sull'organizzazione ai distinti livelli. Altro è il problema della formazione dei comparti, cfr. retro, che possono essere costituiti nell'ambito in uno stesso ambito organizzativo, identificabile secondo la competenza suindicata.

(27) Le esigenze di unitarietà sono confermate anche relativamente al personale regionale; infatti le Regioni devono emettere le leggi regionali in coerenza con gli enunciati concordati. La legge regionale può disporre diversamente sul presupposto di ragioni obbiettive derivanti da esigenze locali, cfr. nt. 25.
Il vincolo alla funzione legislativa regionale è posto dall'art. 10 legge citata nel testo; tale vincolo si giustifica in rapporto alle esigenze finanziarie e perequative, particolarmente avvertite nell'impiego pubblico; tali esigenze potrebbero essere contraddette dall'atomismo decisionale. L'ulteriore giustificazione del vincolo è data dalla necessità di assicurare la corrispondenza tra i profili professionali, i corrispondenti trattamenti retributivi, e i compiti da attuare da parte degli apparati regionali. Spetta al procedimento legislativo regionale, e a quello di controllo sulla legge regionale, vagliare la presenza e la natura delle esigenze locali, idonee a giustificare la difformità rispetto all'enunciato concordato, e verificare la coerenza dello stesso enunciato, per quanto riguarda la descrizione delle professionalità e la tipologia dei trattamenti retributivi, rispetto alla natura dei compiti da assolvere.
Queste considerazioni valgono anche nell'ipotesi in cui la disciplina regionale sia fissata con procedimento regolamentare. cfr. infra nel testo sulla competenza dell'autorità che dispone la disciplina in materia di pubblico impiego.
Sui limiti alla competenza regionale cfr. Anzon, nt. a sent. C. Cost., cit., sub nt. 25, GiC, 1984, 1497; A. Romano, nt. stessa sent., FI, 1985, I, 48; Cajaniello, Leggi quadro sul pubblico impiego: contrasti reali e contrasti apparenti nei rapporti tra stato e regioni, ivi, 73; Pastori, Autonomia regionale e contrattazione nella legge quadro sul pubblico impiego, in Le Regioni, 1984, 1340; Bartole, A proposito di una corretta applicazione dell'ancora indefinito limite delle norme fondamentali delle riforme economico-sociali, ivi, 1327; Cocco, Legge-quadro sul pubblico impiego e regioni: notazioni preliminari per uno studio del problema, in Lavoro 80, 1985, 1042.

(28) Cfr. nt. 21.

(29) Tale principio non può essere limitato solo agli apparati titolari di funzioni, delle quali sono espressive i provvedimenti amministrativi; questa limitazione postula un'interpretazione esclusivamente garantista dell'azione amministrativa, in vista della salvaguardia delle posizioni di vantaggio dei singoli amministrati. In effetti l'esigenza garantista suindicata deve essere integrata con quella funzionalista, per cui l'Amministrazione, indipendentemente dall'azione di misure imperative, deve esplicare delle attività strumentali al raggiungimento di certi obbiettivi. Tale funzionalità è assicurata dalla individuazione delle risorse, dalla disciplina dei procedimenti, dalla predisposizione dei centri direzionali e operativi, dalla fissazione dei programmi, della tipologia delle professionalità, delle attrezzature, ecc. Pertanto non si può escludere il governo dell'Amministrazione, anche quando esplica attività irriducibile alla funzione pubblica; governo che spetta
soprattutto agli organi titolari della funzione di indirizzo politico, sul cui presupposto sono emesse le fonti primarie. Se si deve riconoscere una funzione di indirizzo e coordinamento agli organi di direzione amministrativa, ai quali spetta pertanto la competenza ad emettere regolamenti di organizzazione, cfr. Nigro, La funzione organizzatrice della Pubblica Amministrazione, Milano, 1966, si deve altresì riconoscere l'insostenibilità di una riserva di amministrazione desunta dalla pretesa riducibilità della stessa Amministrazione ad organismo tecnico, operante secondo metodologie aziendali.
Questa riduzione, particolarmente sostenuta dalla dirigenza pubblica per sottrarsi agli indispensabili criteri eteronomi di disciplina dell'azione amministrativa, è insostenibile in vista sia del superamento della interiorità dell'azione suindicata sia dell'affermazione dell'officialità dell'Amministrazione anche se la relativa azione si esprime secondo criteri diversi dalla imperatività, cfr. su questa problematica Bobbio, Dalla struttura alla funzione, Milano, 1977; Baldassarre. op. cit., sub nt. 4. 304 s.; D'Albergo, La crisi della Montedison, in Quaderni di politica economica, n. 8, Imprese pubbliche e programmazione democratica, 84 ss. ; Libertini, Le ideologie capitalistiche delle imprese pubbliche in Italia, ivi, 35.

(30) È utile tener conto della natura integrata del vigente sistema della finanza pubblica per apprezzare quanto indicato nel testo.

(31) Il fatto che alcuni aspetti della disciplina del pubblico impiego siano riservati alla competenza regolamentare importa che eventuali norme precedenti, relative ai suindicati aspetti, difformi rispetto a quelle regolamentari sopravvenute, sono da considerare abrogate, ancorché le prime siano di natura primaria; cfr. per un esempio C. St. sez. V, 3-9-1985, n. 280, FA, 1985, I, 1612, secondo cui il criterio del trattamento omnicomprensivo fissato in base a fonti precedute da accordi ha importato l'abrogazione dell'art. 110, r.d. 3 marzo 1934, n. 383 (premio di diligenza per gli agenti che curano la scoperta di infrazioni ai regolamenti comunali). Sull'incidenza dei regolamenti sulla disciplina preesistenti e sulla portata nel divieto di reformatio in peius cfr. C. St., sez. V, 18-11-1985, n. 604, ivi, 1985, I, 2249; tale principio non può essere esteso oltre l'ambito del trattamento economico, altrimenti esso precluderebbe l'effettiva introduzione di qualsiasi innovazione di
carattere organizzativo, che si risolva in pregiudizio di posizioni professionali preesistenti. Lo stesso divieto di reformatio in pejus deve essere attuato in modo da evitare la permanenza di trattamenti difformi rispetto ai sistemi retributivi; es. la soppressione delle quote di partecipazione a progetti, per spese di giudizio ecc., non può essere escluso mediante richiamo al divieto suindicato; questo può giustificare l'erogazione di indennità comparative (es. ad personam o corrispondente a scatti o classi di stipendio), utile esempio si può trarre dalla l. 25 marzo 1971, n. 213; sulla soppressione di indennità concorrenti con lo stipendio cfr. C. St., sez. I, 18-1-1985, n. 820-83; C. St., sez. I, 8-6-1984, n. 892-84; C. St., sez. I, 27-1-1984, n. 702. Sulla introduzione di modifiche organizzative incidenti sulla posizione di servizio cfr. C. St., sez. I, 29-4-1983, n. 2245-81; C. St., sez. VI, 10-4-1979, n. 265, ivi, 1979, I, 642.

(32) Sulla responsabilità, interpretata indipendentemente dal tema delle sanzioni cfr. G.U. Rescigno, La responsabilità politica, Milano, 1967.

(33) Cfr. Baldassarre, op. cit., sub nt. 4, 304; l'Autore affronta il problema del rapporto fra partito e sindacato. Questa problematica può essere analizzata con riferimento ai rapporti fra stato e sindacato.

(34) Cfr. Coraggio, La ricomposizione di un sistema unitario nel pubblico impiego: la legge-quadro e gli accordi collettivi, in Studi per il centocinquantenario del Consiglio di Stato, I, Roma, 1981, 251, ove si sottolinea il valore di indirizzo dell'accordo in vista dell'attuazione degli obbiettivi fissati dal Parlamento. La necessità di impostare il progetto di disciplina può essere soddisfatta nell'ambito del procedimento nel quadro del bilanciamento delle posizioni governative, suscettibili di volontarismo politico o di particolarismo sollecitato dai professionisti dell'Amministrazione, e delle stesse posizioni sindacali, suscettibili di particolarismo categoriale o di utipismo. La fissazione degli enunciati concordati importa rinuncie rispetto a posizioni propagandate; da ciò trova spiegazione l'estetica sindacale preordinata a celare mediante lunghe argomentazioni, o osservazioni perentorie, il concordato normativo del quale si riconosce la necessità.

(35) Il segno della giustificabilità della fonte regolamentare non è dato dalla accettazione della disciplina da parte dei destinatari; infatti il procedimento non postula consensualità di tutte le organizzazioni del comparto o l'approvazione mediante referendum dell'accordo. La fonte regolamentare e l'accordo sugli enunciati sono modi di impostazione di una disciplina efficace sul medio periodo (triennio), alla quale può essere attribuito anche una funzione pedagogica, ove introduca tipologie diverse da quelle consolidate e quindi riduca le aspettative maturate sul presupposto della vigenza della precedente disciplina. Tale funzione è confermata non solo dal procedimento, che non è disciplinato secondo il principio del consenso, ma anche dalla unitarietà, per comparti, della disciplina, in vista del superamento di particolarismi o localismi. Cfr. sulla funzione pedagogica delle impostazioni provenienti dagli uffici di governo Renda, Il movimento contadino in Sicilia, Bari,
1976, 29, ove il fenomeno è studiato con riferimento alle associazioni di categoria, ma l'analisi è applicabile anche allo Stato; sulla strumentalità della concentrazione unitaria di competenza, rispetto a specifici disegni programmatici, pregiudicabili dal policentrismo normativo, cfr. Rotelli-Traniello, Il problema delle autonomie come problema storiografico, in AA.VV., Regioni e Stato dalla resistenza alla Costituzione, Bologna, 1975, 24 ss.

(36) Si pone il problema della instaurabilità del giudizio amministrativo a seguito di inerzia nell'emanazione totale o parziale di una fonte regolamentare. Il problema non si pone tanto con riferimento alle organizzazioni sindacali, che possono ricorrere allo sciopero, per sollecitare l'attuazione della funzione regolamentare, ma è prospettabile per i singoli impiegati o per le associazioni di categoria, aliene dal ricorso allo sciopero nonché per le ipotesi in cui lo sciopero risulta oneroso o inutile. La necessità di provvedere con veriodicità triennale alla revisione della precedente normativa (l. 29 marzo 1983, n. 93, art. 13) impone un obbligo di riesame e di giustificazione dell'eventuale assenza di modifiche.
Quest'obbligo è tanto più rilevante se si collega al fatto che il regolamento è preordinato alla modifica dei trattamenti retributivi, che risentono sia dell'andamento del livello generale dei prezzi, sia dei mutamenti nell'importanza delle professionalità.
Cfr. comunque sulla censurabilità dell'inerzia legislativa Mortati, Appunti per uno studio sui rimedi giurisdizionale contro comportamenti omissivi del legislatore, FI, 1970, IV, 153; la prospettabilità di una posizione qualificata nell'ordinamento statale, a censurare l'inottemperanza del dovere funzionale a introdurre la disciplina suindicata è esclusa da Perlini, op. cit., sub 19, 488; a 497 si esclude la prospettabilità della domanda preordinata alla censura dell'inerzia, sul presupposto della pretesa limitazione dei poteri del giudice amministrativo. Difetta al riguardo l'analisi per stabilire che i poteri giudiziali devono essere commisurati alla entità delle posizioni dedotte in giudizio dagli amministrati. Sfugge del tutto questa tematica a Ghezzi-Romagnoli, op. cit., sub 17, 331 ss., le cui affermazioni, ispirate ad apriorismo storicistico, sono assolutamente prive di riscontri nell'analisi della giurisprudenza amministrativa.

 

   

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