Sicurezza nel luogo di lavoro - Gli organi e l'azione di vigilanza

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Categoria: Tutela della Salute - Sicurezza del Lavoro
Creato Martedì, 01 Giugno 2010 13:35
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Sicurezza nel luogo di lavoro - Gli organi e l'azione di vigilanza

1 Introduzione

Nel settore della prevenzione degli infortuni e dell'igiene del lavoro, agli enti di controllo (INAIL, ISPESL, Istituto superiore di sanità, Ministero della sanità), le cui competenze si possono definire di "controllo esterno" sul sistema (inteso - in linea tendenziale - come assunzione di una posizione di garanzia del suo corretto funzionamento) si affiancano gli organi di vigilanza, i quali, diversamente dai primi, hanno competenze di "controllo interno" sul sistema prevenzionistico, e di sua propulsione - attraverso il ricorso agli strumenti della diffida, della disposizione, della prescrizione - verso il modello di sicurezza e di igiene, riferito all'impresa e al mondo del lavoro in genere, delineato dalla legislazione di settore.
L'attività di vigilanza sulle imprese si esplica sotto un duplice profilo:
A) in una direzione amministrativa (temporalmente antecedente all'emergenza di indizi di reato), rientrando così tra gli strumenti rivolti ad attuare la prevenzione (intesa come il complesso delle disposizioni e delle misure adottate per evitare o diminuire i rischi professionali) sul luogo di lavoro (1);
B) in una direzione giudiziaria (temporalmente successiva all'emergenza di indizi di reato), ponendosi in questo caso quale azione rivolta ad assicurare la protezione della sicurezza e della salute dei lavoratori.
L'esercizio dell'attività di vigilanza giudiziaria - inteso come accertamento e repressione delle violazioni aventi rilievo penale - presuppone l'assunzione, nell'operatore, della qualifica di ufficiale e di agente di Polizia giudiziaria (2).
Allo stato attuale della legislazione, gli organi abilitati all'esercizio sia della vigilanza amministrativa, sia della vigilanza giudiziaria sui luoghi di lavoro (3) sono quelli individuati, in via generale, all' art. 13, commi 1, 1-bis), 2 e 4, D.Lgs. 9 aprile 2008, n. 81 (Unità sanitarie locali, Direzioni provinciali del lavoro, Corpo nazionale dei vigili del fuoco, Ministero dell'industria, del commercio e dell'artigianato, nonché gli altri Uffici e Servizi previsti dalla legislazione speciale in materia di sanità aerea e marittima, portuale ed aeroportuale, e da quella attinente alle Forze armate, alle Forze di polizia, alle strutture penitenziarie e a quelle giudiziarie) (4).
Gli organi di vigilanza individuati dall' art. 13, D.Lgs. 9 aprile 2008, n. 81 sono abilitati a svolgere tanto la vigilanza amministrativa quanto la vigilanza giudiziaria. Con riferimento alla titolarità del potere di vigilanza, essi si possono distinguere in organi istituzionalmente titolari di tale potere ed organi (titolari in via) supplementari. Questi ultimi si riducono all'Ispettorato del lavoro (5), nella previsione particolare contenuta nell' art. 13, comma 2 (riferita ovviamente ai settori di attività lavorativa che già non rientrino nella competenza istituzionale dell'Ispettorato, come si ricava chiaramente dalla locuzione di apertura della norma "Ferme restando le competenze in materia di vigilanza attribuite dalla legislazione vigente al personale ispettivo del Ministero del lavoro e della previdenza sociale, ...").
Da un punto di vista funzionale, la vigilanza giudiziaria sui luoghi di lavoro può:
- consumare la competenza istituzionale dell'organo (come avviene per il personale delle Aziende USL con funzioni ispettive, per i funzionari dei Servizi ispettivi delle Direzioni provinciali del lavoro, per gli ingegneri e i periti del Corpo delle miniere, per il personale direttivo, ufficiali e sottufficiali del Corpo nazionale dei vigili del fuoco);
- ovvero essere esercitata nell'ambito di competenze istituzionali diffuse (6).
Le funzioni inerenti alla vigilanza giudiziaria ruotano intorno alla finalità indicata dall' art. 55 c.p.p. in base al quale la Polizia giudiziaria deve "prendere notizia dei reati, impedire che vengano portati a conseguenze ulteriori, ricercarne gli autori, compiere gli atti necessari per assicurare le fonti di prova e raccogliere quant'altro possa servire per l'applicazione della legge penale". Le indagini di Polizia giudiziaria sono svolte di iniziativa, ovvero su impulso e delega dell'Autorità giudiziaria inquirente (Pubblico Ministero).
Quali ufficiali ed agenti di Polizia giudiziaria, i funzionari degli organi di vigilanza hanno l'obbligo di riferire la notizia di reato relativa all'accertamento di contravvenzioni alla normativa di prevenzione senza ritardo e per iscritto, precisando gli elementi essenziali del fatto e gli altri elementi raccolti sino a quel momento, indicando le fonti di prova e le attività compiute, che devono essere in ogni caso documentate. Essi devono altresì comunicare, quando è possibile, le generalità, il domicilio e quant'altro valga alla identificazione del contravventore nei cui confronti vengono svolte le indagini, nonché le generalità della persona offesa e di coloro che siano in grado di riferire su circostanze rilevanti per la ricostruzione dei fatti.
Nel concreto della loro attività, essi dovranno assicurare le fonti di prova (cose e tracce pertinenti al reato, conservazione dello stato dei luoghi, ricerca delle persone informate sui fatti per cui si procede). Nel caso di compimento di atti od operazioni che richiedono specifiche competenze tecniche, di carattere sostanzialmente esecutivo e non valutativo, potranno avvalersi di persone idonee (ad es. un geometra od un fotografo), le quali non possono rifiutare la propria opera.
Nell'esercizio delle loro funzioni, gli ufficiali di Polizia giudiziaria possono compiere ogni attività di indagine legittimamente rivolta e utile alla ricostruzione del fatto e alla individuazione del colpevole. A tal fine possono assumere sommarie informazioni da chiunque e, con l'assistenza del difensore, anche dalla persona sottoposta ad indagini. Nella flagranza del reato possono procedere a perquisizione personale o domiciliare, e al sequestro del corpo del reato e delle cose a questo pertinenti, oltre a poter procedere ad ogni utile e necessario accertamento e rilievo sullo stato dei luoghi e delle cose. Anche nel caso di perquisizione e sequestro è prevista la facoltà - in questo caso rinunciabile da parte dell'indagato - di farsi assistere da un difensore di fiducia.
Ai funzionari-ispettori della USL che siano ufficiali di Polizia giudiziaria la legge ha poi esteso il potere di accesso originariamente attribuito agli Ispettori del lavoro (art. 21, comma 4, L. 23 dicembre 1978, n. 833). Tale potere trova fondamento e legittimazione nella previsione dell' art. 8, comma 2, D.P.R. 19 marzo 1955, n. 520 (G.U. 18 luglio 1955, n. 49), in base al quale "gli ispettori hanno facoltà di visitare in ogni parte, a qualunque ora del giorno ed anche della notte, i laboratori, gli opifici, i cantieri, ed i lavori, in quanto siano sottoposti alla loro vigilanza, nonché i dormitori e refettori annessi agli stabilimenti; non di meno essi dovranno astenersi dal visitare i locali annessi a luoghi di lavoro e che non siano direttamente od indirettamente connessi con l'esercizio dell'azienda, sempre che non abbiano fondato sospetto che servano a compiere o a nascondere violazioni di legge".
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(1) La vigilanza amministrativa è più propriamente definibile quale attività di controllo: si veda la distinzione tra i concetti di "vigilanza" e di "controllo" ricavabili dal combinato disposto degli artt. 10 e 13, comma 5, D.Lgs. 9 aprile 2008, n. 81.
 

(2) La norma di riferimento generale per la individuazione degli ufficiali e degli agenti di Polizia giudiziaria è quella dell' art. 57 c.p.p.. Con riferimento all'attività di vigilanza sulle imprese, vanno citati per i funzionari dei Servizi ispettivi delle Direzioni provinciali del lavoro, l' art. 8, D.P.R. 19 marzo 1955, n. 520; per il personale delle Aziende USL con funzioni ispettive l' art. 21, comma 3, L. 23 dicembre 1978, n. 833; e per il personale direttivo, gli ufficiali e i sottufficiali del Corpo nazionale dei vigili del fuoco l' art. 19, D.Lgs. 8 marzo 2006, n. 139 e l' art. 8, L. 27 dicembre 1941, n. 1570.
 

(3) Anche se la realtà insegna che vigilanza amministrativa e vigilanza giudiziaria vengono svolte dai medesimi funzionari, i quali dunque hanno tutti la qualifica di ufficiale o di agente di Polizia giudiziaria, ciò non toglie che le due attività rimangano ben distinte, come chiarisce inequivocabilmente l' art. 220 disp. att. c.p.p..
 

(4) Secondo quanto dispone l' art. 19, comma 1, lett. b), D.Lgs. 19 dicembre 1994, n. 758, sono organi di vigilanza non solo gli ufficiali di Polizia giudiziaria delle Unità sanitarie locali (funzionari del ruolo ispettivo "di cui all' art. 21, comma 3, L. 23 dicembre 1978, n. 833"), bensì anche tutti gli altri organi cui la legge attribuisce competenze nella materia della sicurezza e dell'igiene del lavoro.
 

(5) Con D.M. 7 novembre 1996, n. 687 (Lavoro) (G.U. 22 gennaio 1997, n. 17), in sede di unificazione degli uffici periferici del Ministero del lavoro e della previdenza sociale, sono stati soppressi gli uffici dell'Ispettorato del lavoro, ed istituite, quali nuovi uffici periferici del Ministero, le Direzioni regionali e le Direzioni provinciali del lavoro, ciascuna delle quali articolata a sua volta nei seguenti uffici: a) servizio politiche del lavoro; b) Servizio ispezione del lavoro; c) Ufficio per la gestione delle risorse e per gli affari generali. Le competenze di questi uffici di nuova costituzione, sono stati definiti prima con D.M. 22 agosto 2000 (Lavoro) (G.U. 12 settembre 2000, n. 213), poi annullato con D.M. 9 ottobre 2000 (avviso in G.U. 5 dicembre 2000, n. 284), e successivamente con D.M. 9 ottobre 2000 (Lavoro) (B.U. Minlavoro n. 11/2000 - s.o.), cui è seguita la Circ. 23 maggio 2001, n. 54/2001, recante i criteri generali per il riassetto delle Direzioni regionali e provinciali del lavoro.
 

(6) Titolari di un potere diffuso di vigilanza giudiziaria (a competenza cd. "non limitata": e dunque anche nella materia della prevenzione degli infortuni ed in quella dell'igiene del lavoro) sono gli ufficiali e gli agenti di Polizia giudiziaria indicati nell' art. 57 c.p.p., commi 1 e 2 (Carabinieri, Polizia di Stato, Guardia di finanza, sindaco dei Comuni sprovvisti di un Ufficio di Polizia, o di un Comando dell'Arma dei Carabinieri o della Guardia di finanza, ecc.).
 


2 Le unità sanitarie locali

Le unità sanitarie locali esercitano la vigilanza sui luoghi di lavoro a mezzo degli S.Pre.S.A.L. (o S.Pi.S.A.L.: Servizi per la prevenzione e la sicurezza degli ambienti di lavoro), già denominati S.M.P.I.L. (Servizi di medicina preventiva e igiene del lavoro), facenti ora capo al Dipartimento di Prevenzione costituito presso ciascuna Azienda-USL (7). Ad essi, anche se diversamente nominati per effetto della riforma della sanità operata con il D.Lgs. 7 dicembre 1993, n. 517, sono state in pratica attribuite le funzioni già svolte dagli S.M.P.I.L. ai sensi degli art. 16, art. 20 e art. 21, L. 23 dicembre 1978, n. 833; funzioni che, a loro volta, già rientravano nella titolarità dell'Ispettorato del lavoro e che, ai sensi dell' art. 27, comma 1, lett. c), D.P.R. 24 luglio 1977, n. 616 e degli art. 2, comma 1, n. 2, art. 4, art. 20 e art. 21, L. 23 dicembre 1978, n. 833 citata, sono state trasferite al personale ispettivo delle AUSL, cui è stato contestualmente esteso anche il complesso dei poteri facenti capo agli (ex ) Ispettori del lavoro (8).
Peraltro l'art. 14, D.Lgs. 9 aprile 2008, n. 81 ha conferito al personale ispettivo delle AUSL (conferimento disposto inizialmente dall'art. 5, comma 6, L. 3 agosto 2007, n. 123) il potere di "adottare provvedimenti di sospensione in relazione alla parte dell'attività imprenditoriale interessata dalle violazioni ... in caso di gravi e reiterate violazioni in materia di tutela della salute e della sicurezza sul lavoro".
Le violazioni in materia di tutela della salute e della sicurezza sul lavoro che costituiscono il presupposto per l'adozione del provvedimento di sospensione dell'attività imprenditoriale sono allo stato, in attesa dell'emenazione di uno specifico D.M. (Lavoro), quelle individuate nell'allegato I, D.Lgs. 9 aprile 2008, n. 81 (v. Tabella 1).
Tabella 1
 

D.Lgs. 9 aprile 2008, n. 81


 

Allegato I


 

GRAVI VIOLAZIONI AI FINI DELL'ADOZIONE DEL PROVVEDIMENTO DI SOSPENSIONE DELL'ATTIVITÀ IMPRENDITORIALE


Violazioni che espongono a rischi di carattere generale
- Mancata elaborazione del documento di valutazione dei rischi;
- Mancata elaborazione del Piano di Emergenza ed evacuazione;
- Mancata formazione ed addestramento;
- Mancata costituzione del servizio di prevenzione e protezione e nomina del relativo responsabile;
- Mancata elaborazione del piano di sicurezza e coordinamento (PSC);
- Mancata elaborazione piano operativo di sicurezza (POS);
- Mancata nomina del coordinatore per la progettazione;
- Mancata nomina del coordinatore per l'esecuzione.
Violazioni che espongono al rischio di caduta dall'alto
- Mancata fornitura del dispositivo di protezione individuale contro le cadute dall'alto;
- Mancanza di protezioni verso il vuoto.
Violazioni che espongono al rischio di seppellimento
- Mancata applicazione delle armature di sostegno, fatte salve le prescrizioni desumibili dalla relazione tecnica di consistenza del terreno.
Violazioni che espongono al rischio di elettrocuzione
- Lavori in prossimità di linee elettriche in assenza di disposizioni organizzative e procedurali idonee a proteggere i lavoratori dai conseguenti rischi;
- Presenza di conduttori nudi in tensione in assenza di disposizioni organizzative e procedurali idonee a proteggere i lavoratori dai conseguenti rischi;
- Mancanza protezione contro i contatti diretti ed indiretti (impianto di terra, interruttore magnetotermico, interruttore differenziale).
Violazioni che espongono al rischio d'amianto
- Mancata notifica all'organo di vigilanza prima dell'inizio dei lavori che possono comportare il rischio di esposizione ad amianto.
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(7) Il Dipartimento di prevenzione è un'Area funzionale dell'Unità sanitaria locale, articolato nei servizi di: a) igiene e sanità pubblica; b) prevenzione e sicurezza degli ambienti di lavoro; c) igiene degli alimenti e della nutrizione; d) veterinari.
 

(8) Si tratta del potere d'accesso previsto dall' art. 8, comma 2, nonché della facoltà di diffida prevista dall' art. 9, D.P.R. 19 marzo 1955, n. 520 (ora disciplinata dall'art. 13 , D.Lgs. 23 aprile 2004, n. 124 - G.U. n. 110 del 12 maggio 2004). Peraltro, con D.M. 17 gennaio 1997, n. 58 (G.U. 14 marzo 1997, n. 61), il Ministero della sanità ha emesso il "Regolamento concernente la individuazione della figura e del relativo profilo professionale del tecnico della prevenzione nell'ambiente e nei luoghi di lavoro" (di seguito denominato anche "TP"). Si tratta di una nuova figura professionale, che si caratterizza quale operatore sanitario in possesso di uno specifico diploma universitario. Le aree di competenza e di responsabilità sono quelle che attengono alle "attività di prevenzione, verifica e controllo in materia di igiene e sicurezza ambientale nei luoghi di vita e di lavoro, di igiene degli alimenti e delle bevande, di igiene di sanità pubblica e veterinaria". Il TP è destinato ad essere funzionalmente inserito nell'ambito del Servizio sanitario nazionale (o come dipendente, ovvero come libero professionista) e, per quanto riguarda lo specifico settore della prevenzione degli infortuni e dell'igiene del lavoro, negli S.P.S.A.L. di ciascuna USL. Nei limiti (anche territoriali) delle proprie attribuzioni, egli è ufficiale di Polizia giudiziaria e, oltre ai compiti propri di tale qualifica, ha specifiche competenze di formazione professionale del personale dell'USL, e di programmazione e di organizzazione del lavoro del servizio o struttura in cui è inserito. Tra i compiti che il Regolamento assegna al TP si segnalano l'accertamento delle contravvenzioni, l'attività di vigilanza (amministrativa e giudiziaria) e di prevenzione negli ambienti di vita e di lavoro, il controllo della sicurezza degli impianti, l'avvio di accertamenti e inchieste per infortuni e malattie professionali.
 


3 L'Ispettorato del lavoro

L'Ispettorato del lavoro è costituito da Ispettorati regionali e provinciali, e da un Ispettorato medico centrale avente sede in Roma. I primi uffici sono stati organi periferici del Ministero del lavoro e della previdenza sociale, fino alla riforma operata con il D.M. 7 novembre 1996, n. 687 (Lavoro) (G.U. 22 gennaio 1997, n. 17), con la quale, in sede di unificazione degli uffici periferici del Ministero del lavoro e della previdenza sociale, in attuazione della previsione di cui all' art. 1, commi 5 e 6, L. 24 dicembre 1993, n. 537, gli uffici dell'Ispettorato del lavoro sono stati soppressi.
Quali nuovi uffici periferici del Ministero, sono così state istituite le Direzioni regionali del lavoro (con compiti, tra l'altro, di indirizzo, coordinamento e vigilanza sulle attività delle Direzioni provinciali del lavoro) e le Direzioni provinciali del lavoro, ciascuna delle quali articolata a sua volta nei seguenti uffici: a) Servizio politiche del lavoro; b) Servizio ispezione del lavoro; c) Ufficio per la gestione delle risorse e per gli affari generali.
I compiti degli uffici di nuova costituzione sono stati definiti prima con D.M. 22 agosto 2000 (Lavoro) (G.U. 12 settembre 2000, n. 213), poi annullato con D.M. 9 ottobre 2000 (avviso in G.U. 5 dicembre 2000, n. 284), e successivamente con D.M. 9 ottobre 2000 (Lavoro) (B.U. Minlavoro n. 11/2000 - s.o.), cui è seguita la Circ. 23 maggio 2001, n. 54/2001, recante i criteri generali per il riassetto delle Direzioni regionali e provinciali del lavoro.
Ai sensi dell' art. 8, comma 1, D.P.R. 19 marzo 1955, n. 520, gli Ispettori del lavoro (ora i funzionari dei Servizi ispettivi delle Direzioni provinciali del lavoro), "... nei limiti del servizio a cui sono destinati, e secondo le attribuzioni ad essi conferite dalle singole leggi e dai regolamenti, sono ufficiali di polizia giudiziaria".
Alle Direzioni provinciali del lavoro è ora attribuita, per quanto riguarda l'attività di vigilanza in materia di sicurezza e di salute sul luogo di lavoro, una duplice competenza:
- di carattere residuale ma esclusivo in alcuni settori (ad esempio per quanto riguarda gli infortuni sul lavoro nei servizi e negli impianti gestiti dall'Azienda autonoma delle Ferrovie dello Stato: l' art. 35, L. 26 aprile 1974, n. 191, in G.U. 24 maggio 1974, n. 134, o per la conformità dei DPI: l' art. 13, D.Lgs. 4 dicembre 1992, n. 475, in G.U. 9 dicembre 1992, n. 289), nonché per quanto riguarda l'applicazione e l'osservanza di quelle disposizioni di legge che, pur essendo ricomprese nell'ambito di normative attinenti alla costituzione e allo svolgimento dei rapporti di lavoro, delle assicurazioni sociali, nonché della previdenza e dell'assistenza obbligatoria, si connotano per la loro "finalità prevenzionistica". Nei settori nei quali le Direzioni provinciali del lavoro esplicano l'attività di vigilanza sui luoghi di lavoro in forma autonoma, esse hanno ovviamente piena competenza, in ogni caso di accertamento di contravvenzioni alla "normativa di prevenzione", ad attivare il meccanismo sanzionatorio delineato all' art. 20 e ss., D.Lgs. 19 dicembre 1994, n. 758 (come del resto dispone anche la Circolare del Ministero del lavoro n. VII/135/C.6 del 27 febbraio 1996), fino al suo esito procedimentale;
- di carattere integrativo e di affiancamento (cd. ad adiuvandum) della vigilanza esercitata dai competenti Servizi delle Unità sanitarie locali, nel quadro del coordinamento territoriale effettuato dai Comitati regionali di coordinamento di cui all'art. 7, D.Lgs. 9 aprile 2008, n. 81. Tale prerogativa era inizialmente limitata, dall' art. 23, comma 2, D.Lgs. 19 settembre 1994, n. 626, ad "attività lavorative comportanti rischi particolarmente elevati, da individuare con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, su proposta dei Ministri del lavoro e della previdenza sociale e della sanità, sentita la Commissione consultiva permanente". Il decreto in parola - che doveva essere emanato entro dodici mesi dalla data di entrata in vigore del D.Lgs. 19 settembre 1994, n. 626, dunque entro il 27 novembre 1995 - ha preso corpo - seppure con quasi due anni di ritardo - nel D.P.C.M. 14 ottobre 1997, n. 412, il quale ha individuato le attività lavorative comportanti "rischi particolarmente elevati" nelle seguenti:
a) attività nel settore delle costruzioni edili o di genio civile e più in particolare lavori di costruzione, manutenzione, riparazione, demolizione, conservazione e risanamento di opere fisse, permanenti o temporanee, in muratura e in cemento armato, opere stradali, ferroviarie, idrauliche, scavi, montaggio e smontaggio di elementi prefabbricati. Lavori in sotterraneo e gallerie, anche comportanti l'impiego di esplosivi;
b) lavori mediante cassoni in aria compressa e lavori subacquei (9).
L'attuale previsione della lettera c) dell'art. 13, comma 2, D.Lgs. 9 aprile 2008, n. 81 (le lettere a) e b) riproducono il contenuto del citato D.P.C.M. 14 ottobre 1997, n. 412) dispone peraltro la possibilità, sempre con le medesime competenze istituzionali e strumenti normativi (D.P.C.M. di individuare "ulteriori attività lavorative comportanti rischi particolarmente elevati", in relazione alle quali il personale ispettivo del Ministero del lavoro e della previdenza sociale svolge attività di vigilanza sull'applicazione della legislazione in materia di salute e sicurezza nei luoghi di lavoro, informandone preventivamente il servizio di prevenzione e sicurezza dell'Azienda sanitaria locale competente per territorio.
Resta fermo che, nell'esercizio dell'attività di vigilanza comunque esercitata, i funzionari dei Servizi ispettivi delle Direzioni provinciali del lavoro, per effetto della riserva espressa nell' art. 19, comma 1, lett. b), ultima parte, D.Lgs. 19 dicembre 1994, n. 758, godono del complesso dei poteri che sono ricollegati all'esercizio delle funzioni di Polizia giudiziaria (10).
Per quanto riguarda invece le competenze in materia di controllo di conformità CE, attribuite dal D.P.R. 24 luglio 1996, n. 459 (cd. "Direttiva Macchine") anche agli organi ispettivi dell'Ispettorato del lavoro (art. 7: in coordinamento permanente con gli organi ispettivi del Ministero dell'industria, del commercio e dell'artigianato), va rilevato che non si tratta, in questo ambito, di esercizio di vigilanza giudiziaria, bensì di vigilanza amministrativa (11).
Discorso parzialmente diverso va fatto con riferimento al D.Lgs. 4 dicembre 1992, n. 475, in materia di dispositivi di protezione individuale (DPI). In questo ambito, ove all'Ispettorato del lavoro è attribuito non solo il potere di vigilanza amministrativa (come avviene per il D.P.R. 24 luglio 1996, n. 459), ma anche il potere di vigilanza giudiziaria (sempre esercitati in coordinamento permanente, con gli organi ispettivi del Ministero dell'industria, del commercio e dell'artigianato: art. 13 e art. 14), va detto che l'esercizio della vigilanza giudiziaria, inizialmente non attinente all'area della "normativa di prevenzione" (atteso che il D.Lgs. 4 dicembre 1992, n. 475 è normativa non inclusa nell'elenco di cui all' Allegato I, D.Lgs. 19 dicembre 1994, n. 758, e le violazioni dunque, pur provviste di sanzione penale, non erano ascrivibili alla categoria delle "contravvenzioni" cui è applicabile il meccanismo sanzionatorio previsto dall' art. 20 e ss. del citato D.Lgs. 19 dicembre 1994, n. 758), vi rientra ora a pieno titolo, per effetto del disposto dell'art. 2, comma 2, L. 5 febbraio 1999, n. 25 (Disposizioni per l'adempimento di obblighi derivanti dall'appartenenza dell'Italia alle Comunità europee - Legge comunitaria 1998), e da ultimo del disposto dell'art. 301, D.Lgs. 9 aprile 2008, n. 81 il quale dispone che "Alle contravvenzioni in materia di igiene, salute e sicurezza sul lavoro previste dal presente decreto nonché da altre disposizioni aventi forza di legge, per le quali sia prevista la pena alternativa dell'arresto o dell'ammenda, si applicano le disposizioni in materia di prescrizione ed estinzione del reato di cui agli artt. 20, e ss., D.Lgs. 19 dicembre 1994, n. 758".
Va poi segnalato che, a decorrere dal 2 giugno 1999, i servizi ispettivi delle Direzioni provinciali del lavoro hanno assunto, ai sensi dell' art. 236, D.Lgs. 19 febbraio 1998, n. 51, la titolarità alla conduzione delle inchieste amministrative per gli infortuni sul lavoro, prima di competenza del Pretore. L'inchiesta amministrativa viene effettuata con l'accertamento della natura del lavoro, delle circostanze e della causa dell'infortunio, dell'identità dell'infortunato nonché del luogo in cui si trova, e della natura ed entità delle lesioni. La procedura relativa all'inchiesta, finalizzata a verificare l'indennizzabilità dell'infortunio, con riguardo alle modalità di svolgimento, è rimasta sostanzialmente invariata (12).
Da ultimo, vanno citate le recenti competenze attribuite dall'art. 14, D.Lgs. 9 aprile 2008, n. 81 (inizialmente dal D.L. 4 luglio 2006, n. 223, art. 36-bis) agli organi di vigilanza del Ministero del lavoro e della previdenza sociale, per il contrasto del lavoro irregolare e per la tutela della salute e sicurezza dei lavoratori (v. Tabella 2).
Quanto alle tematiche relative all'esercizio e alle modalità dell'azione ispettiva, è intervenuta a fissarne i principi da seguire la Direttiva del Ministero del lavoro del 18 settembre 2008. Con essa, al fine di avviare un rinnovato e costruttivo rapporto con gli operatori, essenziale per portare a compimento il processo di modernizzazione del mercato del lavoro avviato con la "legge Biagi", si è voluta richiamare la "centralità di una visione delle attività di vigilanza attenta alla qualità ed efficacia della azione ispettiva. Azione che deve essere cioè diretta essenzialmente a prevenire gli abusi e a sanzionare i fenomeni di irregolarità sostanziale abbandonando, per contro, ogni residua impostazione di carattere puramente formale e burocratico, che intralcia inutilmente l'efficienza del sistema produttivo senza portare alcun minimo contributo concreto alla tutela della persona che lavora".
Tabella 2
 

D.Lgs. 9 aprile 2008, n. 81


 

Art. 14


 

Disposizioni per il contrasto del lavoro irregolare e per la tutela della salute e sicurezza dei lavoratori


1. Al fine di far cessare il pericolo per la tutela della salute e la sicurezza dei lavoratori, nonché di contrastare il fenomeno del lavoro sommerso e irregolare, ferme restando le attribuzioni del coordinatore per l'esecuzione dei lavori di cui all'art. 92, comma 1, lettera e), gli organi di vigilanza del Ministero del lavoro, della salute e delle politiche sociali, e della previdenza sociale, anche su segnalazione delle amministrazioni pubbliche secondo le rispettive competenze, possono adottare provvedimenti di sospensione in relazione alla parte dell'attività imprenditoriale interessata dalle violazioni quando riscontrano l'impiego di personale non risultante dalla documentazione obbligatoria in misura pari o superiore al 20 per cento del totale dei lavoratori presenti sul luogo di lavoro, nonché in caso di gravi e reiterate violazioni in materia di tutela della salute e della sicurezza sul lavoro individuate con decreto del Ministero del lavoro, della salute e delle politiche sociali, sentito il Ministero dell'Interno e la Conferenza Permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano. In attesa della adozione del citato decreto, le violazioni in materia di tutela della salute e della sicurezza sul lavoro che costituiscono il presupposto per l'adozione del provvedimento di sospensione dell'attività imprenditoriale sono quelle individuate nell'allegato I. Si ha reiterazione quando, nei cinque anni successivi alla commissione di una violazione oggetto di prescrizione dell'organo di vigilanza ottemperata dal contravventore o di una violazione accertata con sentenza definitiva, lo stesso soggetto commette più violazioni della stessa indole. Si considerano della stessa indole le violazioni della medesima disposizione e quelle di disposizioni diverse individuate, in attesa della adozione del decreto di cui al precedente periodo, nell'allegato I. L'adozione del provvedimento di sospensione è comunicata all'Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici di lavori, servizi e forniture di cui all'art. 6, D.Lgs. 12 aprile 2006, n. 163 ed al Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, per gli aspetti di rispettiva competenza, al fine dell'emanazione di un provvedimento interdittivo alla contrattazione con le pubbliche amministrazioni ed alla partecipazione a gare pubbliche di durata pari alla citata sospensione nonché per un eventuale ulteriore periodo di tempo non inferiore al doppio della durata della sospensione e comunque non superiore a due anni. La durata del provvedimento è pari alla citata sospensione nel caso in cui la percentuale dei lavoratori irregolari sia inferiore al 50 per cento del totale dei lavoratori presenti sul luogo di lavoro; nel caso in cui la percentuale dei lavoratori irregolari sia pari o superiore al 50 per cento del totale dei lavoratori presenti sul luogo di lavoro, ovvero nei casi di gravi e reiterate violazioni in materia di tutela della salute e della sicurezza sul lavoro, ovvero nei casi di reiterazione la durata è incrementata di un ulteriore periodo di tempo pari al doppio della durata della sospensione e comunque non superiore a due anni; nel caso di reiterazione la decorrenza del periodo di interdizione è successiva al termine del precedente periodo di interdizione; nel caso di non intervenuta revoca del provvedimento di sospensione entro quattro mesi dalla data della sua emissione, la durata del provvedimento è pari a due anni, fatta salva l'adozione di eventuali successivi provvedimenti di rideterminazione della durata dell'interdizione a seguito dell'acquisizione della revoca della sospensione. Le disposizioni del presente comma si applicano anche con riferimento ai lavori nell'ambito dei cantieri edili Ai provvedimenti del presente articolo non si applicano le disposizioni di cui alla L. 7 agosto 1990, n. 241. Limitatamente alla sospensione dell'attività di impresa, all'accertamento delle violazioni in materia di prevenzione incendi, indicate all'allegato I del presente decreto, provvede il comando provinciale dei vigili del fuoco territorialmente competente. Ove gli organi di vigilanza o le altre amministrazioni pubbliche rilevino possibili violazioni in materia di prevenzione incendi, ne danno segnalazione al competente Comando provinciale dei Vigili del Fuoco, il quale procede ai sensi delle disposizioni del D.Lgs. 8 marzo 2006, n. 139, e di cui al comma 2 del presente articolo.
2. I poteri e gli obblighi di cui al comma 1 spettano anche agli organi di vigilanza delle aziende sanitarie locali, con riferimento all'accertamento della reiterazione delle violazioni della disciplina in materia di tutela della salute e della sicurezza sul lavoro di cui al comma 1. In materia di prevenzione incendi in ragione della competenza esclusiva del Corpo nazionale dei vigili del fuoco di cui all'art. 46 del presente decreto trovano applicazione le disposizioni di cui agli artt. 16, 19 e 20, D.Lgs. 8 marzo 2006, n. 139.
3. Il provvedimento di sospensione può essere revocato da parte dell'organo di vigilanza che lo ha adottato.
4. È condizione per la revoca del provvedimento da parte dell'organo di vigilanza del Ministero del lavoro e della previdenza sociale di cui al comma 1:
a) la regolarizzazione dei lavoratori non risultanti dalle scritture o da altra documentazione obbligatoria;
b) l'accertamento del ripristino delle regolari condizioni di lavoro nelle ipotesi di gravi e reiterate violazioni della disciplina in materia di tutela della salute e della sicurezza sul lavoro;
c) il pagamento di una somma aggiuntiva rispetto a quelle di cui al comma 6 pari a 1.500 euro nelle ipotesi di sospensione per lavoro irregolare e a 2.500 euro nelle ipotesi di sospensione per gravi e reiterate violazioni in materia di tutela della salute e della sicurezza sul lavoro.
5. È condizione per la revoca del provvedimento da parte dell'organo di vigilanza delle aziende sanitarie locali di cui al comma 2:
a) l'accertamento del ripristino delle regolari condizioni di lavoro nelle ipotesi di gravi e reiterate violazioni delle disciplina in materia di tutela della salute e della sicurezza sul lavoro;
b) il pagamento di una somma aggiuntiva unica pari a € 2500 rispetto a quelle di cui al comma 6.
6. È comunque fatta salva l'applicazione delle sanzioni penali, civili e amministrative vigenti.
7. L'importo delle somme aggiuntive di cui al comma 4, lettera c), integra la dotazione del Fondo per l'occupazione di cui all'art. 1, comma 7, D.L. 20 maggio 1993, n. 148, convertito, con modificazioni, dalla L. 19 luglio 1993, n. 236, ed è destinato al finanziamento degli interventi di contrasto al lavoro sommerso ed irregolare individuati con decreto del Ministro del lavoro e della previdenza sociale di cui all'art. 1, comma 1156, lettera g), L. 27 dicembre 2006, n. 296.
8. L'importo delle somme aggiuntive di cui al comma 5, lettera b), integra l'apposito capitolo regionale per finanziare l'attività di prevenzione nei luoghi di lavoro.
9. Avverso i provvedimenti di sospensione di cui ai commi 1 e 2 è ammesso ricorso, entro 30 giorni, rispettivamente, alla Direzione regionale del lavoro territorialmente competente e al presidente della Giunta regionale, i quali si pronunciano nel termine di 15 giorni dalla notifica del ricorso. Decorso inutilmente tale ultimo termine il provvedimento di sospensione perde efficacia.
10. Il datore di lavoro che non ottempera al provvedimento di sospensione di cui al presente articolo è punito con l'arresto fino a sei mesi nelle ipotesi di sospensione per gravi e reiterate violazioni in materia di tutela della salute e della sicurezza sul lavoro e con l'arresto da tre a sei mesi o con l'ammenda da 2.500 a 6.400 euro nelle ipotesi di sospensione per lavoro irregolare.
11. Nelle ipotesi delle violazioni in materia di salute e sicurezza sul lavoro di cui al comma 1, le disposizioni del presente articolo si applicano nel rispetto delle competenze in tema di vigilanza in materia.
11. bis Il provvedimento di sospensione nelle ipotesi di lavoro irregolare non si applica nel caso in cui il lavoratore irregolare risulti l'unico occupato dall'impresa. In ogni caso di sospensione nelle ipotesi di lavoro irregolare gli effetti della sospensione possono essere fatti decorrere dalle ore dodici del giorno lavorativo successivo ovvero dalla cessazione dell'attività lavorativa in corso che non può essere interrotta, salvo che non si riscontrino situazioni di pericolo imminente o di grave rischio per la salute dei lavoratori o dei terzi.
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(9) Dunque le Direzioni provinciali del lavoro, limitatamente alle attività lavorative elencate all'art. 13, comma 2, D.Lgs. 9 aprile 2008, n. 81, hanno competenza ad esercitare la vigilanza amministrativa e giudiziaria (ad esempio nel vasto ed importante settore dei cantieri temporanei o mobili, disciplinato dal Titolo IV, D.Lgs. 9 aprile 2008, n. 81), sia pure con l'avvertenza che esse non sono organi istituzionalmente titolari del potere di vigilanza, bensì solo in via supplementare, rispetto alle primarie competenze dei Servizi di vigilanza dell'Azienda USL. Sotto questo profilo, l'obbligo per la Direzione provinciale del lavoro di dare preventiva informazione del proprio intervento allo S.P.S.A.L. dell'Azienda USL competente per territorio dimostra che l'azione di vigilanza dei due uffici ispettivi deve intersecarsi, e non essere svolta autonomamente e "in parallelo": ciò al fine di rafforzare l'ambito e soprattutto la "qualità" del controllo e della tutela della sicurezza di quei lavoratori che sono impiegati in attività lavorative comportanti rischi particolarmente elevati - il che giustifica un'azione di vigilanza, sia amministrativa sia giudiziaria, più incisiva. Sulle molteplici problematiche interpretative connesse al sistema di vigilanza amministrativa e giudiziaria "integrata" già delineato dall' art. 23, comma 2, D.Lgs. 19 settembre 1994, n. 626, si rimanda a P. Soprani, Attività di vigilanza e competenze dell'Ispettorato del lavoro, in ISL, IPSOA Ed., n. 2/99, p. 61, con richiami di dottrina.
 

(10) Su questo tema, e sulle problematiche, giuridiche e operative, involgenti l'azione degli Ispettori del lavoro, si veda P. Soprani, Sicurezza e prevenzione nei luoghi di lavoro, Giuffrè Ed., 2001, p. 208 e ss..
 

(11) In tal senso O. Colato, Poteri residuali degli Ispettori del lavoro, in ISL, IPSOA Ed., n. 4/97, p. 215. Contra, ma senza approfondimenti, e sull'erroneo implicito presupposto che l' art. 23, D.Lgs. 19 settembre 1994, n. 626 regolasse la funzione di vigilanza amministrativa anche con riguardo a normative la cui violazione - come avviene per il D.P.R. 24 luglio 1996, n. 459 - non è sanzionata penalmente, F. Bacchini, Funzioni di vigilanza e controllo, in ISL, IPSOA Ed., n. 1/98, p. 31.
 

(12) Si vedano, in proposito, le indicazioni della Circ. 28 maggio 1999, n. 38/99. Sul tema si rimanda a P. Soprani, La riforma dell'inchiesta infortunistica, in ISL, IPSOA Ed., n. 8/99, p. 457.
 


4 Il Corpo nazionale dei Vigili del fuoco

Il Corpo nazionale dei Vigili del fuoco, già disciplinato dalla L. 27 dicembre 1941, n. 1570 (G.U. n. 27 del 3 febbraio 1942, recante "Nuove norme per l'organizzazione dei servizi antincendi"), è stato riorganizzato, negli aspetti ordinamentali, dal D.Lgs. 8 marzo 2006, n. 139 (recante il Riassetto delle disposizioni relative alle funzioni ed ai compiti del Corpo nazionale dei vigili del fuoco, a norma dell'art. 11, L. 29 luglio 2003, n. 229 - G.U. 5 aprile 2006, n. 80, s.o.). In base a quanto dispone l'art. 1, D.Lgs. 139/2006, esso incardinato nel Dipartimento dei vigili del fuoco, del soccorso pubblico e della difesa civile del Ministero dell'interno, dal quale è funzionalmente dipendente per la difesa civile, il servizio di soccorso pubblico e di prevenzione ed estinzione degli incendi su tutto il territorio nazionale, e il servizio di protezione civile, del quale è componente fondamentale.
D.Lgs. 139/2006 (art. 15) ha dichiarato l'attività di prevenzione incendi quale "funzione di preminente interesse pubblico diretta a conseguire, secondo criteri applicativi uniformi sul territorio nazionale, gli obiettivi di sicurezza della vita umana, di incolumità delle persone e di tutela dei beni e dell'ambiente attraverso la promozione, lo studio, la predisposizione e la sperimentazione di norme, misure, provvedimenti, accorgimenti e modi di azione intesi ad evitare l'insorgenza di un incendio e degli eventi ad esso comunque connessi o a limitarne le conseguenze". Essa si esplica "in ogni ambito caratterizzato dall'esposizione al rischio di incendio e, in ragione della sua rilevanza interdisciplinare, anche nei settori della sicurezza nei luoghi di lavoro, del controllo dei pericoli di incidenti rilevanti connessi con determinate sostanze pericolose, dell'energia, della protezione da radiazioni ionizzanti, dei prodotti da costruzione".
Tale definizione è stata poi ripresa, in forma più sintetica, dall'art. 46, D.Lgs. 9 aprile 2008, n. 81.
Ai sensi dell'art. 6, D.Lgs. 139/2006 e dell'art. 8, comma 1, L. 27 dicembre 1941, n. 1570 (tuttora vigente), il personale del Corpo nazionale dei vigili del fuoco svolge, nell'esercizio delle proprie funzioni, funzioni di polizia giudiziaria. Al personale appartenente al ruolo di vigile del fuoco sono attribuite le funzioni di agente di polizia giudiziaria; al personale appartenente agli altri ruoli dell'area operativa del Corpo nazionale sono attribuite le funzioni di ufficiale di polizia giudiziaria. La competenza del Corpo nazionale dei vigili del fuoco all'esercizio della attività di vigilanza sui luoghi di lavoro è regolata dall'art. 19, D.Lgs. 8 marzo 2006, n. 139, il quale, facendo menzione nella rubrica dell'art. 23, D.Lgs. 19 settembre 1994, n. 626 (da riferirsi ora all'art. 13, D.Lgs. 9 aprile 2008, n. 81), dispone che il Corpo nazionale dei vigili del fuoco esercita, con i poteri di polizia amministrativa e giudiziaria, la vigilanza sull'applicazione della normativa di prevenzione incendi in relazione alle attività, costruzioni, impianti, apparecchiature e prodotti ad essa assoggettati. La vigilanza si realizza attraverso visite tecniche, verifiche e controlli disposti di iniziativa dello stesso Corpo, anche con metodo a campione o in base a programmi settoriali per categorie di attività o prodotti, ovvero nelle ipotesi di situazioni di potenziale pericolo segnalate o comunque rilevate. Nell'esercizio dell'attività di vigilanza, il Corpo nazionale può avvalersi di amministrazioni, enti, istituti, laboratori e organismi aventi specifica competenza. La norma dispone altresì che al personale incaricato delle visite tecniche, delle verifiche e dei controlli è consentito: l'accesso alle attività, costruzioni ed impianti interessati, anche durante l'esercizio; l'accesso ai luoghi di fabbricazione, immagazzinamento e uso di apparecchiature e prodotti; l'acquisizione delle informazioni e dei documenti necessari; il prelievo di campioni per l'esecuzione di esami e prove e ogni altra attività necessaria all'esercizio della vigilanza.
Le principali attività di prevenzione incendi sono il rilascio del certificato di prevenzione incendi, la formazione e l'addestramento e le relative attestazioni di idoneità; l'informazione, la consulenza e l'assistenza; la vigilanza antincendio nei locali di pubblico spettacolo ed intrattenimento e nelle strutture caratterizzate da notevole presenza di pubblico; la vigilanza sull'applicazione delle norme di prevenzione incendi, la quale ultima, con riguardo ai luoghi di lavoro, si concreta nell'esame dei progetti di nuovi impianti o costruzioni o di modifiche di quelli esistenti, delle aziende e lavorazioni di cui all'Allegato IV, punto 4.4, D.Lgs. 9 aprile 2008, n. 81 ed alla tabella A e alla tabella B annesse al D.P.R. 26 maggio 1959, n. 689. Dette visite e controlli devono comprendere anche gli accertamenti di competenza previsti dal Testo Unico" (13).
Quanto ai poteri sospensivi e sanzionatori attribuiti dall'art. 14, D.Lgs. 9 aprile 2008, n. 81 (v. Par. 3, Tabella 2), il comma 2, secondo periodo del citato art. 14 dispone che nella materia della "prevenzione incendi in ragione della competenza esclusiva del Corpo nazionale dei vigili del fuoco di cui all'articolo 46 del presente decreto" trovano applicazione le disposizioni più specifiche di cui agli artt. 16, 19 e 20, D.Lgs. 8 marzo 2006, n. 139.
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(13) Il D.P.R. 26 maggio 1959, n. 689 (G.U. 4 settembre 1959, n. 212) individua, nella Tabella A e nella Tabella B allegate, le categorie di aziende e di lavorazioni che, ai sensi dell' art. 36, D.P.R. 27 aprile 1955, n. 547 (attualeAllegato IV, punto 4.4, D.Lgs. 9 aprile 2008, n. 81, sono soggette, al fine della prevenzione degli incendi, al controllo e alla vigilanza del Comando del Corpo dei vigili del fuoco competente per territorio: si tratta di lavorazioni ritenute pericolose, in quanto si producono, si impiegano, si sviluppano o si detengono prodotti infiammabili, incendiabili o esplodenti, o che per dimensioni, ubicazione ed altre ragioni presentano, in caso di incendio, gravi pericoli per l'incolumità dei lavoratori.
 


5 Il Ministero dell'industria, del commercio e dell'artigianato

Il Ministero dell'industria, del commercio e dell'artigianato è ente di vigilanza per il settore minerario (regolato dal D.P.R. 9 aprile 1959, n. 128 - G.U. 11 aprile 1959, n. 81, S.O.).
L'attività di vigilanza è esercitata a mezzo dei Prefetti e del Corpo delle miniere, i cui funzionari (ingegneri e periti) assumono, nell'esercizio delle loro funzioni, la qualifica di ufficiali di Polizia giudiziaria. A detti funzionari (oltre che ai geologi e ai chimici del Corpo, se appositamente incaricati) spetta il diritto di visita sulle miniere e sulle cave, con possibilità di ricorrere - se del caso - all'assistenza della Forza pubblica.
Riprendendo l'analisi sul tema generale, va detto che, se dal punto di vista funzionale (cioè di estensione e di contenuto delle funzioni) la qualifica di ufficiale e di agente di P.G. degli appartenenti agli organi di vigilanza è attributiva dei medesimi poteri - pieni ed incondizionati - degli appartenenti agli organi e servizi di P.G. dotati di una competenza cd. diffusa (Carabinieri, Polizia di Stato, Guardia di finanza, ecc.), soggettivamente il conferimento della qualifica può essere condizionato o a un atto di nomina (come accade per i funzionari del ruolo ispettivo degli S.Pre.S.A.L. delle Aziende USL: art. 21, comma 3, L. 23 dicembre 1978, n. 833), ovvero ai limiti (temporali e territoriali) del servizio cui sono destinati e ai limiti (di materia) derivanti dalla natura delle attribuzioni che sono loro riconosciute dalla legislazione di riferimento. Si tratta pertanto di categorie di ufficiali ed agenti di Polizia giudiziaria a competenza limitata.
Agli organi di vigilanza, oltre a tale principale attività (la quale, come abbiamo detto, assume il duplice profilo dell'attività di prevenzione e di quella di accertamento e di repressione delle violazioni), sono riconosciute dal D.Lgs. 9 aprile 2008, n. 81 altre competenze:
1) la competenza che, sotto questo profilo, assume maggior rilievo è quella che si concretizza nell'attività informativa, di consulenza e di assistenza prestata alle imprese e alle associazioni dei datori di lavoro in materia di sicurezza e di salute nei luoghi di lavoro (art. 10). Molto efficacemente (al fine di garantire in astratto, ancor prima che di assicurare in concreto, l'indipendenza degli operatori) il Testo Unico (art. 13, comma 5) ha sancito il principio dell'incompatibilità soggettiva assoluta tra l'azione di consulenza e quella di controllo e di vigilanza (per l'innegabile interferenza e condizionamento che la prima potrebbe esercitare sulla seconda, la quale implica l'accesso diretto sul luogo di lavoro e il potere-dovere di adottare provvedimenti di contenuto ordinatorio e prescrittivo. Restano invece escluse dal divieto le attività di informazione e di assistenza, le quali di regola non coinvolgono l'autonomia di giudizio del funzionario relativamente all'esercizio delle proprie funzioni);
2) altra competenza degli organi di vigilanza è quella di natura "arbitrale" prevista dall' art. 17, comma 4 del decreto.
Da ultimo va segnalato che, in un primo tempo con Circ. 16 luglio 2001, n. 70/2001, e da ultimo con Circ. 20 aprile 2006, n. 13/2006, il Ministero del lavoro ha ritenuto di dover adottare uno specifico Codice di comportamento ad uso degli Ispettori del lavoro, integrativo e specificativo - ma senza una valenza sostitutiva - di quello più generale, applicabile a tutti i dipendenti pubblici, adottato con D.P.C.M. 28 novembre 2000 (G.U. 10 aprile 2001, n. 84). Di quest'ultimo - in base a quanto dispone l' art. 1, comma 3 dello stesso D.P.C.M. - il Codice di comportamento di cui alla Circ. 16 luglio 2001, n. 70/2001 deve in ogni caso rispettare i principi fissati all' art. 2, in quanto principi cardine di guida della condotta del pubblico dipendente.
L'adozione del codice di comportamento, quale esercizio della facoltà prevista dall' art. 55, comma 4 del nuovo T.U. sul pubblico impiego (D.Lgs. 30 marzo 2001, n. 165, recante "Norme generali sull'ordinamento del lavoro alle dipendenze delle Amministrazioni pubbliche", in G.U. 9 maggio 2001, n. 106, S.O.), fa sì che agli Ispettori del lavoro sia ora applicabile anche la disciplina particolare, più specifica rispetto a quella generale.
Nella prospettiva della Circolare ministeriale, il codice di comportamento concerne indistintamente l'attività di vigilanza svolta dagli Ispettori del lavoro: sotto il profilo oggettivo, peraltro, sarebbe stato necessario un chiarimento ulteriore. Infatti, come abbiamo visto, l'attività di vigilanza sulle imprese opera sotto un duplice profilo: in una direzione amministrativa (temporalmente antecedente all'emergenza di indizi di reato), e in una direzione giudiziaria (temporalmente successiva all'emergenza di indizi di reato). La vigilanza amministrativa ha una funzione tendenzialmente prevenzionale, mentre la vigilanza giudiziaria assume un connotato più marcatamente repressivo.
Ciò posto, è evidente che il Codice di comportamento, se assume una portata cogente nella sede amministrativa, non ha alcuna efficacia derogatoria né rispetto alle norme del codice di procedura penale (e delle altre specifiche leggi processual-penali) inerenti all'accertamento e alla repressione dei fatti costituenti reato, né rispetto alle Circolari in materia, emanate dal Ministero della giustizia. Quanto poi al campo di applicazione soggettivo, il codice di comportamento vincola i soli funzionari dei Servizi ispettivi delle Direzioni provinciali del lavoro, non anche il personale delle AUSL con funzioni ispettive ex art. 21, comma 3, L. 23 dicembre 1978, n. 833 (nonostante, ad altri fini - si veda, ad es. l' art. 11, D.P.R. 19 marzo 1955, n. 520 cit. - entrambe le categorie di operatori rientrino nella locuzione "Ispettori del lavoro"): anche in questo caso dunque il codice deve intendersi limitato all'esercizio della vigilanza amministrativa.
Le motivazioni per l'adozione del codice di comportamento enunciate dal Ministero del lavoro sono condivisibili: l'esigenza di trasparenza (che non si disgiunge da quella di omogeneità dei comportamenti); quella formativa sul ruolo della funzione ispettiva e dell'uniformità di comportamento, attraverso la definizione di principi-guida di comportamento del personale ispettivo nell'esercizio delle sue funzioni (14); quella di assegnare all'attività ispettiva una valenza non più tendenzialmente sanzionatoria, ma capace di assicurare sostanziale ed effettiva tutela ai beni prioritariamente tutelati (diritti dei lavoratori).
Quanto alle ragioni socio-economiche che stanno alla base del codice di comportamento e che ne costituiscono la giustificazione in chiave politica, nel preambolo al codice del 2001 si fa riferimento ad "esigenze di interscambio ed interazione con realtà di dimensioni sovra nazionali" e a una "contingente fase evolutiva delle politiche attive del lavoro" (si pensi alla multietnicità). è così che il raggiungimento di "condizioni di lavoro ottimali e della corretta applicazione delle norme di tutela" viene visto come un obiettivo sociale cui tanto i datori di lavoro, quanto i lavoratori devono tendere attraverso un'azione di attiva partecipazione, nell'ambito del più generale processo di sviluppo economico.
L'operatività interna all'Amministrazione delle disposizioni del Codice di comportamento ne costituisce, peraltro il limite più evidente (il Ministero ha voluto sottolineare che la loro violazione da parte degli Ispettori rileva esclusivamente sul piano disciplinare, senza dar luogo a conseguenze sul piano della legittimità dei provvedimenti adottati).
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(14) Il Ministero negli ultimi anni ha costantemente perseguito l'obiettivo del potenziamento dell'azione ispettiva, mediante l'assunzione straordinaria di nuovi Ispettori.
 


6 Codice di comportamento del 2001

è strutturato in 35 articoli, suddivisi in "norme istituzionali" (26 articoli) e "norme deontologiche" (9 articoli): le prime direttamente operative, le seconde di principio. Di questo corposo articolato (si consideri che il codice generale di comportamento dei dipendenti delle pubbliche Amministrazioni adottato con D.P.C.M. 28 novembre 2000, del quale si è più sopra accennato, è composto di appena 14 articoli) valutiamo alcune disposizioni:
- art. 1: la denuncia ricevuta dall'Ispettore deve essere di regola "qualificata", in termini sia soggettivi (autore) sia oggettivi (circostanze ed elementi di fatto, e fonti di prova testimoniale e documentale), al fine di "agevolare i successivi accertamenti" sui fatti oggetto della medesima;
- art. 4: l'obbligo del rispetto del programma di lavoro non può valere, ovviamente (se non come affermazione di mero principio e a fini meramente organizzativi o di omogeneizzazione dell'attività ispettiva dell'ufficio di appartenenza), per l'esercizio della vigilanza giudiziaria, perché ciò sarebbe un indebito condizionamento dell'attività di polizia giudiziaria che con essa si esplica; attività che è soggetta solo alla legge e alle direttive dell'Autorità giudiziaria, dalla quale l'Ispettore, pur essendo organicamente inserito nella propria Amministrazione, funzionalmente dipende.
- art. 6: è previsto che la tutela della privacy in sede di attività di vigilanza ispettiva avvenga nel rispetto del D.Lgs. 30 giugno 2003, n. 196, e della Circ. 19 marzo 1999, n. 22/99. Detta Circolare (considerando che il rifiuto di fornire informazioni agli Ispettori del lavoro è sanzionato penalmente) richiama l' art. 4, commi 3 e 4, L. 22 luglio 1961, n. 628, secondo cui "le notizie comunicate all'Ispettorato del lavoro o da questo richieste non possono essere pubblicate né comunicate a terzi e ad uffici in modo che se ne possa dedurre l'indicazione delle persone o dei datori di lavoro ai quali si riferiscono salvo il caso di loro espresso consenso", e "il personale dell'Ispettorato del lavoro e i funzionari degli enti previdenziali devono conservare il segreto sui processi e sopra ogni altro particolare di lavorazione che venisse a loro conoscenza; la violazione di tale obbligo è punita con la pena stabilita dall' art. 623 c.p.".
- Inoltre devono essere rispettati i divieti generali previsti dallo Statuto dei lavoratori (L. 20 maggio 1970, n. 300, la cui prevalenza è stata esplicitamente sancita dal citato D.Lgs. 30 giugno 2003, n. 196), in tema di impianti audiovisivi (art. 4), accertamenti sanitari (art. 5), visite personali di controllo (art. 6), divieto di indagini sulle opinioni (art. 8).
- Quanto al diritto di accesso documentale agli atti dell'ispezione amministrativa, vale il principio dell'interesse del richiedente, e del bilanciamento delle esigenze di tutela della riservatezza dei terzi con il diritto, per l'interessato, di difendere un proprio interesse, cui l'ordinamento giuridico riconosca azionabilità di tutela. Sono comunque esclusi dal diritto di accesso gli atti relativi a fatti che possono configurare illeciti penali, i quali, ai sensi dell' art. 392 c.p.p., sono coperti da segreto fino alla chiusura delle indagini preliminari (richiesta di archiviazione o di rinvio a giudizio).
- Da ultimo, in tema di notifica del verbale di ispezione, l'art. 22 del codice di comportamento (raccogliendo le indicazioni del Garante per la protezione dei dati personali, e anche quelle della citata Circ. 19 marzo 1999, n. 22/99), prevede che "in caso di assenza del datore di lavoro, allo scopo di garantire la tutela della privacy, il verbale medesimo deve essere consegnato, a chi ne fa le veci, previa sottoscrizione, in busta chiusa";
- art. 7: introduce il principio di completezza e di non frammentazione dell'attività ispettiva, stabilendo l'obbligo di procedere preliminarmente ad un'accurata attività ricognitiva di eventuali precedenti interessanti l'azienda da ispezionare; ciò anche al fine di evitare inutile duplicazione di attività, nonché di valutare eventuali condotte di reiterazione negli illeciti accertati. Il successivo art. 23 del codice stabilisce che il personale ispettivo "è tenuto a richiedere al datore di lavoro o a chi ne fa le veci di esibire i verbali di ispezione che siano stati rilasciati nel corso di eventuali precedenti accertamenti";
- art. 9: tale norma, sia pure essa stessa temperata da una clausola di compatibilità, non è applicabile alla vigilanza giudiziaria, per la quale valgono - come detto - le garanzie difensive previste dal codice di procedura penale (art. 97 c.p.p., art. 349 c.p.p., art. 356 c.p.p.; art. 114 disp. att. c.p.p.);
- art. 12: l'ispezione presso l'azienda soggiace al principio di concentrazione (o di non dispersione) documentale, temperato da situazioni particolari (ad es. cessazione di azienda), nelle quali l'esame della documentazione potrà avvenire anche al di fuori della sede aziendale;
- art. 14: fissa il complesso delle regole per il cd. "interrogatorio" dei lavoratori occupati nell'azienda. è bene precisare che si tratta di dichiarazioni rese esclusivamente nella sede amministrativa: ne deriva che, nel caso di emergenza di reati, tanto i preliminari quanto le tecniche di verbalizzazione e le modalità di documentazione degli atti dovranno osservare le relative disposizioni del codice di procedura penale (art. 351 c.p.p. e art. 357 c.p.p.; art. 115 disp. att. c.p.p.);
- art. 16: pone l'obbligo del riscontro delle fonti di prova testimoniale (dichiarazioni dei dipendenti). Il riscontro deve essere duplice: tanto di tipo oggettivo (probatorio in senso stretto), quanto soggettivo-comparativo (cd. "esame di convergenza delle dichiarazioni"), al fine di appurare la veridicità delle dichiarazioni testimoniali. Si tratta di un'attività a contenuto ricognitivo-valutativo, della quale si dovrà dare conto nel verbale di ispezione. Anche tale attività di riscontro dovrà essere compiuta limitatamente agli illeciti amministrativi, essendo essa, nel caso di illeciti penali, demandata dalla legge e riservata all'Autorità giudiziaria (art. 192 c.p.p.);
- art. 18: introduce l'obbligo di redazione del cd. verbale ispettivo interlocutorio, nel caso in cui l'ispezione non si esaurisca nell'arco di un'unica giornata. è evidente che si tratta di adempimento da ripetere alla fine di ogni giornata di ispezione;
- art. 24: sancisce il principio di immediatezza della contestazione (o della notificazione) dell'illecito ad esito dell'accertamento ispettivo;
- art. 34: il dovere (ineludibile) degli Ispettori del lavoro di curare il proprio aggiornamento professionale è amplificato nei suoi effetti dal correlativo principio di cd. "circolarità" dell'informazione, in base al quale l'Ispettore "deve rendere partecipi delle proprie conoscenze - da non considerarsi esclusivo patrimonio personale - i superiori, i colleghi ed i collaboratori ogni qual volta ne sia fatta richiesta o ciò si renda necessario".
La funzione di "linee guida" che il codice di comportamento esplica ne costituisce il punto più qualificante, in termini di omogeneità dell'azione ispettiva e di vigilanza: che la sua violazione esponga a responsabilità disciplinare, lo ha espressamente stabilito la Circ. 12 luglio 2001, n. 2198/M1/1D/MZ emanata dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri - Dipartimento della funzione pubblica (recante "Norme sul comportamento dei dipendenti delle pubbliche Amministrazioni", e pubblicata nella G.U. 8 agosto 2001, n. 183). Spetterà peraltro ai dirigenti degli uffici verificare la tenuta di comportamenti in contrasto con le norme del codice, segnalando agli uffici ispettivi del personale le situazioni emergenti, anche a seguito di esposti, comunicazioni o altre forme di proteste pervenuti agli atti d'ufficio da parte dei cittadini e degli utenti.
 

7 Codice di comportamento del 2006

L'applicabilità del Codice (Capi I, II, III, ad eccezione dell' art. 19) anche nei confronti del personale dell'Arma dei Carabinieri costituito presso gli Uffici ispettivi delle Direzioni provinciali del lavoro (cui, ai sensi dell' art. 3, D.M. 31 luglio 1997, sono attribuiti i poteri ispettivi e di vigilanza necessari all'espletamento dei compiti di controllo e verifica in materia di lavoro), è stabilita esplicitamente nel preambolo.
I principi informatori sono il principio di collaborazione e rispetto reciproco tra personale ispettivo e soggetti ispezionati (art. 4); il dovere di programmazione dell'attività ispettiva e l'obbligo di qualificazione contestuale all'accesso, mediante esibizione della tessera di riconoscimento (art. 7); il principio della concentrazione dell'accertamento ispettivo nei tempi strettamente necessari per la sua conclusione (art. 8); l'obbligo di corretta informazione e di assistenza del soggetto sottoposto ad ispezione ( art. 9 e art. 10).
Quanto alle procedure e alle modalità ispettive, il principio generale è quello di completezza nell'esame e nell'acquisizione documentale (art. 11); con obbligo di acquisire le dichiarazioni rese dai lavoratori di norma durante il primo accesso, senza la presenza del datore di lavoro e/o di suoi professionisti di fiducia, e con divieto del rilascio di copia (art. 12).
Diversamente dalla previsione del Codice di comportamento precedente, quello in esame prevede facoltativamente (non obbliga) il rilascio del cd. "atto ispettivo interlocutorio"; e ciò solo nel caso di accertamento complesso e prolungato nel tempo (non più al termine di ogni giornata di accertamento).
Nel caso di rilevazione di illeciti penali il personale ispettivo è tenuto ad inoltrare denuncia all'A.G. inquirente (anche ala G.d.F. per le violazioni di natura tributaria).
Sul piano deontologico, il Codice di comportamento indica quali valori fondamentali l'imparzialità, l'obiettività, l'efficienza, la riservatezza professionale. la trasparenza, l'onestà e l'integrità del personale ispettivo (art. 20).
Sono disciplinati anche i casi di astensione obbligatoria dell'ispettore, e quelli di incompatibilità per ragioni parentali, oltre al generale richiamo al rispetto della normativa vigente in materia di tutela della riservatezza, nel trattamento dei dati personali, alla condivisione degli obiettivi dell'azione dell'Amministrazione di appartenenza, e del dovere di aggiornamento professionale.
 
Sicurezza nel luogo di lavoro
  Gli organi e l'azione di vigilanza

 

1 Introduzione

Nel settore della prevenzione degli infortuni e dell'igiene del lavoro, agli enti di controllo (INAIL, ISPESL, Istituto superiore di sanità, Ministero della sanità), le cui competenze si possono definire di "controllo esterno" sul sistema (inteso - in linea tendenziale - come assunzione di una posizione di garanzia del suo corretto funzionamento) si affiancano gli organi di vigilanza, i quali, diversamente dai primi, hanno competenze di "controllo interno" sul sistema prevenzionistico, e di sua propulsione - attraverso il ricorso agli strumenti della diffida, della disposizione, della prescrizione - verso il modello di sicurezza e di igiene, riferito all'impresa e al mondo del lavoro in genere, delineato dalla legislazione di settore.
L'attività di vigilanza sulle imprese si esplica sotto un duplice profilo:
A) in una direzione amministrativa (temporalmente antecedente all'emergenza di indizi di reato), rientrando così tra gli strumenti rivolti ad attuare la prevenzione (intesa come il complesso delle disposizioni e delle misure adottate per evitare o diminuire i rischi professionali) sul luogo di lavoro (1);
B) in una direzione giudiziaria (temporalmente successiva all'emergenza di indizi di reato), ponendosi in questo caso quale azione rivolta ad assicurare la protezione della sicurezza e della salute dei lavoratori.
L'esercizio dell'attività di vigilanza giudiziaria - inteso come accertamento e repressione delle violazioni aventi rilievo penale - presuppone l'assunzione, nell'operatore, della qualifica di ufficiale e di agente di Polizia giudiziaria (2).
Allo stato attuale della legislazione, gli organi abilitati all'esercizio sia della vigilanza amministrativa, sia della vigilanza giudiziaria sui luoghi di lavoro (3) sono quelli individuati, in via generale, all' art. 13, commi 1, 1-bis), 2 e 4, D.Lgs. 9 aprile 2008, n. 81 (Unità sanitarie locali, Direzioni provinciali del lavoro, Corpo nazionale dei vigili del fuoco, Ministero dell'industria, del commercio e dell'artigianato, nonché gli altri Uffici e Servizi previsti dalla legislazione speciale in materia di sanità aerea e marittima, portuale ed aeroportuale, e da quella attinente alle Forze armate, alle Forze di polizia, alle strutture penitenziarie e a quelle giudiziarie) (4).
Gli organi di vigilanza individuati dall' art. 13, D.Lgs. 9 aprile 2008, n. 81 sono abilitati a svolgere tanto la vigilanza amministrativa quanto la vigilanza giudiziaria. Con riferimento alla titolarità del potere di vigilanza, essi si possono distinguere in organi istituzionalmente titolari di tale potere ed organi (titolari in via) supplementari. Questi ultimi si riducono all'Ispettorato del lavoro (5), nella previsione particolare contenuta nell' art. 13, comma 2 (riferita ovviamente ai settori di attività lavorativa che già non rientrino nella competenza istituzionale dell'Ispettorato, come si ricava chiaramente dalla locuzione di apertura della norma "Ferme restando le competenze in materia di vigilanza attribuite dalla legislazione vigente al personale ispettivo del Ministero del lavoro e della previdenza sociale, ...").
Da un punto di vista funzionale, la vigilanza giudiziaria sui luoghi di lavoro può:
- consumare la competenza istituzionale dell'organo (come avviene per il personale delle Aziende USL con funzioni ispettive, per i funzionari dei Servizi ispettivi delle Direzioni provinciali del lavoro, per gli ingegneri e i periti del Corpo delle miniere, per il personale direttivo, ufficiali e sottufficiali del Corpo nazionale dei vigili del fuoco);
- ovvero essere esercitata nell'ambito di competenze istituzionali diffuse (6).
Le funzioni inerenti alla vigilanza giudiziaria ruotano intorno alla finalità indicata dall' art. 55 c.p.p. in base al quale la Polizia giudiziaria deve "prendere notizia dei reati, impedire che vengano portati a conseguenze ulteriori, ricercarne gli autori, compiere gli atti necessari per assicurare le fonti di prova e raccogliere quant'altro possa servire per l'applicazione della legge penale". Le indagini di Polizia giudiziaria sono svolte di iniziativa, ovvero su impulso e delega dell'Autorità giudiziaria inquirente (Pubblico Ministero).
Quali ufficiali ed agenti di Polizia giudiziaria, i funzionari degli organi di vigilanza hanno l'obbligo di riferire la notizia di reato relativa all'accertamento di contravvenzioni alla normativa di prevenzione senza ritardo e per iscritto, precisando gli elementi essenziali del fatto e gli altri elementi raccolti sino a quel momento, indicando le fonti di prova e le attività compiute, che devono essere in ogni caso documentate. Essi devono altresì comunicare, quando è possibile, le generalità, il domicilio e quant'altro valga alla identificazione del contravventore nei cui confronti vengono svolte le indagini, nonché le generalità della persona offesa e di coloro che siano in grado di riferire su circostanze rilevanti per la ricostruzione dei fatti.
Nel concreto della loro attività, essi dovranno assicurare le fonti di prova (cose e tracce pertinenti al reato, conservazione dello stato dei luoghi, ricerca delle persone informate sui fatti per cui si procede). Nel caso di compimento di atti od operazioni che richiedono specifiche competenze tecniche, di carattere sostanzialmente esecutivo e non valutativo, potranno avvalersi di persone idonee (ad es. un geometra od un fotografo), le quali non possono rifiutare la propria opera.
Nell'esercizio delle loro funzioni, gli ufficiali di Polizia giudiziaria possono compiere ogni attività di indagine legittimamente rivolta e utile alla ricostruzione del fatto e alla individuazione del colpevole. A tal fine possono assumere sommarie informazioni da chiunque e, con l'assistenza del difensore, anche dalla persona sottoposta ad indagini. Nella flagranza del reato possono procedere a perquisizione personale o domiciliare, e al sequestro del corpo del reato e delle cose a questo pertinenti, oltre a poter procedere ad ogni utile e necessario accertamento e rilievo sullo stato dei luoghi e delle cose. Anche nel caso di perquisizione e sequestro è prevista la facoltà - in questo caso rinunciabile da parte dell'indagato - di farsi assistere da un difensore di fiducia.
Ai funzionari-ispettori della USL che siano ufficiali di Polizia giudiziaria la legge ha poi esteso il potere di accesso originariamente attribuito agli Ispettori del lavoro (art. 21, comma 4, L. 23 dicembre 1978, n. 833). Tale potere trova fondamento e legittimazione nella previsione dell' art. 8, comma 2, D.P.R. 19 marzo 1955, n. 520 (G.U. 18 luglio 1955, n. 49), in base al quale "gli ispettori hanno facoltà di visitare in ogni parte, a qualunque ora del giorno ed anche della notte, i laboratori, gli opifici, i cantieri, ed i lavori, in quanto siano sottoposti alla loro vigilanza, nonché i dormitori e refettori annessi agli stabilimenti; non di meno essi dovranno astenersi dal visitare i locali annessi a luoghi di lavoro e che non siano direttamente od indirettamente connessi con l'esercizio dell'azienda, sempre che non abbiano fondato sospetto che servano a compiere o a nascondere violazioni di legge".
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(1) La vigilanza amministrativa è più propriamente definibile quale attività di controllo: si veda la distinzione tra i concetti di "vigilanza" e di "controllo" ricavabili dal combinato disposto degli artt. 10 e 13, comma 5, D.Lgs. 9 aprile 2008, n. 81.
 

(2) La norma di riferimento generale per la individuazione degli ufficiali e degli agenti di Polizia giudiziaria è quella dell' art. 57 c.p.p.. Con riferimento all'attività di vigilanza sulle imprese, vanno citati per i funzionari dei Servizi ispettivi delle Direzioni provinciali del lavoro, l' art. 8, D.P.R. 19 marzo 1955, n. 520; per il personale delle Aziende USL con funzioni ispettive l' art. 21, comma 3, L. 23 dicembre 1978, n. 833; e per il personale direttivo, gli ufficiali e i sottufficiali del Corpo nazionale dei vigili del fuoco l' art. 19, D.Lgs. 8 marzo 2006, n. 139 e l' art. 8, L. 27 dicembre 1941, n. 1570.
 

(3) Anche se la realtà insegna che vigilanza amministrativa e vigilanza giudiziaria vengono svolte dai medesimi funzionari, i quali dunque hanno tutti la qualifica di ufficiale o di agente di Polizia giudiziaria, ciò non toglie che le due attività rimangano ben distinte, come chiarisce inequivocabilmente l' art. 220 disp. att. c.p.p..
 

(4) Secondo quanto dispone l' art. 19, comma 1, lett. b), D.Lgs. 19 dicembre 1994, n. 758, sono organi di vigilanza non solo gli ufficiali di Polizia giudiziaria delle Unità sanitarie locali (funzionari del ruolo ispettivo "di cui all' art. 21, comma 3, L. 23 dicembre 1978, n. 833"), bensì anche tutti gli altri organi cui la legge attribuisce competenze nella materia della sicurezza e dell'igiene del lavoro.
 

(5) Con D.M. 7 novembre 1996, n. 687 (Lavoro) (G.U. 22 gennaio 1997, n. 17), in sede di unificazione degli uffici periferici del Ministero del lavoro e della previdenza sociale, sono stati soppressi gli uffici dell'Ispettorato del lavoro, ed istituite, quali nuovi uffici periferici del Ministero, le Direzioni regionali e le Direzioni provinciali del lavoro, ciascuna delle quali articolata a sua volta nei seguenti uffici: a) servizio politiche del lavoro; b) Servizio ispezione del lavoro; c) Ufficio per la gestione delle risorse e per gli affari generali. Le competenze di questi uffici di nuova costituzione, sono stati definiti prima con D.M. 22 agosto 2000 (Lavoro) (G.U. 12 settembre 2000, n. 213), poi annullato con D.M. 9 ottobre 2000 (avviso in G.U. 5 dicembre 2000, n. 284), e successivamente con D.M. 9 ottobre 2000 (Lavoro) (B.U. Minlavoro n. 11/2000 - s.o.), cui è seguita la Circ. 23 maggio 2001, n. 54/2001, recante i criteri generali per il riassetto delle Direzioni regionali e provinciali del lavoro.
 

(6) Titolari di un potere diffuso di vigilanza giudiziaria (a competenza cd. "non limitata": e dunque anche nella materia della prevenzione degli infortuni ed in quella dell'igiene del lavoro) sono gli ufficiali e gli agenti di Polizia giudiziaria indicati nell' art. 57 c.p.p., commi 1 e 2 (Carabinieri, Polizia di Stato, Guardia di finanza, sindaco dei Comuni sprovvisti di un Ufficio di Polizia, o di un Comando dell'Arma dei Carabinieri o della Guardia di finanza, ecc.).
 


2 Le unità sanitarie locali

Le unità sanitarie locali esercitano la vigilanza sui luoghi di lavoro a mezzo degli S.Pre.S.A.L. (o S.Pi.S.A.L.: Servizi per la prevenzione e la sicurezza degli ambienti di lavoro), già denominati S.M.P.I.L. (Servizi di medicina preventiva e igiene del lavoro), facenti ora capo al Dipartimento di Prevenzione costituito presso ciascuna Azienda-USL (7). Ad essi, anche se diversamente nominati per effetto della riforma della sanità operata con il D.Lgs. 7 dicembre 1993, n. 517, sono state in pratica attribuite le funzioni già svolte dagli S.M.P.I.L. ai sensi degli art. 16, art. 20 e art. 21, L. 23 dicembre 1978, n. 833; funzioni che, a loro volta, già rientravano nella titolarità dell'Ispettorato del lavoro e che, ai sensi dell' art. 27, comma 1, lett. c), D.P.R. 24 luglio 1977, n. 616 e degli art. 2, comma 1, n. 2, art. 4, art. 20 e art. 21, L. 23 dicembre 1978, n. 833 citata, sono state trasferite al personale ispettivo delle AUSL, cui è stato contestualmente esteso anche il complesso dei poteri facenti capo agli (ex ) Ispettori del lavoro (8).
Peraltro l'art. 14, D.Lgs. 9 aprile 2008, n. 81 ha conferito al personale ispettivo delle AUSL (conferimento disposto inizialmente dall'art. 5, comma 6, L. 3 agosto 2007, n. 123) il potere di "adottare provvedimenti di sospensione in relazione alla parte dell'attività imprenditoriale interessata dalle violazioni ... in caso di gravi e reiterate violazioni in materia di tutela della salute e della sicurezza sul lavoro".
Le violazioni in materia di tutela della salute e della sicurezza sul lavoro che costituiscono il presupposto per l'adozione del provvedimento di sospensione dell'attività imprenditoriale sono allo stato, in attesa dell'emenazione di uno specifico D.M. (Lavoro), quelle individuate nell'allegato I, D.Lgs. 9 aprile 2008, n. 81 (v. Tabella 1).
Tabella 1
 

D.Lgs. 9 aprile 2008, n. 81


 

Allegato I


 

GRAVI VIOLAZIONI AI FINI DELL'ADOZIONE DEL PROVVEDIMENTO DI SOSPENSIONE DELL'ATTIVITÀ IMPRENDITORIALE


Violazioni che espongono a rischi di carattere generale
- Mancata elaborazione del documento di valutazione dei rischi;
- Mancata elaborazione del Piano di Emergenza ed evacuazione;
- Mancata formazione ed addestramento;
- Mancata costituzione del servizio di prevenzione e protezione e nomina del relativo responsabile;
- Mancata elaborazione del piano di sicurezza e coordinamento (PSC);
- Mancata elaborazione piano operativo di sicurezza (POS);
- Mancata nomina del coordinatore per la progettazione;
- Mancata nomina del coordinatore per l'esecuzione.
Violazioni che espongono al rischio di caduta dall'alto
- Mancata fornitura del dispositivo di protezione individuale contro le cadute dall'alto;
- Mancanza di protezioni verso il vuoto.
Violazioni che espongono al rischio di seppellimento
- Mancata applicazione delle armature di sostegno, fatte salve le prescrizioni desumibili dalla relazione tecnica di consistenza del terreno.
Violazioni che espongono al rischio di elettrocuzione
- Lavori in prossimità di linee elettriche in assenza di disposizioni organizzative e procedurali idonee a proteggere i lavoratori dai conseguenti rischi;
- Presenza di conduttori nudi in tensione in assenza di disposizioni organizzative e procedurali idonee a proteggere i lavoratori dai conseguenti rischi;
- Mancanza protezione contro i contatti diretti ed indiretti (impianto di terra, interruttore magnetotermico, interruttore differenziale).
Violazioni che espongono al rischio d'amianto
- Mancata notifica all'organo di vigilanza prima dell'inizio dei lavori che possono comportare il rischio di esposizione ad amianto.
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(7) Il Dipartimento di prevenzione è un'Area funzionale dell'Unità sanitaria locale, articolato nei servizi di: a) igiene e sanità pubblica; b) prevenzione e sicurezza degli ambienti di lavoro; c) igiene degli alimenti e della nutrizione; d) veterinari.
 

(8) Si tratta del potere d'accesso previsto dall' art. 8, comma 2, nonché della facoltà di diffida prevista dall' art. 9, D.P.R. 19 marzo 1955, n. 520 (ora disciplinata dall'art. 13 , D.Lgs. 23 aprile 2004, n. 124 - G.U. n. 110 del 12 maggio 2004). Peraltro, con D.M. 17 gennaio 1997, n. 58 (G.U. 14 marzo 1997, n. 61), il Ministero della sanità ha emesso il "Regolamento concernente la individuazione della figura e del relativo profilo professionale del tecnico della prevenzione nell'ambiente e nei luoghi di lavoro" (di seguito denominato anche "TP"). Si tratta di una nuova figura professionale, che si caratterizza quale operatore sanitario in possesso di uno specifico diploma universitario. Le aree di competenza e di responsabilità sono quelle che attengono alle "attività di prevenzione, verifica e controllo in materia di igiene e sicurezza ambientale nei luoghi di vita e di lavoro, di igiene degli alimenti e delle bevande, di igiene di sanità pubblica e veterinaria". Il TP è destinato ad essere funzionalmente inserito nell'ambito del Servizio sanitario nazionale (o come dipendente, ovvero come libero professionista) e, per quanto riguarda lo specifico settore della prevenzione degli infortuni e dell'igiene del lavoro, negli S.P.S.A.L. di ciascuna USL. Nei limiti (anche territoriali) delle proprie attribuzioni, egli è ufficiale di Polizia giudiziaria e, oltre ai compiti propri di tale qualifica, ha specifiche competenze di formazione professionale del personale dell'USL, e di programmazione e di organizzazione del lavoro del servizio o struttura in cui è inserito. Tra i compiti che il Regolamento assegna al TP si segnalano l'accertamento delle contravvenzioni, l'attività di vigilanza (amministrativa e giudiziaria) e di prevenzione negli ambienti di vita e di lavoro, il controllo della sicurezza degli impianti, l'avvio di accertamenti e inchieste per infortuni e malattie professionali.
 


3 L'Ispettorato del lavoro

L'Ispettorato del lavoro è costituito da Ispettorati regionali e provinciali, e da un Ispettorato medico centrale avente sede in Roma. I primi uffici sono stati organi periferici del Ministero del lavoro e della previdenza sociale, fino alla riforma operata con il D.M. 7 novembre 1996, n. 687 (Lavoro) (G.U. 22 gennaio 1997, n. 17), con la quale, in sede di unificazione degli uffici periferici del Ministero del lavoro e della previdenza sociale, in attuazione della previsione di cui all' art. 1, commi 5 e 6, L. 24 dicembre 1993, n. 537, gli uffici dell'Ispettorato del lavoro sono stati soppressi.
Quali nuovi uffici periferici del Ministero, sono così state istituite le Direzioni regionali del lavoro (con compiti, tra l'altro, di indirizzo, coordinamento e vigilanza sulle attività delle Direzioni provinciali del lavoro) e le Direzioni provinciali del lavoro, ciascuna delle quali articolata a sua volta nei seguenti uffici: a) Servizio politiche del lavoro; b) Servizio ispezione del lavoro; c) Ufficio per la gestione delle risorse e per gli affari generali.
I compiti degli uffici di nuova costituzione sono stati definiti prima con D.M. 22 agosto 2000 (Lavoro) (G.U. 12 settembre 2000, n. 213), poi annullato con D.M. 9 ottobre 2000 (avviso in G.U. 5 dicembre 2000, n. 284), e successivamente con D.M. 9 ottobre 2000 (Lavoro) (B.U. Minlavoro n. 11/2000 - s.o.), cui è seguita la Circ. 23 maggio 2001, n. 54/2001, recante i criteri generali per il riassetto delle Direzioni regionali e provinciali del lavoro.
Ai sensi dell' art. 8, comma 1, D.P.R. 19 marzo 1955, n. 520, gli Ispettori del lavoro (ora i funzionari dei Servizi ispettivi delle Direzioni provinciali del lavoro), "... nei limiti del servizio a cui sono destinati, e secondo le attribuzioni ad essi conferite dalle singole leggi e dai regolamenti, sono ufficiali di polizia giudiziaria".
Alle Direzioni provinciali del lavoro è ora attribuita, per quanto riguarda l'attività di vigilanza in materia di sicurezza e di salute sul luogo di lavoro, una duplice competenza:
- di carattere residuale ma esclusivo in alcuni settori (ad esempio per quanto riguarda gli infortuni sul lavoro nei servizi e negli impianti gestiti dall'Azienda autonoma delle Ferrovie dello Stato: l' art. 35, L. 26 aprile 1974, n. 191, in G.U. 24 maggio 1974, n. 134, o per la conformità dei DPI: l' art. 13, D.Lgs. 4 dicembre 1992, n. 475, in G.U. 9 dicembre 1992, n. 289), nonché per quanto riguarda l'applicazione e l'osservanza di quelle disposizioni di legge che, pur essendo ricomprese nell'ambito di normative attinenti alla costituzione e allo svolgimento dei rapporti di lavoro, delle assicurazioni sociali, nonché della previdenza e dell'assistenza obbligatoria, si connotano per la loro "finalità prevenzionistica". Nei settori nei quali le Direzioni provinciali del lavoro esplicano l'attività di vigilanza sui luoghi di lavoro in forma autonoma, esse hanno ovviamente piena competenza, in ogni caso di accertamento di contravvenzioni alla "normativa di prevenzione", ad attivare il meccanismo sanzionatorio delineato all' art. 20 e ss., D.Lgs. 19 dicembre 1994, n. 758 (come del resto dispone anche la Circolare del Ministero del lavoro n. VII/135/C.6 del 27 febbraio 1996), fino al suo esito procedimentale;
- di carattere integrativo e di affiancamento (cd. ad adiuvandum) della vigilanza esercitata dai competenti Servizi delle Unità sanitarie locali, nel quadro del coordinamento territoriale effettuato dai Comitati regionali di coordinamento di cui all'art. 7, D.Lgs. 9 aprile 2008, n. 81. Tale prerogativa era inizialmente limitata, dall' art. 23, comma 2, D.Lgs. 19 settembre 1994, n. 626, ad "attività lavorative comportanti rischi particolarmente elevati, da individuare con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, su proposta dei Ministri del lavoro e della previdenza sociale e della sanità, sentita la Commissione consultiva permanente". Il decreto in parola - che doveva essere emanato entro dodici mesi dalla data di entrata in vigore del D.Lgs. 19 settembre 1994, n. 626, dunque entro il 27 novembre 1995 - ha preso corpo - seppure con quasi due anni di ritardo - nel D.P.C.M. 14 ottobre 1997, n. 412, il quale ha individuato le attività lavorative comportanti "rischi particolarmente elevati" nelle seguenti:
a) attività nel settore delle costruzioni edili o di genio civile e più in particolare lavori di costruzione, manutenzione, riparazione, demolizione, conservazione e risanamento di opere fisse, permanenti o temporanee, in muratura e in cemento armato, opere stradali, ferroviarie, idrauliche, scavi, montaggio e smontaggio di elementi prefabbricati. Lavori in sotterraneo e gallerie, anche comportanti l'impiego di esplosivi;
b) lavori mediante cassoni in aria compressa e lavori subacquei (9).
L'attuale previsione della lettera c) dell'art. 13, comma 2, D.Lgs. 9 aprile 2008, n. 81 (le lettere a) e b) riproducono il contenuto del citato D.P.C.M. 14 ottobre 1997, n. 412) dispone peraltro la possibilità, sempre con le medesime competenze istituzionali e strumenti normativi (D.P.C.M. di individuare "ulteriori attività lavorative comportanti rischi particolarmente elevati", in relazione alle quali il personale ispettivo del Ministero del lavoro e della previdenza sociale svolge attività di vigilanza sull'applicazione della legislazione in materia di salute e sicurezza nei luoghi di lavoro, informandone preventivamente il servizio di prevenzione e sicurezza dell'Azienda sanitaria locale competente per territorio.
Resta fermo che, nell'esercizio dell'attività di vigilanza comunque esercitata, i funzionari dei Servizi ispettivi delle Direzioni provinciali del lavoro, per effetto della riserva espressa nell' art. 19, comma 1, lett. b), ultima parte, D.Lgs. 19 dicembre 1994, n. 758, godono del complesso dei poteri che sono ricollegati all'esercizio delle funzioni di Polizia giudiziaria (10).
Per quanto riguarda invece le competenze in materia di controllo di conformità CE, attribuite dal D.P.R. 24 luglio 1996, n. 459 (cd. "Direttiva Macchine") anche agli organi ispettivi dell'Ispettorato del lavoro (art. 7: in coordinamento permanente con gli organi ispettivi del Ministero dell'industria, del commercio e dell'artigianato), va rilevato che non si tratta, in questo ambito, di esercizio di vigilanza giudiziaria, bensì di vigilanza amministrativa (11).
Discorso parzialmente diverso va fatto con riferimento al D.Lgs. 4 dicembre 1992, n. 475, in materia di dispositivi di protezione individuale (DPI). In questo ambito, ove all'Ispettorato del lavoro è attribuito non solo il potere di vigilanza amministrativa (come avviene per il D.P.R. 24 luglio 1996, n. 459), ma anche il potere di vigilanza giudiziaria (sempre esercitati in coordinamento permanente, con gli organi ispettivi del Ministero dell'industria, del commercio e dell'artigianato: art. 13 e art. 14), va detto che l'esercizio della vigilanza giudiziaria, inizialmente non attinente all'area della "normativa di prevenzione" (atteso che il D.Lgs. 4 dicembre 1992, n. 475 è normativa non inclusa nell'elenco di cui all' Allegato I, D.Lgs. 19 dicembre 1994, n. 758, e le violazioni dunque, pur provviste di sanzione penale, non erano ascrivibili alla categoria delle "contravvenzioni" cui è applicabile il meccanismo sanzionatorio previsto dall' art. 20 e ss. del citato D.Lgs. 19 dicembre 1994, n. 758), vi rientra ora a pieno titolo, per effetto del disposto dell'art. 2, comma 2, L. 5 febbraio 1999, n. 25 (Disposizioni per l'adempimento di obblighi derivanti dall'appartenenza dell'Italia alle Comunità europee - Legge comunitaria 1998), e da ultimo del disposto dell'art. 301, D.Lgs. 9 aprile 2008, n. 81 il quale dispone che "Alle contravvenzioni in materia di igiene, salute e sicurezza sul lavoro previste dal presente decreto nonché da altre disposizioni aventi forza di legge, per le quali sia prevista la pena alternativa dell'arresto o dell'ammenda, si applicano le disposizioni in materia di prescrizione ed estinzione del reato di cui agli artt. 20, e ss., D.Lgs. 19 dicembre 1994, n. 758".
Va poi segnalato che, a decorrere dal 2 giugno 1999, i servizi ispettivi delle Direzioni provinciali del lavoro hanno assunto, ai sensi dell' art. 236, D.Lgs. 19 febbraio 1998, n. 51, la titolarità alla conduzione delle inchieste amministrative per gli infortuni sul lavoro, prima di competenza del Pretore. L'inchiesta amministrativa viene effettuata con l'accertamento della natura del lavoro, delle circostanze e della causa dell'infortunio, dell'identità dell'infortunato nonché del luogo in cui si trova, e della natura ed entità delle lesioni. La procedura relativa all'inchiesta, finalizzata a verificare l'indennizzabilità dell'infortunio, con riguardo alle modalità di svolgimento, è rimasta sostanzialmente invariata (12).
Da ultimo, vanno citate le recenti competenze attribuite dall'art. 14, D.Lgs. 9 aprile 2008, n. 81 (inizialmente dal D.L. 4 luglio 2006, n. 223, art. 36-bis) agli organi di vigilanza del Ministero del lavoro e della previdenza sociale, per il contrasto del lavoro irregolare e per la tutela della salute e sicurezza dei lavoratori (v. Tabella 2).
Quanto alle tematiche relative all'esercizio e alle modalità dell'azione ispettiva, è intervenuta a fissarne i principi da seguire la Direttiva del Ministero del lavoro del 18 settembre 2008. Con essa, al fine di avviare un rinnovato e costruttivo rapporto con gli operatori, essenziale per portare a compimento il processo di modernizzazione del mercato del lavoro avviato con la "legge Biagi", si è voluta richiamare la "centralità di una visione delle attività di vigilanza attenta alla qualità ed efficacia della azione ispettiva. Azione che deve essere cioè diretta essenzialmente a prevenire gli abusi e a sanzionare i fenomeni di irregolarità sostanziale abbandonando, per contro, ogni residua impostazione di carattere puramente formale e burocratico, che intralcia inutilmente l'efficienza del sistema produttivo senza portare alcun minimo contributo concreto alla tutela della persona che lavora".
Tabella 2
 

D.Lgs. 9 aprile 2008, n. 81


 

Art. 14


 

Disposizioni per il contrasto del lavoro irregolare e per la tutela della salute e sicurezza dei lavoratori


1. Al fine di far cessare il pericolo per la tutela della salute e la sicurezza dei lavoratori, nonché di contrastare il fenomeno del lavoro sommerso e irregolare, ferme restando le attribuzioni del coordinatore per l'esecuzione dei lavori di cui all'art. 92, comma 1, lettera e), gli organi di vigilanza del Ministero del lavoro, della salute e delle politiche sociali, e della previdenza sociale, anche su segnalazione delle amministrazioni pubbliche secondo le rispettive competenze, possono adottare provvedimenti di sospensione in relazione alla parte dell'attività imprenditoriale interessata dalle violazioni quando riscontrano l'impiego di personale non risultante dalla documentazione obbligatoria in misura pari o superiore al 20 per cento del totale dei lavoratori presenti sul luogo di lavoro, nonché in caso di gravi e reiterate violazioni in materia di tutela della salute e della sicurezza sul lavoro individuate con decreto del Ministero del lavoro, della salute e delle politiche sociali, sentito il Ministero dell'Interno e la Conferenza Permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano. In attesa della adozione del citato decreto, le violazioni in materia di tutela della salute e della sicurezza sul lavoro che costituiscono il presupposto per l'adozione del provvedimento di sospensione dell'attività imprenditoriale sono quelle individuate nell'allegato I. Si ha reiterazione quando, nei cinque anni successivi alla commissione di una violazione oggetto di prescrizione dell'organo di vigilanza ottemperata dal contravventore o di una violazione accertata con sentenza definitiva, lo stesso soggetto commette più violazioni della stessa indole. Si considerano della stessa indole le violazioni della medesima disposizione e quelle di disposizioni diverse individuate, in attesa della adozione del decreto di cui al precedente periodo, nell'allegato I. L'adozione del provvedimento di sospensione è comunicata all'Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici di lavori, servizi e forniture di cui all'art. 6, D.Lgs. 12 aprile 2006, n. 163 ed al Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, per gli aspetti di rispettiva competenza, al fine dell'emanazione di un provvedimento interdittivo alla contrattazione con le pubbliche amministrazioni ed alla partecipazione a gare pubbliche di durata pari alla citata sospensione nonché per un eventuale ulteriore periodo di tempo non inferiore al doppio della durata della sospensione e comunque non superiore a due anni. La durata del provvedimento è pari alla citata sospensione nel caso in cui la percentuale dei lavoratori irregolari sia inferiore al 50 per cento del totale dei lavoratori presenti sul luogo di lavoro; nel caso in cui la percentuale dei lavoratori irregolari sia pari o superiore al 50 per cento del totale dei lavoratori presenti sul luogo di lavoro, ovvero nei casi di gravi e reiterate violazioni in materia di tutela della salute e della sicurezza sul lavoro, ovvero nei casi di reiterazione la durata è incrementata di un ulteriore periodo di tempo pari al doppio della durata della sospensione e comunque non superiore a due anni; nel caso di reiterazione la decorrenza del periodo di interdizione è successiva al termine del precedente periodo di interdizione; nel caso di non intervenuta revoca del provvedimento di sospensione entro quattro mesi dalla data della sua emissione, la durata del provvedimento è pari a due anni, fatta salva l'adozione di eventuali successivi provvedimenti di rideterminazione della durata dell'interdizione a seguito dell'acquisizione della revoca della sospensione. Le disposizioni del presente comma si applicano anche con riferimento ai lavori nell'ambito dei cantieri edili Ai provvedimenti del presente articolo non si applicano le disposizioni di cui alla L. 7 agosto 1990, n. 241. Limitatamente alla sospensione dell'attività di impresa, all'accertamento delle violazioni in materia di prevenzione incendi, indicate all'allegato I del presente decreto, provvede il comando provinciale dei vigili del fuoco territorialmente competente. Ove gli organi di vigilanza o le altre amministrazioni pubbliche rilevino possibili violazioni in materia di prevenzione incendi, ne danno segnalazione al competente Comando provinciale dei Vigili del Fuoco, il quale procede ai sensi delle disposizioni del D.Lgs. 8 marzo 2006, n. 139, e di cui al comma 2 del presente articolo.
2. I poteri e gli obblighi di cui al comma 1 spettano anche agli organi di vigilanza delle aziende sanitarie locali, con riferimento all'accertamento della reiterazione delle violazioni della disciplina in materia di tutela della salute e della sicurezza sul lavoro di cui al comma 1. In materia di prevenzione incendi in ragione della competenza esclusiva del Corpo nazionale dei vigili del fuoco di cui all'art. 46 del presente decreto trovano applicazione le disposizioni di cui agli artt. 16, 19 e 20, D.Lgs. 8 marzo 2006, n. 139.
3. Il provvedimento di sospensione può essere revocato da parte dell'organo di vigilanza che lo ha adottato.
4. È condizione per la revoca del provvedimento da parte dell'organo di vigilanza del Ministero del lavoro e della previdenza sociale di cui al comma 1:
a) la regolarizzazione dei lavoratori non risultanti dalle scritture o da altra documentazione obbligatoria;
b) l'accertamento del ripristino delle regolari condizioni di lavoro nelle ipotesi di gravi e reiterate violazioni della disciplina in materia di tutela della salute e della sicurezza sul lavoro;
c) il pagamento di una somma aggiuntiva rispetto a quelle di cui al comma 6 pari a 1.500 euro nelle ipotesi di sospensione per lavoro irregolare e a 2.500 euro nelle ipotesi di sospensione per gravi e reiterate violazioni in materia di tutela della salute e della sicurezza sul lavoro.
5. È condizione per la revoca del provvedimento da parte dell'organo di vigilanza delle aziende sanitarie locali di cui al comma 2:
a) l'accertamento del ripristino delle regolari condizioni di lavoro nelle ipotesi di gravi e reiterate violazioni delle disciplina in materia di tutela della salute e della sicurezza sul lavoro;
b) il pagamento di una somma aggiuntiva unica pari a € 2500 rispetto a quelle di cui al comma 6.
6. È comunque fatta salva l'applicazione delle sanzioni penali, civili e amministrative vigenti.
7. L'importo delle somme aggiuntive di cui al comma 4, lettera c), integra la dotazione del Fondo per l'occupazione di cui all'art. 1, comma 7, D.L. 20 maggio 1993, n. 148, convertito, con modificazioni, dalla L. 19 luglio 1993, n. 236, ed è destinato al finanziamento degli interventi di contrasto al lavoro sommerso ed irregolare individuati con decreto del Ministro del lavoro e della previdenza sociale di cui all'art. 1, comma 1156, lettera g), L. 27 dicembre 2006, n. 296.
8. L'importo delle somme aggiuntive di cui al comma 5, lettera b), integra l'apposito capitolo regionale per finanziare l'attività di prevenzione nei luoghi di lavoro.
9. Avverso i provvedimenti di sospensione di cui ai commi 1 e 2 è ammesso ricorso, entro 30 giorni, rispettivamente, alla Direzione regionale del lavoro territorialmente competente e al presidente della Giunta regionale, i quali si pronunciano nel termine di 15 giorni dalla notifica del ricorso. Decorso inutilmente tale ultimo termine il provvedimento di sospensione perde efficacia.
10. Il datore di lavoro che non ottempera al provvedimento di sospensione di cui al presente articolo è punito con l'arresto fino a sei mesi nelle ipotesi di sospensione per gravi e reiterate violazioni in materia di tutela della salute e della sicurezza sul lavoro e con l'arresto da tre a sei mesi o con l'ammenda da 2.500 a 6.400 euro nelle ipotesi di sospensione per lavoro irregolare.
11. Nelle ipotesi delle violazioni in materia di salute e sicurezza sul lavoro di cui al comma 1, le disposizioni del presente articolo si applicano nel rispetto delle competenze in tema di vigilanza in materia.
11. bis Il provvedimento di sospensione nelle ipotesi di lavoro irregolare non si applica nel caso in cui il lavoratore irregolare risulti l'unico occupato dall'impresa. In ogni caso di sospensione nelle ipotesi di lavoro irregolare gli effetti della sospensione possono essere fatti decorrere dalle ore dodici del giorno lavorativo successivo ovvero dalla cessazione dell'attività lavorativa in corso che non può essere interrotta, salvo che non si riscontrino situazioni di pericolo imminente o di grave rischio per la salute dei lavoratori o dei terzi.
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(9) Dunque le Direzioni provinciali del lavoro, limitatamente alle attività lavorative elencate all'art. 13, comma 2, D.Lgs. 9 aprile 2008, n. 81, hanno competenza ad esercitare la vigilanza amministrativa e giudiziaria (ad esempio nel vasto ed importante settore dei cantieri temporanei o mobili, disciplinato dal Titolo IV, D.Lgs. 9 aprile 2008, n. 81), sia pure con l'avvertenza che esse non sono organi istituzionalmente titolari del potere di vigilanza, bensì solo in via supplementare, rispetto alle primarie competenze dei Servizi di vigilanza dell'Azienda USL. Sotto questo profilo, l'obbligo per la Direzione provinciale del lavoro di dare preventiva informazione del proprio intervento allo S.P.S.A.L. dell'Azienda USL competente per territorio dimostra che l'azione di vigilanza dei due uffici ispettivi deve intersecarsi, e non essere svolta autonomamente e "in parallelo": ciò al fine di rafforzare l'ambito e soprattutto la "qualità" del controllo e della tutela della sicurezza di quei lavoratori che sono impiegati in attività lavorative comportanti rischi particolarmente elevati - il che giustifica un'azione di vigilanza, sia amministrativa sia giudiziaria, più incisiva. Sulle molteplici problematiche interpretative connesse al sistema di vigilanza amministrativa e giudiziaria "integrata" già delineato dall' art. 23, comma 2, D.Lgs. 19 settembre 1994, n. 626, si rimanda a P. Soprani, Attività di vigilanza e competenze dell'Ispettorato del lavoro, in ISL, IPSOA Ed., n. 2/99, p. 61, con richiami di dottrina.
 

(10) Su questo tema, e sulle problematiche, giuridiche e operative, involgenti l'azione degli Ispettori del lavoro, si veda P. Soprani, Sicurezza e prevenzione nei luoghi di lavoro, Giuffrè Ed., 2001, p. 208 e ss..
 

(11) In tal senso O. Colato, Poteri residuali degli Ispettori del lavoro, in ISL, IPSOA Ed., n. 4/97, p. 215. Contra, ma senza approfondimenti, e sull'erroneo implicito presupposto che l' art. 23, D.Lgs. 19 settembre 1994, n. 626 regolasse la funzione di vigilanza amministrativa anche con riguardo a normative la cui violazione - come avviene per il D.P.R. 24 luglio 1996, n. 459 - non è sanzionata penalmente, F. Bacchini, Funzioni di vigilanza e controllo, in ISL, IPSOA Ed., n. 1/98, p. 31.
 

(12) Si vedano, in proposito, le indicazioni della Circ. 28 maggio 1999, n. 38/99. Sul tema si rimanda a P. Soprani, La riforma dell'inchiesta infortunistica, in ISL, IPSOA Ed., n. 8/99, p. 457.
 


4 Il Corpo nazionale dei Vigili del fuoco

Il Corpo nazionale dei Vigili del fuoco, già disciplinato dalla L. 27 dicembre 1941, n. 1570 (G.U. n. 27 del 3 febbraio 1942, recante "Nuove norme per l'organizzazione dei servizi antincendi"), è stato riorganizzato, negli aspetti ordinamentali, dal D.Lgs. 8 marzo 2006, n. 139 (recante il Riassetto delle disposizioni relative alle funzioni ed ai compiti del Corpo nazionale dei vigili del fuoco, a norma dell'art. 11, L. 29 luglio 2003, n. 229 - G.U. 5 aprile 2006, n. 80, s.o.). In base a quanto dispone l'art. 1, D.Lgs. 139/2006, esso incardinato nel Dipartimento dei vigili del fuoco, del soccorso pubblico e della difesa civile del Ministero dell'interno, dal quale è funzionalmente dipendente per la difesa civile, il servizio di soccorso pubblico e di prevenzione ed estinzione degli incendi su tutto il territorio nazionale, e il servizio di protezione civile, del quale è componente fondamentale.
D.Lgs. 139/2006 (art. 15) ha dichiarato l'attività di prevenzione incendi quale "funzione di preminente interesse pubblico diretta a conseguire, secondo criteri applicativi uniformi sul territorio nazionale, gli obiettivi di sicurezza della vita umana, di incolumità delle persone e di tutela dei beni e dell'ambiente attraverso la promozione, lo studio, la predisposizione e la sperimentazione di norme, misure, provvedimenti, accorgimenti e modi di azione intesi ad evitare l'insorgenza di un incendio e degli eventi ad esso comunque connessi o a limitarne le conseguenze". Essa si esplica "in ogni ambito caratterizzato dall'esposizione al rischio di incendio e, in ragione della sua rilevanza interdisciplinare, anche nei settori della sicurezza nei luoghi di lavoro, del controllo dei pericoli di incidenti rilevanti connessi con determinate sostanze pericolose, dell'energia, della protezione da radiazioni ionizzanti, dei prodotti da costruzione".
Tale definizione è stata poi ripresa, in forma più sintetica, dall'art. 46, D.Lgs. 9 aprile 2008, n. 81.
Ai sensi dell'art. 6, D.Lgs. 139/2006 e dell'art. 8, comma 1, L. 27 dicembre 1941, n. 1570 (tuttora vigente), il personale del Corpo nazionale dei vigili del fuoco svolge, nell'esercizio delle proprie funzioni, funzioni di polizia giudiziaria. Al personale appartenente al ruolo di vigile del fuoco sono attribuite le funzioni di agente di polizia giudiziaria; al personale appartenente agli altri ruoli dell'area operativa del Corpo nazionale sono attribuite le funzioni di ufficiale di polizia giudiziaria. La competenza del Corpo nazionale dei vigili del fuoco all'esercizio della attività di vigilanza sui luoghi di lavoro è regolata dall'art. 19, D.Lgs. 8 marzo 2006, n. 139, il quale, facendo menzione nella rubrica dell'art. 23, D.Lgs. 19 settembre 1994, n. 626 (da riferirsi ora all'art. 13, D.Lgs. 9 aprile 2008, n. 81), dispone che il Corpo nazionale dei vigili del fuoco esercita, con i poteri di polizia amministrativa e giudiziaria, la vigilanza sull'applicazione della normativa di prevenzione incendi in relazione alle attività, costruzioni, impianti, apparecchiature e prodotti ad essa assoggettati. La vigilanza si realizza attraverso visite tecniche, verifiche e controlli disposti di iniziativa dello stesso Corpo, anche con metodo a campione o in base a programmi settoriali per categorie di attività o prodotti, ovvero nelle ipotesi di situazioni di potenziale pericolo segnalate o comunque rilevate. Nell'esercizio dell'attività di vigilanza, il Corpo nazionale può avvalersi di amministrazioni, enti, istituti, laboratori e organismi aventi specifica competenza. La norma dispone altresì che al personale incaricato delle visite tecniche, delle verifiche e dei controlli è consentito: l'accesso alle attività, costruzioni ed impianti interessati, anche durante l'esercizio; l'accesso ai luoghi di fabbricazione, immagazzinamento e uso di apparecchiature e prodotti; l'acquisizione delle informazioni e dei documenti necessari; il prelievo di campioni per l'esecuzione di esami e prove e ogni altra attività necessaria all'esercizio della vigilanza.
Le principali attività di prevenzione incendi sono il rilascio del certificato di prevenzione incendi, la formazione e l'addestramento e le relative attestazioni di idoneità; l'informazione, la consulenza e l'assistenza; la vigilanza antincendio nei locali di pubblico spettacolo ed intrattenimento e nelle strutture caratterizzate da notevole presenza di pubblico; la vigilanza sull'applicazione delle norme di prevenzione incendi, la quale ultima, con riguardo ai luoghi di lavoro, si concreta nell'esame dei progetti di nuovi impianti o costruzioni o di modifiche di quelli esistenti, delle aziende e lavorazioni di cui all'Allegato IV, punto 4.4, D.Lgs. 9 aprile 2008, n. 81 ed alla tabella A e alla tabella B annesse al D.P.R. 26 maggio 1959, n. 689. Dette visite e controlli devono comprendere anche gli accertamenti di competenza previsti dal Testo Unico" (13).
Quanto ai poteri sospensivi e sanzionatori attribuiti dall'art. 14, D.Lgs. 9 aprile 2008, n. 81 (v. Par. 3, Tabella 2), il comma 2, secondo periodo del citato art. 14 dispone che nella materia della "prevenzione incendi in ragione della competenza esclusiva del Corpo nazionale dei vigili del fuoco di cui all'articolo 46 del presente decreto" trovano applicazione le disposizioni più specifiche di cui agli artt. 16, 19 e 20, D.Lgs. 8 marzo 2006, n. 139.
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(13) Il D.P.R. 26 maggio 1959, n. 689 (G.U. 4 settembre 1959, n. 212) individua, nella Tabella A e nella Tabella B allegate, le categorie di aziende e di lavorazioni che, ai sensi dell' art. 36, D.P.R. 27 aprile 1955, n. 547 (attualeAllegato IV, punto 4.4, D.Lgs. 9 aprile 2008, n. 81, sono soggette, al fine della prevenzione degli incendi, al controllo e alla vigilanza del Comando del Corpo dei vigili del fuoco competente per territorio: si tratta di lavorazioni ritenute pericolose, in quanto si producono, si impiegano, si sviluppano o si detengono prodotti infiammabili, incendiabili o esplodenti, o che per dimensioni, ubicazione ed altre ragioni presentano, in caso di incendio, gravi pericoli per l'incolumità dei lavoratori.
 


5 Il Ministero dell'industria, del commercio e dell'artigianato

Il Ministero dell'industria, del commercio e dell'artigianato è ente di vigilanza per il settore minerario (regolato dal D.P.R. 9 aprile 1959, n. 128 - G.U. 11 aprile 1959, n. 81, S.O.).
L'attività di vigilanza è esercitata a mezzo dei Prefetti e del Corpo delle miniere, i cui funzionari (ingegneri e periti) assumono, nell'esercizio delle loro funzioni, la qualifica di ufficiali di Polizia giudiziaria. A detti funzionari (oltre che ai geologi e ai chimici del Corpo, se appositamente incaricati) spetta il diritto di visita sulle miniere e sulle cave, con possibilità di ricorrere - se del caso - all'assistenza della Forza pubblica.
Riprendendo l'analisi sul tema generale, va detto che, se dal punto di vista funzionale (cioè di estensione e di contenuto delle funzioni) la qualifica di ufficiale e di agente di P.G. degli appartenenti agli organi di vigilanza è attributiva dei medesimi poteri - pieni ed incondizionati - degli appartenenti agli organi e servizi di P.G. dotati di una competenza cd. diffusa (Carabinieri, Polizia di Stato, Guardia di finanza, ecc.), soggettivamente il conferimento della qualifica può essere condizionato o a un atto di nomina (come accade per i funzionari del ruolo ispettivo degli S.Pre.S.A.L. delle Aziende USL: art. 21, comma 3, L. 23 dicembre 1978, n. 833), ovvero ai limiti (temporali e territoriali) del servizio cui sono destinati e ai limiti (di materia) derivanti dalla natura delle attribuzioni che sono loro riconosciute dalla legislazione di riferimento. Si tratta pertanto di categorie di ufficiali ed agenti di Polizia giudiziaria a competenza limitata.
Agli organi di vigilanza, oltre a tale principale attività (la quale, come abbiamo detto, assume il duplice profilo dell'attività di prevenzione e di quella di accertamento e di repressione delle violazioni), sono riconosciute dal D.Lgs. 9 aprile 2008, n. 81 altre competenze:
1) la competenza che, sotto questo profilo, assume maggior rilievo è quella che si concretizza nell'attività informativa, di consulenza e di assistenza prestata alle imprese e alle associazioni dei datori di lavoro in materia di sicurezza e di salute nei luoghi di lavoro (art. 10). Molto efficacemente (al fine di garantire in astratto, ancor prima che di assicurare in concreto, l'indipendenza degli operatori) il Testo Unico (art. 13, comma 5) ha sancito il principio dell'incompatibilità soggettiva assoluta tra l'azione di consulenza e quella di controllo e di vigilanza (per l'innegabile interferenza e condizionamento che la prima potrebbe esercitare sulla seconda, la quale implica l'accesso diretto sul luogo di lavoro e il potere-dovere di adottare provvedimenti di contenuto ordinatorio e prescrittivo. Restano invece escluse dal divieto le attività di informazione e di assistenza, le quali di regola non coinvolgono l'autonomia di giudizio del funzionario relativamente all'esercizio delle proprie funzioni);
2) altra competenza degli organi di vigilanza è quella di natura "arbitrale" prevista dall' art. 17, comma 4 del decreto.
Da ultimo va segnalato che, in un primo tempo con Circ. 16 luglio 2001, n. 70/2001, e da ultimo con Circ. 20 aprile 2006, n. 13/2006, il Ministero del lavoro ha ritenuto di dover adottare uno specifico Codice di comportamento ad uso degli Ispettori del lavoro, integrativo e specificativo - ma senza una valenza sostitutiva - di quello più generale, applicabile a tutti i dipendenti pubblici, adottato con D.P.C.M. 28 novembre 2000 (G.U. 10 aprile 2001, n. 84). Di quest'ultimo - in base a quanto dispone l' art. 1, comma 3 dello stesso D.P.C.M. - il Codice di comportamento di cui alla Circ. 16 luglio 2001, n. 70/2001 deve in ogni caso rispettare i principi fissati all' art. 2, in quanto principi cardine di guida della condotta del pubblico dipendente.
L'adozione del codice di comportamento, quale esercizio della facoltà prevista dall' art. 55, comma 4 del nuovo T.U. sul pubblico impiego (D.Lgs. 30 marzo 2001, n. 165, recante "Norme generali sull'ordinamento del lavoro alle dipendenze delle Amministrazioni pubbliche", in G.U. 9 maggio 2001, n. 106, S.O.), fa sì che agli Ispettori del lavoro sia ora applicabile anche la disciplina particolare, più specifica rispetto a quella generale.
Nella prospettiva della Circolare ministeriale, il codice di comportamento concerne indistintamente l'attività di vigilanza svolta dagli Ispettori del lavoro: sotto il profilo oggettivo, peraltro, sarebbe stato necessario un chiarimento ulteriore. Infatti, come abbiamo visto, l'attività di vigilanza sulle imprese opera sotto un duplice profilo: in una direzione amministrativa (temporalmente antecedente all'emergenza di indizi di reato), e in una direzione giudiziaria (temporalmente successiva all'emergenza di indizi di reato). La vigilanza amministrativa ha una funzione tendenzialmente prevenzionale, mentre la vigilanza giudiziaria assume un connotato più marcatamente repressivo.
Ciò posto, è evidente che il Codice di comportamento, se assume una portata cogente nella sede amministrativa, non ha alcuna efficacia derogatoria né rispetto alle norme del codice di procedura penale (e delle altre specifiche leggi processual-penali) inerenti all'accertamento e alla repressione dei fatti costituenti reato, né rispetto alle Circolari in materia, emanate dal Ministero della giustizia. Quanto poi al campo di applicazione soggettivo, il codice di comportamento vincola i soli funzionari dei Servizi ispettivi delle Direzioni provinciali del lavoro, non anche il personale delle AUSL con funzioni ispettive ex art. 21, comma 3, L. 23 dicembre 1978, n. 833 (nonostante, ad altri fini - si veda, ad es. l' art. 11, D.P.R. 19 marzo 1955, n. 520 cit. - entrambe le categorie di operatori rientrino nella locuzione "Ispettori del lavoro"): anche in questo caso dunque il codice deve intendersi limitato all'esercizio della vigilanza amministrativa.
Le motivazioni per l'adozione del codice di comportamento enunciate dal Ministero del lavoro sono condivisibili: l'esigenza di trasparenza (che non si disgiunge da quella di omogeneità dei comportamenti); quella formativa sul ruolo della funzione ispettiva e dell'uniformità di comportamento, attraverso la definizione di principi-guida di comportamento del personale ispettivo nell'esercizio delle sue funzioni (14); quella di assegnare all'attività ispettiva una valenza non più tendenzialmente sanzionatoria, ma capace di assicurare sostanziale ed effettiva tutela ai beni prioritariamente tutelati (diritti dei lavoratori).
Quanto alle ragioni socio-economiche che stanno alla base del codice di comportamento e che ne costituiscono la giustificazione in chiave politica, nel preambolo al codice del 2001 si fa riferimento ad "esigenze di interscambio ed interazione con realtà di dimensioni sovra nazionali" e a una "contingente fase evolutiva delle politiche attive del lavoro" (si pensi alla multietnicità). è così che il raggiungimento di "condizioni di lavoro ottimali e della corretta applicazione delle norme di tutela" viene visto come un obiettivo sociale cui tanto i datori di lavoro, quanto i lavoratori devono tendere attraverso un'azione di attiva partecipazione, nell'ambito del più generale processo di sviluppo economico.
L'operatività interna all'Amministrazione delle disposizioni del Codice di comportamento ne costituisce, peraltro il limite più evidente (il Ministero ha voluto sottolineare che la loro violazione da parte degli Ispettori rileva esclusivamente sul piano disciplinare, senza dar luogo a conseguenze sul piano della legittimità dei provvedimenti adottati).
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(14) Il Ministero negli ultimi anni ha costantemente perseguito l'obiettivo del potenziamento dell'azione ispettiva, mediante l'assunzione straordinaria di nuovi Ispettori.
 


6 Codice di comportamento del 2001

è strutturato in 35 articoli, suddivisi in "norme istituzionali" (26 articoli) e "norme deontologiche" (9 articoli): le prime direttamente operative, le seconde di principio. Di questo corposo articolato (si consideri che il codice generale di comportamento dei dipendenti delle pubbliche Amministrazioni adottato con D.P.C.M. 28 novembre 2000, del quale si è più sopra accennato, è composto di appena 14 articoli) valutiamo alcune disposizioni:
- art. 1: la denuncia ricevuta dall'Ispettore deve essere di regola "qualificata", in termini sia soggettivi (autore) sia oggettivi (circostanze ed elementi di fatto, e fonti di prova testimoniale e documentale), al fine di "agevolare i successivi accertamenti" sui fatti oggetto della medesima;
- art. 4: l'obbligo del rispetto del programma di lavoro non può valere, ovviamente (se non come affermazione di mero principio e a fini meramente organizzativi o di omogeneizzazione dell'attività ispettiva dell'ufficio di appartenenza), per l'esercizio della vigilanza giudiziaria, perché ciò sarebbe un indebito condizionamento dell'attività di polizia giudiziaria che con essa si esplica; attività che è soggetta solo alla legge e alle direttive dell'Autorità giudiziaria, dalla quale l'Ispettore, pur essendo organicamente inserito nella propria Amministrazione, funzionalmente dipende.
- art. 6: è previsto che la tutela della privacy in sede di attività di vigilanza ispettiva avvenga nel rispetto del D.Lgs. 30 giugno 2003, n. 196, e della Circ. 19 marzo 1999, n. 22/99. Detta Circolare (considerando che il rifiuto di fornire informazioni agli Ispettori del lavoro è sanzionato penalmente) richiama l' art. 4, commi 3 e 4, L. 22 luglio 1961, n. 628, secondo cui "le notizie comunicate all'Ispettorato del lavoro o da questo richieste non possono essere pubblicate né comunicate a terzi e ad uffici in modo che se ne possa dedurre l'indicazione delle persone o dei datori di lavoro ai quali si riferiscono salvo il caso di loro espresso consenso", e "il personale dell'Ispettorato del lavoro e i funzionari degli enti previdenziali devono conservare il segreto sui processi e sopra ogni altro particolare di lavorazione che venisse a loro conoscenza; la violazione di tale obbligo è punita con la pena stabilita dall' art. 623 c.p.".
- Inoltre devono essere rispettati i divieti generali previsti dallo Statuto dei lavoratori (L. 20 maggio 1970, n. 300, la cui prevalenza è stata esplicitamente sancita dal citato D.Lgs. 30 giugno 2003, n. 196), in tema di impianti audiovisivi (art. 4), accertamenti sanitari (art. 5), visite personali di controllo (art. 6), divieto di indagini sulle opinioni (art. 8).
- Quanto al diritto di accesso documentale agli atti dell'ispezione amministrativa, vale il principio dell'interesse del richiedente, e del bilanciamento delle esigenze di tutela della riservatezza dei terzi con il diritto, per l'interessato, di difendere un proprio interesse, cui l'ordinamento giuridico riconosca azionabilità di tutela. Sono comunque esclusi dal diritto di accesso gli atti relativi a fatti che possono configurare illeciti penali, i quali, ai sensi dell' art. 392 c.p.p., sono coperti da segreto fino alla chiusura delle indagini preliminari (richiesta di archiviazione o di rinvio a giudizio).
- Da ultimo, in tema di notifica del verbale di ispezione, l'art. 22 del codice di comportamento (raccogliendo le indicazioni del Garante per la protezione dei dati personali, e anche quelle della citata Circ. 19 marzo 1999, n. 22/99), prevede che "in caso di assenza del datore di lavoro, allo scopo di garantire la tutela della privacy, il verbale medesimo deve essere consegnato, a chi ne fa le veci, previa sottoscrizione, in busta chiusa";
- art. 7: introduce il principio di completezza e di non frammentazione dell'attività ispettiva, stabilendo l'obbligo di procedere preliminarmente ad un'accurata attività ricognitiva di eventuali precedenti interessanti l'azienda da ispezionare; ciò anche al fine di evitare inutile duplicazione di attività, nonché di valutare eventuali condotte di reiterazione negli illeciti accertati. Il successivo art. 23 del codice stabilisce che il personale ispettivo "è tenuto a richiedere al datore di lavoro o a chi ne fa le veci di esibire i verbali di ispezione che siano stati rilasciati nel corso di eventuali precedenti accertamenti";
- art. 9: tale norma, sia pure essa stessa temperata da una clausola di compatibilità, non è applicabile alla vigilanza giudiziaria, per la quale valgono - come detto - le garanzie difensive previste dal codice di procedura penale (art. 97 c.p.p., art. 349 c.p.p., art. 356 c.p.p.; art. 114 disp. att. c.p.p.);
- art. 12: l'ispezione presso l'azienda soggiace al principio di concentrazione (o di non dispersione) documentale, temperato da situazioni particolari (ad es. cessazione di azienda), nelle quali l'esame della documentazione potrà avvenire anche al di fuori della sede aziendale;
- art. 14: fissa il complesso delle regole per il cd. "interrogatorio" dei lavoratori occupati nell'azienda. è bene precisare che si tratta di dichiarazioni rese esclusivamente nella sede amministrativa: ne deriva che, nel caso di emergenza di reati, tanto i preliminari quanto le tecniche di verbalizzazione e le modalità di documentazione degli atti dovranno osservare le relative disposizioni del codice di procedura penale (art. 351 c.p.p. e art. 357 c.p.p.; art. 115 disp. att. c.p.p.);
- art. 16: pone l'obbligo del riscontro delle fonti di prova testimoniale (dichiarazioni dei dipendenti). Il riscontro deve essere duplice: tanto di tipo oggettivo (probatorio in senso stretto), quanto soggettivo-comparativo (cd. "esame di convergenza delle dichiarazioni"), al fine di appurare la veridicità delle dichiarazioni testimoniali. Si tratta di un'attività a contenuto ricognitivo-valutativo, della quale si dovrà dare conto nel verbale di ispezione. Anche tale attività di riscontro dovrà essere compiuta limitatamente agli illeciti amministrativi, essendo essa, nel caso di illeciti penali, demandata dalla legge e riservata all'Autorità giudiziaria (art. 192 c.p.p.);
- art. 18: introduce l'obbligo di redazione del cd. verbale ispettivo interlocutorio, nel caso in cui l'ispezione non si esaurisca nell'arco di un'unica giornata. è evidente che si tratta di adempimento da ripetere alla fine di ogni giornata di ispezione;
- art. 24: sancisce il principio di immediatezza della contestazione (o della notificazione) dell'illecito ad esito dell'accertamento ispettivo;
- art. 34: il dovere (ineludibile) degli Ispettori del lavoro di curare il proprio aggiornamento professionale è amplificato nei suoi effetti dal correlativo principio di cd. "circolarità" dell'informazione, in base al quale l'Ispettore "deve rendere partecipi delle proprie conoscenze - da non considerarsi esclusivo patrimonio personale - i superiori, i colleghi ed i collaboratori ogni qual volta ne sia fatta richiesta o ciò si renda necessario".
La funzione di "linee guida" che il codice di comportamento esplica ne costituisce il punto più qualificante, in termini di omogeneità dell'azione ispettiva e di vigilanza: che la sua violazione esponga a responsabilità disciplinare, lo ha espressamente stabilito la Circ. 12 luglio 2001, n. 2198/M1/1D/MZ emanata dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri - Dipartimento della funzione pubblica (recante "Norme sul comportamento dei dipendenti delle pubbliche Amministrazioni", e pubblicata nella G.U. 8 agosto 2001, n. 183). Spetterà peraltro ai dirigenti degli uffici verificare la tenuta di comportamenti in contrasto con le norme del codice, segnalando agli uffici ispettivi del personale le situazioni emergenti, anche a seguito di esposti, comunicazioni o altre forme di proteste pervenuti agli atti d'ufficio da parte dei cittadini e degli utenti.
 

7 Codice di comportamento del 2006

L'applicabilità del Codice (Capi I, II, III, ad eccezione dell' art. 19) anche nei confronti del personale dell'Arma dei Carabinieri costituito presso gli Uffici ispettivi delle Direzioni provinciali del lavoro (cui, ai sensi dell' art. 3, D.M. 31 luglio 1997, sono attribuiti i poteri ispettivi e di vigilanza necessari all'espletamento dei compiti di controllo e verifica in materia di lavoro), è stabilita esplicitamente nel preambolo.
I principi informatori sono il principio di collaborazione e rispetto reciproco tra personale ispettivo e soggetti ispezionati (art. 4); il dovere di programmazione dell'attività ispettiva e l'obbligo di qualificazione contestuale all'accesso, mediante esibizione della tessera di riconoscimento (art. 7); il principio della concentrazione dell'accertamento ispettivo nei tempi strettamente necessari per la sua conclusione (art. 8); l'obbligo di corretta informazione e di assistenza del soggetto sottoposto ad ispezione ( art. 9 e art. 10).
Quanto alle procedure e alle modalità ispettive, il principio generale è quello di completezza nell'esame e nell'acquisizione documentale (art. 11); con obbligo di acquisire le dichiarazioni rese dai lavoratori di norma durante il primo accesso, senza la presenza del datore di lavoro e/o di suoi professionisti di fiducia, e con divieto del rilascio di copia (art. 12).
Diversamente dalla previsione del Codice di comportamento precedente, quello in esame prevede facoltativamente (non obbliga) il rilascio del cd. "atto ispettivo interlocutorio"; e ciò solo nel caso di accertamento complesso e prolungato nel tempo (non più al termine di ogni giornata di accertamento).
Nel caso di rilevazione di illeciti penali il personale ispettivo è tenuto ad inoltrare denuncia all'A.G. inquirente (anche ala G.d.F. per le violazioni di natura tributaria).
Sul piano deontologico, il Codice di comportamento indica quali valori fondamentali l'imparzialità, l'obiettività, l'efficienza, la riservatezza professionale. la trasparenza, l'onestà e l'integrità del personale ispettivo (art. 20).
Sono disciplinati anche i casi di astensione obbligatoria dell'ispettore, e quelli di incompatibilità per ragioni parentali, oltre al generale richiamo al rispetto della normativa vigente in materia di tutela della riservatezza, nel trattamento dei dati personali, alla condivisione degli obiettivi dell'azione dell'Amministrazione di appartenenza, e del dovere di aggiornamento professionale.