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Cassazione: l'evasore può essere bloccato anche dalla polizia stradale

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Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 30-10-2013) 19-11-2013, n. 46233

Fatto Diritto P.Q.M.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. TERESI Alfredo - Presidente -
Dott. FRANCO Amedeo - Consigliere -
Dott. MULLIRI Guicla - Consigliere -
Dott. ORILIA Lorenzo - Consigliere -
Dott. RAMACCI Luca - rel. Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso proposto da:
(Lpd) N. IL (OMISSIS);
avverso la sentenza n. 4850/2011 CORTE APPELLO di FIRENZE, del 01/10/2012;
visti gli atti, la sentenza e il ricorso;
udita in PUBBLICA UDIENZA del 30/10/2013 la relazione fatta dal Consigliere Dott. LUCA RAMACCI;
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. Salzano Francesco che ha concluso per il rigetto.
Svolgimento del processo
1. La Corte di appello di Firenze, con sentenza dell'1.10.2012, ha confermato la decisione con la quale, in data 15.2.2011, il Tribunale di Livorno aveva ritenuto (Lpd) responsabile del reato di cui al D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 8, per avere emesso, al fine di consentire l'evasione delle imposte sui redditi e dell'IVA, a favore della ditta "(Lpd) (Lpd)", le fatture per operazioni inesistenti n. (OMISSIS), di Euro 111.600,00 e n. (OMISSIS), di Euro 112.800,00.
Avverso tale pronuncia il predetto propone ricorso per cassazione.
2. Con un primo motivo di ricorso deduce la violazione di norme processuali stabilite a pena di nullità, rilevando che i giudici del merito avrebbero erroneamente ritenuto infondata l'eccezione di inutilizzabilità delle prove, acquisite a seguito di perquisizione effettuata ai sensi della L. n. 110 del 1975, art. 4, accedendo ad una interpretazione impropria della nozione di "operazione di polizia" contemplata dalla disposizione richiamata.
Osserva, a tale proposito, che le fatture oggetto di imputazione vennero sequestrate mediante il compimento dell'atto di polizia giudiziaria disciplinato dalla L. n. 110 del 1975 nell'ambito di un normale controllo stradale finalizzato all'accertamento di eventuali violazioni di norme sulla circolazione e non poteva ritenersi, come avevano fatto invece i giudici del merito, che essendo tale attività pacificamente rientrante tra quelle "di istituto", potesse comunque qualificarsi come "operazione di polizia", il cui esito, peraltro, aveva portato al rinvenimento non di armi, esplosivi o strumenti di effrazione, bensì di semplice documentazione contabile.
L'illegittimità della perquisizione così eseguita, aggiunge, determinerebbe la conseguente inutilizzabilità delle prove così acquisite.
Rileva, inoltre, che la Corte di appello sarebbe incorsa in un ulteriore errore nel ritenere comunque tardiva l'eccezione di nullità del verbale di perquisizione per non essere stato l'imputato avvertito della facoltà di farsi assistere da un difensore di fiducia, perchè sollevata dalla difesa con il primo atto utile e, cioè, la richiesta di riesame presentata subito dopo aver avuto conoscenza dell'atto a seguito di notifica dell'avviso di deposito del verbale di sequestro.
3. Con un secondo motivo di ricorso deduce il vizio di motivazione, sostenendo che la Corte territoriale avrebbe valutato le vicende processuali in maniera diversa dalla realtà, incorrendo così in un vizio logico, con riferimento, in particolare: alle circostanze fattuali concernenti la cancellazione dell'impresa "Liguria Pneumatici"; al mancato pagamento delle fatture emesse ed alla mancanza di fatture di acquisto; alla mancata presentazione della dichiarazione dei redditi; all'assenza di dipendenti e di idonea struttura aziendale; alla ritenuta falsità delle dichiarazioni del teste T..
4. Con un terzo motivo di ricorso denuncia il vizio di motivazione in relazione alla ritenuta sussistenza dell'elemento soggettivo del reato, che i giudici del gravame avrebbero dovuto escludere in considerazione del fatto che la cessazione dell'attività contrasterebbe con la coscienza e volontà di emettere fatture allo scopo di consentire a terzi l'evasione fiscale, mentre non assumerebbe rilievo la mancata annotazione delle fatture nella contabilità dei terzi, nè, tanto meno, la presenza di precedenti penali specifici.
5. Con un quarto motivo di ricorso lamenta la violazione o erronea applicazione dell'art. 49 cod. pen., in quanto i giudici del merito non avrebbero considerato che l'indicazione sulle fatture di una data successiva a quella di cessazione dell'attività rendono evidente l'inidoneità a configurare la violazione contestata ed a porre comunque in pericolo il bene giuridico tutelato dal D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 8.
6. Con un quinto motivo di ricorso deduce la violazione di legge in relazione alla mancata concessione delle attenuanti generiche, che la Corte territoriale avrebbe giustificato sulla base della sola presenza di precedenti penali specifici risalenti nel tempo, riguardanti diverse ipotesi di reato e, comunque, non rappresentativi di una situazione di pericolosità sociale.
7. Con un sesto motivo di ricorso denuncia la violazione di legge ed il vizio di motivazione in relazione al diniego dell'attenuante di cui all'art. 62 c.p., n. 4, operato dai giudici del merito prendendo in considerazione l'importo complessivo delle fatture e non anche quello, di gran lunga inferiore, dei tributi evasi, pari a circa 50.000,00 Euro, che ben avrebbe potuto presentare il carattere della tenuità previsto dalla richiamata disposizione codicistica.
8. Con un settimo motivo di ricorso rileva il vizio di motivazione con riferimento all'entità della pena, ritenuta eccessiva per non avere i giudici del merito considerato l'importo delle fatture emesse, la contraddittorietà degli indizi e l'assenza di recenti condanne.
Insiste, pertanto, per l'accoglimento del ricorso.
Motivi della decisione
9. Il ricorso è infondato.
Riguardo al primo motivo di ricorso occorre ricordare che la L. n. 152 del 1975 è stata emanata con finalità di tutela dell'ordine pubblico e la disposizione di cui all'art. 4 consente alla polizia giudiziaria, nel corso di operazioni di polizia ed in casi di eccezionali di necessità e di urgenza che non consentono un tempestivo provvedimento dell'autorità giudiziaria, di procedere, oltre che all'identificazione, anche all'immediata perquisizione sul posto di persone il cui atteggiamento o la cui presenza, in relazione a specifiche e concrete circostanze di luogo e di tempo non appaiono giustificabili, al solo fine di accertare l'eventuale possesso di armi, esplosivi e strumenti di effrazione.
In tali casi la perquisizione può anche estendersi, per le medesime finalità, al mezzo di trasporto utilizzato dalle persone suindicate per giungere sul posto.
Delle perquisizioni deve essere redatto verbale, su apposito modulo, che va trasmesso entro quarantotto ore al procuratore della Repubblica e, nel caso previsto dal primo comma dell'articolo citato, consegnato all'interessato.
La particolarità della procedura è, peraltro, evidentemente finalizzata alla massima speditezza, come si evince dallo stesso tenore della disposizione, la quale prevede la redazione del verbale su apposito modulo ed è giustificata dal particolare contesto in cui si svolge l'attività di polizia.
Essa non presuppone, inoltre, la commissione di un reato, richiedendo soltanto la presenza di determinate ragioni di sospetto.
10. Ciò premesso, si osserva come, nel caso in esame, venga posto in dubbio che le circostanze in cui l'attività di perquisizione venne espletata non potrebbero essere ricondotte, come invece hanno fatto i giudici del gravame, nella nozione di "operazione di polizia" cui fa riferimento la disposizione in esame.
Il ricorrente, tuttavia, non fornisce alcuna indicazione su quelle che, a suo avviso, dovrebbero essere le caratteristiche di un'operazione di polizia, limitandosi a sostenere che non può qualificarsi come tale la mera predisposizione di un controllo stradale volto all'accertamento di norme sulla circolazione e che detta attività era riferibile "...ad un semplice posto di controllo e non ad un posto di blocco che, magari, avrebbe potuto giustificare un'operazione di polizia in corso e, quindi, il ricorso alla perquisizione sul posto in assenza di autorizzazione del magistrato...", senza tuttavia chiarire, anche in questo caso, in cosa si differenzino, secondo la sua opinione, il posto di blocco da quello di controllo.
I giudici del gravame hanno invece ritenuto che l'attività posta in essere nella fattispecie, consistendo comunque in un'attività di istituto tipica della polizia giudiziaria, possa rientrare a pieno titolo nel concetto di "operazione di polizia" individuato dalla L. n. 110 del 1975, art. 4.
11. L'assunto, ad avviso del Collegio, appare fondato.
Una concezione ampia del termine "operazioni di polizia" utilizzato nella disposizione in esame risponde, invero, adeguatamente alle finalità perseguite dalla legge, che sono evidentemente quelle di consentire una efficace tutela dell'ordine pubblico anche attraverso l'estemporanea effettuazione di perquisizioni, durante l'espletamento di altre attività di polizia, in presenza di specifiche situazioni quali, appunto, la presenza di persone il cui atteggiamento o la cui presenza risultino non giustificati in considerazione delle specifiche e concrete circostanze di luogo e di tempo.
Ciò non significa, certo, che la polizia giudiziaria possa procedere indiscriminatamente a perquisizione, in quanto l'ambito in cui tale attività può essere legittimamente espletata è chiaramente definito dalla norma, la quale, come si è detto, prevede che la perquisizione possa essere effettuata, oltre che nell'ambito, appunto, di operazioni di polizia nel senso dianzi individuato ed "al solo fine di accertare l'eventuale possesso di armi, esplosivi e strumenti di effrazione", in determinate circostanze previamente indicate e quando non possibile richiedere ed ottenere tempestivamente un provvedimento dell'autorità giudiziaria, cui compete la successiva verifica della sussistenza delle condizioni di legge per l'espletamento dell'atto. Il soggetto che subisce la perquisizione può, inoltre, fare ricorso ai rimedi giurisdizionali previsti dalla legge.
Tale puntuale delimitazione dell'ambito di operatività della polizia giudiziaria risulta, dunque, pacificamente rispondente ai dettami dell'art. 13 Cost..
12. Va conseguentemente affermato il principio secondo il quale il termine "operazioni di polizia" utilizzato dal legislatore nella L. n. 110 del 1975, art. 4 deve essere considerato in senso ampio, comprendente ogni attività peculiare della polizia giudiziaria effettuata nell'ambito specifiche attribuzioni della stessa e non richiede una preventiva organizzazione nè l'espletamento di attività coordinate e complesse per il raggiungimento di un determinato scopo preventivamente individuato, ben potendo coincidere con l'ordinaria attività di istituto.
13. Alla luce di tali considerazioni, deve rilevarsi che, nella fattispecie, la perquisizione è stata giustamente ritenuta legittima dai giudici del merito in quanto, come emerge dalla sentenza impugnata, l'atto è stato eseguito in occasione di un controllo stradale sui mezzi in transito predisposto dalla Polizia di Stato, dando atto a verbale che l'indagato mostrava indecisione alla vista dell'auto della polizia, una volta fermato risultava privo di patente di guida e di altri documenti di identità e, ad un controllo nella banca dati, risultava gravato da numerosi precedenti di polizia, cosicchè non vi era oggettivamente il tempo di ottenere il decreto di perquisizione dall'autorità giudiziaria per accertare l'eventuale possesso di armi, esplosivi o strumenti di effrazione come richiesto dalla norma.
Nè rileva, altresì, la circostanza che, nell'ambito di tale attività, la cui legittimità, come risulta dal ricorso, è stata riconosciuta anche in sede di riesame, la polizia giudiziaria abbia poi rinvenuto le fatture poi sequestrate, non potendo certo ignorare fatti aventi rilevanza penale occasionalmente accertati nell'ambito di attività di iniziativa o delegata finalizzata, come nella fattispecie, ad altri scopi.
14. Parimenti infondata risulta l'ulteriore eccezione concernente il mancato avviso all'indagato della facoltà di farsi assistere da un difensore perchè, come già affermato da questa Corte (Sez. 3 n. 8097, 2 marzo 2011), detto avviso non è dovuto quando viene effettuata una perquisizione ai sensi della L. n. 110 del 1975, art. 4.
Pare dunque opportuno ricordare quanto affermato nella richiamata decisione, ove è stata esclusa ogni possibilità di equiparazione della perquisizione disciplinata dalla menzionata disposizione a quella consentita alla polizia giudiziaria dal codice di rito.
Invero, le attività indicate dall'art. 356 cod. proc. pen. con riferimento alla assistenza del difensore sono tutte finalizzate alla assicurazione delle fonti di prova e sono specificamente indicate con l'indicazione dell'articolo corrispondente.
Lo stesso art. 114 disp. att. cod. proc. pen., nell'imporre l'avvertimento del diritto all'assistenza del difensore, richiama unicamente l'art. 356 cod. proc. pen..
L'espletamento della perquisizione ai sensi della L. n. 152 del 1975, art. 4 non richiede, pertanto, alcun avviso, diverse essendo, come si è visto in precedenza, le finalità che la giustificano.
Conseguentemente, resta assorbita l'ulteriore questione concernente la tempestività dell'eccezione di nullità.
15. Per ciò che concerne, invece, il secondo motivo di ricorso, rileva il Collegio che le argomentazioni sviluppate si risolvono in una valutazione personale ed alternativa degli elementi fattuali valorizzati dai giudici del gravame ai fini dell'affermazione di penale responsabilità, peraltro con richiami ad atti del procedimento e documenti l'accesso ai quali è precluso al giudice di legittimità.
Invero, la consolidata giurisprudenza di questa Corte è orientata nel senso di ritenere che il controllo sulla motivazione demandato al giudice di legittimità resta circoscritto, in ragione della espressa previsione normativa, al solo accertamento sulla congruità e coerenza dell'apparato argomentativo con riferimento a tutti gli elementi acquisiti nel corso del processo e non può risolversi in una diversa lettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione o l'autonoma scelta di nuovi e diversi criteri di giudizio in ordine alla ricostruzione e valutazione dei fatti (si vedano ad esempio, limitatamente alla pronunce successive alle modifiche apportate all'art. 606 cod. proc. pen. dalla L. n. 46 del 2006, Sez. 3 n. 12110, 19 marzo 2009; Sez. 6 n. 23528, 6 luglio 2006; Sez. 6 n. 14054, 20 aprile 2006; Sez. 6 n. 10951, 29 marzo 2006).
Si è altresì precisato che il vizio di motivazione ricorre nel caso in cui la stessa risulti inadeguata, perchè non consente di riscontrare agevolmente le scansioni e gli sviluppi critici che connotano la decisione riguardo a ciò che è stato oggetto di prova ovvero impedisce, per la sua intrinseca oscurità od incongruenza, il controllo sull'affidabilità dell'esito decisorio, sempre avendo riguardo alle acquisizioni processuali ed alle prospettazioni formulate dalle parti (Sez. 6 n.7651, 25 febbraio 2010).
Nella fattispecie, i giudici del merito hanno valutato gli elementi oggetto di critica nel motivo di ricorso in esame con argomentazioni assistite da tenuta logica e coerenza strutturale, rilevando come le fatture, di rilevante importo, fossero state emesse da ditta che risultava aver cessato la propria attività; che risultavano non pagate, ad eccezione di un modesto acconto; che la sede della ditta coincideva con l'abitazione dell'imputato, presso la quale lo stesso risultava irreperibile; che la ditta non disponeva di un deposito ove custodire le ingenti quantità di pneumatici, di una sede operativa e di dipendenti e che l'imputato non aveva presentato la dichiarazione dei redditi per tali attività.
La Corte territoriale ha, inoltre, fornito adeguata risposta ad ogni singola doglianza prospettata nell'atto di appello.
16. Quanto al terzo motivo di ricorso, deve ricordarsi che l'elemento soggettivo del reato di emissione di fatture per operazioni inesistenti è rappresentato dal dolo specifico di favorire l'evasione fiscale di terzi (Sez. 3 n. 17525, 7 maggio 2010) e che quest'ultima non rappresenta un elemento costitutivo della fattispecie incriminatrice, bensì un elemento del dolo specifico, in quanto per integrare il reato è necessario che l'emittente delle fatture si proponga il fine di consentire a terzi l'evasione delle imposte sui redditi o sul valore aggiunto, ma non anche che il terzo consegua effettivamente la programmata evasione (Sez. 3 n. 39359, 21 ottobre 2008).
Anche sul punto la Corte territoriale, contrariamente a quanto rilevato in ricorso, non è incorsa nel vizio di motivazione denunciato.
Richiamati, ancora una volta, l'ambito di operatività dell'art. 606 c.p.p., lett. e), deve rilevarsi come i giudici del gravame abbiano dato dimostrazione della capacità di gestire il testo secondo gli essenziali criteri di coerenza e coesione richiesti, individuando adeguatamente la sussistenza del dolo nel fatto che le fatture sono state emesse dopo la cessazione dell'attività della ditta e nella dimostrata mera apparenza delle operazioni commerciali documentate nelle fatture, che non risultavano pagate e nell'assenza di qualsivoglia documento comprovante il preventivo acquisto, da parte dell'imputato, degli pneumatici che assumeva poi aver rivenduto a terzi.
La Corte del merito non manca, inoltre, di confutare puntualmente, anche in questo caso, le censure formulate con l'atto di gravame.
17. Parimenti corretta risulta poi la risposta data dai giudici del gravame alla questione riproposta in questa sede con il quarto motivo di ricorso, avendo giustamente escluso che possa ravvisarsi, nella fattispecie, una ipotesi di reato impossibile, ponendo in evidenza una circostanza in fatto ritenuta determinate e, cioè, l'avvenuta utilizzazione delle fatture da parte del destinatario, il quale, come accertato dalla Guardia di Finanza, le aveva annotate in contabilità utilizzandole per far apparire costi fittizi ed indebiti crediti di IVA, con conseguente danno per l'erario.
18. Quanto la mancato riconoscimento delle attenuanti generiche, di cui tratta il quinto motivo di ricorso, si ricorda che la concessione di dette attenuanti presuppone la sussistenza di positivi elementi di giudizio e non costituisce un diritto conseguente alla mancanza di elementi negativi connotanti la personalità del reo, cosicchè deve ritenersi legittimo il diniego operato dal giudice in assenza di dati positivi di valutazione (Sez. 3 n. 19639, 24 maggio 2012; Sez. 1 n. 3529, 2 novembre 1993; Sez. 6 n. 6724, 3 maggio 1989; Sez. 6 n. 10690, 15 novembre 1985; Sez. 1 n. 4200, 7 maggio 1985).
Nella fattispecie, come risulta dal provvedimento impugnato, non solo tali elementi positivi non sono stati individuati, ma i giudici del gravame hanno espressamente considerato, quale elemento ostativo, la presenza di plurimi e gravi precedenti penali.
La decisione risulta pertanto giuridicamente corretta sul punto ed adeguatamente motivata.
19. Nondimeno, anche il diniego dell'attenuante di cui all'art. 62 c.p., n. 4, cui si riferisce il sesto motivo di ricorso, appare adeguatamente motivata.
Correttamente la Corte del merito ha considerato insussistenti i presupposti per l'applicazione della invocata attenuante in relazione all'importo complessivo delle fatture, ammontante ad oltre 200.000,00 Euro ma, anche a voler considerare, come fa il ricorrente, il solo importo dei tributi evasi, pari a circa 50.000,00 Euro, come dallo stesso affermato, non ricorrerebbe comunque il requisito della speciale tenuità del danno patrimoniale, del lucro o dell'evento dannoso o pericoloso richiesto dalla norma.
20. Per ciò che concerne, infine, il settimo motivo di ricorso, occorre ricordare che il giudice, nel quantificare la pena, opera una valutazione complessiva sulla base dei criteri direttivi fissati dall'art. 133 cod. pen..
La determinazione della misura della pena tra il minimo e il massimo edittale rientra nell'ampio potere discrezionale attribuito al giudice di merito, che risulta legittimamente esercitato anche attraverso la globale considerazione degli elementi indicati nella richiamata disposizione (Sez. 4 n.41702, 26 ottobre 2004).
Nella fattispecie, il giudice del gravame ha espressamente specificato che la determinazione della pena operata dal primo giudice risultava corretta in considerazione della oggettiva gravità dei fatti, rilevata sulla base di elementi puntualmente indicati e della negativa personalità dell'imputato, già autore di condotte dello stesso tipo.
21. Il ricorso deve pertanto essere rigettato, con le consequenziali statuizioni indicate in dispositivo.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del procedimento.
Così deciso in Roma, il 30 ottobre 2013.
Depositato in Cancelleria il 19 novembre 2013

   

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