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Emergenza Sicurezza città indifese

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Primo Piano EMERGENZA SICUREZZA
città indifese
di Gianluca Di Feo E Giovanni Tizian
Omicidi. Ma soprattutto assalti alle case, furti e scippi. La crisi economica moltiplica i reati. E aumenta la paura. Mentre le forze dell'ordine alle prese con tagli di personale e di fondi non riescono a fronteggiare l'offensiva della nuova criminalità
 
Ogni giorno nella provincia di Milano ci sono 13 rapine e 441 furti: nel 2010, prima che la crisi economica esplodesse, le rapine erano meno di nove e i furti 391. Numeri simili, che "l'Espresso" pubblica in esclusiva, riguardano le altre metropoli: Roma, Napoli, Palermo e persino Bologna. Testimoniano una nuova emergenza, avvertita più dai cittadini che dalle istituzioni: l'aumento vertiginoso di reati predatòri, realizzati con violenza, come gli scippi o le rapine, oppure con la destrezza di chi sfila portafogli e penetra negli appartamenti. Governo e vertici delle forze dell'ordine tendono a minimizzare il problema, riconoscendolo solo nelle vicende clamorose. Le tre esecuzioni in poche ore a Roma e nell'hinterland laziale di martedì scorso; l'attacco all'orologeria Franck Muller in via della Spiga, nel cuore del quadrilatero della Moda; la follia omicida di Mada Kabobo, ghanese senza dimora; il disoccupato calabrese che ha sparato ai carabinieri davanti a Palazzo Chigi. Dietro questi episodi da prima pagina c'è uno stillicidio di violenze, spesso minori ma che incidono pesantemente sulla vita quotidiana. E possono sfociare nel delitto, come nel caso di Giovanni Veronesi, gioielliere ucciso durante una rapina a Brera a fine marzo: l'assassino incensurato aveva eseguito dei lavori nel negozio, ma da mesi era rimasto senza stipendio per mantenere la famiglia. Circolano meno soldi anche ai piani bassi della malavita, con pusher pronti a impugnare il revolver per conquistare un'altra piazza. I baroni dell'usura si fanno più feroci per imporre i pagamenti. Mentre un prestito non restituito può innescare vendette spietate, come si sospetta sia accaduto per il fotoreporter ammazzato a marzo a Roma. La capitale e il suo hinterland ormai hanno segnato un record: il totale da gennaio 2010 a maggio 2013 è di 111 omicidi, ma solo sei sono riconducibili alla criminalità organizzata.
L A GRANDE RAZZIA. «Non abbiamo ancora analisi ufficiali, ma il legame con la crisi economica è evidente», commenta il procuratore di Milano Edmondo Bruti Liberati: «Un segnale è il ritorno di reati che erano praticamente scomparsi, come i furti all'interno delle auto parcheggiate». Tutti gli indicatori disponibili mostrano il boom, con una crescita proseguita anche nei primi tre mesi di quest'anno. L'ultimo quadro nazionale del Viminale risale al 2011: in tutta Italia 205 mila furti in appartamento, 150 mila tra scippi e borseggi, 40 mila rapine. La relazione firmata a gennaio dal ministro uscente Anna Maria Cancellieri è lapidaria: nel 2011 gli scippi sono aumentati del 24 per cento, le rapine del 20. Il rapporto tra recessione e ondata delinquenziale è evidenziato anche da un sondaggio realizzato a fine marzo da Censis e Confcommercio: oggi il 90 per cento degli imprenditori dichiara di non sentirsi sempre sicuro nella zona in cui opera. Ma è il confronto tra il 2010 e il 2012 a evidenziare l'allarme: nel comune di Milano ci sono stati 13 mila furti e 800 rapine in più; a Bologna 100 rapine e 7 mila furti in più. E non è un caso se l'exploit si registra soprattutto nei centri del Nord, dove è più facile trovare soldi: lì secondo il ministero avvengono il 52 per cento dei furti. Se poi si scende nel dettaglio, si evidenzia il volto di questo nuovo crimine, che predilige le irruzioni in casa puntando le armi contro gli inquilini (raddoppiate nella provincia di Milano, di Roma e di Bologna) o i furti nelle abitazioni (7 mila in più nel Milanese, 2.400 in più nell'area della capitale e in quella di Bologna, raddoppiati a Palermo). I tecnici li chiamano "reati predatòri", anche perché spesso colpiscono i più deboli: donne e anziani, bersagli favoriti degli scippi. Mentre le banche non sono più un obiettivo: poco contante e molta protezione hanno fatto crollare i colpi. Ora nel mirino ci sono farmacie e tabaccherie, soprattutto quelle dove si può tentare la fortuna con i giochi.
P OVERI E ITALIANI. Le cronache spesso riportano storie di criminali improvvisati, incensurati che dichiarano di essere spinti dalla fame. A Roma un disoccupato è stato arrestato per due razzie negli uffici postali: ha detto di avere perso il lavoro dopo 26 anni e di essere senza soldi per l'affitto. Una volta era un movente poco convincente, adesso non più: il 70 per cento degli imprenditori intervistati da Censis-Confcommercio crede che siano aumentati i furti «compiuti da persone in evidenti difficoltà economiche». Gli stranieri, spesso evocati come responsabili del boom delinquenziale, risultano denunciati come autori solo di un terzo dei reati totali. Nel caso dei furti, la quota sale a metà. Si tratta soprattutto di romeni, ossia cittadini europei, e di clandestini: soltanto il 6 per cento degli immigrati regolari extracomunitari viola la legge.
TAGLI E PAURA. A Milano per un'ora nessuno ha segnalato ai carabinieri il lungo raid assassino del ghanese con il piccone. Un silenzio inquietante, in cui si intrecciano paura e sfiducia. Tanti sono i reati che non vengono più denunciati, dai furti nelle auto alle biciclette sparite o persino i cellulari rubati. Identica la motivazione: «Sarebbe una perdita di tempo». I casi in cui la risposta delle forze dell'ordine non appare all'altezza delle aspettative dei cittadini sono numerosi. E questo non per carenza di impegno. Ci sono problemi antichi: la mancanza di coordinamento, un approccio talvolta antiquato e forse pure un addestramento inadeguato. Certo è che le promesse sulla sicurezza sbandierate da tutti i politici in campagna elettorale non si sono tradotte finora né in riforme, né in risorse. Anzi, su questo fronte la spending review rischia di avere effetti devastanti. Il blocco all'arruolamento delle reclute di polizia e carabinieri fa salire l'età del personale, che quindi è meno idoneo a rincorrere ladri o passare la notte per strada. «Abbiamo una delle polizie più vecchie d'Europa, con un'età media di 45 anni», ragiona Nicola Tanzi, segretario generale del sindacato Sap. «Nella polizia l'ultimo concorso per agenti aperto ai civili risale al 1996. Ormai sono quasi tutti ex militari di professione. Questo vuol dire due cose: sempre meno donne, sono solo il 12 per cento, e personale che entra in servizio già "vecchio"», aggiunge Daniele Tissone, segretario generale degli agenti Cgil. E c'è una carenza di incentivi: «Gli operatori fronteggiano ogni genere di problemi, nonostante l'accumularsi di ritardi nel pagamento delle ore prestate per turni di lavoro, spesso massacranti, in regime di straordinario, per le missioni e per servizi di ordine pubblico», denuncia Tissone.
Quando il New York Police Department illustra il segreto della "tolleranza zero" che ai tempi di Rudolph Giuliani ha abbattuto il senso di insicurezza della Grande Mela, fornisce solo due dati: prima, due terzi del personale era in ufficio e il resto per strada; poi la proporzione è stata invertita. Ma gli uomini destinati a passare dalle scrivanie alla strada venivano addestrati e motivati, con premi e possibilità di carriera. «Invece l'attuale blocco delle retribuzioni ha fatto perdere, in rapporto all'inflazione, a ogni operatore circa 80 euro mensili», chiosa Tissone.
R ANGHI RIDOTTI. Senza rimpiazzi, il buco negli organici ha toccato il 10 per cento: a dicembre 2011 mancavano 27 mila uomini e donne in divisa, quanti basterebbero per presidiare un'intera regione. I numeri complessivi però non sono esigui. Nel Lazio si contano 30 mila poliziotti, carabinieri e finanzieri; in Lombardia 26 mila; in Sicilia 25 mila; in Campania 22 mila. Bisogna poi aggiungere le polizie locali – che soprattutto con Roberto Maroni all'Interno hanno ricevuto un'attenzione particolare – e i soldati dell'operazione "Strade sicure" (vedi box a pagina 35). «È ora anche di smentire un luogo comune: in Italia ci sarebbero troppi poliziotti per numero di abitanti», contesta il segretario del Sap Tanzi: «Falso perché i soli due corpi a competenza generale, polizia e carabinieri, hanno circa180 mila operatori, in linea con la media europea. Finanza, polizia penitenziaria e forestale hanno invece competenze specifiche. Piuttosto, bisogna ridurre i corpi e su questo da tempo come sindacato ci battiamo: si produrrebbero risparmi per miliardi». Facile obiettare che sovrapposizioni e duplicazioni non mancano. Come nella lotta alle mafie, condotta dalla Dia e da reparti speciali di carabinieri, polizia e Finanza. Stesso copione in altri settori, dall'antidroga al contrasto alle frodi, dai controlli sul lavoro nero e persino al traffico di beni archeologici. O i commissariati e le stazioni dell'Arma che in alcune zone distano poche centinaia di metri mentre sono assenti in molte periferie. Si fatica poi ad aggiornare le mappe sul territorio in base ai problemi, schierando gli uomini dove servono. Per l'ex ministro Cancellieri, proprio i tagli alle risorse dovevano servire di stimolo per eliminare sovrapposizioni e razionalizzare l'attività. Verrà mai fatto?
V OLANTI A TERRA. Le volanti della polizia in giro per le città sono sempre meno. A Roma per ogni turno di sei ore ne escono 66, una ogni 40 mila abitanti. A Milano sono in circolazione 40 pattuglie, a Napoli 52, a Genova 16, a Bologna 11, a Torino 20. Una presenza spesso teorica: su circa 24 mila vetture della polizia, un terzo è in riparazione costante. È inevitabile: sono auto che vengono usate senza sosta e le Alfa 159 hanno in media 200 mila chilometri. Il logoramento provoca guasti e mette a rischio la vita di chi deve fare inseguimenti a tutta velocità su vetture che meriterebbero la rottamazione. Così tra officina e posti vuoti, la pianificazione salta. I sindacati sottolineano come i commissariati di Roma hanno un deficit di personale del 35 per cento e gli anni in cui partivano dall'Ufficio Volanti 24 macchine con a bordo tre uomini sono un lontano ricordo. Da molti mesi ne escono «al massimo 18 per ogni turno e gli uomini da 700 sono passati a 300-400. Nei quartieri caldi della capitale si trovano spesso una sola volante e una macchina del commissariato di zona». Poi bisogna fare i conti con le procedure. Quando l'equipaggio blocca un ladro o un rapinatore in flagranza, deve accompagnarlo al commissariato più vicino. Poi compilare li documenti per il processo per direttissima, in cui gli agenti dovranno presentarsi per ricostruire la dinamica, e in molti casi occuparsi anche della vigilanza del detenuto. Ogni successo impegna la volante per quattro ore o l'intero turno: basta il fermo di due scippatori per lasciare un quartiere senza sorveglianza.
C ENTRALINI DIVISI. Risorse limitate, quindi. E con un coordinamento che perde colpi. Quindici anni fa, all'epoca del primo governo Prodi, vennero creati i centralini "interconnessi". In pratica, polizia e carabinieri si dividono le zone d'azione. Ma se una persona telefona chiedendo aiuto al centralino del corpo non competente, dovrebbe essere la centrale a smistare la segnalazione. Oggi accade che chi aspetta soccorso viene lasciato in linea per lunghissimi minuti, in attesa che il 113 della questura – per esempio - trasferisca la chiamata al 112 dell'Arma. La soluzione è semplice: il centralino unico, che riceve le segnalazioni di qualunque emergenza. Ne esiste solo uno e risolve tutti i problemi grazie a una grande centrale operativa: forze dell'ordine, vigili del fuoco, ambulanze, polizia municipale. È stato attivato a Varese, guarda caso, quando Maroni era ministro dell'Interno e adesso copre anche altre provincie lombarde. Entro metà del 2014 sarà in funzione pure a Milano, in vista dell'Expo. È stato battezzato "call center laico" e sembra funzionare. «Si sono dimezzate le chiamate inutili», ragiona Marco Cherri, delegato italiano per l'applicazione del 112 unico europeo per le chiamate d'emergenza. «Funziona perché screma, filtra e localizza le telefonate e così al secondo livello, cioè alla forza di polizia o al pronto soccorso, arrivano solo quelle necessarie». Un buon risultato, poiché il 50 per cento degli squilli ai cinque numeri di soccorso sono segnalazioni a vuoto. Ha però dei costi rilevanti: il preventivo per avviare una centrale è di 4 milioni. Perché viene fatto solo in Lombardia? «Deve attuarlo il governo, la spesa spetta all'Interno». Sotto molti aspetti, Milano è un laboratorio. Che dal 2010 ha ricevuto attenzioni particolari, con più risorse e mezzi. Il comando provinciale dell'Arma li sta sfruttando per rivoluzionare l'approccio al controllo del territorio. Si mandano più militari per strada: oltre il 40 per cento di "carabinieri di quartiere" appiedati, un altro 20 per cento tolti dagli uffici e mandati di pattuglia. Anche gli arresti sono cresciuti in proporzione. Si punta molto al legame con le associazioni di cittadini e comunità di immigrati per monitorare il "disagio sociale" da cui nascono i reati: tutte manifestano la stessa situazione, con masse crescenti di disoccupati.
SPRECHI OPERATIVI. I sistemi per migliorare la vigilanza ci sarebbero. Ad esempio riducendo al massimo agenti e carabinieri negli uffici: nel resto d'Europa sono impiegati "civili" a ricevere le denunce scritte. Mentre da noi ci sono ancora centinaia di poliziotti dietro le scrivanie per la burocrazia di passaporti e permessi di soggiorno. In più ci sono quelli che i sindacati considerano sprechi: «Ogni giorno oltre 2 mila operatori svolgono servizi di scorta. Personale che potrebbe essere in buona parte recuperato per indagini e controllo del territorio». C'è poi la battaglia degli stadi: 2.900 partite di calcio all'anno, che impongono schieramenti massicci per contenere le tifoserie violente. Tra football e cortei di protesta, moltiplicati per le vertenze sindacali nate dalla crisi, nel 2012 i servizi di ordine pubblico hanno impegnato - da quanto risulta a "l'Espresso"- complessivamente 800 mila tra carabinieri, finanzieri e poliziotti. Altri 251 mila servono per i centri di identificazione degli extracomunitari: nel 2011 con 62 mila sbarchi per le rivolte nel Maghreb il peso è diventato enorme. Secondo le stime dei sindacati la spesa è arrivata a 700 milioni, fondi sottratti dal presidio delle metropoli. «La sicurezza deve essere vista come un investimento», conclude Tissone della Cgil. È quello che fanno le banche. «Ogni anno gli istituti di credito spendono 800 milioni per migliorare la protezione e le rapine continuano a diminuire», spiega Marco Iaconis, coordinatore dell'Ossif, il centro di ricerca dell'associazione banche italiane sulla criminalità: «È la sicurezza partecipata, non si può delegare tutto alle forze dell'ordine». Alcune associazioni di commercianti e di imprenditori stanno seguendo l'esempio, finanziando la videosorveglianza di intere strade. Una crescente privatizzazione della protezione. E sarebbe amaro se i tagli allo stato sociale alla fine rubassero anche il diritto della sicurezza.
Fonte: L'Espresso

 

   

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