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Cassazione: indennità di maternità spetta sempre e soltanto ad un solo genitore

Dettagli

 

PREVIDENZA SOCIALE
Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., 15-01-2013, n. 809
Fatto Diritto P.Q.M.
Svolgimento del processo
Con sentenza del 12/10/2009 la Corte d'Appello di Roma ha respinto la domanda d (Lpd), avvocato iscritto alla Cassa Nazionale di Previdenza ed Assistenza Forense e padre adottivo di due minori dal febbraio 2002, volta ad ottenere la liquidazione da detta Cassa dell'indennità di maternità prevista per le madri adottive libere professioniste ai sensi del D.Lgs. n. 151 del 2001, artt. 70 e 72.
La Corte territoriale ha richiamato la sentenza n. 385/2005 della Corte Costituzionale che ha sancito l'illegittimità del D.Lgs. 26 marzo 2001, n. 151, artt. 70 e 72, nella parte in cui non prevedono il principio che al padre spetti di percepire in alternativa alla madre l'indennità di maternità, attribuita solo a quest'ultima.
La Corte d'Appello ha, in particolare, riportato la sentenza citata nella parte in cui la Corte Costituzionale ha osservato che "la previsione che solo alle madri libere professioniste iscritte ad un ente che gestisce forme obbligatorie di previdenza, e non anche al padre libero professionista, sia riconosciuta un'indennità di maternità (art. 70), (estesa dall'art. 72, comma 1, all'ipotesi di adozione o affidamento, laddove l'art. 31 del medesimo D.Lgs. n. 151 del 2001, stabilisce, per il caso di adozione o affidamento, che il congedo di maternità di cui ai precedenti art. 26, comma 1, e art. 27, comma 1, nonchè il congedo di paternità di cui all'art. 28 spettano, a determinate condizioni, anche al padre lavoratore) rappresenta un vulnus sia del principio di parità di trattamento tra le figure genitoriali e fra lavoratori autonomi e dipendenti, sia del valore della protezione della famiglia e della tutela del minore, apparendo discriminatoria l'assenza di tutela che si realizza nel momento in cui, in presenza di una identica situazione e di un medesimo evento, alcuni soggetti si vedono privati di provvidenze riconosciute, invece, in capo ad altri che si trovano nelle medesime condizioni".
La Corte territoriale ha, tuttavia, escluso il diritto del ricorrente all'indennità richiesta non avendo egli allegato ,nè tantomeno dimostrato,che l'indennità in questione veniva richiesta in alternativa alla madre adottiva, lavoratrice subordinata dipendente della soc (Lpd).
Avverso detta sentenza propone ricorso in Cassazione l'avv. A. F. formulando tre motivi di censura. Si costituisce la Cassa Naz. P.A. Forense con controricorso. Il ricorrente ha depositato memoria ex art. 378 c.p.c..
Motivi della decisione
Con il primo motivo il ricorrente denuncia violazione di legge (art. 132 c.p.c.) per avere la Corte d'Appello, equivocando sul tenore della richiesta avanzata dalla parte appellante, ritenuto che questa avesse sollevato questione di legittimità costituzionale del D.Lgs. n. 151 del 2001, art. 70, mentre era stata formulata solo una richiesta di lettura costituzionalmente orientata della norma nel senso del riconoscimento del suo diritto all'indennità di maternità cumulativamente con quello goduto dalla madre dipendente dell'(Lpd).
La Corte territoriale, richiamando soltanto la sentenza n. 385/2005 della Corte Costituzionale, non aveva dato adeguata motivazione violando l'art. 132 c.p.c.. Aveva infatti respinto la domanda perchè la corte costituzionale aveva stabilito il principio dell'alternatività del godimento del contributo fra genitori entrambi liberi professionisti, mentre il thema decidendum era se fosse o meno legittimo che il regime del cumulo del suddetto beneficio con quello previsto per i lavoratori dipendenti si applicasse solo a quelle coppie nelle quali la madre fosse libero professionista ed il padre lavoratore dipendente.
Con il secondo motivo denuncia violazione e/o falsa applicazione di norme di diritto (D.Lgs. n. 151 del 2001, artt. 70, 71, 72). La Corte non aveva compreso la questione sollevata e che cioè la regola dell'incumulabilità delle indennità non vigeva per le coppie miste, dipendente-professionista, in cui la madre è libera professionista, ma non il contrario. Era evidente la disparità di trattamento in quanto è consentito alle sole professioniste di sommare il beneficio erogato loro dalla Cassa con quello previdenziale goduto dal marito lavoratore dipendente, dell'astensione dal lavoro. Rileva che la sentenza della Corte Costituzionale n. 385/2005 aveva eliminato ogni disparità di trattamento tra padri e madri liberi professionisti con la conseguenza che l'accoglimento della richiesta dell'odierno ricorrente doveva essere automatica.
Con il terzo motivo denuncia omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo avendo errato nel ritenere manifestamente infondata la questione di costituzionalità del D.Lgs. n. 151 del 2001, artt. 70 e 72. Il ricorrente osserva che la Corte territoriale non ha valutato che la sentenza citata della Corte Costituzionale si riferiva all'ipotesi in cui entrambi i genitori fossero liberi professionisti e aveva sancito, in tal caso, il principio del divieto di cumulo dei benefici. Rileva che invece nel caso di coppie costituite da madre professionista e da padre dipendente la cumulabilità dei benefici era ammessa, ma tale cumulabilità non era possibile in caso inverso in cui fosse il padre libero professionista. Il ricorrente ha chiesto, pertanto, il riconoscimento del suo diritto all'indennità e ciò sulla base di una interpretazione costituzionalmente orientata degli artt. 70 e 72 citati o, comunque, ha chiesto la rimessione della questione alla Corte Costituzionale.
Le censure, congiuntamente esaminate per la loro connessione, sono infondate. Il primo motivo di censura circa la violazione dell'art. 132 c.p.c., è infondato atteso che il ricorrente lamenta, da un lato, l'erronea interpretazione della domanda e, dunque, il richiamo alla violazione dell'art. 132 c.p.c., non risulta conferente in quanto l'interpretazione del contenuto della domanda costituisce un accertamento in fatto rimesso al giudice del merito insindacabile in cassazione se non sotto il profilo della correttezza della motivazione della decisione. Dall'altro lato il ricorrente lamenta che la sentenza impugnata non ha dato risposta alla questione dallo stesso sollevata. In realtà la sentenza ha motivato che l'indennità di maternità può essere concessa solo ad uno dei due genitori ed ha ritenuto infondata la questione di legittimità costituzionale prospettata dall'appellante, quantomeno nella sua formulazione iniziale contenuta nel ricorso davanti al tribunale (anteriormente alla pronuncia della Corte Costituzionale n. 385/2005) secondo cui era illegittima la mancata previsione della corresponsione dell'indennità di maternità al padre libero professionista (a prescindere, pertanto, dalla questione se detta indennità fosse o meno già goduta da parte della madre).
Del pari sono infondati gli ulteriori vizi denunciati.
Devono, in primo luogo , richiamarsi alcuni principi disciplinanti la materia enucleabili dalla sentenza della Corte Costituzionale (n. 385/2005) che ha esteso anche al padre professionista la possibilità di godere dell'indennità di maternità in luogo della madre professionista, indennità che l'art. 72 della legge citata limitava alla sola madre. La Corte Costituzionale ha affermato che "nelle ipotesi di affidamento o di adozione, l'astensione dal lavoro non è finalizzata alla tutela della salute della madre ma mira in via esclusiva ad agevolare il processo di formazione e crescita del bambino". La Corte ha altresì precisato che "il fine precipuo dell'istituto in caso di adozione e affidamento è rappresentato dalla garanzia di una completa assistenza al bambino nella delicata fase del suo inserimento nella famiglia". Ha sottolineato, poi, che spetta ai genitori, ai quali è attribuita la possibilità di alternarsi nel godimento di tali benefici e di accordarsi per un'organizzazione familiare e lavorativa meglio rispondente alle esigenze di tutela della prole, la scelta di chi debba assentarsi dal lavoro per assistere al bambino.
Ad ulteriore chiarimento di quanto sopra la successiva pronuncia della Corte Costituzionale n. 285/2010, con riferimento alla filiazione biologica, ha precisato che le norme poste direttamente a protezione di detta filiazione biologica, oltre ad essere finalizzate alla protezione del nascituro, hanno, diversamente dal caso di adozione e di affidamento, come scopo la tutela della salute della madre nel periodo anteriore e posteriore al parto risultando quindi che la posizione della madre non è assimilabile a quella del padre tanto che il padre ha diritto di astenersi dal lavoro per tutta la durata del congedo per maternità o per la parte residua che sarebbe spettata alla lavoratrice in caso di morte o di grave infermità della madre o di abbandono nonchè in caso di affidamento esclusivo al padre, ma non può essergli riconosciuta alcuna indennità al di fuori di tali casi.
Evidenziate, pertanto, le distinzioni esistenti tra le ipotesi di adozione e quelle di filiazione biologica e che, in relazione alla prima ipotesi, la disciplina dell'indennità di maternità risponde all'interesse primario della prole, l'esame della citata normativa consente di affermare che è ritenuto adeguatamente tutelato tale interesse della prole attribuendo ad uno soltanto dei genitori l'indennità in esame. I principi che regolano la normativa in esame, come modificata dagli interventi della Corte Costituzionale, possono, infatti, essere sintetizzati in quello della alternatività tra i due genitori e della loro fungibilità e ciò è espressamente previsto per le coppie composte da entrambi i genitori dipendenti cfr. in tal senso il D.Lgs. n. 151 del 2001, art. 28, che attribuisce l'indennità di maternità al padre ove non richiesta dalla madre lavoratrice), ma non vi sono ragioni per discostarsene in caso di coppie in cui un genitore è libero professionista trattandosi di situazioni omogenee nelle quali l'interesse primario da tutelare è e rimane quello della prole e quello di facilitare il suo inserimento nella nuova famiglia.
Alla luce delle suddette considerazioni non trova giustificazione il riconoscimento richiesto dal ricorrente dell'indennità di maternità essendo pacifico che di detta indennità ne ha goduto la madre, dipendente dell'(Lpd).
Quanto alla denuncia di incostituzionalità della normativa in esame il ricorrente fonda la sua eccezione su un presunto diritto della madre libera professionista di percepire l'indennità anche in caso di analoga corresponsione al padre dipendente. Un analogo diritto non sarebbe previsto nel caso in cui fosse il padre ad essere libero professionista e da qui la denuncia di disparità di trattamento tra madre e padre professionisti.
Il ricorrente, tuttavia, non indica la norma che attribuisce il diritto della donna professionista alla cumulabilità dei trattamenti in materia con quelli goduti dal padre lavoratore dipendente, cumulabilità che è espressamente esclusa per i lavoratori dipendenti e per le coppie di professionisti alla luce della giurisprudenza costituzionale e che, dunque, non sarebbe giustificata avuto riguardo ai principi della fungibilità e dell'alternatività che presiedono alla disciplina e, comunque all'identità di interessi tutelati nelle due ipotesi di lavoro subordinato e di libera professione.
Il ricorrente ha richiamato l'affermazione contenuta nella sentenza del Tribunale secondo il quale la regola della incumulabilità delle indennità non vige per le coppie miste (costituite cioè da madre professionista e da padre dipendente), ma la stessa sentenza citata evidenziava che ciò era dovuto ad una disfunzione del sistema e non dunque ad un diritto riconosciuto alla donna e non al padre, nè tanto meno enucleabile dagli artt. 70 e 72 citati. Questi ultimi, infatti, come si è detto sono regolati da principi ben diversi della alternatività e della fungibilità.
La sollevata questione di legittimità costituzionale appare, pertanto, inammissibile.
La particolarità della questione trattata e la sua complessità giustificano la compensazione delle spese di causa.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e compensa le spese processuali.

   

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