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Divieto delle associazioni di carattere militare

Dettagli

  

FORZE ARMATE   -   SICUREZZA PUBBLICA
Corte cost., Ord., 09-11-2011, n. 296
Fatto - Diritto P.Q.M.
Svolgimento del processo - Motivi della decisione
ORDINANZA
Nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 2268, comma 1, numero 297, del decreto legislativo 15 marzo 2010, n. 66 (Codice dell'ordinamento militare) e dell'art. 14, comma 14, della legge 28 novembre 2005, n. 246 (Semplificazione e riassetto normativo per l'anno 2005), promosso dal Tribunale di Verona nel procedimento penale a carico di A. L. ed altri con ordinanza del 10 dicembre 2010, iscritta al n. 82 del registro ordinanze 2011 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 20, prima serie speciale, dell'anno 2011.
Udito nella camera di consiglio del 5 ottobre 2011 il Giudice relatore Giorgio Lattanzi.
Ritenuto che, con ordinanza emessa il 10 dicembre 2010 (r.o. n. 82 del 2011), il Tribunale di Verona ha sollevato, in riferimento agli artt. 76, 18 e 25 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell'art. 2268 del decreto legislativo 15 marzo 2010, n. 66 (Codice dell'ordinamento militare), nella parte in cui, al numero 297 del comma 1, abroga il decreto legislativo 14 febbraio 1948, n. 43 (Divieto delle associazioni di carattere militare);
che, con la medesima ordinanza, il giudice a quo ha sollevato, in via subordinata, questione di legittimità costituzionale, per violazione dell'art. 76 Cost., dell'art. 14, comma 14, della legge 28 novembre 2005, n. 246 (Semplificazione e riassetto normativo per l'anno 2005) e, per l'effetto, dell'art. 2268 del citato d.lgs. n. 66 del 2010, nella parte in cui, al numero 297 del comma 1, abroga il d.lgs. n. 43 del 1948;
che il giudice a quo procede nei confronti di più persone imputate del reato previsto dall'art. 3 (rectius: dall'art. 1) del d.lgs. n. 43 del 1948, in riferimento all'azione dell'associazione denominata "Camicie verdi", poi confluita nell'associazione denominata "Guardia Nazionale Padana";
che, ricorda il rimettente, il d.lgs. n. 43 del 1948, entrato in vigore il 17 febbraio 1948, è stato confermato nella sua vigenza dal decreto legislativo 1° dicembre 2009, n. 179 (Disposizioni legislative statali anteriori al 1° gennaio 1970, di cui si ritiene indispensabile la permanenza in vigore, a norma dell'articolo 14 della legge 28 novembre 2005, n. 246), adottato in forza della delega conferita al Governo dalla legge 28 novembre 2005, n. 246, per individuare le norme anteriori al 1970 da mantenere in vigore;
che il successivo d.lgs. n. 66 del 2010, con il quale è stato introdotto il Codice dell'ordinamento militare, all'art. 2268, comma 1, ha abrogato una serie di atti normativi specificamente elencati, tra i quali, al numero 297, è compreso anche il d.lgs. n. 43 del 1948;
che il d.lgs. n. 66 del 2010 trova la propria legittimazione nella legge delega n. 246 del 2005 e, in particolare, nei commi 14 e 15 dell'art. 14, che non attribuirebbero al Governo il potere abrogativo esercitato;
che, infatti, il potere delegato conferito dall'art. 14, comma 14, della legge n. 246 del 2005 si sarebbe già esaurito con l'emanazione del d.lgs. n. 179 del 2009, che aveva mantenuto in vigore il d.lgs. n. 43 del 1948;
che il comma 15 dell'art. 14 della medesima legge attribuirebbe al Governo solamente una delega alla semplificazione o al riassetto delle norme mantenute in vigore, anche al fine di armonizzarle con quelle pubblicate successivamente al 1° gennaio 1970;
che, inoltre, la norma incriminatrice abrogata detterebbe una disposizione direttamente attuativa dell'art. 18 Cost., perché se il precetto costituzionale «non impone la previsione di una sanzione e, men che meno, di una sanzione penale», tuttavia l'abrogazione della norma che ne costituisce la concreta attuazione farebbe sì che la condotta vietata dalla Costituzione diventerebbe «lecita per l'ordinamento penale, non essendo sanzionata da altre norme penali»;
che il rimettente propone, in via subordinata, la questione di legittimità costituzionale dell'art. 14, comma 14, della legge n. 246 del 2005 per violazione dell'art. 76 Cost., con conseguente illegittimità costituzionale della norma abrogatrice impugnata in via principale, perché la legge delega sarebbe «totalmente muta in ordine al settore nel quale il Governo è chiamato a legiferare, in quanto a fronte di una deliberata abrogazione di tutte le norme anteriori ad una certa data senza distinzione di materie, il Governo è stato delegato a scegliere quali pregresse discipline normative mantenere in vigore»;
che inoltre, secondo il giudice a quo, i criteri e principi direttivi della legge delega sarebbero del tutto privi del requisito della determinazione, risolvendosi in gran parte «in prospettazioni prive di contenuto concreto ed effettivamente delimitante del potere delegato»;
che la questione sarebbe rilevante nel giudizio principale, perché se la norma impugnata fosse legittima «il presente procedimento dovrebbe concludersi con una sentenza immediata di improcedibilità per intervenuta abrogazione», laddove, in caso contrario, «dovrebbe proseguire per pervenire ad una pronuncia di merito, anche eventualmente in applicazione dell'art. 2 cod. pen.»;
che, muovendo dall'analisi della giurisprudenza costituzionale in tema di sindacato di legittimità sulle norme penali di favore, il giudice a quo rileva come non possa escludersi, nel caso di una norma direttamente e integralmente abrogativa di una fattispecie di reato, il sindacato costituzionale, in quanto altrimenti verrebbero a residuare aree dell'ordinamento ad esso sottratte;
che in ogni caso, anche «ritenendo che la riserva di legge di cui all'art. 25, secondo comma, Cost., precluda alla Corte costituzionale un sindacato sulle leggi abrogative di reati», tale orientamento non potrebbe trovare applicazione nel caso di specie, in cui «la pronuncia che è richiesta alla Corte è diretta espressamente a riaffermare il principio della riserva di legge di cui all'art. 25, secondo comma, Cost., violato proprio dall'illegittimo intervento di un organo diverso dal Parlamento»;
che diversamente si produrrebbe l'effetto di legittimare «la violazione del medesimo principio ad opera del Governo in carenza assoluta del relativo potere».
Considerato che il Tribunale di Verona dubita, in riferimento agli artt. 76, 18 e 25 della Costituzione, della legittimità costituzionale dell'art. 2268, comma 1, numero 297, del decreto legislativo 15 marzo 2010, n. 66 (Codice dell'ordinamento militare), nella parte in cui abroga il decreto legislativo 14 febbraio 1948, n. 43 (Divieto delle associazioni di carattere militare), e in via subordinata, in riferimento all'art. 76 Cost., della legittimità costituzionale dell'art. 14, comma 14, della legge 28 novembre 2005, n. 246 (Semplificazione e riassetto normativo per l'anno 2005) e, per l'effetto, dell'art. 2268, comma 1, numero 297, del citato d.lgs. n. 66 del 2010, nella parte in cui abroga il d.lgs. n. 43 del 1948;
che, successivamente all'ordinanza di rimessione, è entrato in vigore il decreto legislativo 13 dicembre 2010, n. 213 (Modifiche ed integrazioni al decreto legislativo 1° dicembre 2009, n. 179, recante disposizioni legislative statali anteriori al 1° gennaio 1970, di cui si ritiene indispensabile la permanenza in vigore), adottato anch'esso, secondo quanto precisato nel suo preambolo, in attuazione della delega conferita con «la legge 28 novembre 2005, n. 246, recante semplificazione e riassetto normativo per l'anno 2005, e successive modificazioni»;
che detto decreto delegato, all'art. 1, stabilisce che «Ai fini e per gli effetti dell'articolo 14, commi 14, 14-ter e 18, della legge 28 novembre 2005, n. 246, e successive modificazioni, al decreto legislativo 1° dicembre 2009, n. 179, sono apportate le seguenti modificazioni (...) b) dall'Allegato 1 sono espunte le disposizioni legislative statali indicate nell'Allegato B al presente decreto», tra cui è inserito il d. lgs. n. 43 del 1948;
che il comma 14-ter dell'art. 14 della legge n. 246 del 2005, come modificato dall'art. 4 della legge 18 giugno 2009, n. 69 (Disposizioni per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività nonché in materia di processo civile), stabilisce che «fatto salvo quanto stabilito dal comma 17 [che individua le categorie di disposizioni legislative destinate a rimanere in vigore], decorso un anno dalla scadenza del termine di cui al comma 14, ovvero del maggior termine previsto dall'ultimo periodo del comma 22, tutte le disposizioni legislative statali non comprese nei decreti legislativi di cui al comma 14, anche se modificate con provvedimenti successivi, sono abrogate»;
che di conseguenza l'art. 1 del d.lgs. n. 213 del 2010, nel prevedere che dall'Allegato 1 del d.lgs. n. 179 del 2009 - con cui il Governo ha esercitato la delega conferita dall'art. 14, comma 14 e seguenti, della legge n. 246 del 2005, individuando le disposizioni legislative anteriori al 1970 da mantenere in vigore - è espunto il d.lgs. n. 43 del 1948, ne determina l'abrogazione;
che, insomma, in epoca successiva all'ordinanza di rimessione, è stata emanata una disposizione che reitera l'effetto abrogativo del d. lgs. n. 43 del 1948, già realizzato con la norma censurata nel presente giudizio di costituzionalità (l'art. 2268 del d.lgs. 15 marzo 2010, n. 66);
che, a fronte di questo ius superveniens, spetta al giudice rimettente la valutazione circa la perdurante rilevanza e non manifesta infondatezza delle questioni sollevate;
che va disposta, pertanto, la restituzione degli atti al giudice a quo, perché valuti la rilevanza delle questioni alla luce del mutato quadro normativo (ex multis, ordinanze n. 239 e n. 237 del 2011).
P.Q.M.
LA CORTE COSTITUZIONALE
ordina la restituzione degli atti al Tribunale di Verona.

   

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