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Guardia di Finanza: Fornire ad un pregiudicato un tabulato delle risultanze penali, presenti nel CED interforze del Ministero dell'Interno, a carico di quest'ultimo

Dettagli

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FORZE ARMATE   -   GUARDIA DI FINANZA   -   IMPIEGO PUBBLICO
Cons. Stato Sez. IV, Sent., 07-11-2012, n. 5672
Fatto Diritto P.Q.M.
Svolgimento del processo
Il signor (Lpd) (Lpd), brigadiere della Guardia di Finanza, è stato rinviato a giudizio per i reati di cui agli artt. 326, 378 e 61, n. 9, c.p., per aver fornito a un pregiudicato il tabulato meccanografico riguardante la stampata di una interrogazione al terminale del Ministero dell'interno, relativa al nominativo di quest'ultimo. Prosciolto per intervenuta prescrizione, è stato sottoposto a procedimento disciplinare, all'esito del quale gli è stata comminata la sanzione della perdita del grado per rimozione. Esperito ricorso gerarchico, con separati ricorsi ha quindi impugnato di fronte al giudice amministrativo dapprima il provvedimento di rimozione e il silenzio rigetto del ricorso stesso; quindi la determinazione di reiezione del ricorso gerarchico.
Con sentenza 16 marzo 2012, n. 857, il Tribunale amministrativo regionale per la Lombardia, Sez. IV, riuniti i ricorsi, li ha accolti, annullando gli atti impugnati e ordinando all'Amministrazione di provvedere alla reintegrazione in servizio del ricorrente e alla ricostruzione della carriera.
L'Amministrazione ha interposto appello contro la sentenza, chiedendone anche la sospensione dell'efficacia.
L'Amministrazione sostiene che, diversamente da quello che ha ritenuto la sentenza impugnata, il procedimento disciplinare sarebbe stato avviato nei termini di legge, che decorrerebbero non dalla data di una generica informazione (come nel caso di specie sarebbe avvenuto), ma da quella in cui è raggiunta una conoscenza certa di tutti gli elementi costitutivi dell'addebito.
Il (Lpd) si è costituito in giudizio per resistere all'appello, riproponendo anche i motivi dell'originario ricorso dichiarati assorbiti in primo grado. Sostiene in particolare che:
• sarebbe erronea l'affermazione dell'Amministrazione di non aver potuto dar corso al procedimento disciplinare prima della definizione della vicenda giudiziaria, posto che - ai sensi dell'art. 117 del D.P.(Lpd) 10 gennaio 1957, n. 3 - solo l'inizio dell'azione penale impedisce l'inizio, o obbliga alla sospensione, di quella disciplinare;
• sarebbe stato violato il combinato disposto degli artt. 5 e 10 della L. 27 marzo 2001, n. 97, in quanto - tenendo conto della sentenza della Corte costituzionale 25 luglio 2002, n. 394, e secondo la giurisprudenza della Corte di Cassazione - il termine per l'esercizio dell'azione disciplinare a seguito di sentenza penale non decorrerebbe dalla comunicazione della sentenza ma da quello dell'acquisita conoscenza dei fatti, se antecedente;
• dovendosi applicare tale norma, e non quella dell'art. 97, comma 3, del d.P.(Lpd) n. 3 del 1957, in ogni caso la contestazione sarebbe dovuta avvenire entro il 26 giugno 2006 (la sentenza del G.I.P. è divenuta definitiva il precedente 26 marzo), mentre la contestazione risale al successivo 18 settembre;
• sarebbe stato violato l'art. 9 della L. 7 febbraio 1990, n. 19, a detta del quale il termine a disposizione dell'Amministrazione per avviare e concludere il procedimento disciplinare non può complessivamente eccedere i 270 giorni dalla data in cui la sentenza è divenuta irrevocabile;
• infine il provvedimento espulsivo irragionevolmente non avrebbe tenuto conto dell'assenza di risonanza pubblica del fatto; della non compromissione del prestigio e dell'affidabilità dell'Amministrazione; della complessiva personalità dell'originario ricorrente e dei suoi precedenti di carriera; della mancata applicazione della misura della sospensione precauzionale dal servizio.
Alla camera di consiglio del 3 luglio 2012, sull'accordo delle parti, la causa è stata rinviata al merito.
All'udienza pubblica del 23 ottobre 2012, l'appello è stato chiamato e trattenuto in decisione.
Motivi della decisione
1. La sentenza impugnata ha accolto i ricorsi ritenendo il procedimento disciplinare avviato tardivamente, in violazione dell'art. 103, comma 2, del D.P.(Lpd) 10 gennaio 1957, n. 3.
1.1 La norma prescrive che "l'ufficio del personale che abbia comunque notizia di una infrazione disciplinare commessa da un impiegato svolge gli opportuni accertamenti preliminari e, ove ritenga che il fatto sia punibile con la sanzione della censura, rimette gli atti al competente capo ufficio; negli altri casi contesta subito gli addebiti all'impiegato invitandolo a presentare le giustificazioni."
La questione, dunque, riguarda l'interpretazione da darsi alla parola "subito", in relazione alla prescritta tempestività della contestazione degli addebiti disciplinari.
1.2 A questo proposito, è consolidata la giurisprudenza secondo cui la locuzione in questione non si riferisce a un termine prestabilito e vincolante, ma a un termine ragionevole e non dilatorio, da valutare secondo il caso concreto, entro il quale il procedimento disciplinare deve essere iniziato dall'Amministrazione, tenendo conto degli accertamenti preliminari e delle verifiche che il fatto rilevante disciplinarmente comporta (cf(Lpd) ex plurimis Cons. Stato, Sez. IV, 30 gennaio 2009, n. 517; Id., Sez. IV, 27 dicembre 2010, n. 8284).
Si tratta dunque, essenzialmente, di una questione di fatto.
2. In estrema sintesi, la scansione della vicenda può essere riassunta nei termini che seguono:
l'8 aprile 2000 il Comando della tenenza di (Lpd) della Guardia di finanza comunica al Comando provinciale di essere stato informato dal (Lpd) che, convocato il giorno precedente come teste in un procedimento penale, la sua posizione era cambiata, finendo egli per assumere la posizione di indagato;
il successivo 9 ottobre lo stesso Comando di Tenenza comunica di non essere stato autorizzato dalla Procura della Repubblica "stante il segreto istruttorio, ad effettuare le comunicazioni di rito alla superiore gerarchia";
il 25 marzo 2002 la Procura comunica che il procedimento penale è ancora nella fase delle indagini preliminari e che il Comando della Tenenza è autorizzato a ritirare copia delle dichiarazioni rese in dibattimento dal (Lpd) il 7 aprile 2000, nonché a effettuare le previste comunicazioni;
l'11 ottobre 2005 viene chiesto il rinvio a giudizio del (Lpd);
con sentenza in data 8 febbraio 2006, divenuta irrevocabile il successivo 28 marzo, il (Lpd) è prosciolto per intervenuta prescrizione dei reati;
il 12 settembre 2006 il Comandante regionale della Lombardia ordina l'avvio dell'inchiesta formale;
il 18 settembre 2006 gli addebiti vengono contestati;
con determinazione del 23 febbraio 2007, al (Lpd) viene inflitta la perdita del grado per rimozione.
2.1 Il Tribunale territoriale ritiene che sin dal momento della ricezione della nota della Procura della Repubblica l'Amministrazione fosse in grado di aprire il procedimento disciplinare "in quanto era in grado di conoscere tutti i fatti addebitati al militare". Avendo invece atteso la sentenza di proscioglimento (per prescrizione), la contestazione degli addebiti sarebbe irrimediabilmente tardiva.
Sennonché - come correttamente osserva la difesa erariale - in questo ragionamento si cela un equivoco, poiché l'autorizzazione della Procura aveva per oggetto le dichiarazioni rilasciate dal (Lpd) in un procedimento connesso, mentre solo con il deposito della sentenza di proscioglimento è stato reso disponibile il relativo fascicolo giudiziario, con il complesso di atti processuali dettagliatamente indicati nell'ordine di inchiesta formale.
2.2 Si deve dunque concludere che - come appare chiaramente dagli atti - solo con la sentenza penale l'Amministrazione ha avuto quella piena conoscenza dei fatti che fa decorrere i termini per la contestazione degli addebiti disciplinari. Data la premessa, anche la discussione circa l'effettivo contenuto delle "comunicazioni di rito alla superiore gerarchia" appare inutile. In definitiva, la contestazione dell'addebito, avvenuta nei tempi sopra ricordati, non può considerarsi intempestiva.
3. Quanto poi ai motivi dell'appello incidentale, questi non sono fondati.
3.1 La censura relativa al mancato rispetto dei termini posti dal combinato disposto degli art. 5 e 10 della L. n. 97 del 2001 nonché dell'art. 9 della L. n. 19 del 1990 è destituita di fondamento.
Con riguardo alla normativa vigente all'epoca dei fatti, per le sentenze di condanna, relative ad alcuni specifici delitti contro la pubblica amministrazione, viene in rilievo la L. n. 97 del 2001; per le sentenze di condanna per reati diversi da quelli indicati nella suddetta L. n. 97 del 2001, trova applicazione la L. n. 19 del 1990; per le sentenze di proscioglimento continua a sopravvivere la normativa recata dal D.P.(Lpd) 10 gennaio 1957, n. 3.
Le tre normative sopraindicate prendono in considerazione fattispecie tra loro diverse, alle quali il legislatore attribuisce una differenziata capacità offensiva nei confronti dell' Amministrazione di appartenenza, individuando termini distinti e scansioni temporali specifiche per ognuna delle tre fattispecie.
Discende da ciò che non esiste una normativa generale quanto alla tempistica procedimentale, ma tre distinte regolamentazioni di specie, per cui l'Amministrazione dovrà, a seconda delle evenienze, rispettare quella delle tre che si riferisce alla specifica sentenza concretamente intervenuta (cf(Lpd) Cons. Stato, Sez. IV, 31 dicembre 2007, n. 6809).
3.2 In particolare, allora, si palesa non fondato il rilievo del superamento del lasso temporale tra irrevocabilità della sentenza e adozione dell'atto impugnato, che non potrebbe superare i 270 giorni.
Tale dato non è sufficiente a trarne le conseguenze che l'appellato vorrebbe in punto di estinzione del procedimento disciplinare, in quanto quel termine discende dall'art. 9, comma 2, della L. n. 19 del 1990 che, come prima detto, testualmente disciplina il solo procedimento disciplinare avviato all'esito della sentenza penale di condanna.
Come ha rilevato l'Adunanza Plenaria, un procedimento penale conclusosi con la dichiarazione di estinzione dei reati per intervenuta prescrizione è agevolmente assimilabile alla sentenza penale di patteggiamento, per la quale la stessa Corte costituzionale - nella medesima sentenza (28 maggio 1999, n. 197) in cui ha condiviso la tesi della perentorietà del termine di cui all'art. 9, comma 2, della L. n. 19 del 1990 - ha, tuttavia, escluso che la norma trovi applicazione quando il procedimento disciplinare sia instaurato a seguito di una sentenza che applica la pena su richiesta delle parti (art. 444 c.p.p.), non potendosi escludere, in tal caso, per le particolari modalità del procedimento penale, la necessità di autonomi accertamenti in sede disciplinare (Cons. Stato, Ad. plen., 27 giugno 2006, n. 10).
Pertanto, nel caso di specie, contrariamente a quanto ritenuto dalla parte privata, non si applica il termine finale di cui all'art. 9, comma 2 della citata L. n. 19 del 1990.
3.3 In definitiva, poiché, nella vicenda di cui è causa, viene in questione una sentenza di proscioglimento (per prescrizione), non può che trovare applicazione l'art. 97, comma 3, del d.P.(Lpd) n. 3 del 1957, secondo il quale "il procedimento disciplinare deve avere inizio, con la contestazione degli addebiti, entro 180 giorni dalla data in cui è divenuta irrevocabile la sentenza definitiva di proscioglimento od entro 40 giorni dalla data in cui l'impiegato abbia notificato all'amministrazione la sentenza stessa " (cf(Lpd) Cons. Stato, Sez. IV, 31 dicembre 2007, n. 6809).
In concreto, tali termini appaiono pienamente rispettati (la sentenza diviene irrevocabile il 28 marzo 2006; la contestazione degli addebiti è notificata il successivo 18 settembre).
3.4 Neppure può essere accolta la censura di asserita violazione del principio di proporzionalità con riguardo alla irrogazione della sanzione della perdita del grado per rimozione.
A tale riguardo, va richiamato il consolidato orientamento - al quale il Collegio ritiene di aderire in assenza di particolari ragioni di segno contrario - secondo cui è incontestabile l'ampia discrezionalità che connota le valutazioni dell'Amministrazione in ordine alla sanzione disciplinare da infliggere a fronte delle condotte accertate (cf(Lpd) per tutte Cons. Stato, Sez. IV, 15 marzo 2012, n. 1452, ove riferimenti ulteriori).
Su tale premessa, non è né illogica né irragionevole la scelta di irrogare una sanzione destitutoria al sottufficiale della Guardia di Finanza il quale risulti aver fornito un tabulato contenenti dati riservati, proveniente dalla banca dati del Ministero dell'Interno, a un pregiudicato, portandolo a conoscenza dell'eventuale emissione di misure restrittive o provvedimenti cautelari a suo carico e aiutandolo a sottrarsi alle indagini. Infatti la condotta rimproverata è del tutto inammissibile, perché costituisce una violazione con gli obblighi assunti con il giuramento di appartenenza e rende del tutto irrilevante qualunque considerazione circa il tenore complessivo della vicenda, i precedenti dell'incolpato, la decisione dell'Amministrazione di non adottare la misura della sospensione precauzionale dal servizio. Tale condotta, in definitiva, giustifica la sanzione espulsiva ai sensi del combinato disposto degli artt. 60 e 63 della L. 31 luglio 1954, n. 599 (sottoposto peraltro anche al giudizio della Corte costituzionale e da questa dichiarato legittimo - si rammenti - con sentenza 24 luglio 1995, n. 356).
4. Dalle considerazioni che precedono discende la fondatezza dell'appello dell'Amministrazione e l'infondatezza dell'appello incidentale della parte privata.
Considerata la natura della controversia, sussistono peraltro giustificate ragioni per compensare tra le parti le spese del doppio grado di giudizio.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta), definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, accoglie l'appello principale e respinge l'appello incidentale; per l'effetto, in riforma della sentenza di primo grado, conferma i provvedimenti impugnati.
Compensa le spese.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

   

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