"Ordinamento del personale della Polizia di Stato che espleta funzioni di polizia"

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Categoria: Sentenze - Ordinanza - Parere - Decreto
Creato Sabato, 17 Novembre 2012 00:58
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T.A.R. Lazio (Lpd) Sez. I ter, Sent., 05-11-2012, n. 9027
Fatto Diritto P.Q.M.
Svolgimento del processo
Espone in fatto il ricorrente, già Ispettore capo r.e. della Polizia di Stato in servizio presso il Posto Polfer di (Lpd)
- di essere titolare di un esercizio commerciale gestito dal 1983 dalla convivente;
- di esser stato ritenuto dalla propria amministrazione, oltre che titolare della relativa licenza di commercio, anche effettivo conduttore dell'esercizio stesso e, quindi, in data 28.8.1995, diffidato - ai sensi degli artt.50 e 51 del D.P.R. n. 335 del 1982 - a far cessare detta situazione di incompatibilità;
- di essersi gravato avverso detta intimazione con ricorso proposto innanzi a questo Tribunale e, in atto, sub iudice;
- che il 05.12.1995 gli è stato notificato il provvedimento col quale è stato dichiarato, ai sensi della sopracitate disposizioni, decaduto dall'impiego;
- che tale provvedimento, impugnato col corrente gravame, è viziato da incompetenza, violazione di legge ed eccesso di potere.
L'intimata amministrazione, costituitasi in giudizio per il tramite del Pubblico Patrocinio, ha, con articolata nota contro deduttiva (corredata da documenti d'Ufficio), sostenuto l'infondatezza dell'avverso gravame proponendone la reiezione.
Con Ordinanza nr.579/1996, adottata nella camera di consiglio del 17.3.1996 e che, dagli atti di causa, non risulta appellata, la Sezione ha respinto l'istanza di sospensione interinale degli effetti de(Lpd)nti dal provvedimento di decadenza impugnato.
Successivamente:
in data 27.7.2012: il ricorrente ha depositato nota conclusionale nella quale, oltre a richiamare la preesistente impugnativa azionata avverso la diffida di cui sopra e gli effetti collegati all'eventuale accoglimento della stessa, sostiene di aver deciso di chiudere l'attività commerciale facendo così venir meno il presupposto del provvedimento di decadenza avversato;
in data 27.5.2012: l'amministrazione ha depositato memoria difensiva in cui ripassa in rassegna le censure attoree, ribadendone la loro infondatezza.
All'udienza dell'11.10.2012 la causa è stata trattenuta per la relativa decisione.
Motivi della decisione
I)- Prima di procedere allo scrutinio delle doglianze prospettate nel ricorso introduttivo del corrente giudizio, è opportuno:
a) chiarire che il ricorso nr. 14165/1995, promosso dal (Lpd) avverso la diffida di cui in narrativa si è detto, è stato chiamato all'odierna pubblica udienza e, una volta trattenuto in decisione, respinto sulla base delle considerazioni sviluppate in sentenza che è in corso di redazione;
b) ricostruire, in maniera più articolata e dettagliata, il quadro degli accadimenti che ha preceduto il corrente contenzioso. A tal riguardo va allora rammentato:
- che il fascicolo matricolare del ricorrente dà contezza di una diffida, intimatagli, nel 1974, dal Comandante della Scuola Allievi di P.S. di (Lpd) del (Lpd) (ove il (Lpd), al tempo, prestava servizio), al fine di astenersi "dal consigliare o agevolare l'acquisto di vestiari od altri oggetti da parte degli Allievi del corso di istruzione"; nonché (dà contezza) della punizione disciplinare impartitegli nel 1980 - perché "quantunque diffidato per analogo motivo, faceva ripetutamente commercio in caserma di capi di abbigliamento con gli Allievi ....." - e del successivo trasferimento, per tale motivo,a (Lpd) del (Lpd) (Lpd) (ved. allegati produzione resistente);
- che già nell'anno 1993, di seguito ad un esposto anonimo indirizzato al Dirigente del Compartimento di Polizia Ferroviaria di (Lpd), il ricorrente venne convocato da detto Funzionario cui diede assicurazione che la gestione dell'esercizio era curata esclusivamente dalla convivente e venne avvertito che il permanere della situazione di incompatibilità avrebbe, inevitabilmente, comportato l'adozione dei provvedimenti normativamente previsti;
- che nell'agosto 1994 il ricorrente veniva invitato dal Sindaco di (Lpd) del (Lpd) a rimuovere la situazione di incompatibilità generata tra la (contestuale) professione esercitata e la titolarità, in capo alla sua persona, di un'autorizzazione amministrativa di commercio fisso, con esercizio nella locale via (Lpd) : invito questo rimasto disatteso e che induceva tale Autorità a partecipare l'accaduto, nell'ottobre 1994, al Dip. to Polfer alle cui dipendenze si trovava il ricorrente;
- che in esito a tale avvenimento, l'Ufficio di appartenenza avviava un procedimento disciplinare contestandone l'accaduto al ricorrente che, in propria nota di giustificazioni, escludeva vi fosse norma alcuna che precludesse al sottufficiale di P.S. la titolarità (nominale) di un'azienda;
- che di seguito (ved. nota 22.4.1995 del Comp. to Polfer di (Lpd)) lo stesso Comp. to procedeva ad ulteriori accertamenti riscontrando l'attiva conduzione dell'esercizio commerciale da parte del dipendente (nell'occasione due colleghi non conosciuti dal (Lpd) appuravano che l'esercizio, per tutta un'intera mattinata, era stato condotto dal solo ricorrente che serviva i clienti. Uno degli operanti acquistava anche un capo di vestiario al prezzo di L.25.000);
- che, quindi, il (Lpd) veniva diffidato dal permanere nella sovra delineata situazione di incompatibilità entro il termine ultimo di giorni 15: intimazione rimasta sostanzialmente disattesa in quanto il (Lpd) si limitava ad apporre sul portone d'ingresso del negozio il cartello "CHIUSO PER FERIE" senza curare la restituzione (ovvero la cessione a terzi) della licenza amministrativa e senza provvedere alla cancellazione della sua posizione dal Rec e senza dismettere la partita IVA (come risultato da visure effettuate dall'Ufficio di P.S. il 15 giorno successivo alla notifica della diffida di cui sopra).
II)- La ricostruzione del quadro degli accadimenti sopra delineato (consentita dalla produzione della resistente Amministrazione) agevola la delibazione di cui il Collegio è investito. E così, sin da subito, possibile riscontrare che alcune delle doglianze azionate, prima che infondate, sono smentite in fatto dalla citata produzione documentale. Ci si riferisce:
a) all'assunto, prospettato alle pagg. 5 e 6 del ricorso, laddove il (Lpd) assume che l'Amministrazione avrebbe inesattamente ritenuto applicabile alla sua posizione l'art.50 del D.P.R. n. 335 del 1982 in quanto la concreta gestione dell'esercizio era svolta dalla moglie;
b) all'assunto, prospettato a pag. 6 del ricorso, laddove si deduce l'apoditticità dell'affermazione, riportata nel corpo del provvedimento impugnato, relativa all'avvenuto "accertamento che il dipendente presta attivamente la sua opera presso l'esercizio di sua proprietà".
Orbene entrambi tali assunti sono contraddetti dalla produzione versata in corso di causa dalla p.a. avverso la quale nessuna contestazione è stata mossa dal ricorrente. Né può sostenersi ( ci si riferisce alla censura sub b) che l'amministrazione fosse tenuta ad indicare nel corpo del provvedimento avversato tutte le circostanze e le modalità di indagine tramite le quali è stata riscontrata la fattiva partecipazione del dipendente nell'attività commerciale; e ciò in quanto il provvedimento amministrativo non è tenuto a rappresentare la cronaca degli avvenimenti ed, in ogni caso, l'Ordinamento appresta all'interessato il rimedio dell'accesso agli atti ( di cui il (Lpd) non risulta essersi avvalso) per poter adeguatamente tutelare i suoi diritti ed interessi.
E' altresì' manifestamente infondata la censura allocata nell'ultimo mezzo di gravame laddove il ricorrente lamenta la "scorrettezza dell'azione amministrativa" per avere la p.a. ingenerato nel dipendente, col proprio comportamento permissivo e/o omissivo, il convincimento che un'attività condotta, in un comune di modeste dimensioni, da tredici anni fosse legittima; e cioè per aver fatto sorgere un incolpevole affidamento sulla legittimità dell'attività extraistituzionale praticata.
Qui l'infondatezza della doglianza riposa, oltre che nei precedenti disciplinari del ricorrente, nelle ulteriori circostanze di fatto delineate nel paragrafo precedente laddove è stato evidenziato il preavviso, tempestivamente partecipatogli dal proprio superiore nell'anno 1993, di seguito alla ricezione di un esposto anonimo nonché (è stato evidenziato) il comportamento (in alcun modo definibile omissivo e/o permissivo) tenuto dall'amministrazione all'indomani dell'esposto del Sindaco di (Lpd) del (Lpd).
II.1)- Le ulteriori censure sviluppate in gravame attengono al vizio di incompetenza (in quanto l'atto impugnato è firmato, non dal Ministro come richiede l'art.51 del D.P.R. n. 335 del 1982, ma dal Capo della Polizia) ed a quello di violazione dell'art.50 del D.P.R. n. 335 del 1982 il quale, ad avviso del ricorrente, richiede che l'attività interdetta (esercizio del commercio) venga esplicata in modo abituale e professionale dal dipendente (nel ricorso si sostiene che "quel che interessa è verificare se, in concreto, l'impiegato pubblico vi profonde gran parte o tutte le proprie energie"). Peraltro la figura dell'imprenditore di cui all'art.2082 del cod. civ. va intesa con riferimento ad un'attività concretamente ed effettivamente esercitata, il che non ricorre nel caso di specie.
Quanto alla contestata competenza del Direttore generale della P.S. - Capo della Polizia all'adozione del provvedimento impugnato, valga, a respingere la medesima, sottolineare che, gli articoli contenuti nel Titolo I, capo II (dirigenza) del D.Lgs. n. 29 del 1993 (ratione temporis vigente all'epoca dei fatti), trovano applicazione, per esplicito richiamo contenuto nel comma 1 dell'art.13, a tutte le amministrazioni dello Stato anche ad Ordinamento autonomo; e che, a norma dell'art.14 (Lpd)3 e 16 comma 1 lett.e) l'adozione degli atti di gestione del personale delle pubbliche amministrazioni, tra cui rientra indubitabilmente quello di decadenza dal servizio, spetta al dirigente generale e non più al Ministro. La competenza originariamente attribuita in materia al Ministro è, infatti, limitata alle ipotesi in cui il destinatario del provvedimento sia un dipendente con qualifica di dirigente generale ( Cons. Stato, sez. II, 17 gennaio 1996, n. 878/95, sez. IV^, n.660 del 1995 e n.1474 del 1998). Gli artt.3 e 16 del D.Lgs. n. 29 del 1993, avendo attribuito ai dirigenti tutti gli atti di gestione, hanno, peraltro, implicitamente abrogato l'art.10 del D,.P.R. n. 742 del 1978 trasferendo la competenza alla adozione dei citati atti di gestione, ivi compresa la decadenza dall'impiego, dal ministro ai dirigenti (ved. Cons. St. n.484 del 1998). Correttamente, quindi, il contestato provvedimento di decadenza dal servizio nei confronti del (Lpd), già dipendente del Dipartimento della P.S., è stato adottato dal direttore generale della P.S., dovendosi peraltro sottolineare che le vedute disposizioni del D.Lgs. n. 29 del 1993 sono da ritenersi direttamente attributive del relativo potere in capo ai dirigenti, non necessitando tale attribuzione della intermediazione né degli atti amministrativi di individuazione degli uffici dirigenziali di livello generale né degli atti, parimenti amministrativi, di attribuzione delle competenze ai dirigenti agli stessi preposti, che rivestono, tutti, la natura di atti meramente organizzatori, cui non può certo attribuirsi, pena la sostanziale vanificazione del dettato legislativo ( che ha introdotto una regola generale, immediatamente vincolante per tutte le amministrazioni pubbliche ), carattere autorizzatorio all'esercizio di competenze al dirigente direttamente attribuite dal legislatore (in tal senso, Cons. St. n. 148/2006).
La delibazione della residua censura rende opportuna la previa descrizione del quadro normativo di interesse.
A tal fine vanno richiamati:
- gli artt. da 60 a 64 del D.P.R. n. 3 del 1957 che (art.60) non consentono all'impiegato di esercitare il commercio, l'industria, né alcuna professione o assumere impieghi alle dipendenze di p(Lpd)ti o accettare cariche in società costituite a fine di lucro, tranne che si tratti di cariche in società o enti per le quali la nomina è riservata allo Stato e sia all'uopo intervenuta l'autorizzazione del Ministro competente; e che permettono (art.61) solamente che l'impiegato sia prescelto come perito od arbitro previa autorizzazione del Ministro o del capo ufficio da lui delegato. L'impiegato che si trovi in una soluzione di incompatibilità viene diffidato alla sua rimozione e, decorsi 15 giorni senza che l'incompatibilità sia cessata, decade dall'impiego (art.63);
- gli art.50 e 51 del D.P.R. n. 335 del 1982 che, con riferimento alla specifica categoria di dipendenti pubblici data dagli appartenente alla Polizia di Stato, riproducono, sostanzialmente, le previsioni normativa sopra richiamate;
- l'art.58 del D.Lgs. n. 29 del 1993, che mantiene fermo per tutti i pubblici dipendenti il regime delle incompatibilità già regolamentato dall'art.60 del T.U. n.3 del 1957.
Ora, all'evidenza, le disposizioni degli art.50 e 51 del D.P.R. n. 335 del 1982 si pongono, in quanto inserite nel testo normativo che disciplina l' "Ordinamento del personale della Polizia di Stato che espleta funzioni di polizia", in rapporto di specialità rispetto sia agli artt. da 60 a 64 del T.U. n.3 del 1957 (dei quali, si è detto, ne riproducono sostanzialmente il contenuto), che rispetto all'art.58 del D.Lgs. n. 165 del 2001.
La regolamentazione in questione rinviene la sua ratio e base logica nella peculiarità del rapporto di impiego degli appartenenti alla P.S. che si contraddistingue per l'obbligo di immediata disponibilità a fronteggiare qualsiasi situazione di emergenza per l'ordine pubblico e di ottemperanza in qualsiasi momento (volgarmente si usa l'espressione che l'agente della P.S. è in servizio "h24") agli ordini provenienti dai diretti superiori: rapporto che, quindi, è del tutto incompatibile, quantomeno in linea di principio, con lo svolgimento di attività extraistituzionali e con l'impegno temporale, fisico e mentale che richiederebbe il loro assolvimento. Proprio per tale ragione è stato vietato al personale della Polizia di esercitare il commercio, l'industria, od alcuna professione o assumere impieghi alle dipendenze di p(Lpd)ti o accettare cariche in società costituite a fine di lucro, con la sola eccezione della partecipazione a società cooperative tra impiegati dello Stato e dell'ipotesi in cui il dipendente sia "prescelto come perito od arbitro" ferma, per tale ultima evenienza, la previa autorizzazione del Ministro ovvero del capo dell'Ufficio da lui delegato.
Segue a tanto che le norme del D.P.R. n. 335 del 1982, mirano, in effetti, ad assicurare all'Amministrazione pubblica in via esclusiva l'attività lavorativa del dipendente, onde è irrilevante se l'impresa sia artigiana secondo la definizione dell'art. 2083 Codice civile, o come nella specie rientrante nella definizione dell'art. 2082 del Cod. civile. Si deve al riguardo osservare che:
a) non rileva, per denotare l'illegittimità del provvedimento impugnato, il fatto che il ricorrente abbia svolto regolarmente il suo lavoro impiegatizio, atteso che la norma di cui trattasi mira certamente anche a salvaguardare le energie lavorative del dipendente, ai fini di un miglior rendimento nei confronti della Pubblica amministrazione; e fa ciò configurando un divieto di cumulo di attività nel senso sopra delineato;
b) stante la rilevata incompatibilità dell'attività commerciale svolta, la modestia della stessa e l'assunto che sostanzialmente del relativo lavoro si interessasse la moglie del ricorrente non valgono parimenti a denotare la dedotta illegittimità del provvedimento di decadenza. (cfr., in tal senso, in analoga fattispecie, Cons. St. n.629 del 1993).
Da ultimo deve ritenersi infondata anche la censura, irritualmente sollevata nella memoria da ultimo depositata, in cui il ricorrente sostiene la cessazione dell'attività incompatibile successivamente alla diffida notificatagli.
Al riguardo l'art.63, (Lpd)3 del T.U. n. 3 del 1957 e l'art.51 (Lpd)2 del D.P.R. n. 335 del 1982, comunemente stabiliscono che "" decorsi quindici giorni dalla diffida, senza che l'incompatibilità sia cessata, l'impiegato decade dall'impiego ".Dunque, se è vero che non è sufficiente, per la cessazione della situazione di incompatibilità, la semplice manifestazione della volontà di cessare dalla suindicata situazione, sta di fatto che non risulta manifestata dall'interessato nemmeno tale volontà di dismettere l'attività commerciale incompatibile, accompagnata dalla effettiva cessazione di essa con la richiesta di cancellazione dal Rec e dall'elenco dei titolari di partita IVA. Per converso, come precisato nella memoria difensiva dell'Amministrazione, nessuno di tali contegni è stato attuato come risulta dalle visure richiamate nel precedente paragrafo I) della presente decisione .
Non è pertanto, fondatamente censurabile l'impugnato provvedimento di decadenza, adottato in mancanza del richiesto e tempestivo comportamento dell'impiegato idoneo ad eliminare l'incompatibilità, costituendo esso, come noto, atto dovuto, di natura vincolata (cfr., ex plurimis, Cons. St.n. 2200/2012).
Il ricorso deve essere quindi respinto.
Le spese seguono la soccombenza e vengono poste a carico del ricorrente.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Prima Ter) respinge il ricorso in epigrafe.
Condanna il ricorrente al pagamento delle spese di lite che liquida in Euro3000,00 a beneficio della resistente amministrazione.
Ordina che la presente decisione sia eseguita dall'Autorità amministrativa.