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Pubblica amministrazione - Concorsi - Quale titolo di laurea

Dettagli

    


N. 05351/2012REG.PROV.COLL.
N. 02438/2003

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 2438 del 2003, proposto da:
(Lpd) (Lpd), rappresentata e difesa dall'avv. -

contro
Comune di Roma Capitale, in persona del Sindaco p.t., rappresentato e difeso dall’avvocato -
per la riforma
della sentenza del T.A.R. LAZIO - ROMA: SEZIONE II BIS n. 00596/2002, resa tra le parti, concernente concorso interno per conferimento di 29 posti a primo dirigente amministrativo



Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 13 luglio 2012 il Cons. -
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.



FATTO e DIRITTO



Con bando in data 6.3.1995 il Comune di Roma ha indetto, in esecuzione della deliberazione di Giunta comunale n. 463 del 24.2.1995 un concorso interno per titoli di servizio e di cultura integrato da colloquio, ai sensi dell’art. 28, nono comma, del D.Lgvo 3.2.1993, n. 29, per il conferimento di 29 posti di primo dirigente amministrativo.
Al concorso venivano ammessi a partecipare “i dipendenti dell’area amministrativa e contabile - profilo professionale amministrativo - in possesso del diploma di laurea in giurisprudenza o equipollente ad essa, provenienti dalla ex carriera direttiva dell’Amministrazione che abbiano maturato un’anzianità di nove anni di effettivo servizio nella predetta carriera direttiva”.
La dott.ssa (Lpd) (Lpd), dipendente del Comune di Roma con la settima qualifica funzionale, collocata nell’area socio-sanitaria e in possesso della laurea in sociologia, ha impugnato il bando di concorso e la precedente delibera di (Lpd), deducendone la illegittimità e chiedendone l’annullamento.
La ricorrente sostiene che il bando, nella parte in cui limita l’ammissione al concorso soltanto ai dipendenti in possesso della laurea in giurisprudenza o equipollente e collocati nell’area amministrativa e contabile, sarebbe illegittimo in quanto in contrasto con la disposizione di cui all’art. 28, nono comma, del D.Lgvo 3.2.1993, n. 29, in attuazione della quale il concorso è stato bandito.
La predetta disposizione non prevede , a suo avviso, ulteriori specificazioni e quindi non consente discriminazioni né in ordine al tipo di laurea posseduta né in relazione all’area di provenienza, dovendosi anche considerare che, ancorché collocata in area professionale diversa da quella amministrativo-contabile, ella svolge comunque mansioni amministrative.
L’Amministrazione comunale si è costituita in giudizio, sostenendo l’infondatezza delle censure proposte dalla ricorrente.
Con sentenza del 6.12.2001 il T.A.R. per il Lazio ha respinto il ricorso.
Avverso la sentenza ha prodotto appello la dott.ssa (Lpd) (Lpd) con i seguenti motivi di censura.
1- La disposizione dell’art. 29, IX comma del D. lgs n. 29/1993, che permette alle amministrazioni pubbliche di indire concorsi interni per l’accesso alla qualifica dirigenziale, ha carattere transitorio, per permettere alle professionalità interne alle amministrazioni, uno sviluppo di carriera prima di rendere definitiva ed intangibile l’affermazione del principio che si accede alla qualifica dirigenziale solo attraverso pubblico concorso e ciò nel presupposto che la notevole anzianità di servizio richiesta potesse supplire alla mancanza di un titolo specifico e che il generico possesso di un diploma di laurea (e, quindi, di un’istruzione universitaria) fosse il requisito sufficiente ad essere ammesso alle procedure concorsuali.
2- La qualifica dirigenziale negli enti locali, individuata dal D.lgs. n. 29/1993 e successive modificazioni, non è articolata per profili professionali e mentre il possesso di un particolare diploma di laurea è necessario per svolgere le funzioni direttive di alcuni profili (quali quello tecnico), per svolgere funzioni direttive in genere di cui la ricorrente è stata incaricata sin dalla data di assunzione non ve ne sarebbe bisogno e del resto la stessa amministrazione avrebbe fatto transitare un numero cospicuo di dirigenti farmacisti (cioè laureati in farmacia) nella qualifica dirigenziale unica affidando loro incarichi amministrativi.
3- L’art. 13 del D.lgs. n. 29/1993 escluderebbe per gli Enti locali l’immediata applicabilità delle disposizioni del capo II del titolo II, prevedendone l’applicazione solo previa modifica dei rispettivi ordinamenti.
L’appello è infondato e va rigettato.
Preliminarmente si osserva che non vi sono motivi per discostarsi da quanto ritenuto dal T.A.R. circa l’applicabilità al caso di specie dell’art. 28, comma 9, del D.lgs. n. 29/1993, quanto ai requisiti di ammissione al concorso.
Il Comune di Roma ha infatti recepito tale norma, con delibera commissariale n. 983 del 16.7.1993, prendendo atto del disposto dell’art. 13 del D.lgs. n. 29/1993 e ha inteso così conformarsi, in via complessiva, alla norma generale in materia di concorsi per l’accesso alla dirigenza e quindi della possibilità che siano ammessi alle selezioni solo i dipendenti in possesso di laurea, oltre che della richiesta anzianità di servizio nella ex carriera direttiva della stessa amministrazione.
Tanto premesso, giova evidenziare che la individuazione poi da parte della pubblica amministrazione di specifici tipi di laurea quale requisito di ammissione alla procedura concorsuale per posti dirigenziali non trova limiti nel dettato dell’art. 28 del D.lgs. n. 29/1993.
La norma, nel prevedere la possibilità di partecipazione al concorso pubblico per esami ai soggetti muniti di laurea, non ha inteso affermare la sufficienza di tale titolo di studio, ma ha unicamente individuato la imprescindibile necessità del diploma di laurea per l’accesso alla qualifica dirigenziale, lasciando alla singola amministrazione, in relazione al posto da ricoprire, la concreta individuazione del tipo di laurea ritenuto necessario per la partecipazione al concorso.
Né può ritenersi illegittima la scelta di uno specifico titolo di studio in relazione all’affermato carattere necessario ed imprescindibile delle esperienze maturate e capacità organizzative già dimostrate nelle attività svolte nei profili di appartenenza.
Al riguardo, va in primo luogo evidenziato che la normativa in materia, nel richiedere quale requisito di partecipazione al concorso il possesso sia del titolo di studio che di pregressa esperienza di servizio (elementi minimi entrambi inderogabili e, per l’effetto, non sostituibili l’uno con l’atro), ha inteso attribuire concorrente e pari rilevanza tanto alla qualificazione culturale che alla concreta esperienza professionale del candidato.
Conseguentemente, non risulta illogica o irragionevole la scelta dell’amministrazione la quale, per assicurarsi già in sede di predeterminazione delle regole della procedura concorsuale, la migliore qualificazione possibile in relazione al posto da ricoprire, indirizzi la richiesta di specifici elementi di qualificazione non solo al tipo di servizio già svolto all’interno della pubblica amministrazione, ma al titolo di studio necessario per partecipare al concorso.
Ciò è avvenuto nel caso in esame, laddove, a fronte della “esperienza di servizio ... di almeno nove anni … in posizione di lavoro corrispondente, per contenuto, alle funzioni della ex carriera direttiva del personale degli enti locali…”, la specificità della qualificazione in relazione al posto per il quale il concorso è stato indetto (dirigente amministrativo), è stata indirizzata al diploma di laurea da possedere, individuato nel …”diploma di laurea in giurisprudenza o equipollente”.
Da un punto di vista oggettivo non appare affetta da irragionevolezza la scelta riferita in via esclusiva al diploma di laurea in giurisprudenza (o equipollente), considerato che la stessa risulta la più aderente alle problematiche ed alle complesse materie di ordine giuridico amministrativo da trattare da parte dei dirigenti.
La prescrizione in questione è correlata con lo specifico potere dell’organo politico di conferimento degli incarichi dirigenziali all’interno dell’ente, al fine di consentirne il concreto esercizio.
Invero, la previsione dei requisiti di ammissione e, tra questi, del titolo di studio è finalizzata alla instaurazione di un rapporto di lavoro dirigenziale ad alto contenuto tecnico professionale e non può affermarsi l’esistenza di una qualsiasi omogeneità tra la laurea in giurisprudenza e quella in sociologia.
Allorché, come nel caso di specie, il bando di concorso richieda tassativamente il possesso di un determinato titolo di studio (o equipollente) per l’ammissione ad un concorso pubblico, non è consentita la valutazione di un titolo di studio diverso. Il principio poggia sul dovuto riconoscimento in capo all’Amministrazione che indice la procedura selettiva – ferma la definizione del livello del titolo, affidata alla legge o ad altra fonte normativa – di un potere discrezionale nell’individuazione della tipologia del titolo stesso, da esercitare tenendo conto della professionalità e della preparazione culturale richieste per il posto da ricoprire (Consiglio di Stato, Sez. VI, 19.8.2009, n. 4994).
Legittimamente quindi l’appellante non è stato ammesso alla partecipazione al concorso per la copertura del posto di dirigente amministrativo essendo in possesso di titolo di studio (laurea in sociologia) diverso da quello richiesto dal bando.
Non privo di rilievo è poi quanto evidenziato nella sentenza appellata che il regolamento generale per il personale del Comune di Roma, vigente all’epoca del concorso, prevedeva la possibilità di accesso alla prima qualifica dirigenziale solo per il candidato “in possesso del titolo di studio richiesto e di una esperienza acquisita in posizione di lavoro corrispondenti, per contenuto, alle funzioni della qualifica funzionale immediatamente inferiore al posto messo a concorso…perché acquisita nella stessa area del posto messo a concorso”.
L’appello è pertanto infondato e va rigettato.
Attesa la complessità interpretativa della materia trattata, sussistono giusti motivi per compensare tra le parti le spese di giudizio.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)
definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo rigetta.
Spese compensate tra le parti.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 13 luglio 2012 con l'intervento dei magistrati:


Stefano Baccarini, Presidente
Carlo Saltelli, Consigliere
Nicola Gaviano, Consigliere
Fabio Franconiero, Consigliere
Carlo Schilardi, Consigliere, Estensore




 


 


L'ESTENSORE

IL PRESIDENTE
 


 


 


 


 


DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 18/10/2012
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)

   

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