TFS -..riconoscimento del servizio lavorativo prestato e svolto e/o per il futuro da svolgere..

Dettagli
Categoria: Sentenze - Ordinanza - Parere - Decreto
Creato Sabato, 20 Ottobre 2012 00:44
Visite: 4395

d

C. Conti Toscana Sez. giurisdiz., Sent., 02-08-2012, n. 393
Fatto Diritto P.Q.M.
Svolgimento del processo
1. Con la domanda odierna i ricorrenti in epigrafe chiedevano il riconoscimento del servizio lavorativo prestato e svolto e/o per il futuro da svolgere, con l'aumento di un quinto, e nell'ambito dell'aumento massimo di 5 anni, ai fini del computo del periodo di servizio alle dipendenze dell'Amministrazione Penitenziaria, o della Giustizia Minorile, così come previsto dalle norme pattizie e normative per gli appartenenti al corpo di Polizia Penitenziaria, ex agenti di custodia, e/o ex vigilatrici penitenziarie transitate nei ruoli del corpo di Polizia Penitenziaria, e/o dirigenti penitenziari ex direttori di istituto o servizio penitenziario. Il tutto al fine del trattamento giuridico-economico di quiescenza e di buonuscita.
Sollevavano, altresì, questione di legittimità costituzionale dell'art. 3, ultimo comma, della legge n. 284 del 1977 e successive modifiche, nella parte in cui non prevede espressamente che il diritto all'aumento di un quinto del servizio si applichi anche a tutti i percettori dell'indennità di servizio penitenziario e dell'art. 28 del D.Lgs. n. 63 del 2006, nella parte in cui ha equiparato, ai fini dell'aumento del quinto del servizio, alla Polizia di Stato solo il personale dirigenziale e direttivo dell'Amministrazione penitenziaria già destinatario dell'art. 40 della legge n. 395 del 1990, limitandolo anzi solo ad alcuni dipendenti in ragione della posizione dirigenziale e/o direttiva, ciò asseritamente contrastando, con gli artt. 3 e 97 Cost.
2. Il Ministero della Giustizia, rappresentato e difeso dall'Avvocatura dello Stato, costituito con memoria depositata in data 16.2.2012, e l'I.N.P.S. (ex gestione INPDAP ), costituito con memoria depositata in data 8.6.2012, chiedevano che il ricorso fosse dichiarato inammissibile per difetto di giurisdizione in materia di TFR e nel merito infondato. L'I.N.P.S. chiedeva, anche, che fosse dichiarato il proprio difetto di legittimazione passiva.
3. All'udienza del 21.6.12 il patrono di parte ricorrente insisteva sulla domanda, pur circoscrivendola al rapporto pensionistico, e depositava una nota nella quale chiariva quali fossero i ricorrenti in pensione (M. dall'1.7.2011, A. dall'1.1.2011, C. dall'1.7.2011) e quelli che sarebbero andati in pensione ove fosse stato riconosciuto il beneficio richiesto (B., senza maggiorazione dall'1.2.2017-con maggiorazione dal 2.10.2012; V., senza maggiorazione dall'1.5.2017-con maggiorazione dall'1.1.2008; C., senza maggiorazione dall'1.6.2017-con maggiorazione dall'1.10.09). La causa era trattenuta in decisione.
Motivi della decisione
1. Preliminarmente deve ritenersi non fondata l'eccezione di difetto di legittimazione passiva formulata dall'Inps in virtù della sua posizione di ordinatario secondario di spesa.
Essendo l'istituto un ente che riveste una specifica competenza, ancorché relativa alla fase del pagamento ed alla ordinazione secondaria di spesa, nel procedimento di liquidazione dei trattamenti pensionistici pubblici, la legittimazione passiva del detto Istituto non può essere esclusa a priori, dovendosi ritenere esistente comunque un interesse a contraddire. Occorre del resto osservare che le attribuzioni di "ordinatore principale e secondario di spesa" costituiscono una mera ripartizione di competenza di apparati della pubblica amministrazione, comunque costituenti nel loro complesso la figura di obbligato passivo (così C. conti Sez. III Appello 04.07.2001 n. 175; Sez. Giurisd. Friuli V. Giulia 13.5.2005 n. 335; idem, 11.3.2008 n. 104; Sez. Giurisd. Veneto 24.9.2007 n. 882).
2. Passando all'esame del merito, ad avviso di questo Giudice deve dichiararsi il difetto di giurisdizione in relazione alla richiesta di liquidazione del TFS/ buonuscita con la maggiorazione pretesa, trattandosi di materia devoluta alla giurisdizione del giudice del rapporto di lavoro (GO).
Ai sensi dell'art. 62 del R.D. 12 luglio 1934 n. 1214, la Corte dei conti ha giurisdizione sui ricorsi proposti contro i provvedimenti definitivi di liquidazione di pensione a carico totale o parziale dello Stato e su tutti gli altri ricorsi in materia di pensione, che leggi speciali attribuiscono al giudice contabile. Il trattamento di fine servizio/rapporto ovvero la buonuscita costituisce una retribuzione differita: ne discende che eventuali controversie sul tema sono a tutti gli effetti controversie di lavoro.
3. Passando all'esame della domanda, ritiene questo giudice che la stessa debba essere dichiarata inammissibile, fatta eccezione di quella dei ricorrenti - che deve invece essere respinta.
3.1. In particolare, deve rilevarsi l'assenza di interesse concreto e attuale dei ricorrenti in servizio ad agire in giudizio e, quindi, a vedersi riconosciuto un beneficio sul trattamento pensionistico di cui godrebbero in un futuro lontano, dopo la cessazione dal servizio. Pertanto, fatta esclusione dei ricorrenti già in pensione (-) e di quelli che sarebbero già in pensione ove fosse stato calcolato il beneficio de quo (-), la domanda deve essere dichiarata inammissibile per difetto di interesse ad agire ai sensi dell'art. 100 c.p.c.
Si rammenta che per proporre una domanda, anche se limitata all'an debeatur, occorre che sussista l'interesse ad agire (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 5074 del 2007 anche in motivazione; Cass. 19 agosto 2000 n. 11010), che costituisce un requisito della domanda, consistente nell'esigenza di ottenere un risultato utile giuridicamente apprezzabile e non conseguibile senza l'intervento del giudice (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 5074 del 05/03/2007; Cass. Sez. un., 10 agosto 2000, n. 565).
Detto interesse, in particolare, è da escludere quando il giudizio sia strumentale alla soluzione soltanto in via di massima od accademica di una questione di diritto in vista di situazioni future, come quelle dedotte, appunto, nella specie, o meramente ipotetiche (Cass. 19 agosto 2000, n. 11010). Del resto, poiché la tutela giurisdizionale è tutela di diritti, il processo, salvo casi eccezionali predeterminati per legge, può essere utilizzato solo come fondamento di un diritto fatto valere in giudizio e non di per sé, per gli effetti possibili e futuri (Cass. Sez. L. , Sentenza n. 24434 del 23/11/2007). L'interesse del ricorrente/attore deve avere necessariamente carattere attuale (Cass. Sez. Un. 15.1.1996, n. 264; Cass. 18.4.2002, n. 5635), poiché solo in tal caso trascende il piano di una mera prospettazione soggettiva assurgendo a giuridica ed oggettiva consistenza, e resta invece escluso quando il giudizio sia strumentale alla soluzione soltanto in via di massima o accademica di una questione di diritto in vista di situazione future o meramente ipotetiche (Cass. Sez. L. Sentenza n. 24434 del 23.11.2007). 3.2. Per quanto riguarda i ricorrenti, per i quali - come detto - può ritenersi sussistente l'interesse ad agire, la domanda non merita accoglimento, poiché infondata.
Non può negarsi che il ricorso è articolato in modo alquanto generico, poiché non chiarisce sul punto le funzioni svolte nel concreto da ciascun ricorrente al fine di evidenziare l'asserito stato di disagio che li assimilerebbe al personale di polizia penitenziaria, limitandosi a dichiarare che costoro operano con trattamento diretto e/o strumentale dei detenuti con finalità di custodia, trattamento e recupero. Nonostante la eccessiva genericità, questo Giudice ritiene comunque che la domanda sia infondata e che le argomentazioni svolte dalle amministrazioni resistenti siano assolutamente condivisibili.
Come noto, la materia relativa alle indennità a favore dei dipendenti dell'Amministrazione penitenziaria è stata regolamentata da varie normative (L. n. 967/69, artt. 1 e 2; L. n. 1054/70, artt. 1 e 3; L. n. 284/77, artt. 1 e 3; L. n. 65/83, artt. 1 e 2), tutte egualmente chiare nel distinguere due tipi di indennità: l'indennità di istituto a favore del personale militare e l'indennità di servizio penitenziario per il personale civile.
In particolare, l'art. 3 della L. n. 284/77, al primo comma, richiamando gli art. 1 e 9 della stessa legge, indica espressamente le categorie alle quali spetta l'aumento del quinto sulla liquidazione o riliquidazione delle pensioni: funzionari di pubblica sicurezza, appartenenti al Corpo di polizia femminile, personale dell'Arma dei Carabinieri e dei Corpi della Guardia di Finanza, guardie di pubblica sicurezza, agenti di custodia, sottoufficiali, guardie scelte e guardie del Corpo forestale dello Stato (art. 1 L. n. 284/77); personale direttivo con qualifica dirigenziale, altro personale facente parte della carriera direttiva (art. 9, L. n. 284/77).
Dall'elenco appena riproposto emerge che il personale civile dell'Amministrazione penitenziaria non è destinatario del beneficio dell'aumento di un quinto, a fini pensionistici e previdenziali, in relazione al servizio prestato presso la stessa amministrazione.
Anche la Legge n. 34/84 (Copertura finanziaria del decreto del Presidente della Repubblica di attuazione dell'accordo contrattuale triennale relativo al personale della polizia di Stato, estensione agli altri Corpi di polizia, nonché concessione di miglioramenti economici al personale militare escluso dalla contrattazione), all'art. 3, 2° comma, prevede che "L'indennità mensile pensionabile è altresì valutabile ai fini del beneficio di cui all'articolo 3, ultimo comma, della legge 27 maggio 1977, n. 284, limitatamente al personale della Polizia di Stato e delle altre Forze di polizia che espletano finzioni di polizia. Detto beneficio viene comunque conservato dal personale della polizia di Stato in servizio al 25 aprile 1981".
Il quadro normativo in materia risulta - come evidenziato dall'avvocatura dello Stato - inequivoco: i benefici previdenziali sono attribuiti in maniera diversa a seconda che si tratti della categoria del personale militare e dirigenziale o della categoria del personale civile delle amministrazioni penitenziarie.
Una pronuncia volta all'attribuzione della maggiorazione di un quinto dell'indennità di servizio penitenziario, come richiesto dai ricorrenti, sarebbe, al più, ammissibile in caso di vuoto normativo, ma non nel caso in esame in cui espresse disposizioni di legge attribuiscono un trattamento previdenziale differente e distinto alle due categorie di personale dipendente.
Peraltro, si deve osservare che la domanda dei ricorrenti non può trovare accoglimento nemmeno sulla base dell'asserita identità sostanziale delle mansioni da questi svolte rispetto a quelle di cui è titolare il personale militare.
Si rammenta che il beneficio di cui i ricorrenti chiedono il riconoscimento è stato previsto in relazione all'"indennità d'istituto", prevista espressamente, per la prima volta, dalla legge 1054/70, da intendersi quale competenza accessoria a favore di particolari categorie di personale dipendente dalle amministrazioni statali penitenziarie, volta a controbilanciare quelle prestazioni di lavoro rese in condizioni di particolare disagio, avuto riguardo al luogo, al tempo ed alle modalità delle prestazioni medesime, o caratterizzate da continua e diretta esposizione a rischi pregiudizievoli per la salute o l'incolumità personale, ovvero comportanti l'assunzione di particolari responsabilità. Tale indennità, ritenuta già pensionabile ai sensi dell'art. 2 della legge n. 34/84, è stata ritenuta valutabile anche ai fini del beneficio di cui all'art. 3 della legge n. 284/77, solo "limitatamente al personale della polizia di Stato e delle altre Forze di polizia che espleta funzioni di polizia"(cfr. art. 3 della legge n. 34/84). A favore del personale civile dell'amministrazione penitenziaria, venne invece introdotta una "indennità di servizio penitenziario", pensionabile per tredici mensilità.
I due istituti, pur trovando fondamento in affini esigenze, sono caratterizzati da discipline distinte e risultano quantificate in modo diverso, essendo sono computate diversamente ai fini pensionistici: l'indennità di istituto è disciplinata dall'art. 1 della legge n. 1054/70, mentre l'indennità di servizio penitenziario è disciplinata dall'art. 3 della stessa legge; la distinzione è mantenuta anche nelle normative che successivamente hanno modificato il computo di tali benefici a fini pensionistici.
E' evidente che se i due tipi di indennità fossero stati equivalenti, non sarebbero stati disciplinati separatamente ed in modo differente, né avrebbero assunto denominazioni diverse.
Pertanto, concordando con le amministrazioni resistenti, la questione di legittimità costituzionale deve ritenersi manifestamente infondata. Non appare ragionevolmente corretto che parte ricorrente richiami, a tal proposito, l'art. 3 della Costituzione e invochi l'intervento del giudice delle leggi: dall'interpretazione costituzionalmente orientata di tale disposizione emerge, infatti, che situazioni uguali devono essere regolamentate in maniera uguale, mentre situazioni fra loro diverse devono essere disciplinate in modo differenziato. Nel caso di specie, il beneficio dell'aumento di un quinto sull'indennità di istituto previsto esclusivamente per il personale militare dall'art. 3, ultimo comma, della legge n. 284/77, trova la sua ratio nel fatto che i compiti e le mansioni da questo svolti non possono assimilarsi, dal punto di vista dei rischi e dei disagi effettivi, a quelli che incombono sul personale civile.
Infatti, benché anche l'indennità di servizio penitenziario, prevista per i dipendenti civili, trovi giustificazione nella circostanza per cui, in astratto, esiste la possibilità che anche nell'ambito delle mansioni assegnate possa esserci contatto con i detenuti che potrebbe comportare difficoltà e disagi, non v'è dubbio che le competenze del personale civile rimangano pur sempre di tipo amministrativo e non includono compiti di vigilanza e custodia spettanti, invece, al personale militare.
Il ruolo ricoperto dal personale di polizia e dirigenziale all'interno degli istituti di pena è tale per cui il contatto con la popolazione carceraria è costante e diretto; pertanto, questa circostanza espone tali soggetti a maggiori rischi, sia dal punto di vista fisico che psicologico, rispetto a quelli a cui può essere esposto il personale amministrativo. E' nota la dinamica dei rapporti interni tra detenuti e personale di polizia e direttivo, caratterizzati da conflittualità e antagonismo, cui è estraneo il personale amministrativo.
Pertanto, nonostante le due indennità trovino origine in presupposti simili, tuttavia deve rilevarsi che, mentre l'indennità di servizio penitenziario è sorretta da una mera eventualità di disagio in relazione allo svolgimento delle mansioni da parte del personale civile, l'indennità di istituto presuppone, invece, la sussistenza di costanti difficoltà da affrontare, ogni giorno, nell'espletamento dell'attività di servizio (cfr. Tar Campania, sentenza n. 385/83).
In conclusione, essendo le due indennità distinte sia dal punto di vista del nomen iuris, sia dal punto di vista del rischio che devono indennizzare, può sostenersi la piena legittimità, ex art. 3 Cost., della differenziazione operata dai provvedimenti legislativi.
Sul punto appare eloquente la giurisprudenza della Suprema Corte di Cassazione, la quale, presupponendo la distinzione tra le due categorie di personale, ha osservato che "Il beneficio dell'aumento di un quinto ai fini della liquidazione e riliquidazione delle pensioni previsto, dall'art. 3 della legge n. 284 del 1977, per le forze di polizia, in collegamento alle indennità per servizio di istituto, non spetta alle vigilatrici penitenziarie che abbiano optato per il transito nei ruoli amministrativi dell'amministrazione penitenziaria, ma solo alle vigilatrici che siano entrate a far parte del Corpo di polizia penitenziaria, non rilevando nel pubblico impiego lo svolgimento di funzioni equivalenti in presenza di diversi inquadramenti formali e stante il principio generale secondo il quale le norme che attribuiscono benefici in deroga alle regole ordinarie non si estendono a soggetti che non ne sono destinatari, restando escluso che il riconoscimento di funzioni equivalenti significhi equiparazione di stato giuridico. Conseguentemente, l'esclusione dal beneficio del personale che in nessun momento ha fatto parte del corpo di polizia si sottrae ad ogni sospetto di illegittimità costituzionale sotto il profilo dell'art. 3 Cost., trattandosi di situazioni diverse e non comparabili" (Cass. n. 23473/07).
4. In considerazione della inammissibilità e infondatezza della domanda, le spese di lite sono a carico della parte soccombente, che questo Giudice liquida forfettariamente, in considerazione anche del valore indeterminato della causa, tenendo conto del numero dei ricorrenti, in Euro 5.000,00, oltre IVA, CAP e spese generali, da erogare per metà all'INPS e per l'altra metà al Ministero della Giustizia-DAP.
P.Q.M.
La Corte dei Conti - Sezione Giurisdizionale per la Regione Toscana, in composizione monocratica, definitivamente pronunciando, sul ricorso iscritto al n. 58870PC del registro di Segreteria, proposto dai nominati in epigrafe:
- Dichiara inammissibile la domanda per difetto di interesse concreto e attuale, fatta eccezione per la domanda proposta da -
- Respinge la domanda di -
- Condanna i ricorrenti al pagamento delle spese di lite che liquida come in parte motiva.