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..ore di permesso annue formulate ex art. 78 D.P.R. 28 ottobre 1985..

Dettagli

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T.A.R. Lazio Roma Sez. I ter, Sent., 08-10-2012, n. 8338
Fatto Diritto P.Q.M.
Svolgimento del processo
Attraverso l'atto introduttivo del presente giudizio, notificato in data 5 agosto 2008 e depositato il successivo 6 agosto 2008, il ricorrente - agente scelto della Polizia di Stato, laureatosi il 2 aprile 2007 - impugna il decreto del 27 maggio 2008, con cui il Capo della Polizia di Stato ha rigettato il ricorso gerarchico dal predetto proposto avverso il D.Dirig. 4 giugno 2007, con il quale venivano respinte domande di ore di permesso annue formulate ex art. 78 D.P.R. 28 ottobre 1985, per un totale di n. 207.
In particolare, il ricorrente espone quanto segue:
- con una pluralità di istanze, presentate in epoche diverse, chiedeva di fruire di ore di permesso di studio, al fine di effettuare ricerche bibliografiche per la preparazione della tesi di laurea;
- con D.Dirig. 4 giugno 2007 le suddette domande non venivano accolte per carenza dei "requisiti necessari per la concessione" (specificamente, di una partecipazione ed un impegno diretto in attività didattiche svolte all'interno dell'Università, vincolate ad appuntamenti ed orari specifici, atti, tra l'altro, a comprovare la necessità di assolvere l'attività di studio durante l'orario di servizio) e, pertanto, "il beneficio precedentemente autorizzato, a tutela del dipendente, in via provvisoria" veniva revocato;
- avverso tale decreto proponeva ricorso gerarchico;
- tale ricorso veniva rigettato con il sopra indicato decreto del Capo della Polizia del 27 maggio 2008 essenzialmente sulla base della piena condivisione delle argomentazioni già riportate nel decreto dirigenziale oggetto di sindacato.
Avverso tale decreto del Capo della Polizia il ricorrente insorge deducendo i seguenti motivi di diritto:
VIOLAZIONE DI LEGGE, ECCESSO DI POTERE E ILLOGICITA'. Tenuto conto della disciplina che regolamenta la materia, l'Amministrazione non poteva subordinare la concessione dei permessi "alla necessità di svolgere gli impegni di studio durante l'orario di servizio". Il dipendente deve, infatti, soltanto comprovare "di avere dedicato allo studio le ore a lui concesse a titolo di permesso, e di avere conseguito il risultato di studio per il quale gli erano state concesse...". Del resto, non va dimenticato che i dipendenti hanno diritto alle ore di riposo e, di conseguenza, il permesso per motivi di studio non deve incidere su quest'ultime. In definitiva, ai dipendenti dell'Amministrazione sono concesse 150 ore di assenza giustificata dal lavoro per dedicarle allo studio "alla sola condizione che lo studio venga effettivamente attuato e che gli esami vengano superati".
Con atto depositato in data 29 dicembre 2008 si è costituito il Ministero dell'Interno.
In data 30 maggio 2012 ed il successivo 31 maggio 2012 il ricorrente e l'Amministrazione resistente hanno prodotto documenti.
Con memorie depositate in date 8 giugno 2012 e 20 giugno 2012 il ricorrente ha ribadito l'illegittimità del provvedimento impugnato, insistendo sulla sussistenza - per il dipendente - del mero obbligo di comprovare l'utilizzo delle ore di permesso per lo studio ed il conseguimento del risultato e richiamando - a supporto della tesi sostenuta - una circolare del Ministero della Difesa.
All'udienza pubblica del 12 luglio 2012 il ricorso è stato trattenuto in decisione.
Motivi della decisione
1.Il ricorso è infondato e, pertanto, va respinto.
1.1. Come esposto nella narrativa che precede, il ricorrente lamenta l'illegittimità del decreto con cui il Capo della Polizia ha rigettato il ricorso gerarchico dal predetto proposto avverso il decreto dirigenziale con il quale non erano state accolte svariate domande di permesso di studio formulate "al fine di effettuare ricerche bibliografiche per la preparazione della tesi di laurea".
In particolare, sostiene che - ai sensi della disciplina giuridica che regolamenta la materia - la concessione dei permessi per motivi di studio non può essere condizionata dalla "necessità di assolvere gli impegni di studio durante l'orario di servizio", in quanto è da ritenere sufficiente che lo studio "venga attuato e che gli esami vengano superati".
Tale ricostruzione giuridica dell'istituto giuridico in esame non è condivisibile per le ragioni di seguito indicate.
1.2. Al fine della risoluzione della controversia, viene innanzi tutto in rilievo l'art. 78 del D.P.R. 28 ottobre 1985, n. 782, il quale regola il "diritto allo studio" del personale dell'Amministrazione della pubblica sicurezza; in particolare, tale disposizione stabilisce che "l'Amministrazione della pubblica sicurezza favorisce la aspirazione del personale che intende conseguire un titolo di studio di scuola media superiore o universitario o partecipare a corsi di specializzazione post universitari o ad altri corsi istituiti presso le scuole pubbliche o parificate nella stessa sede di servizio"(comma 1), che "a tal fine, oltre ai normali periodi di congedo straordinario per esami, è concesso un periodo annuale complessivo di 150 ore da dedicare alla frequenza dei corsi stessi" (comma 2), che "tale periodo viene detratto dall'orario normale di servizio, secondo le esigenze prospettate dall'interessato almeno due giorni prima al proprio capo ufficio, e la richiesta deve essere accolta ove non ostino impellenti ed inderogabili esigenze di servizio" (comma 3), che "l'interessato dovrà dimostrare, attraverso idonea documentazione, di avere frequentato il corso di studi per il quale ha richiesto il beneficio, che è suscettibile di revoca in caso di abuso, con decurtazione del periodo già fruito dal congedo ordinario dell'anno in corso o dell'anno successivo" (comma 4).
Il successivo D.P.R. 16 marzo 1999, n. 254 ("Recepimento dell'accordo sindacale per le Forze di polizia ad ordinamento civile e del provvedimento di concertazione delle Forze di polizia ad ordinamento militare relativi al quadriennio normativo 1998- 2001 ed al biennio economico 1998- 1999") ha precisato - tra l'altro - che "ferme restando le disposizioni di cui all'articolo 21 del D.P.R. 31 luglio 1995, n. 395, ove i corsi richiamati nel predetto articolo non siano attivati nella sede di servizio, il diritto alle 150 ore da dedicare alla frequenza compete anche per i medesimi corsi svolti in altra località. In tal caso i giorni eventualmente necessari per il raggiungimento di tale località ed il rientro in sede sono conteggiati, in ragione di 6 ore per ogni giorno impiegato, nelle 150 ore medesime" (comma 1) e che "per la preparazione ad esami universitari o postuniversitari, nell'ambito delle 150 ore per il diritto allo studio, possono essere attribuite e conteggiate le tre giornate immediatamente precedenti agli esami sostenuti in ragione di 6 ore per ogni giorno" (comma 5).
Muovendo dalla generale disciplina di cui all'art. 3 del D.P.R. n. 395 del 1988 ("Norme risultanti dalla disciplina prevista dall'accordo intercompartimentale, di cui all'art. 12 della legge quadro sul pubblico impiego 29 marzo 1983, n. 93, relativo al triennio 1988- 1990"), la giurisprudenza (cfr., tra le altre, C.d.S., Sez. IV, 15 settembre 2006, n. 5383) ne ha desunto che l'istituto dei permessi retribuiti per motivi di studio realizza il giusto contemperamento tra l'interesse pubblico al corretto funzionamento degli uffici e l'interesse dei singoli dipendenti all'accrescimento del proprio patrimonio culturale e professionale; che, per tale motivo, occorre escludere che le ore di permesso retribuito possano non corrispondere alle effettive ore di frequenza scolastica, giacché il diritto del datore di lavoro pubblico di esigere la prestazione lavorativa del proprio dipendente trova un limite solo nell'esercizio del diritto allo studio e solo quando questo sia effettivo; che la concessione dei permessi, quindi, costituisce una misura di carattere eccezionale, introduttiva di un limite altrettanto eccezionale alla ordinaria sinallagmaticità del rapporto di lavoro dei pubblici dipendenti, onde le relative disposizioni sono necessariamente di stretta interpretazione; che, di conseguenza, il dipendente ha titolo a fruire dei permessi retribuiti solo se comprova di avere realmente frequentato le lezioni o le altre attività relative ai corsi cui si è iscritto, e nei limiti in cui la frequenza coincida con l'orario di servizio.
Di qui l'infondatezza della pretesa del ricorrente a vedersi riconosciuti permessi giustificati con il mero studio individuale (in particolare, "la mera frequenza di due biblioteche", senza indicazione, tra l'altro, degli orari di accesso alle stesse), apparendo - del resto - significativo come l'art. 20 del D.P.R. n. 254 del 1999 abbia dovuto da un lato espressamente prevedere la spettanza di sei ore (da computare nelle 150 ore complessive) per il raggiungimento di località diverse da quella della sede di servizio e dall'altro lato riconoscere le tre giornate immediatamente precedenti (anch'esse da computare nelle 150 ore complessive) per la preparazione di esami universitari e postuniversitari (limite poi portato a quattro giornate dall'art. 22 del D.P.R. n. 164 del 2002), ad ulteriore conferma della necessità che i permessi siano circoscritti a documentate e puntuali esigenze scolastiche e non si riducano alla generica autorizzazione ad assentarsi dal servizio per amministrare autonomamente il proprio tempo nell'attività di studio.
La natura vincolata della funzione esercitata dall'Amministrazione, poi, induce a disattendere tutte le censure imperniate su vari profili di eccesso di potere, scaturendo il diniego ex se dall'insussistenza dei presupposti di legge per accordare gli invocati permessi retribuiti.
E' irrilevante, infine, la circostanza che la tesi del ricorrente potrebbe trovare fondamento in talune circolari ministeriali, essendo notorio come le stesse siano atti diretti agli organi e uffici periferici e non abbiano di per sé valore normativo o provvedimentale o, comunque, vincolante per i soggetti estranei all'Amministrazione, mentre sono vincolanti per gli organi e uffici destinatari solo se legittime, onde questi ultimi sono tenute a disapplicarle quando risultino contra legem (v., ex multis, C.d.S., Sez. IV, 29 gennaio 1998 n. 112).
2. In conclusione, il ricorso va respinto.
Tenuto conto delle peculiarità della vicenda, sussistono giustificati motivi per compensare le spese di giudizio tra le parti.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Prima Ter), definitivamente pronunciando sul ricorso n. 7965/2008, come in epigrafe proposto, lo respinge.
Compensa le spese di giudizio tra le parti.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

   

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