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Impiego Pubblico - Destituzione - provvedimento adottato oltre il termine di 120 giorni previsto per la conclusione del procedimento disciplinare

Dettagli

 


IMPIEGO PUBBLICO
Cas(Lpd) civ. Sez. lavoro, Sent., 12-09-2012, n. 15270
Fatto Diritto P.Q.M.
Svolgimento del processo
Con ricorso al Giudice del lavoro del Tribunale di Messina (Lpd), insegnante nelle scuole elementari, contestava la legittimità del provvedimento di destituzione dal servizio notificatogli il 20-9-2004, perchè adottato oltre il termine di 120 giorni previsto per la conclusione del procedimento disciplinare. Il ricorrente lamentava altresì che era stato applicato il D.P.R. n. 297 del 1994 anzichè il CCNL del comparto scuola e che era stato violato il principio di proporzionalità della sanzione, assumendo che l'amministrazione si era fondata esclusivamente sulla sentenza penale di patteggiamento della pena.
Il Centro Scolastico Amministrativo di Messina e l'Ufficio Scolastico Regionale per la Sicilia, si costituivano, deducendo che il provvedimento di destituzione era stato adottato al passaggio in giudicato della sentenza di condanna ex art. 444 c.p.p., avvenuto in data 2-1-2004, dopo regolare contestazione di addebito del 22-4-2004, e rilevando che il procedimento si era concluso nei termini previsti dalla L. n. 97 del 2001 e che nella specie trovavano applicazione le disposizioni di cui al D.P.R. n. 297 del 1994, richiamato dal CCNL del comparto scuola-docenti.
Con sentenza n. 4024/2005 il Giudice del lavoro del Tribunale di Messina rigettava la domanda.
Lo (Lpd) proponeva appello avverso la detta sentenza chiedendone la riforma con l'accoglimento della domanda.
Il Centro Scolastico Amministrativo di Messina e l'Ufficio Scolastico Regionale per la Sicilia si costituivano resistendo al gravame.
La Corte d'Appello di Messina, con sentenza depositata il 12-12-2009, rigettava l'appello e condannava l'appellante al pagamento delle spese.
In sintesi la Corte territoriale rilevava che il termine, invocato dall'appellante, di 120 giorni per la conclusione del procedimento disciplinare non era applicabile al caso in esame, in quanto dettato per il personale ATA. Per il personale docente, invece, andavano applicate le norme di cui al D.Lg(Lpd) n. 297 del 1994, confermate dal CCNL comparto scuola del 1995 e mantenute ferme dal D.Lg(Lpd) n. 165 del 2001, art. 55.
Nella fattispecie, peraltro, era stato anche osservato il termine di centottanta giorni previsto dalla L. n. 97 del 2001, art. 5, comma 4.
La Corte di merito rilevava, inoltre, la sussistenza pacifica dei fatti addebitati ("reiterate appropriazioni di titoli di pagamento intestati a persona deceduta", "mediante false deleghe") ed affermava che la destituzione risultava "ampiamente motivata con riguardo alla gravità dell'addebito e al grave contrasto con i doveri inerenti alla funzione di insegnante".
Per la cassazione di tale sentenza lo (Lpd) ha proposto ricorso con due motivi.
L'Amministrazione dell'Istruzione, Università e Ricerca ha resistito con controricorso.
Il Centro Scolastico Amministrativo di Messina e l'Ufficio Scolastico Regionale per la Sicilia sono rimasti intimati.
Motivi della decisione
Preliminarmente va rilevata la tardività e inammissibilità del controricorso, notificato il 12-5-2010, con richiesta all'UNEP di Roma del 11-5-2010, a fronte della notifica del ricorso effettuata all'Avvocatura Generale dello Stato in data 16-3-2010.
Con il primo motivo il ricorrente ribadisce che nella fattispecie sarebbe stato superato il termine perentorio per la conclusione del procedimento disciplinare, fissato in 120 giorni dall'apertura del procedimento stesso (e non in 180 come ritenuto dalla Corte di merito), essendo fatti salvi, dalla L. n. 97 del 2001, art. 5, i diversi termini previsti dai contratti di lavoro di categoria (nella specie art. 93 del CCNL del Comparto Scuola 2002-2005, al pari dei CCNL di altri comparti).
Il ricorrente lamenta inoltre che la sentenza impugnata avrebbe dato rilievo alle norme disciplinari e non piuttosto alle modalità procedimentali per la applicazione delle sanzioni.
Il motivo è infondato.
Ai sensi della L. n. 97 del 2001, art. 5, comma 4 il termine per la conclusione del procedimento disciplinare è di 180 giorni (a decorrere "dal momento in cui il procedimento stesso sia stato concretamente iniziato o proseguito, e non dal momento successivo in cui sarebbe venuto a maturazione il diverso termine di giorni 90 previsto per l'inizio o il proseguimento", v. Cas(Lpd) 9-7-2007 n. 15320).
Il ricorrente invoca l'applicazione del diverso termine di 120 giorni previsto dall'art. 93 del CCNL Comparto Scuola 2002-2005, in virtù della espressa salvezza dei "termini diversi previsti dai contratti collettivi nazionali di lavoro" (salvezza peraltro ora eliminata, nel testo del citato comma 4 come modificato dal D.Lg(Lpd) n. 150 del 2009, art. 72, comma 2).
Invero la norma collettiva invocata riguarda espressamente (v. artt. 89 e s(Lpd)) il "personale amministrativo, tecnico e ausiliario" e non il personale docente, al quale appartiene lo (Lpd).
Per il personale docente l'art. 88 dello stesso contratto dispone semplicemente che "continuano ad applicarsi le norme di cui al Titolo 1, Capo 4 della Parte 3 del D.Lg(Lpd) n. 297 del 1994" (in tal senso v.
già l'art. 56 del CCNL del 1995).
Legittimamente, quindi, la Corte territoriale ha affermato che l'unico termine perentorio, per la conclusione del procedimento disciplinare, che l'amministrazione era tenuta ad osservare era quello (in concreto osservato) dei 1 80 giorni previsti dalla L. n. 97 del 2001, art. 5, comma 4.
Con il secondo motivo il ricorrente, in sostanza, lamenta il mancato rispetto dei principi fondamentali della necessaria autonoma valutazione dei fatti ascritti al dipendente, che avevano dato luogo al processo penale conclusosi con la sentenza di condanna ex art. 444 c.p.p., e della gradualità e proporzionalità della sanzione.
In particolare, premesso che a fondamento del provvedimento espulsivo era stata configurata dal Direttore Generale "la violazione degli imprescrittibili doveri morali, che sia pure non codificati sotto l'aspetto normativo, devono inscindibilmente accompagnarsi all'espletamento delle delicate finalità cui è preposta la funzione docente", il ricorrente lamenta che nella specie sarebbe stata applicata "una sanzione non codificata".
Anche tale motivo risulta infondato.
A parte la considerazione che allo (Lpd) è stata applicata la sanzione codificata della destituzione, di cui al D.Lg(Lpd) n. 297 del 1994, art. 492, lett. e), per atti (anche se non specificamente codificati) rientranti nelle ipotesi previste dall'art. 498 dello stesso D.Lg(Lpd) (v. in particolare lettere a) e b)), osserva il Collegio che, come affermato da questa Corte (v. da ultimo Cas(Lpd) 19-1- 2011 n. 1141), "nel giudizio disciplinare nei confronti di un pubblico dipendente, giudicato in sede penale con sentenza di applicazione della pena su richiesta delle parti ex art. 444 cod. proc. pen., la sentenza penale, se vincola il giudice disciplinare quanto alla ricostruzione del fatto storico e della relativa responsabilità, non preclude una autonoma valutazione dell'incidenza dei medesimi fatti sul rapporto d'impiego, dovendosi escludere - in linea con gli orientamenti della Corte costituzionale (sentenze n. 971 del 1988 e n. 197 del 1993) che ha riferito l'autonomia de procedimento disciplinare al criterio di razionalità, con conseguente esclusione di ogni automatismo di valutazione - che vi sia incompatibilità tra la necessaria autonomia del procedimento disciplinare, che riflette garanzie fondamentali della persona del lavoratore (quali l'esigenza che nessuna sanzione venga adottata in violazione del principio "audiatur et altera pars", nonchè dei canoni di effettiva lesività dell'interesse del datore di lavoro e di proporzionalità e adeguatezza rispetto alla mancanza addebitata), e le connessioni che si instaurano con la giurisdizione penale, in funzione delle esigenze di economicità dei giudizi e di salvaguardia dei principi di imparzialità, correttezza ed efficacia dell'azione della P.A. anche quale datore di lavoro pubblico".
Nella fattispecie la Corte di merito, dopo aver rilevato che "i fatti addebitati al dipendente" hanno trovato "ampia prova nella ammissione sia in sede penale che nella presente sede civile, nonchè nella sicura consapevolezza del disvalore dei fatti stessi", ha affermato che "pacifici essendo i fatti contestati, non può imputarsi all'amministrazione una carente ricognizione di essi nell'ambito del procedimento disciplinare, mentre con riguardo alla valutazione della gravità dei fatti e al rispetto del principio di proporzionalità ... il provvedimento di destituzione risulta ampiamente motivato con riguardo alla gravità dell'addebito e al grave contrasto con i doveri inerenti alla funzione di insegnante, che appaiono compromessi per la reiterazione dell'attività dolosa, confrontata con la delicatezza della funzione docente".
Tale motivazione, conforme al principio di diritto sopra ribadito, da chiaramente conto sia dell'accertamento dei fatti sia della autonoma valutazione della gravità degli stessi e della proporzionalità della sanzione espulsiva, anche in ragione della reiterazione degli stessi, e resiste alla censura del ricorrente.
Il ricorso va pertanto respinto.
Infine non deve provvedersi sulle spese, nei confronti dell'Amministrazione dell'Istruzione, Università e Ricerca, stante la tardività del controricorso, e nei confronti degli altri intimati che non hanno svolto alcuna attività difensiva.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso, nulla per le spese nei confronti di tutti gli intimati.

   

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