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Polizia di Stato: Domanda di riammissione in servizio

Dettagli

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GIUSTIZIA AMMINISTRATIVA
Cons. Stato Sez. III, Sent., 28-08-2012, n. 4626

Fatto - Diritto P.Q.M.
Svolgimento del processo - Motivi della decisione
1. Il sig. (Lpd), agente effettivo della Polizia di Stato, presentava istanza di dimissioni dal Corpo di polizia con effetto dal 1 novembre 1987.
La domanda di riammissione in servizio, presentata dall'interessato il 17 dicembre 1987, era respinta con D.M. 17 giugno 1988.
Avverso detto provvedimento il (Lpd) proponeva ricorso avanti al T.A.R. per la Lombardia.
In virtù di misure cautelare accordate dal T.A.R. il sig. (Lpd) era riassunto in servizio con decorrenza 21 gennaio 1991.
Con sentenza n. 541 del 1996 il giudice territoriale accoglieva il ricorso ed annullava il D.M. del 17 giugno 1988 perché viziato quanto al procedimento osservato per l'esame della domanda di riammissione in servizio.
Il ricorso in appello proposto avverso la sentenza del T.A.R. era dichiarato irricevibile con decisione di questo Consiglio, Sezione VI, n. 1310 del 14 marzo 2006.
Con atto notificato l' 11 aprile 2011 il sig. (Lpd) proponeva ricorso per l'ottemperanza alla sentenza del T.A.R. n. 541 del 1996.
Il (Lpd) formulava domande:
- di liquidazione della somme dovute a titolo di stipendio per gli anni 1988, 1989 e 1990, per l'importo in L.. 64.401.393, pari ad Euro 33.260,54;
- di risarcimento del danno commisurato per equivalente alla mancata corresponsione delle spettanze retributive cui il ricorrente aveva diritto a seguito della riammissione in servizio, con accessori per rivalutazione ed interessi.
Con sentenza n. 2539 del 2011 il T.A.R. adito dichiarava inammissibile la domanda di ottemperanza al giudicato derivante dalla sentenza n. 541 del 1996 ed irricevibile la quella risarcitoria, perché proposta oltre il termine decadenziale di 120 giorni stabilito dall'art. 30 cod. proc. amm.
Avverso detta sentenza ha proposto appello il sig. (Lpd) che ha contrastato le conclusioni del primo giudice ed insistito nelle pretese azionate in prime cure e chiesto la condanna dell' Amministrazione al pagamento delle somme dovute per retribuzione non corrisposta, con nomina di un commissario ad acta perché provveda in via sostitutiva in caso di persistente inadempimento del'autorità intimata.
Il Ministero dell'interno, costituitosi in resistenza, ha contraddetto i motivi di impugnativa e chiesto la conferma della sentenza impugnata.
2. L'appello è infondato.
2.1. Con il ricorso inizialmente proposto dal sig. (Lpd) avanti al T.A.R. per la Lombardia, sui cui è poi intervenuta la sentenza n. 541 del 1996 passata in giudicato, era stato articolato il solo petitum di annullamento del decreto reiettivo della domanda di riassunzione in servizio.
La sentenza del T.A.R. aveva accolto il ricorso ed annullato l'atto impugnato per vizio afferente al procedimento osservato per pervenire a detta determinazione (mancata acquisizione del parere del Consiglio di amministrazione).
Si imponeva, quindi, all' Amministrazione la rinnovazione del procedimento con emenda del vizio riscontrato dal T.A.R., fatta salva ogni definitiva determinazione sulla ricostituzione del rapporto di impiego.
L' art. 132 del t.u. n. 3 del 1957 (al quale fa rinvio l'art. 60 del D.P.R. n. 335 del 1982 relativo al personale della Polizia di Stato) nello stabilire che "l'impiegato . . . cessato dal servizio per dimissioni . . . può essere riammesso in servizio", rimette, infatti, l'accoglimento dell'istanza avanzata al fine predetto ad una valutazione ampiamente discrezionale dell' Amministrazione in relazione alla situazione di organico e ad ogni altra esigenza organizzativa e di servizio, alla quale non si contrappone alcun diritto soggettivo del dimissionario (ex multis Consiglio di Stato, sez. VI, n. 4552 del 17 luglio 2006; Consiglio Stato, sez. IV, n. 130 del 20 gennaio 2006; sez. V, n. 1804 del 19 aprile 2005).
Il dictum del dispositivo della sentenza del T.A.R. n. 541 del 1996 e le statuizioni nella parte motiva non recano alcuna statuizione di condanna al pagamento di spettanze retributive, pretesa non fatta valere in prime cure dall'interessato, che aveva volontariamente interrotto il rapporto di lavoro nella consapevolezza, del resto, di ogni effetto di siffatta scelta sul diritto a percepire la retribuzione fino a che non fosse intervenuto l'atto di ricostituzione del rapporto di impiego in applicazione dell'art. 132 del t.u. n. 3 del 1957.
Il T.A.R., nel respingere con la sentenza impugnata la domanda formulata in via principale, ha giustamente dato atto della corretta ottemperanza al giudicato a fronte dell'avvenuta riammissione in impiego una volta annullato il decreto del 17 giugno 1988 a ciò ostativo.
Deve aggiungersi, sotto ulteriore profilo, che alla fattispecie in esame - ai fini dell'erogazione delle spettanze retributive per il periodo intercorrente fra la domanda di riassunzione e l'effettiva riammissione in servizio - non può trovare applicazione l'istituto della restitutio in integrum, il quale presuppone che la prosecuzione del rapporto di impiego sia stato interrotto da atto dell'amministrazione successivamente dichiarato illegittimo.
Nella specie, invece, sono state le dimissioni dell'interessato a determinare l'interruzione del rapporto di lavoro. La riassunzione in servizio - che segue come innanzi detto a scelta ampiamente discrezionale dell'amministrazione - determina la novazione del titolo costitutivo del rapporto con effetto sulla sua decorrenza giuridica. Viene, quindi, meno ogni continuità con il servizio pregresso, stante la perdita di ogni dell'anzianità in precedenza maturata nella qualifica secondo quanto espressamente sancito dall' art. 132, comma terzo, del t.u. n. 3 del 1957.
2. Con ulteriore domanda formulata in sede di ricorso per l'ottemperanza il sig. (Lpd) chiede il risarcimento dei danni subiti che "non derivano dall'attività amministrativa precedente, ma proprio dalla inesecuzione del giudicato e costituiscono, pertanto, logico corollario del perdurare dell'inerzia della Pubblica Amministrazione" e li quantifica, per equivalente, negli emolumenti non corrisposti per gli anni 1988,1989, 1990, antecedenti al riammissione in impiego, da maggiorarsi con interessi e rivalutazione monetaria.
Osserva il collegio che in assenza nella sentenza del T.A.R. n. 541 del 1996 di ogni statuizione di condanna al pagamento di somme di danaro per competenze stipendiali nessuna pretesa risarcitoria può essere avanzata nei sensi anzidetti per la prima volta in sede di giudizio per l'ottemperanza.
Ai sensi dell'art. 112, comma 3, cod. proc. amm. - nel testo vigente alla data di proposizione del ricorso in prime cure (che radica l'ambito di giurisdizione ai sensi dell'art. 5 c.p.c.) - il giudice dell'ottemperanza può invero conoscere delle pretese risarcitorie in relazione ai danni connessi "alla mancata esecuzione, violazione o elusionedel giudicato".
Nel caso di specie alla data di adozione della sentenza del T.A.R. n. n. 541 del 1996 il sig. (Lpd) era stato già da tempo riammesso in servizio per effetto di provvedimenti cautelari del primo giudice e nessun ritardo può ascriversi all' Amministrazione quanto al ripristino della posizione di impiego una volta intervenuta la sentenza di annullamento dell'iniziale diniego di riammissione in impiego.
Non ricorrono, inoltre, gli estremi di violazione o elusione del giudicato, ove si consideri che la decisione del T.A.R. n. 541 del 1996 non reca alcuna pronunzia in ordine a pretese risarcitorie per il ritardo nella riammissione in servizio, ove si consideri che siffatto vulnus nella sfera economica non è stato a suo tempo mai azionato avanti al giudice del merito, pur competente a pronunziarsi al riguardo nella sua sfera di giurisdizione esclusiva secondo la regola di riparto della giurisdizione segnata dalla Corte di Cassazione SS.UU. (cfr. ex multis n. 7000 del 5 maggio 2005; n. 9341 del 27 giugno 2002).
La domanda risarcitoria nei termini in cui è stata proposta va, quindi, respinta.
2.2. Ove si intendesse qualificare la domanda risarcitoria come esercitata in via autonoma per la prima volta in sede del giudizio di ottemperanza - secondo quanto consentito dall'art. 112, comma quarto, cod. proc. amm. (vigente al momento della domanda) poi soppresso nel quadro degli interventi correttivi del codice di cui al D.Lgs. n. 195 del 2011 - la stessa si configura irricevibile perché tardivamente proposta sia alla luce del termine di prescrizione stabilito 2947 cod. civ. con riguardo al diritto al risarcimento del danno, sia in relazione al più breve termine decadenziale introdotto dall'art. 30, comma 3, cod. proc. amm., nel caso di lesione di situazioni soggettive di interesse legittimo.
Sulla questione della tempestività dell'azione si è espressamente pronunziato il giudice di primo grado. La stessa può, quindi, essere esaminata indipendentemente dall'onere di riproposizione da parte dell' amministrazione convenuta di ogni eccezione al riguardo nel termine stabilito dall'art. 102, comma 2, cod. proc. amm.
Ciò posto il vulnus nella sfera economica del ricorrente (perdita del diritto al trattamento di attività) si è prodotto a partire dall'adozione nel 1988 del provvedimento recante il diniego di riammissione in servizio (atto genetico del danno) fino al gennaio 1991, data della riammissione. Consistendo il danno nella mancata percezione degli stipendi, il (supposto) diritto al risarcimento si è prescritto, per ciascun rateo di stipendio, con il compimento del termine prescrizionale decorrente dalla data di maturazione del rateo. Ma nessuna pretesa risarcitoria è mai stata formulata fino al ricorso avanti al T.A.R. per la Lombardia proposto nel 2011.
2.3. Sotto ulteriore profilo - ove si consideri per quanto esposto al punto 2.1. della presente motivazione che non sussiste un diritto soggettivo alla riassunzione del pubblico dipendente che si sia dimesso dal servizio - il T.A.R. ha correttamente statuito che il pregiudizio lamentato ha inciso su una posizione di interesse legittimo, che ha sofferto lesione per il non corretto esercizio di una potestà di natura autoritativa ed a contenuto discrezionale.
In tale ipotesi - in relazione al principio che si desume dall'art. 252 delle disposizioni di attuazione del codice civile in caso di introduzione di un termine più breve per l'esercizio del diritto rispetto a quello stabilito da una legge anteriore - con l'entrata in vigore del codice del processo amministrativo (16 settembre 2010) aveva iniziato a decorrere il termine di 120 giorni per formulare la domanda di risarcimento per fatto e provvedimento adottato in data anteriore, mentre nel caso di specie la pretesa e stata fatta valere solo in data 11 aprile 2011, dopo la consumazione del predetto termine.
Per le considerazioni che precedono l'appello va respinto e va confermata, con diversa motivazione, la sentenza del T.A.R.
Le spese legali del grado di appello debbono essere poste a carico dell'appellante, non essendovi ragione per disporre diversamente tenuto conto che tutte le doglianze avevano già ricevuto adeguata risposta in primo grado.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Terza) respinge l'appello in epigrafe. Condanna l'appellante al pagamento delle spese legali del grado in favore dell'amministrazione costituita, liquidandole in Euro 1.500 oltre agli accessori dovuti per legge..
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

   

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