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Polizia Municipale - Concorso - Condanna Comune

Dettagli



Cons. Stato Sez. V, Sent., 31-07-2012, n. 4345Fatto Diritto P.Q.M.
Svolgimento del processo
La parte appellante ha impugnato il provvedimento di esclusione dal concorso bandito dal Comune di Lpd per la copertura di n. 18 posti di vigile urbano innanzi al T.A.R. Campania, Sezione staccata di Salerno, che lo ha respinto con sentenza n. 65/1999; questa è stata appellata dinanzi al Consiglio di Stato che, con sentenza n. 5457/2003, ha annullato l'esclusione e poi, in sede di giudizio di ottemperanza, ha disposto la assunzione e la retrodatazione della nomina di essa parte ai soli fini giuridici all'anno 1998.La deducente ha quindi adito il T.A.R. suddetto per ottenere il risarcimento del danno patito a causa della costituzione del rapporto di lavoro a distanza di oltre cinque anni dalla nomina degli altri concorrenti dovuto all'illegittimo comportamento del Comune, ma il ricorso è stato respinto con sentenza n. 146/2008 nell'assunto che nella fattispecie difettava il requisito della colpa della Amministrazione, che aveva applicato la lex specialis ed il regolamento di polizia municipale del 1974, solo successivamente mutato, come dimostrato dal fatto che lo stesso Tribunale aveva respinto il ricorso proposto dall'interessata contro il provvedimento di esclusione, proprio perché la questione era opinabile.Con il ricorso in appello in esame la parte ricorrente in primo grado ha chiesto la riforma di detta sentenza del T.A.R. ed ha formulato le ulteriori richieste in epigrafe indicate deducendo i seguenti motivi:
1.- Error in judicando, difetto di motivazione, errata valutazione della responsabilità della P.A. nell'evento causativo di danno collegato al provvedimento della P.A. dichiarato illegittimo. Violazione del principio del giusto procedimento.Il T.A.R. ha ritenuto insussistente il requisito soggettivo della colpa dell'Amministrazione senza considerare che l'atto lesivo dell'interesse del privato presenta nella generalità dei casi indice presuntivo della colpa della P.A., alla quale incombe anche l'onere di provare la sussistenza di un errore scusabile.Comunque nel caso di specie, oltre alla illegittimità del provvedimento di esclusione definitivamente accertata, sussiste la colpa del Comune, con riguardo sia alla fase della gestione della procedura concorsuale, che alla fase della adozione dell'illegittimo provvedimento di esclusione della parte appellante.Con memoria depositata il 24.2.2012 la parte appellante ha ribadito tesi e richieste.
Alla pubblica udienza del 27.3.2012 il ricorso in appello è stato trattenuto in decisione alla presenza degli avvocati della parte appellante, come da verbale di causa agli atti del giudizio.Motivi della decisione
1.- Il giudizio in esame verte sulla richiesta di annullamento, formulata dalla parte appellante di annullamento della sentenza del T.A.R. in epigrafe specificata, con la quale è stato respinto il ricorso proposto per l'accertamento del diritto del ricorrente al risarcimento del danno patito a causa della esclusione dal concorso per la copertura di n. 18 posti di vigile urbano bandito dal Comune di Lpd.Con l'atto di appello è stato anche chiesto l'accertamento, la declaratoria del diritto della parte deducente e la condanna dell'intimato Comune ad effettuare detto risarcimento, da liquidarsi anche ricorrendo al criterio equitativo, relativamente alla perdita di chance nei termini e con le modalità in epigrafe indicati.2.- Innanzi tutto la Sezione deve affermare la sussistenza in materia della giurisdizione del G.A., che trova fondamento nel testo dell'art. 7 della L. n. 1034 del 1971, novellato dalla L. n. 205 del 2000 e poi sostanzialmente confermato dall'art. 30, comma 6, del c.p.a., perché detta norma prevede che quando è chiesto al giudice amministrativo, facendosi valere un interesse legittimo, l'annullamento di un provvedimento amministrativo, alla domanda principale d'annullamento può essere cumulata o può seguire una domanda di risarcimento del danno.Il principio è applicabile anche al particolare caso di specie, in cui sussiste la giurisdizione del G.A. sulla domanda di annullamento in base al disposto dell'art. 63, comma 4, del D.Lgs. n. 165 del 2001, che ha stabilito che restano devolute a essa giurisdizione le controversie in materia di procedure concorsuali per l'assunzione dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni.Pertanto sussiste la concentrazione della tutela risarcitoria dinanzi al G.A. quando, come nel caso di specie, il danno patito dal soggetto sia conseguenza immediata e diretta della dedotta illegittimità del provvedimento impugnato, costituendo il risarcimento del danno ingiusto uno strumento di tutela ulteriore e di completamento rispetto a quello demolitorio.3.- Con l'unico motivo di ricorso è stato dedotto che Il T.A.R. ha ritenuto insussistente il requisito soggettivo della colpa dell'Amministrazione, senza considerare che la giurisprudenza ha affermato che tra P.A. procedente e privato il diritto al risarcimento presenta una fisionomia sui generis non riconducibile al modello aquiliano, con il corollario, con riferimento all'onere della prova, che l'atto lesivo dell'interesse del privato costituisce, nella generalità dei casi, indice presuntivo della colpa della P.A., alla quale incombe anche l'onere di provare la sussistenza di un errore scusabile (che non sussiste quando si instaura un rapporto procedurale con la P.A., che deve essere qualificato dal giusto procedimento e che richiede competenza, efficacia e conformità alle norme giuridiche).Comunque nel caso di specie, oltre alla illegittimità del provvedimento di esclusione accertata con sentenza definitiva, sussisterebbe la colpa del Comune, sia con riguardo alla fase della gestione della procedura concorsuale che con riguardo alla fase di adozione dell'illegittimo provvedimento di esclusione della parte appellante.E' infatti trascorso un abnorme periodo di tempo tra l'emanazione del bando di concorso e d il suo svolgimento (circa dodici anni), con l'aggravante che, essendo stato richiesto ai partecipanti il possesso di un visus naturale pari a 10/10 per ciascun occhio, la dilazione temporale avrebbe comportato l'abbassamento di detto visus originariamente posseduto.
4.- Premette la Sezione che, ai fini dell'ammissibilità della domanda di risarcimento del danno, non è sufficiente il solo annullamento del provvedimento lesivo, ma è altresì necessario che sia configurabile la sussistenza dell'elemento soggettivo della colpa, dovendo quindi verificarsi se l'adozione e l'esecuzione dell'atto impugnato sia avvenuta in violazione delle regole di imparzialità, di correttezza e di buona fede alle quali l'esercizio della funzione pubblica deve costantemente attenersi; segue da ciò che in sede di accertamento della responsabilità della P.A. per danno a privati, il G.A., in conformità ai principi enunciati nella materia anche dal Giudice comunitario, può affermare detta responsabilità quando la violazione risulti grave e commessa in un contesto di circostanze di fatto e in un quadro di riferimenti normativi e giuridici tali da palesare la negligenza e l'imperizia dell'organo nell'assunzione del provvedimento viziato; può, invece, negarla quando l'indagine conduce al riconoscimento dell'errore scusabile (per la sussistenza di contrasti giudiziari, per l'incertezza del quadro normativo di riferimento o per la complessità della situazione di fatto).Pertanto in sede di giudizio per il risarcimento del danno derivante da provvedimento amministrativo illegittimo, il privato danneggiato può limitarsi ad invocare l'illegittimità dell'atto quale indice presuntivo della colpa, restando a carico dell'Amministrazione l'onere di dimostrare che si è trattato di un errore scusabile (Consiglio Stato, sez. V, 26 maggio 2010, n. 3367).Nel caso che occupa l'Amministrazione non ha fornito la prova che la illegittimità del proprio comportamento sia giustificata da errore scusabile.La parte ricorrente ha partecipato ad un concorso bandito dal comune di Lpd per la copertura di n. 18 posti di vigile urbano, in relazione al quale era richiesto, tra gli altri requisiti di idoneità fisica, il possesso del visus naturale di 10/10 per ciascun occhio, secondo le disposizioni del regolamento del Corpo di polizia municipale risalente all'8/5/74, il cui art. 8 richiedeva il possesso di acutezza visiva naturale di 10/10.Visto l'elevato numero di concorrenti, il Comune decideva di differire l'accertamento della idoneità fisica alla fase conclusiva della procedura concorsuale, limitandolo quindi ai soli vincitori; ed in tale sede l'interessata è risultata carente del requisito del visus naturale del 10/10 e quindi esclusa dal concorso.Il provvedimento di esclusione è stato impugnato dinanzi al T.A.R. Campania, Sezione staccata di Salerno, che lo ha respinto con sentenza, che è stata appellata dinanzi al Consiglio di Stato, che ha poi annullato l'esclusione e quindi, in sede di giudizio di ottemperanza, ha disposto la assunzione e la retrodatazione della nomina della parte deducente ai soli fini giuridici all'anno 1998.La previsione del possesso di un visus naturale di 10/10 è stata ritenuta dal Consiglio di Stato irrazionale e non conforme al principio giurisprudenziale per il quale le norme di bando che prescrivono requisiti per la partecipazione ai concorsi devono essere coerenti con le professionalità che i vincitori saranno chiamati a ricoprireE' stata pertanto ritenuta illegittima la previsione del regolamento comunale che, per la partecipazione al concorso per l'assunzione di vigili urbani, non destinati a compiti o servizi speciali, richiedeva il requisito del visus di 10/10 senza correzione (non necessario nemmeno per l'ammissione al concorso per l'ingresso nell'Arma dei Carabinieri o nella Polizia di Stato).
Quanto sopra esposto, considerato anche che il Comune, appena dopo l'esclusione dei concorrenti in parola, aveva provveduto alla modifica del regolamento comunale prevedendo che il requisito del visus di 10/10 potesse essere raggiunto anche con la correzione di lenti, dimostra la insussistenza di alcuno degli elementi in presenza dei quali la condivisa giurisprudenza ritiene che possa configurarsi l'errore scusabile, mentre è palese che la illegittimità posta in essere era grave e commessa in un contesto fattuale, normativo e regolamentare palesante la negligenza e l'imperizia dell'Amministrazione comunale nell'assunzione del regolamento viziato.Deve quindi ritenersi che nel caso di specie sussistessero tutti gli elementi costitutivi della fattispecie risarcitoria, cioè, oltre all'elemento soggettivo della colpa grave, il danno ingiusto patito dalla parte ricorrente, che è stata assunto con grave ritardo rispetto agli altri vincitori del concorso de quo, ed il nesso causale tra l'illegittimo comportamento del Comune ed il danno stesso.Venendo ora alla quantificazione del danno risarcibile ed iniziando dal lucro cessante, non può accogliersi integralmente la richiesta dell'appellante che per il periodo dal mese di maggio dell'anno 1998 al mese di marzo 2004, ha chiesto che il risarcimento del danno subito, sia parametrato al complessivo trattamento economico che gli sarebbe spettato, decurtato del 10% per la mancata prestazione del servizio, tenendo conto dell'indicizzazione dello stipendio e del mancato riconoscimento degli scatti di anzianità di servizio, oltre ad interessi e rivalutazione monetaria.Il danno risarcibile, corrispondente al complessivo trattamento economico che sarebbe spettato all'appellante, può essere quantificato, detratta una percentuale del 10 % per la mancata prestazione del servizio, come richiesto dalla parte stessa, in una somma pari quindi al 90 % delle retribuzioni che sarebbero state corrisposte nel periodo decorrente dalla data della mancata assunzione a quella dell'effettivo collocamento in servizio, con esclusione, tuttavia, di quanto a qualsiasi titolo percepito dalla parte interessata nel medesimo periodo per attività lavorative.Al riconoscimento di dette spettanze retributive si ricollega l'obbligo di regolarizzazione della posizione contributiva e previdenziale (sempre nei limiti appena precisati).
Le somme come sopra determinate andranno incrementate per rivalutazione monetaria e interessi compensativi al tasso legale, questi ultimi nella misura eccedente il danno da svalutazione, da calcolarsi a partire dalla data di pubblicazione della sentenza e fino all'effettivo soddisfo.
L'ammontare del danno risarcibile va determinato valutando il riflesso patrimoniale della perdita del bene per il patrimonio del danneggiato perché il legislatore quando ha voluto adottare una diversa concezione ancorata alla " aestimatio rei " o al valore di scambio del bene, lo ha fatto espressamente e chiaramente (art. 726, 995 e 2798 del c.c., art. 39 della L. n. 2391 del 1965).Gli interessi legali e rivalutazione monetaria devono essere corrisposti dalla data di maturazione del diritto fino a quella di effettivo pagamento, e vanno calcolati in applicazione degli art. 429 del c.p.c. e 150 delle disposizioni di attuazione dello stesso codice, tenendo, altresì, conto della successiva normativa che ha disciplinato la materia, con particolare riguardo all'art. 22, 36 comma, della L. n. 724 del 1994, nonché delle modifiche apportate all'art. 1284 del c.c. con l'art. 1 della L. n. 353 del 1990 e con l'art. 2, comma 185, della L. n. 662 del 1996.Pertanto nel caso che occupa, essendo dovute somme relative a periodo di lavoro successivo alla data del 31.12.1994, su di esse vanno corrisposti (Cons. St., A.P. 15 giugno 1998, n. 3), solo gli interessi; la rivalutazione monetaria può essere attribuita solo a titolo di maggior danno, ritenuto "in re ipsa", solo se e nella misura in cui risulti superiore all'interesse legale. Infatti, ai sensi l'art. 16, comma 6, della L. n. 412 del 1991, recante disposizioni sul cumulo fra credito per interessi e rivalutazione monetaria, l'importo dovuto per interessi va portato in detrazione della somma spettante a ristoro del danno sofferto per svalutazione monetaria ( cfr. Ap. n. 6 del 1998).Ai sensi dell'art. 429 del c.p.c. gli interessi legali e la rivalutazione monetaria vanno calcolati separatamente sull'importo nominale del credito (stante la diversa funzione che detti corrispettivi accessori sono chiamati ad assolvere: nel primo caso, risarcitoria del danno da svalutazione, nel secondo, compensativa della perdita subita da chi riceve tardivamente una somma di danaro, fruttifera per definizione) e sulla somma dovuta quale rivalutazione non va calcolata rivalutazione ulteriore ma solo interessi dalla data di costituzione in mora, mentre sulla somma dovuta a titolo di interessi non vanno computati ancora né rivalutazione, né interessi non essendo stata chiesta l'applicazione dell'art. 1283 c.c..La norma dell'art. 429, n. 3, del c.p.c. è infatti applicabile anche ai rapporti di pubblico impiego, dovendosi ritenere l'esclusione di cui all'art. 409, n. 5, del c.p.c. riferita alle sole disposizioni procedurali della L. n. 533 del 1977, in considerazione della diversa struttura del giudizio amministrativo, e non a quelle sostanziali, come è appunto la norma sulla rivalutazione dei crediti di lavoro, la cui "ratio" (porre remore al ritardo dell'adempimento e riequilibrare la posizione economica delle parti) non viene meno allorché datore di lavoro è un Ente pubblico.Aggiungasi che il calcolo della rivalutazione monetaria ed interessi legali dovuti dalla P.A. per il ritardato pagamento di emolumenti al proprio dipendente va effettuato prendendo come riferimento la somma dovuta al netto delle ritenute contributive ed anche delle ritenute fiscali, in quanto ciò che danneggia il creditore, e giustifica la sua pretesa agli accessori di legge, è il ritardo con il quale egli ha potuto disporre della somma netta che il debitore avrebbe dovuto mettergli a disposizione in precedenza, non avendo alcun rilievo le somme per ritenute contributive e fiscali, trattandosi di parti del credito principale delle quali egli non avrebbe mai potuto avere la disponibilità.Quanto alla ulteriore richiesta di condanna del Comune al pagamento del danno, da liquidarsi anche ricorrendo al criterio equitativo, relativo alla perdita di chance in ordine alla mancata professione verticale di carriera ed al mancato inserimento nella categoria D1, la Sezione osserva che, in tema di risarcimento del danno, quello derivante da perdita di "chance" costituisce una voce del danno patrimoniale risarcibile, qualora il danneggiato riesca a provare, pur solo in modo presuntivo o secondo un calcolo di probabilità, la sussistenza di alcuni dei presupposti per il raggiungimento del risultato sperato e impedito dalla condotta illecita della quale il danno risarcibile deve essere conseguenza immediata e diretta.La risarcibilità della c.d. perdita di "chance" è subordinata alla prova, che il ricorrente deve fornire almeno in via presuntiva, delle circostanze di fatto certe e puntualmente allegate da cui si ricavi la ragionevole probabilità della verificazione del danno.Nel caso di specie la parte ricorrente non ha invece in concreto provato che il comportamento illecito della P.A. abbia compromesso la possibilità di conseguire un vantaggio, non avendo fornito neanche un principio di prova in ordine ad effettive e concrete occasioni favorevoli perse a causa della ritardata assunzione, limitandosi ad allegare un generico "rallentamento" alla carriera che, sebbene astrattamente intuibile, non è stato supportato neppure dalla mera indicazione dei concorsi "medio tempore" banditi ai quali la parte interessata non ha potuto partecipare, o comunque delle opportunità concrete di cui non ha potuto beneficiare a causa della mancata tempestiva assunzione.Né il danno per perdita di "chance" può essere liquidato equitativamente, atteso che la valutazione equitativa del danno, ex art. 1226 c.c., presuppone pur sempre che risulti comprovata l'esistenza di un danno risarcibile.5.- L'appello deve essere conclusivamente accolto nei limiti e nei termini di cui in motivazione e deve essere riformata la prima decisione, con accoglimento del ricorso introduttivo del giudizio e condanna del Comune di Lpd al risarcimento del danno alla parte appellante nei limiti e nei termini pure sopra indicati.
Sulla base dei fissati criteri il Comune di Lpd provvederà, entro sessanta giorni dalla pubblicazione della presente sentenza, a proporre alla parte ricorrente una somma a titolo di risarcimento del danno (art. 35, del D.Lgs. n. 80 del 1998).Prima di fare la sua definitiva proposta, detto Comune convocherà la parte ricorrente per verificare in contraddittorio la quantificazione del risarcimento danno effettuata, senza pregiudizio del rispetto del termine di sessanta giorni per la proposta finale.L'Amministrazione provvederà al pagamento entro sessanta giorni dall'accettazione della proposta.6.- Va altresì disposta la trasmissione, a cura della Segreteria, di copia della presente sentenza alla competente Procura regionale della Corte dei Conti, per la valutazione della eventuale sussistenza di danno erariale e degli elementi costitutivi della responsabilità contabile.7.- Le spese e gli onorari del doppio grado di giudizio seguono la soccombenza e vanno liquidati come in dispositivo.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Quinta, definitivamente decidendo, accoglie l'appello in esame e, per l'effetto, in riforma della sentenza di primo grado, accoglie il ricorso originario proposto dinanzi al T.A.R. e condanna il Comune di Lpd al risarcimento del danno alla parte appellante nei limiti, nei termini e con le modalità indicati in motivazione.Pone a carico del Comune di Lpd, le spese e gli onorari del doppio grado, liquidate a favore della parte appellante nella misura di Euro 2.000,00 (duemila/00), di cui Euro 500,00 (cinquecento/00) per esborsi, oltre ai dovuti accessori di legge (I.V.A. e C.P.A.), da corrispondere, ex art. 93 del c.p.c., ai legali della parte appellante dichiaratisi anticipatari.
Manda alla Segreteria di trasmettere copia della presente decisione alla competente Procura Regionale della Corte dei conti ai fini di cui in motivazione.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

   

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