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Cassazione:. servizio, pur non potendo dare diritto nè alla pensione privilegiata nè all'equo indennizzo. ...

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RESPONSABILITA' CIVILE
Cass. civ. Sez. III, Sent., 17-07-2012, n. 12235Fatto Diritto P.Q.M.
Svolgimento del processo
1. C.F. conveniva in giudizio, davanti al Tribunale di Venezia, il Ministero della difesa per ottenere il risarcimento dei danni patrimoniali e morali conseguenti ad un incidente verificatosi mentre egli stava svolgendo il servizio militare di leva (avulsione traumatica di due incisivi, con lussazione di un terzo, avvenuta a seguito di un contrasto con un commilitone durante una partita di calcio regolarmente autorizzata dall'Autorità militare competente).Il Tribunale accoglieva la domanda e condannava il Ministero della difesa al pagamento della somma di L. 41.175.600.
2. Avverso la pronuncia di primo grado proponeva appello il Ministero e la Corte d'appello di Venezia, con sentenza depositata il 4 ottobre 2007, accoglieva integralmente il gravame, rigettando la domanda del C. e condannandolo alla rifusione delle spese di entrambi i gradi giudizio.
Osservava in proposito la Corte territoriale che, in difetto di ulteriori specificazioni, doveva ritenersi che l'attore avesse proposto l'azione di responsabilità extracontrattuale, non risultando da diversi elementi che egli avesse inteso agire a titolo di responsabilità contrattuale.Ciò premesso la Corte d'appello, richiamando la sentenza 27 ottobre 2005, n. 20908, di questa Corte, rilevava che l'attività agonistica implica l'accettazione del rischio ad essa inerente da parte di tutti i partecipanti, sicchè i danni sofferti a causa del comportamento di un avversario devono ritenersi sottratti alla responsabilità degli organizzatori.Ad avviso del giudice d'appello, alla luce della sentenza 8 agosto 2002, n. 12012, di questa Corte, in caso di infortunio sportivo il criterio per individuare in quali ipotesi il comportamento che ha provocato il danno sia esente da responsabilità civile sta nello stretto collegamento funzionale tra gioco ed evento lesivo, collegamento che va escluso se l'atto sia stato compiuto allo scopo di ledere, ovvero con una violenza incompatibile con le caratteristiche concrete del gioco, con la conseguenza che sussiste in ogni caso la responsabilità dell'agente in ipotesi di atti compiuti allo specifico scopo di ledere, anche se gli stessi non integrino una violazione delle regole dell'attività svolta; mentre la responsabilità non sussiste se le lesioni siano la conseguenza di un atto posto in essere senza la volontà di ledere e senza la violazione delle regole dell'attività.Nella specie, l'incidente si era verificato, nel corso di una partita di calcio autorizzata dall'autorità militare competente, a causa del contrasto con un commilitone; il tutto, però, nel normale espletamento di una corretta attività di gioco; nè poteva modificare i termini della questione il fatto che la partita si fosse svolta durante il servizio di leva obbligatorio e che la partita medesima fosse obbligatoria, in quanto la responsabilità dell'amministrazione può sorgere solo in presenza di un illecito, nella specie non ravvisabile.3. Avverso la sentenza della Corte d'appello di Venezia propone ricorso per cassazione il C., con atto contenente due motivi.
Il Ministero della difesa non ha svolto attività difensiva.Il ricorrente ha presentato memoria.
Motivi della decisione
1.1. Col primo motivo di ricorso il C. lamenta violazione e falsa applicazione, in relazione all'art. 360 c.p.c., n. 3), degli artt. 28, 32 e 52 Cost., dell'art. 2049 cod. civ., della L. 24 dicembre 1986, n. 158, art. 28 e del D.P.R. 18 luglio 1986, n. 545, art. 15.
Il ricorrente premette che dalla documentazione prodotta risulta che la Commissione medica dell'ospedale militare di Firenze ha riconosciuto che l'infortunio era da ricondurre a causa di servizio, pur non potendo dare diritto nè alla pensione privilegiata nè all'equo indennizzo. Ciò premesso, egli rileva che la partita di calcio durante la quale si è verificato l'evento dannoso era da considerare, in considerazione della vigente disciplina dell'ordinamento militare, come un'attività dovuta, alla quale egli si era sottoposto in esecuzione di ordini superiori; ne dovrebbe, pertanto, conseguire una responsabilità, almeno indiretta, del Ministero, perchè altrimenti il danno riportato risulterebbe del tutto sprovvisto di tutela.1.2. Il motivo non è fondato.Alla luce delle pronunce di questa Corte n. 121012 del 2002 e n. 20908 del 2005, correttamente richiamate dalla Corte territoriale ai fini del rigetto della domanda, emerge che lo svolgimento di una qualunque attività sportiva implica di per sè l'accettazione del rischio ad essa inerente, sicchè i danni eventualmente sofferti da parte dei competitori ricadono sui medesimi a condizione che essi rientrino nella normale alea insita nell'attività. La linea di confine - per così dire - individuata da questa Corte al fine di distinguere gli infortuni sportivi che danno diritto ad un risarcimento del danno rispetto a quelli che, viceversa, non comportano obblighi risarcitori sta nello stretto collegamento funzionale tra gioco ed evento lesivo, collegamento che va escluso se l'atto sia stato compiuto allo scopo di ledere, ovvero con una violenza incompatibile con le caratteristiche concrete del gioco (sentenza n. 12012 del 2002 cit.). In altri termini, indipendentemente dalla natura fallosa o meno dell'atto compiuto, ossia dalla violazione delle regole di gioco, ciò che rileva è l'intenzionalità dell'atto: se esso è compiuto con l'obiettivo di provocare lesioni, sarà comunque fonte di responsabilità, anche a prescindere dal profilo della violazione delle regole sportive.Nella specie, il ricorrente non ha dedotto, nè in questa sede nè durante il giudizio di merito, che il danno da lui subito sia da ricondurre ad una condotta particolarmente violenta o comunque scorretta tenuta dal commilitone che gli aveva procurato la rottura dei denti incisivi; egli si è limitato a sostenere che l'episodio si è verificato nel corso di un contrasto di gioco durante una partita di calcio, sport che - come questa Corte ha avuto modo di rilevare in altra occasione (sentenza 19 gennaio 2007, n. 1197) - non si caratterizza per una particolare pericolosità. La Corte territoriale, con affermazione sulla quale non è stata avanzata alcuna contestazione in questa sede, ha osservato che nel caso in esame tutte le regole del gioco erano state rispettate e, comunque, l'attore non aveva neppure offerto di provare che il commilitone avesse travalicato i limiti del rischio consentito. Deve quindi considerarsi ormai non più in discussione il fatto che l'evento dannoso si è determinato nel corso dello svolgimento di un'attività sportiva compiuta in modo corretto, senza che il soggetto danneggiante abbia tenuto un comportamento violento, aggressivo ovvero incompatibile con il tipo di attività in corso.1.3. La particolarità del caso, tuttavia, risiede nel fatto, sul quale insiste la difesa del ricorrente, che l'evento dannoso è avvenuto nel corso di una partita di calcio svolta tra militari di leva; e poichè la formazione sportiva fa parte integrante dell'attività militare, il C. sostiene di aver partecipato alla partita in esecuzione di un ordine a lui impartito in relazione alla sua condizione di militare di leva, il che dovrebbe implicare la sussistenza dell'obbligo risarcitorio in capo al Ministero della difesa.Questa Corte, com'è noto, ha in più occasioni riconosciuto la sussistenza di una responsabilità indiretta dello Stato, ai sensi dell'art. 28 Cost. e dell'art. 2049 cod. civ., per il fatto dannoso commesso da propri dipendenti incardinati in un corpo militare (si vedano, tra le altre, le sentenze 22 agosto 2007, n. 17836, 28 agosto 2007, n. 18184, 30 gennaio 2008, n. 2089, e 29 dicembre 2011, n. 29727). Nei casi di cui alle richiamate pronunce, tuttavia, tale responsabilità è stata ammessa - pur nella notevole diversità delle fattispecie in esame, alcune delle quali relative ad uso improprio delle armi in dotazione - proprio in quanto era sussistente un'illiceità intrinseca del comportamento del dipendente; la responsabilità dello Stato si fonda su tale elemento che ne costituisce un'indispensabile premessa. Sia l'art. 28 Cost. che l'art. 2049 cod. civ., infatti, presuppongono l'illiceità del comportamento, dal quale deriva una responsabilità sussidiaria dello Stato.Nel caso in esame, invece, sulla base di quanto detto in precedenza, manca tale presupposto fondamentale, perchè il danno subito dall'odierno ricorrente è derivato dallo svolgimento di un'attività sicuramente lecita in astratto come quella sportiva e, per di più, praticata nel pieno rispetto delle regole, e perciò senza alcuna concreta illiceità. Ne consegue che, mancando l'illiceità del comportamento del dipendente, non può neppure configurarsi la responsabilità dello Stato sulla base delle norme costituzionali e ordinarie richiamate nel ricorso.Il primo motivo di ricorso, pertanto, va rigettato, con enunciazione del seguente principio di diritto:
"Qualora un militare di leva subisca un danno alla propria salute o integrità fisica a causa di uno scontro di gioco avvenuto durante lo svolgimento di un'attività sportiva tra commilitoni (nella specie, una partita di calcio), non è configurabile la responsabilità civile dello Stato, ai sensi dell'art. 28 Cost. e dell'art. 2049 cod. civ., se il fatto dannoso è avvenuto senza alcuna intenzione lesiva da parte di chi lo ha compiuto e senza l'utilizzo di una violenza di per sè incompatibile con le caratteristiche del gioco, mancando in tal caso l'illiceità del comportamento che ha determinato il danno".2.1. Col secondo motivo di ricorso si lamenta, ai sensi dell'art. 360 c.p.c., n. 3), violazione e falsa applicazione delle medesime disposizioni di cui al precedente motivo nonchè dell'art. 1218 cod. civ., richiamato in sostituzione dell'art. 2049 c.c..Il C. rileva, a sostegno del motivo, che, alla luce della sentenza 27 giugno 2002, n. 9346, delle Sezioni Unite di questa Corte - pronunciata, peraltro, in relazione ad una fattispecie del tutto diversa da quella odierna - la responsabilità della pubblica amministrazione dovrebbe essere qualificata come contrattuale; nel caso del militare di leva, infatti, intercorre un rapporto istituzionale di immedesimazione organica tra il singolo militare e il Ministero della difesa, il che non esclude che la responsabilità di quest'ultimo sussista anche, per contatto sociale, in relazione al rapporto tra commilitoni. Ne consegue, quindi, che l'amministrazione aveva un obbligo di vigilare sull'incolumità fisica dei propri dipendenti, tale per cui deve rispondere dell'evento dannoso verificatosi.2.1. Il motivo è inammissibile, in quanto prospettato per la prima volta in questa sede e, come tale, nuovo.La Corte territoriale, infatti, ha correttamente specificato che, in difetto di ulteriori specificazioni, stante la autonoma e prioritaria tutela del diritto assoluto alla vita ed all'integrità fisica, si deve ritenere proposta l'azione di responsabilità extracontrattuale tutte le volte che non emerga una precisa scelta del danneggiato in favore di quella contrattuale; ed ha anche chiarito che, nella specie, la domanda si limitava, genericamente, a chiedere il risarcimento dei danni per lesione della propria integrità fisica.Ciò dimostra che la domanda di risarcimento danni fondata sulla presunta esistenza di una responsabilità dell'amministrazione da contatto sociale - ammessa da questa Corte in diverse fattispecie - non è stata effettivamente avanzata nel giudizio di merito.3. Il ricorso, pertanto, è rigettato.Non occorre provvedere sulle spese, non avendo l'intimato svolto attività difensiva.P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Nulla per le spese.

   

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