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Procedimento e provvedimento disciplinari ... una forza di polizia, nella specie un appuntato dei carabinieri che riveste la qualifica di pubblico ufficiale..

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FORZE ARMATE
Cons. Giust. Amm. Sic., Sent., 23-04-2012, n. 426Fatto Diritto P.Q.M.
Svolgimento del processo
Con ricorso al T.A.R. Palermo, notificato il 3 luglio 2007 e depositato il successivo 18 luglio, il sig. lpdlpd, appuntato dei Carabinieri in servizio presso la Stazione CC di Lpd lpd, condannato dalla Corte di Cassazione, con sentenza n. 532/06, per i reati di cui all'art. 361, commi 1 e 2, c.p. ed agli artt. 2 e 7 della L. n. 895/1967, impugnava la determinazione ministeriale del 28/3/2007, notificata in data 8/5/2007, con cui il Direttore Generale per il Personale Militare del Ministero della Difesa aveva determinato nei suoi confronti la sanzione disciplinare di stato della perdita del grado, per rimozione, per motivi disciplinari, ai sensi dell'art. 34 della legge 18 ottobre 1961, n. 1168, per l'effetto dichiarandolo cessato dal servizio, deducendone l'illegittimità per i seguenti motivi:1) "Violazione e falsa applicazione dell'art. 9, comma 2, della L. n. 19/1990 e dell'art. 10, comma 3, della L. n. 97/2001";
2) "Violazione e falsa applicazione dell'art. 9 della L. n. 19/1990 sotto ulteriore profilo. Mancata immediatezza della contestazione. Illegittimità del procedimento";3) "Violazione e falsa applicazione dell'art. 111 del T.U. n. 3/1957. Violazione dell'art. 24 della Costituzione, del diritto di difesa e del giusto procedimento".
4) "Eccesso di potere per violazione dell'art. 34 della legge n. 1168/1961. Difetto di motivazione. Eccesso di potere per sproporzionalità, illogicità e contraddittorietà".Si costituiva in giudizio, per resistere al ricorso, l'Amministrazione intimata, producendo documentazione.
Con ordinanza n. 1519/2007, successivamente confermata da questo C.G.A. con ordinanza n. 818/2007, veniva respinta la domanda di sospensione cautelare degli effetti del provvedimento impugnato.
In vista dell'udienza di discussione, entrambe le parti producevano memorie.
Con sentenza n. 14409/2010 il Tribunale adito respingeva il ricorso.
Avverso detta decisione il sig. lpdlpd ha proposto l'appello in epigrafe, deducendo: "Violazione e falsa applicazione dell'art. 9, comma 2, della L. n. 19/1990 e dell'art. 10, comma 3, della L. n. 97/2001".
L'odierno ricorrente assume che sarebbero stati violati i termini di legge per l'avvio e la conclusione del procedimento disciplinare.
Ha poi chiesto che venga dichiarata non manifestamente infondata l'eccezione di illegittimità costituzionale dell'art. 10, comma 3, della legge n. 97/2001, perché in contrasto con l'art. 3 della Costituzione, sospendendo il giudizio nel merito e trasmettendo gli atti alla Corte Costituzionale.Infine, ha genericamente eccepito l'erroneità della sentenza impugnata laddove ha ritenuto infondati i motivi dedotti con il ricorso in primo grado.Ha concluso per l'accoglimento, in via principale, del ricorso, con vittoria di spese in ordine ai due gradi di giudizio; ha poi chiesto, in via subordinata, di ritenere rilevante e non manifestamente infondata l'eccepita questione di legittimità costituzionale dell'art. 10, comma 3, della legge n. 97/2001.Ha replicato la difesa erariale, deducendo l'infondatezza del vizio procedimentale e della suddetta questione di legittimità costituzionale, eccepiti dal ricorrente, nonché dei motivi dallo stesso esposti con il ricorso introduttivo e genericamente richiamati in questa sede.Ha conclusivamente chiesto di rigettare l'appello, in quanto manifestamente infondato in fatto ed in diritto, con vittoria di spese.
Alla pubblica udienza del 1° febbraio 2012 la causa è stata trattenuta in decisione.Motivi della decisione
L'appuntato lpdlpd sostiene che, nel caso di specie, l'Amministrazione abbia proceduto alla irrogazione nei suoi confronti della sanzione disciplinare della perdita del grado, per rimozione, per l'effetto dichiarandolo cessato dal servizio permanente, in violazione dei termini perentori asseritamente applicabili alla fattispecie in esame, in base ai quali il procedimento de quo andava iniziato, ex art. 10, comma 3, della legge n. 97/2001 (nel senso indicato dalla Corte costituzionale con sentenza 24 giugno 2004, n. 186), entro 90 giorni dalla conoscenza della sentenza della Cassazione, avvenuta il 18 settembre 2006 e doveva essere concluso, ai sensi dell'art. 9, comma 2, della legge n. 19/90, entro i successivi 90 giorni, ossia entro il 27 marzo 2007.
Il provvedimento, adottato in data 28/3/2007 e notificato l'8/5/2007, si sarebbe concluso, quindi, oltre i centottanta giorni, di cui sopra, decorrenti dalla data (18 settembre 2006) in cui l'Amministrazione è venuta a conoscenza della sentenza penale di condanna del ricorrente.La censura è destituita di fondamento.Invero, la Commissione speciale per il pubblico impiego del Consiglio di Stato, con parere n. 497/2001, richiamato dal Giudice di prime cure a sostegno della propria decisione, ha chiarito al riguardo che:
1) l'art. 5, comma 4, della legge n. 97/2001 - che fissa un termine (di novanta giorni) dimezzato rispetto a quello (centottanta giorni) di cui all'art. 9, comma 2, della legge n. 19/90 - "individua espressamente i destinatari della nuova disciplina procedimentale, facendo testuale riferimento ai dipendenti indicati nel comma 1 dell'art. 3, ossia ai dipendenti condannati in via definitiva per i più gravi delitti contro la pubblica amministrazione";2) "i termini perentori prescritti dal suddetto art. 5, comma 4, e dall'art. 10, comma 3, della legge n. 97/2001 si applicano esclusivamente ai procedimenti disciplinari conseguenti a sentenza di condanna definitiva relativa ai reati di cui all'art. 3 della stessa legge, mentre nell'ipotesi di sentenza relativa ad altre fattispecie delittuose si applicano i termini di cui all'art. 9 della legge n. 19/1990".
Quest'ultima disposizione, al comma 2, prevede che: "la destituzione può sempre essere inflitta all'esito del procedimento disciplinare che deve essere proseguito o promosso entro centottanta giorni dalla data in cui l'Amministrazione ha avuto notizia della sentenza irrevocabile di condanna e concluso nei successivi novanta giorni".I reati per i quali l'appuntato lpdlpd è stato condannato con sentenza definitiva non rientrano tra quelli contemplati all'art. 3, comma 1, della legge n. 97/2001, per cui non v'è dubbio che nel caso di specie, applicandosi i termini di cui al predetto art. 9, comma 2, della legge n. 19/1990, il procedimento disciplinare per l'irrogazione della destituzione del ricorrente risulta:- avviato tempestivamente con la contestazione degli addebiti, avvenuta in data 22/11/2006 e, quindi, entro 180 giorni dalla data (18 settembre 2006) in cui l'Amministrazione è venuta a conoscenza della sentenza;- e concluso entro il termine dei 270 giorni (180 + 90) dalla predetta data del 18 settembre 2006, con l'impugnata determinazione ministeriale del 28/3/2007, notificata in data 8/5/2007.
Va respinta, altresì, la censura del ricorrente secondo cui l'Amministrazione avrebbe dovuto attivare il procedimento disciplinare, eventualmente sospendendolo, senza attendere l'esito del giudizio incardinato presso la Corte di Cassazione.Invero, il chiaro disposto del citato art. 9 della L. n. 19/1990, sopra richiamato, consente all'Amministrazione di percorrere entrambe le alternative, ossia di proseguire il procedimento disciplinare, dopo averlo sospeso, all'esito del giudizio penale ovvero di promuovere detto procedimento solo dopo aver conosciuto l'esito del processo penale, ferma restando la necessità del rispetto del termine finale decorrente dalla data in cui l'Amministrazione è venuta a conoscenza del passaggio in giudicato della sentenza di condanlpdNella circostanza l'Amministrazione ha preferito attendere l'esito del giudizio penale per promuovere l'avvio del procedimento disciplinare.
Il ricorrente ha poi eccepito che nella fase procedimentale, volta all'adozione del provvedimento impugnato, non gli sarebbe stato concesso spazio sufficiente per difendersi.
La censura è infondata, posto che dalla documentazione agli atti del giudizio si evince che nella fase istruttoria del procedimento disciplinare de quo il ricorrente ha avuto modo di esercitare senza alcuna limitazione il suo diritto di difesa; infatti egli si è avvalso di difese scritte, facoltà esercitata mediante la produzione di apposita memoria difensiva. Ha pure ottenuto che la Commissione procedesse all'audizione dei testi lpd, lpd ed lpd, il tutto nel rispetto dei termini fissati di volta in volta.Non sussiste, pertanto, la violazione dell'art. 111 della legge n. 3/1957, dedotta dal ricorrente, attesa la non perentorietà dei termini ivi indicati per il compimento degli atti intermedi al procedimento disciplinare.Nel merito, il ricorrente si duole della specifica sanzione adottata nei suoi confronti, asseritamente sproporzionata rispetto alla gravità dei fatti, per i quali è stato condannato, dalla stesso ritenuti "non particolarmente rilevanti".Il Collegio osserva che la giurisprudenza è concorde, al riguardo, nel ritenere che la valutazione circa la gravità dei fatti addebitati ad un appartenente ad una forza di polizia, nella specie un appuntato dei carabinieri che riveste la qualifica di pubblico ufficiale ed agente di polizia giudiziaria, ai fini dell'applicazione di una sanzione disciplinare, costituisce espressione di discrezionalità amministrativa, non sindacabile in via generale dal giudice della legittimità salvo che in ipotesi di eccesso di potere, nelle sue varie forme sintomatiche, quali la manifesta illogicità, la manifesta irragionevolezza, l'evidente sproporzionalità e il travisamento (Consiglio Stato, sez. IV, 31 maggio 2007, n. 2830).Nel caso in esame, i reati accertati hanno avuto riguardo non solo ad una omissione degli atti di ufficio (mancata denuncia di illecito possesso di armi alla competente A.G.), ma anche alla riscontrata e reiterata prevalenza dei fini illeciti personali perseguiti dal ricorrente.
Con il suo comportamento l'app. lpd, venendo meno al giuramento prestato, di fedeltà alle leggi dello Stato, ha provocato un grave danno all'immagine ed al prestigio dell'Arma di appartenenza, nel cui ambito non può più operare essendo venuto meno il rapporto di fiducia che è alla base di ogni proficua collaborazione nel settore della prevenzione e della repressione dei reati e del mantenimento dell'ordine e della sicurezza pubblica, compiti prioritariamente assegnati agli appartenenti ad una forza di polizia.Ne consegue l'infondatezza della censura mossa dal ricorrente sulla presunta mancanza di proporzione tra la gravità dei fatti allo stesso addebitati e la sanzione che gli è stata comminata.Infondata si rivela, infine, la questione di legittimità costituzionale dell'art. 10, comma 3, della legge n. 97/2001, perché ritenuto in contrasto con l'art. 3 della Costituzione, nella considerazione che l'esigenza della più spedita instaurazione del procedimento disciplinare è comune a tutti i dipendenti colpiti da sentenze penali di condanna, per cui, ad avviso del ricorrente, non si giustificherebbe la diversa previsione dei termini perentori prevista dal legislatore a seconda della natura del reato ascritto all'incolpando.Detta norma, come sopra esposto, non si applica al caso in esame e, quindi, manca l'interesse del ricorrente a vedersi riconosciuto l'accoglimento della relativa domanda; tuttavia, il Collegio procede ugualmente ad esporre le ragioni che militano contro la censura di cui sopra.
Preliminarmente, va precisato che la legge n. 97/2001 contiene una normativa a regime, quella di cui all'art. 5, comma 4, ed una transitoria, prevista dall'art. 10, comma 3 (quest'ultima nel testo risultante a seguito della pronuncia della Corte Costituzionale n. 186/2004); entrambe prescrivono che il procedimento disciplinare debba avere inizio o, in caso di intervenuta sospensione, proseguire entro il termine di novanta giorni dalla comunicazione della sentenza all'amministrazione.
Orbene, per quel che concerne la dedotta questione di legittimità costituzionale, il Collegio ritiene che, al fine di respingere detta eccezione possa soccorrere la ratio che si evince dal parere n. 497/2001 della Commissione speciale per il pubblico impiego del Consiglio di Stato, sopra richiamato, laddove, sia pure con riferimento al solo art. 5, comma 4, della legge n. 97/2001 (ma la ratio vale anche per il contestato art. 10, comma 3), ha precisato che l'indicazione di un termine dimezzato (90 giorni) rispetto a quello stabilito dalla legge 7 febbraio 1990, n. 19 (art. 9, comma 2), per l'avvio del procedimento disciplinare, appare giustificato dal particolare allarme sociale causato, appunto, dalla gravità dei fatti (di cui al comma 1 dell'art. 3 della L. n. 97/2001) da contestare al dipendente già condannato con sentenza penale irrevocabile, mentre il raddoppio del termine previsto dal medesimo art. 5, comma 4, per la conclusione del procedimento disciplinare (entro 180 giorni decorrenti dal termine di inizio o di proseguimento) sarebbe a sua volta giustificato dalla presumibile complessità e delicatezza degli accertamenti da compiersi - per simili fattispecie - anche in sede disciplinare.Conclusivamente, l'appello è infondato e pertanto, va respinto.Ritiene il Collegio che ogni altro motivo od eccezione di rito e di merito possa essere assorbito in quanto ininfluente ed irrilevante ai fini della presente decisione.
Si ritiene, data la natura della presente controversia, che sia equo disporre la compensazione delle spese del presente grado di giudizio.
P.Q.M.
Il Consiglio di Giustizia amministrativa per la Regione siciliana, in sede giurisdizionale, definitivamente pronunciando, respinge l'appello in epigrafe e, per l'effetto, conferma la sentenza impugnata.
Spese del grado compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'Autorità amministrativa.

   

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