Cassazione: "risarcimento, Euro 10.000,00, in ragione del discredito per l'Amministrazione di appartenenza"

Dettagli
Categoria: Sentenze - Ordinanza - Parere - Decreto
Creato Martedì, 31 Luglio 2012 01:03
Visite: 1736

d

C. Conti Veneto Sez. giurisdiz., Sent., 12-07-2012, n. 535

Fatto Diritto P.Q.M.
Svolgimento del processo
Con atto di citazione depositato presso la segreteria di questa Sezione in data 29 settembre 2011, ritualmente notificato, la Procura regionale conveniva in giudizio (@@@) quale responsabile di danni prodotti al Ministero dell'Interno, per sentirla condannare al pagamento della somma complessiva di Euro 11.183,40 oltre interessi legali e spese di giudizio.
Esponeva il requirente che, in data 15 novembre 2011, perveniva da parte del G.I.P. presso il Tribunale di (@@@) copia della sentenza a carico di (@@@) e (@@@) emessa ai sensi dell'art. 444 c.p.p. e non appellata, passata in giudicato in data 29.06.2007 che condannava i due imputati del delitto di cui agli artt. 81, 110 e 319 c.p., nonché la sola (@@@) del delitto di cui all'art. 12 L. n. 121/1981.
Il G.I.P. condannava, altresì, i predetti al pagamento delle spese di mantenimento in carcere e disponeva la confisca del pretium sceleris, quantificato esattamente in Euro 6.800,00, a carico degli imputati, in solido.
Risulta dagli atti di causa che la (@@@), assistente capo della Polizia di Stato, in servizio presso la Questura di (@@@) e addetta allo sportello prenotazioni dell'Ufficio Immigrazione, riceveva Euro 6.800,00, nonché la promessa di altre somme di danaro dall'(@@@), che fungeva da istigatore prima e intermediario poi, tra lei e alcuni cittadini extracomunitari, rispetto ai quali svolgeva un'illecita attività volta al rilascio dei permessi di soggiorno.
In cambio di somme di denaro la (@@@) svolgeva atti contrari ai doveri d'ufficio ex art. 319 c.p., alterando l'elenco informatico delle prenotazioni degli appuntamenti per il rilascio dei permessi di soggiorno. Privilegiava le pratiche relative a taluni nominativi di stranieri segnalati dall'(@@@) rispetto ad altri prenotati regolarmente e antecedentemente, i quali venivano pretermessi ai fini dell'esame prescritto dalla normativa vigente da parte dell'Ufficio Immigrazione e del conseguente rilascio dei suddetti permessi.
Nel corso delle indagini penali il G.I.P. aderiva alla richiesta del P.M. di applicazione della misura cautelare nei confronti della convenuta e disponeva tale misura con ordinanza del 04.11.2005.
L'Ufficio del Personale della Questura di (@@@), all'esito del deposito della sentenza penale, avviava il procedimento disciplinare della sospensione dal servizio per mesi sei a decorrere dal 13.11.2007.
Nel contempo, il Questore di (@@@) proponeva al Ministero dell'Interno il trasferimento della convenuta presso altra sede di servizio, per motivi di opportunità e di incompatibilità ambientale e, all'atto della riammissione in servizio, la suddetta veniva trasferita presso il Commissariato di (@@@).
Tanto premesso, riteneva la Procura che dai fatti descritti fosse derivato, al Ministero dell'Interno, un danno erariale da ricollegare alla condotta gravemente colposa dell'assistente capo della Polizia di Stato (@@@).
Conseguentemente, notificava atto di invito a dedurre alla stess(@@@)
La convenuta controdeduceva e veniva sentita in data 22.06.2011.
Il P.M., ritenendo permanere i presupposti della responsabilità amministrativa, conveniva in giudizio l'odierna convenut(@@@)
La Procura evidenziava che i comportamenti illeciti accertati e sanzionati in sede penale nei riguardi della convenuta avessero arrecato danno all'immagine e al prestigio del Ministero dell'Interno e della Polizia di Stato.
In merito alla quantificazione di tale danno, il P.M. riteneva di dovere addebitare all'odierna convenuta, a titolo di risarcimento, Euro 10.000,00, in ragione del discredito per l'Amministrazione di appartenenza, persona offesa nel giudizio penale, e di risonanza presso la comunità locale, presso cui la stessa prestava servizio.
La Procura contestava alla convenuta un ulteriore danno erariale definito da disservizio. Sottolineava che tale fattispecie si concretizza "quando emerge evidente un'alterazione del sinallagma connesso al rapporto di impiego: si verifica, cioè, uno squilibrio svantaggioso per lo Stato, che corrisponde gli emolumenti a un dipendente, il quale, non solo non rende la controprestazione dovuta ma, anzi, ne pone in essere una contraria agli interessi della controparte adempiente e che produce nocumento allo stesso. Nel caso di specie, la sentenza penale acquisita dava contezza di una condotta criminosa, incompatibile con la prestazione dovuta in esecuzione dei doveri d'ufficio e anzi tesa a vanificare le finalità del buon andamento".
Tale partita di danno veniva quantificata dalla Procura nella misura percentuale del 20% degli emolumenti percepiti dalla (@@@) nell'arco di tempo in cui vi era certezza che avesse posto in essere la descritta condotta dolosa - da luglio a ottobre 2005, pari a Euro 1.183,40.
La convenuta, nonostante la rituale notifica dell'atto di citazione, non si costituiva in giudizio.
All'odierna udienza, dichiarata la contumacia della convenuta, il P.M. si riportava integralmente all'atto introduttivo del giudizio reiterando le conclusioni ivi rassegnate.
La causa veniva, quindi, riservata per la decisione.
Motivi della decisione
Nella fattispecie in esame vengono in rilievo, secondo l'impostazione accusatoria, due distinte poste di danno: l'una relativa al danno all'immagine; l'altra relativa al danno da disservizio.
Quanto alla prima fattispecie di danno, si osserva che la fattispecie criminosa su cui si è pronunciata la sentenza penale di condanna n. 483/2007 è tra quelle rientranti nella tipologia dei reati per i quali sussiste - anche successivamente alle novelle apportate in materia dal D.L. n. 78/2009 conv. in L. 3 agosto 2009 n. 102 e dal D.L. 3 agosto 2009 n. 103 conv. in L. n. 141/2009 - la giurisdizione della Corte dei conti in relazione alla materia de qu(@@@)
Ciò posto, il Collegio ritiene di esaminare brevemente gli orientamenti giurisprudenziali intervenuti in materia di danno all'immagine, nonché la recente novella legislativa sancito dal legislatore nell'art. 1 del decreto legge 3 agosto 2009 n. 103, convertito nella legge 3 ottobre 2009 n. 141, di modifica dell'art. 17 comma 30 ter del decreto legge 1 luglio 2009 n. 78, convertito con modifiche nella legge 3 agosto 2009 n. 102.
Le Sezioni Riunite con la sentenza n. 10/QM/2003 hanno chiarito che, nell'ambito del rispetto dell'immagine della p.(@@@) e dell'interesse costituzionalmente garantito dall'art. 97, comma 2°, è necessario che le competenze siano individuate e rispettate; le funzioni assegnate vengano esercitate e le responsabilità proprie dei funzionari vengano attivate: ne consegue che ogni azione del pubblico dipendente che leda tali interessi si traduce in un'alterazione dell'identità della pubblica amministrazione e, più ancora, nell'apparire di una sua immagine negativa in quanto struttura organizzata confusamente, gestita in maniera inefficiente, non responsabile né responsabilizzat(@@@) La violazione di questo diritto all'immagine, intesa come diritto al conseguimento, al mantenimento e al riconoscimento della propria identità come persona giuridica pubblica, è economicamente valutabile. Essa, infatti, secondo le SS.RR., si risolve in un onere finanziario che si ripercuote sull'intera collettività, dando luogo a una carente utilizzazione delle risorse pubbliche e a costi aggiuntivi per correggere gli effetti distorsivi che, nell'organizzazione della pubblica amministrazione, si riflettono in termini di minor credibilità e prestigio e di diminuzione di potenzialità operativ(@@@) In altre parole, il danno all'immagine è un danno pubblico in quanto lesione del buon andamento della p.(@@@) che perde, con la condotta illecita dei suoi dipendenti, credibilità ed affidabilità all'esterno, ed ingenera la convinzione che i comportamenti patologici posti in essere dai propri dipendenti siano un connotato usuale dell'azione dell'Ente.
Secondo il costante orientamento di questa Corte, infatti, "il danno all'immagine, in base al principio di immedesimazione organica, di rilievo sociologico ancora prima che giuridico, porta sempre ad identificare l'Amministrazione con il soggetto che per essa ha agito", così da ricondurre all'Amministrazione medesima tanto gli sviluppi concreti di reale attuazione dei valori di legalità, buon andamento ed imparzialità intrinsecamente connessi all'agire pubblico (ex art. 97 Cost), quanto i corrispondenti, opposti, disvalori, legati alle forme più gravi di illecito amministrativo contabile, con evidente discredito delle istituzioni pubbliche (Sez. 1° centr. n. 16/2002; Sez. 3° centr. 143/2009).
Prescindendo dalla collocazione dogmatica del citato danno, la giurisprudenza ritiene che la violazione del diritto all'immagine della Pubblica Amministrazione sia, comunque, economicamente valutabile, concretizzandosi in un onere finanziario che si ripercuote sull'intera collettività, spostando conseguentemente l'attenzione sulla sua quantificazione; la Corte di Cassazione (Sezioni Unite n. 26806/2009 e n. 8098/2007) ha puntualizzato che il danno all'immagine "anche se non comporta apparentemente una diminuzione patrimoniale alla pubblica amministrazione, è suscettibile di una valutazione economica finalizzata al ripristino del bene giuridico leso". In altre parole una cosa è la prova della lesione, che è in re ipsa, un'altra quella della sua quantificazione da compiersi in via equitativa, ex art. 1226 c.c., i cui parametri devono essere forniti, però, dall'attore pubblico, anche con il concorso dei fatti notori, di cui all'art. 115, comma 2, c.p.c., e delle presunzioni, di cui agli artt. 2727 ss codice civile. Allo scopo, è possibile fare riferimento alle spese direttamente sostenute e/o a quelle eventuali da sostenere per il ripristino dell'immagine pubblica lesa e a tutte le ulteriori conseguenze che secondo l'id quod plerumque accidit possono derivare in futuro dalla condotta illecit(@@@)
All'articolato orientamento giurisprudenziale di cui sopra ha fatto seguito il recente intervento del legislatore che, con l'art. 1 del decreto legge 3 agosto 2009 n. 103, convertito nella legge 3 ottobre 2009 n. 141, di modifica dell'art. 17 comma 30 ter del decreto legge 1 luglio 2009 n. 78, convertito con modifiche nella legge 3 agosto 2009 n. 102, senza fornire alcuna definizione di "danno all'immagine", né indicare i criteri in base ai quali lo stesso debba essere risarcito, ha puntualizzato: "Le procure della Corte dei conti esercitano l'azione per il risarcimento del danno all'immagine nei soli casi e nei modi previsti dall'articolo 7 dalla legge 27 marzo 2001, n. 97. A tale ultimo fine, il decorso del termine di prescrizione di cui al comma 2 dell'articolo 1 della legge 14 gennaio 1994, n. 20, è sospeso fino alla conclusione del procedimento penale".
Da un lato, quindi, si è avuta la definitiva consacrazione normativa della figura di danno all'immagine subito da un'amministrazione pubblica, frutto in precedenza di esclusiva elaborazione giurisprudenziale, dall'altro si è voluto restringere l'operatività dello stesso ai soli casi in cui i pubblici dipendenti siano stati condannati, con sentenza irrevocabile, come è avvenuto per l'odierna convenuta, per i delitti contro la pubblica amministrazione previsti nel capo I del titolo II del libro secondo del codice penale.
Nel silenzio del legislatore deve darsi per avallata la prassi giurisprudenziale circa i criteri elaborati per la definizione e la quantificazione del citato danno: il danno all'immagine può, pertanto, essere connesso solo a gravi condotte integranti gli estremi dell'illecito penale, poste in essere dai dipendenti pubblici, di cui si sia avuta eco nell'ambito della comunità organizzata, tanto da minare la fiducia dei cittadini nelle Istituzioni, con effetti distorsivi sull'organizzazione amministrativa e conseguenti costi aggiuntivi da quantificare in via equitativa ai sensi degli artt. 1226 e 2056 c.c. L'esercizio del potere equitativo è subordinato, però, alla condizione che sia obiettivamente impossibile, o particolarmente difficile, per la parte interessata e, quindi, per il Pubblico Ministero contabile, provare il danno nel suo preciso ammontare; l'organo requirente non è esonerato dal fornire gli elementi probatori e i dati di fatto a sua disposizione affinché l'esercizio del potere equitativo sia il più possibile volto a colmare solo le lacune insuperabili nell'iter della determinazione dell'equivalente pecuniario del danno stesso, con la conseguenza che, assolto tale compito, il giudice può procedere secondo equità.
A tal fine è possibile utilizzare i criteri indicati dalle Sezioni Riunite di questa Corte nella sentenza n. 10/QM/2003 e ripresi dalla giurisprudenza contabile successiva, nonché quelli individuati dalla Corte di Cassazione, Sezioni Unite Penali, nella recente sentenza n. 15208/2010: la qualifica posseduta dalla convenuta al momento del commesso illecito; la reiterata condotta criminosa; il notevole disvalore sociale connesso alla gravità del reato, la sospensione dal servizio in esecuzione dell'ordinanza di custodia cautelare emessa dal GIP, con la quale si disponeva la misura coercitiva degli arresti domiciliari; la diffusione della notitia criminis (ripresa dal quotidiano "Corriere di (@@@)", nelle edizioni dell'11.11.2005 e del 26.05.2007 e dal quotidiano "L'Arena", nelle edizioni dell'11.11.2005 e del 26.05.2007).
Alla luce dei parametri sopra indicati, il Collegio ritiene congruo l'importo contestato dalla Procura Regionale e la convenuta deve essere, pertanto, condannata al risarcimento del danno all'immagine per un importo di Euro 10.000,00, oltre rivalutazione monetaria da calcolarsi secondo gli indici ISTAT a decorrere dal passaggio in giudicato della sentenza penale di patteggiamento (29.06.2007) al deposito della presente sentenza, nonché interessi legali dal deposito della sentenza al saldo. La domanda attrice non può invece trovare accoglimento in relazione al danno da disservizio asseritamente provocato all'amministrazione di appartenenz(@@@)
La Sezione ritiene, infatti, che il P.M. non abbia fornito alcuna prova della sua sussistenz(@@@)
Con riferimento a detta posta di danno occorre, in premessa, svolgere alcune considerazioni al fine di chiarire il contenuto e la natura del danno da disservizio così come configurato dalla giurisprudenza contabile.
Il danno da disservizio si concretizza nel mancato conseguimento del buon andamento dell'azione pubblica, in cui il comportamento realizzato dal pubblico dipendente contribuisce a disarticolare i moduli organizzativi e funzionali dell'Amministrazione, con conseguente mancato raggiungimento delle utilità previste in rapporto alle risorse impiegate (cfr. Corte dei Conti, Sez. Umbria, sent. n. 511, del 29 novembre 2001, Sezione Sicilia, sent. n. 795, del 17 marzo 2004).
In altri termini, ricorre tale fattispecie dannosa nelle ipotesi in cui l'azione, nel caso quella dell'Amministrazione dell'Interno, non raggiunge, sotto il profilo qualitativo, quelle utilità ordinariamente ritraibili dall'impiego di determinate risorse, così da determinare uno spreco delle stesse: "...si tratta di un pregiudizio effettivo, concreto e attuale, che coincide con il maggior costo del servizio, nella misura in cui questo si riveli inutile per l'utenza" (così Corte dei Conti, Sez. 1°, sent. n. 481/2010/A).
In fattispecie, secondo la prospettazione attorea, si tratta di un pregiudizio per "non resa del servizio", ove il mancato apporto lavorativo della convenuta incide causalmente sull'efficacia ed efficienza dell'azione amministrativ(@@@)
La spesa, così investita nell'Amministrazione dell'Interno, non produce utilità e risultati favorevoli per la Comunità ma contro i suoi interessi (cfr. Corte dei Conti, Sez. 2° centrale d'app. sent. n. 134/2000/A, Sez. 1°, sent. 103/2010/A).
Non è in discussione l'eventualità teorica che una condotta illecita possa determinare un nocumento erariale sotto il profilo organizzativo-funzionale dell'apparato amministrativo, ogni qual volta cioè che quest'ultimo, per effetto diretto di detta condotta, sia costretto a sopportare spese straordinarie ovvero a diminuire l'efficienza qualitativa o quantitativa del servizio fornito.
Tuttavia, non v'è dubbio che anche tale fattispecie di danno erariale non si sottrae alla regola generale dell'onere probatorio incombente sull'attore.
Nel caso di specie, il Procuratore regionale sostiene che il danno in questione sarebbe stato causato al Ministero dell'Interno, per avere la convenuta "alterato scientemente i moduli organizzativi e formali della struttura, determinando un danno nel rendimento del servizio che ha disatteso".
Sempre secondo l'attore, "tra il luglio e l'ottobre 2005 si è realizzata l'attività criminosa dettagliatamente descritta, che ha reciso il vincolo sinallagmatico tra prestazione lavorativa resa e stipendio corrisposto". Che la condotta illecita di cui si discute potesse avere gli effetti descritti dal P.M. è certamente verosimile, ma ciò non toglie che i fatti su cui l'attore fonda l'assunto accusatorio avrebbero dovuto formare oggetto di prova, che non è stata data, neppure in forma presuntiv(@@@)
Nel caso di specie, la convenuta modificava l'elenco informatico delle prenotazioni degli appuntamenti per il rilascio dei permessi di soggiorno inserendo i nominativi di cittadini extracomunitari in modo che le pratiche fossero esaminate dal personale dell'Ufficio Immigrazioni prima delle altre prenotate regolarmente.
Tuttavia, l'attore non ha provato che la convenuta, assistente capo della Polizia di Stato, in servizio presso la Questura di (@@@) e addetta allo sportello prenotazioni dell'Ufficio immigrazioni, non abbia svolto le prestazioni lavorative che hanno fatto venire meno il "vincolo sinallagmatico tra prestazione lavorativa resa e stipendio corrisposto".
In sostanza, per quanto consta, l'effetto distorsivo sulla funzionalità dell'apparato amministrativo asserito dall'attore può essere considerato al massimo un evento possibile della condotta illecita, il che però non consente di ritenere formato sul punto alcun accertamento idoneo a fondare una pronuncia di condanna (in senso conforme numerosi precedenti giurisprudenziali, v. Sezione giurisdizionale Puglia, n. 444 del 6/07/2010; Sezione giurisdizionale Veneto, n. 644 del 5/10/2009; Sezione giurisdizionale Umbria, n. 100 del 5/08/2009; Sezione giurisdizionale Trento, n. 8 del 26/02/2009; Sezione giurisdizionale Puglia, n. 12 del 16/01/2009; Sezione giurisdizionale Trento, n. 48 del 30/10/2007; idem, n. 35 del 15/06/2007).
Tanto porta ad escludere la sussistenza, nel caso, del danno da disservizio prodotto alla Pubblica Amministrazione.
Per tale ragione la domanda attrice deve essere ritenuta infondata e la convenuta, con riguardo a tale partita di danno contestato, deve essere assolt(@@@)
Le spese di giudizio come liquidate in dispositivo, seguono la soccombenz(@@@)
P.Q.M.
La Corte dei Conti, Sezione giurisdizionale Regionale per il Veneto, definitivamente pronunciando, così provvede: - Condanna la convenuta (@@@) al pagamento in favore del Ministero dell'Interno, della complessiva somma di Euro 10.000,00 per danno all'immagine, oltre rivalutazione monetaria secondo indici ISTAT, da farsi decorrere come in motivazione, nonché interessi legali dal deposito della presente sentenza al saldo;
- Condanna la convenuta alla rifusione delle spese di giudizio che si liquidano in Euro 226,26 (duecentoventisei/26).
Manda alla Segreteria per gli adempimenti di competenz(@@@)