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Polizia Stradale: "violazione dell'art. 186/7 del Codice della Strada" - "condotta approssimativa e gravemente negligente."

Dettagli


IMPIEGO PUBBLICO
T.A.R. (@@@) Catania Sez. III, Sent., 06-07-2012, n. 1742

Fatto - Diritto P.Q.M.
Svolgimento del processo - Motivi della decisione
I. Il ricorrente è Agente scelto della Polizia Stradale di S.(@@@) (@@@) ed espone in fatto quanto segue.
In data 7.10.2007, alle ore 3.10, unitamente a un collega, contestava a un utente fermato la violazione dell'art. 186/7 del Codice della Strada, posto che questi si era rifiutato di sottoporsi al rilevamento del tasso alcolemico.
Alla detta contestazione seguiva il ritiro della patente di guida del conducente, la compilazione del verbale di accertamento urgente per la sintomatologia e al fermo amministrativo del veicolo.
Rientrato in ufficio, come di consueto, il ricorrente depositava le verbalizzazioni nella posta in entrata, riservandosi di compilare la relazione di servizio.
Il giorno successivo, in quanto fuori sede per ragioni di servizio, veniva raggiunto dalla comunicazione telefonica del V. Sov. (@@@), con la quale gli veniva rappresentato che erroneamente era stato disposto il fermo amministrativo dell'autoveicolo, poiché, secondo l'intervenuta modifica del comma 7 dell'art. 186 del Codice della Strada, la detta sanzione è possibile soltanto in presenza di automezzo di proprietà del medesimo conducente.
Il ricorrente, indi, procedeva all'annotazione di servizio, descrivendo i fatti, così come avvenuti.
Dopo le comunicazioni di rito con l'ufficio, in data 11.10.2007, veniva inviata dai superiori del ricorrente alla Procura competente, senza l'annotazione di "atti urgenti", la relazione contenente la notizia di reato.
Con nota del 5.12.2007, il Dirigente del Compartimento della Polizia Stradale della (@@@) (@@@) formulava al ricorrente regolare contestazione di addebiti, ove si esprimeva giudizio di condotta approssimativa e gravemente negligente.
Nonostante le giustificazioni presentate, con Provv. n. 894 del 24 gennaio 2008, notificato il 18.2.2008, il medesimo Dirigente irrogava al ricorrente la sanzione disciplinare della pena pecuniaria nella misura di 2/30 di una mensilità dello stipendio e degli assegni a carattere fisso e continuativo.
II. Con ricorso passato per la notifica il 18.4.2008 e depositato il 14.5.2008, il ricorrente ha impugnato tale ultimo provvedimento, deducendo, a sostegno delle proprie ragioni, le seguenti censure:
1) Violazione della immediata contestazione degli addebiti disciplinari. Violazione dell'art. 103 del T.U. 10 gennaio 1957, n. 3.
2) Violazione degli artt. 13, commi 4 e 14, del D.P.R. 25 gennaio 1981, n. 737. Violazione del principio di determinatezza, tassatività e di chiarezza della contestazione. Violazione dell'art. 24 della Costituzione. Parziale mancata contestazione. Mancata corrispondenza tra fatto contestato e fatto addebitato.
Asserisce il ricorrente che la contestazione del 5.12.2007, posta a fondamento del provvedimento impugnato, sarebbe stata redatta in violazione delle norme calendate, posto che non conterrebbe, come dovuto, l'indicazione precisa e dettagliata degli addebiti mossi, limitandosi a descrivere, secondo valutazioni soggettive del redattore degli stessi, il dispiegarsi dei fatti.
3) Violazione dell'art. 4, comma 10, del D.P.R. n. 737 del 1981. Difetto dei presupposti: insussistenza della negligenza grave, del ritardo e sussistenza di idonea giustificazione. Eccesso di potere per illogicità, manifesta irragionevolezza, travisamento ed errore di fatto. Violazione dell'art. 3 L. n. 241 del 1990. Motivazione illogica e contraddittoria.
Asserisce il ricorrente che la contestata grave negligenza non sarebbe configurabile nella fattispecie in esame, poiché fondata su un presupposto inesistente (l'asserito illegittimo fermo amministrativo), posto che il divieto di irrogazione di detta ulteriore sanzione sarebbe stato codificato appena tre giorni prima del fatto in contestazione, mentre la circolare esplicativa sarebbe stata emanata addirittura il giorno successivo.
Inoltre, in ordine all'altro addebito contenuto nelle contestazioni, vale a dire il ritardo nel deposito della relazione di servizio (per altro, di soli due giorni), lo stesso non sarebbe stato volontario, ma occasionato da altrettante motivazioni di servizio, cui il ricorrente sarebbe stato, parimenti, tenuto.
Inoltre, la detta relazione non sarebbe stata redatta nell'immediatezza del rientro in ufficio, a causa della comprensibile stanchezza dipendente da una intera notte di servizio.
Per altro, la necessità di una consegna urgente della detta relazione sarebbe smentita dalla circostanza secondo la quale l'ufficio avrebbe provveduto alla conseguente comunicazione della notizia di reato, per altro non dovuta, senza segnalare la sussistenza di alcuna urgenza.
Infine, il ritardo della comunicazione urgente di atti relativi a notizie di reato sarebbe stata dedotto soltanto nell'atto sanzionatorio impugnato, mentre nulla sarebbe stato osservato in occasione della contestazione degli addebiti.
4) Ulteriore violazione degli artt. 13 e 14 del D.P.R. n. 737 del 1981. Eccesso di potere per omessa istruttoria.
Il provvedimento impugnato non riferirebbe alcunché in ordine all'audizione della Dr.ssa Fazio, la cui testimonianza sarebbe stata richiesta dal ricorrente in seno alle giustificazioni presentate.
5) Violazione dell'art. 32 del D.P.R. 31 luglio 1995, n. 395. Violazione della tutela del personale appartenente alle rappresentanze sindacali e dell'attività sindacale del ricorrente. Eccesso di potere per sviamento.
Diversamente da quanto stabilito dalle norme calendate, il procedimento disciplinare sarebbe stato avviato senza previo avviso alla Amministrazione Centrale e alla Segreteria nazionale dell'associazione sindacale della quale il ricorrente è rappresentante.
6) Violazione degli artt. 1 e 13 del D.P.R. n. 737 del 1981 e del principio di proporzionalità. Eccesso di potere per disparità di trattamento e violazione della prassi amministrativa. Eccesso di potere per sviamento della causa tipica.
Il provvedimento non avrebbe tenuto conto dell'ottimo stato di servizio del ricorrente, limitandosi a insistere sulla mancata intervenuta correzione di errori che questi non avrebbe potuto emendare, essendo suo specifico dovere d'ufficio, così come fatto, la mera rappresentazione dei fatti.
7) Violazione dell'art. 12 del D.P.R. n. 737 del 1981. Eccesso di potere per sviamento.
Il rapporto disciplinare non avrebbe indicato gli elementi utili a configurare l'infrazione, limitandosi ad esprimere valutazioni estranee ai fatti.
III. Costituitasi, l'Amministrazione intimata ha concluso per l'infondatezza del ricorso.
IV. Con Ordinanza n. 858/08, questa stessa Sezione ha accolto la domanda di sospensione del provvedimento impugnato.
V. Alla Udienza pubblica del 9.5.2012, la causa è stata trattenuta per la decisione.
VI. In punto di diritto il Collegio esamina con precedenza le censure volte a stigmatizzare l'illegittimità formale della procedura adottata per l'adozione del provvedimento impugnato e le ritiene infondate.
VI/a. Con il primo motivo di gravame il ricorrente duole della circostanza secondo la quale la contestazione degli addebiti sarebbe stata effettuata, in violazione dell'art. 103 del T.U. 10.1.1957 n. 3, dopo sessantasei giorni dal fatto contestato.
La norma invocata così recita:
"Il capo dell'ufficio che a norma dell'art. 100 è competente ad irrogare la censura deve compiere gli accertamenti del caso e, ove ritenga che sia da irrogare una sanzione più grave della censura, rimette gli atti all'ufficio del personale.
"L'ufficio del personale che abbia comunque notizia di una infrazione disciplinare commessa da un impiegato svolge gli opportuni accertamenti preliminari e, ove ritenga che il fatto sia punibile con la sanzione della censura, rimette gli atti al competente capo ufficio; negli altri casi contesta subito gli addebiti all'impiegato invitandolo a presentare le giustificazioni".
Tale norma, posto che nel caso in esame non si versa nell'ipotesi di sanzione a cura del diretto capo dell'ufficio o di censura, richiede un iter istruttorio, svolto il quale è possibile l'immediata contestazione degli addebiti.
Inoltre, "con la locuzione "subito" recata dalla norma invocata, ed in questa correlato alla contestazione degli addebiti, il legislatore ha indubbiamente inteso riferirsi, non ad un termine prestabilito e vincolante, ma ad un termine ragionevole e non dilatorio, da valutare secondo il caso concreto, entro il quale il procedimento disciplinare deve essere iniziato dall'Amministrazione" (cfr.Consiglio Stato, sez. IV, 27 novembre 2010, n. 8284).
In altri termini (cfr. T.A.R. Roma Lazio sez. I, 8 novembre 2010, n. 33228), "l'articolo 103, comma 2, del Testo unico - nel prevedere che la contestazione degli addebiti sia effettuata "subito" - non mira a vincolare l'Amministrazione all'osservanza di un termine rigido, il cui decorso comporti la decadenza del potere disciplinare, ma indica una regola di ragionevole prontezza e tempestività; ed invero, ciò che in effetti la norma vuole salvaguardare è la certezza del rapporto tra l'impiegato e l'Amministrazione, la quale verrebbe inficiata (anche per i profili consequenziali inerenti allo sviluppo di carriera ed alle relative valutazioni periodiche) ove il dipendente restasse esposto, 'sine die', per ingiustificata inerzia dell'Amministrazione stessa, alla possibile attribuzione di rilevanza disciplinare a determinati suoi comportamenti (cfr. Cons. St., Sez. IV, 30 gennaio 2009, n. 517).
Ma la valutazione in ordine a tale ragionevolezza non può che dipendere dalla complessità degli accertamenti preliminari e dall'effettivo svolgimento dell'iter procedurale (Cons. St., Sez. VI, 11 ottobre 2007, n. 5340) ".
Nel caso di specie, non sembra che le contestazioni siano state formalizzate in tempi assolutamente irragionevoli e, comunque, tali da pregiudicare il diritto di adeguata difesa da parte del ricorrente, tenuto conto, per altro, che le stesse, correttamente, sono state precedute da un iter istruttorio.
Del resto, il mancato concreto pregiudizio è possibile evincerlo dall'esame delle puntuali difese del ricorrente in sede di procedimento amministrativo, che rilevano che questi non sembra affatto che sia stato pregiudicato nel ricordo dei fatti, per altro trasfusi nel verbale dallo stesso redatto ed oggetto delle medesime contestazioni.
VI/b. Con la seconda e la settima censura, il ricorrente si duole della mancata indicazione nelle contestazioni degli addebiti di cui alla nota del 5.12.2007 della "specifica trasgressione di cui l'incolpato era chiamato a rispondere"., limitandosi a "aprioristiche valutazione e anticipazioni di giudizio", nonché di analoghi vizi rispetto al rapporto disciplinare del 21.10.2007.
Il Collegio condivide la giurisprudenza (cfr. TAR Lazio n. 33228/10 cit.) secondo la quale "nei giudizi disciplinari la garanzia costituzionale del diritto di difesa dell'incolpato comporta, fra l'altro, che l'interessato abbia diritto di essere adeguatamente informato tanto dell'instaurazione e dello svolgimento del procedimento quanto del contenuto degli addebiti, con la duplice conseguenza del sorgere di corrispondenti obblighi a carico del soggetto che inizi il procedimento, e della delimitazione del giudizio in relazione al contenuto della contestazione, sicché è illegittima l'irrogazione della sanzione per fatti diversi da quelli contestati (cfr. Cons. Stato, sez. IV, n. 6403 del 2004; sez. V, n. 801 del 2003; Cass., sez. un., 27 settembre 1997, n. 9501) ".
Tanto premesso è, però, da escludere alcuna violazione nel caso di specie dell'art. 14 del D.P.R. n. 737 del 1981 che impone che la contestazione degli addebiti debba "indicare succintamente e con chiarezza i fatti e la specifica trasgressione di cui l'incolpato è chiamato a rispondere".
La lettura dell'atto di contestazione permette chiaramente di cogliere le mancanze addebitate, in quanto, oltre a rappresentare compiutamente il fatto che ha occasionato il procedimento per cui è ricorso, sono state descritte le operazioni svolte dal ricorrente e ritenute illegittime.
Ed invero, nelle contestazioni si rilevano le seguenti precise indicazioni:
a) "Ella ritirava correttamente la patente di guida del conducente ma sottoponeva altresì a fermo amministrativo il veicolo, malgrado risultasse chiaramente non appartenergli";
b) "invitato il giorno successivo dal personale preposto ai successivi adempimenti a completare gli atti ed a correggere quelli ritenuti errati, Ella non solo polemizzava col predetto personale ma, anziché inviare formale annotazione di servizio da servire quale base per l'inoltro della C.N.R., spediva via mail una semplice relazione nella quale perseverava nell'errore di ritenere legittimo, malgrado avvisato del contrario, il fermo amministrativo operato";
c) . . . "ciò ha comportato nocumento al normale andamento dell'Ufficio e l'assunzione di responsabilità procedimentali (la restituzione dell'auto all'avente diritto e la formulazione di una c.n.r. con dati contrastanti) a Lei spettanti, ed assunte invece da altri (il suo Comandante di Distaccamento)"
d) . . . "tale condotta appare avventata ed approssimativa e si configura come gravemente negligente secondo i dettami previsti dall'art. 4 commi 10 e 11 . . . ";
L'atto impugnato, quindi, a parere del Collegio, assolve perfettamente all'onere procedimentale dell'esatta informazione dei fatti contestati e della trasgressione, sia nella forma dell'erronea formalizzazione di un fermo amministrativo che della mancata comunicazione della notizia di reato, elementi, questi, posti a fondamento del provvedimento sanzionatorio impugnato.
VI/c. Con la quarta censura si duole della mancata audizione della dr.ssa Fazio, richiesta in sede di deduzioni alle contestazioni.
Il rilievo non può essere condiviso, posto che la stessa ha partecipato al procedimento con nota riservata del 26.11.2007, indirizzata al Dirigente del Compartimento che ha adottato il provvedimento impugnato, con la quale, a tutta evidenza, è stato espresso un giudizio negativo in ordine al comportamento complessivamente adottato dal ricorrente.
VI/d. Con il quinto motivo di ricorso, il ricorrente deduce che, seppur rappresentante sindacale, in spregio all'art. 32 del D.P.R. n. 395 del 1995, non sarebbe stato dato avviso dell'avvio del procedimento disciplinare all'Amministrazione centrale e alla segreteria nazionale dell'organizzazione sindacale.
La circostanza è stata documentalmente smentita dall'Amministrazione, posto che le dette comunicazioni sono state effettuate con nota prot. n. 070011095/106.11 del 5.12.2007 (data in cui sono state avviate anche le contestazioni).
VII. E' possibile, ora, passare all'esame delle questioni più squisitamente di merito.
La questione principale viene posta con la terza censura, secondo la quale il comportamento contestato dall'Amministrazione non sarebbe gravemente negligente e, pertanto, non avrebbe potuto comportare l'adozione della sanzione impugnata.
In sostanza, il dispositivo del provvedimento impugnato così si esprime: "capopattuglia di polizia stradale sottoponeva a fermo amministrativo un veicolo provato indebitamente e teneva collegata annotazione con due giorni di ritardo non giustificato, provocando nocumento al regolare andamento dell'ufficio - Art. 4 punto 10 del D.P.R. 25 ottobre 1981, n. 737"-
La norma appena citata posta a fondamento della sanzione cosi statuisce:
"Pena pecuniaria.
La pena pecuniaria consiste nella riduzione in misura non superiore a cinque trentesimi di una mensilità dello stipendio e degli altri assegni a carattere fisso e continuativo.
Con tale sanzione vengono punite le seguenti infrazioni:
omissis
10) la grave negligenza in servizio;
11) il ritardo o la negligenza nell'esecuzione di un ordine".
Emerge, intanto, che il motivo della irrogazione è limitato al punto 10, sicché non sussiste, come pure contestato in ricorso, nessun riferimento al successivo punto 11, invero presente soltanto nella contestazione di addebiti. Ciò significa che non è il ritardo nell'osservanza di un ordine che rileva, ma la grave negligenza in servizio.
Ciò posto, parte ricorrente asserisce che l'errata interpretazione circa la possibilità di operare il fermo amministrativo sarebbe derivata da una norma modificativa della precedente ed entrata in vigore appena tre giorni prima.
La circostanza non è confermata in punto di fatto.
Invero, come richiamato nel provvedimento impugnato, la norma che ha modificato il comma 7 dell'art. 186 del codice della strada è stata introdotta dal D.L. 3 agosto 2007, n. 117, entrato in vigore il giorno della pubblicazione in Gazzetta Ufficiale, vale a dire il 04/08/2007 (G.U.R.I. n.180), sicché, alla data del fatto che ha originato il contenzioso in esame, vale a dire il 7.10.2007, era in vigore da quasi due mesi.
Vero è che il detto d.l. (erroneamente indicato nel provvedimento impugnato come D.P.R.) è stato convertito con L. 2 ottobre 2007, n.160, ma alcuna modifica è stata apportata per quanto di interesse. Il testo, poi, appare di una chiarezza solare e, quindi, insuscettibile di dubbi interpretativi di sorta.
Infatti la norma così recita:
"Salvo che il fatto costituisca reato, in caso di rifiuto dell'accertamento di cui ai commi 3, 4 o 5 il conducente e' soggetto alla sanzione amministrativa del pagamento di una somma da Euro 2.500 a Euro 10.000. Se la violazione e' commessa in occasione di un incidente stradale in cui il conducente e' rimasto coinvolto, si applica la sanzione amministrativa pecuniaria da Euro 3.000 ad Euro 12.000. Dalle violazioni conseguono la sanzione amministrativa accessoria della sospensione della patente di guida per un periodo da sei mesi a due anni e del fermo amministrativo del veicolo per un periodo di centottanta giorni ai sensi del capo I, sezione II, del titolo VI, salvo che il veicolo appartenga a persona estranea alla violazione".
Vi è di più. Come ammesso dallo stesso ricorrente, anche la circolare dello stesso Ministero dell'Interno del 3.8.2007 "vigente all'epoca dei fatti", diversamente da quanto sostenuto in ricorso, recava una dicitura assolutamente inequivoca e insuscettibile di dubbie interpretazioni, così recitando: "il fermo amministrativo ricorre quando il veicolo stesso non appartenga a persona estranea al reato".
Il Collegio non comprende come possa ritenersi dubbia e/o oscura la detta definizione, sicché, induttivamente, è da ritenere che il ricorrente fosse ben consapevole (o avrebbe dovuto esserlo) della illegittimità di un fermo amministrativo nel caso sottoposto al suo esame.
In ordine al ritardo nella verbalizzazione, motivato dal ricorrente dalla circostanza secondo la quale il fatto contestato avrebbe rilievo soltanto amministrativo, emerge una altrettanta responsabilità del medesimo, posto che, come correttamente rilevato dal provvedimento impugnato, "l'illecito amministrativo del rifiuto di sottoporsi agli accertamenti preliminari non invasivi ovvero al controllo con etilometro può concorrere con il reato di guida in stato di ebbrezza, soprattutto quando lo stato di alterazione è così evidente da essere accertato anche senza l'ausilio degli strumenti o di accertamenti sanitari", circostanza questa, certamente evincibile dall'esame del rapporto del ricorrente, per quanto, per altro, ribadito sempre nel provvedimento impugnato.
Se così è, risulta violata la circolare del Ministero dell'Interno del 3.8.2007, che, nella parte di interesse, così recita: "gli illeciti amministrativi di cui trattasi, peraltro, possono concorrere, ove la sintomatologia consenta una valutazione adeguata dello stato di alterazione psico-fisica, con i reati di guida in stato di ebbrezza o di alterazione sotto l'effetto di stupefacenti, soprattutto quando lo stato di alterazione è così evidente da essere accertato anche senza l'ausilio di strumenti o accertamenti sanitari".
Il comportamento complessivamente tenuto dal ricorrente, anche in ordine al mancato riconoscimento dell'errore commesso, ad avviso del Collegio, definisce un quadro rappresentativo dei fatti, tale da rendere recessive le sue giustificazioni in ordine al ritardato assolvimento dell'obbligo di annotazione dei fatti in esame.
Consegue l'infondatezza del motivo in esame e di quello rubricato al numero sei del ricorso, laddove, pur essendo non censurabile il rifiuto di modificare le annotazioni, riportandole alla dimensione della correttezza amministrativa, le eventuali circostanze attenuanti, riferibili allo stato di servizio del ricorrente, invocate con detta ultima censura, sembrano potersi bilanciare con quelle, secondo le quali, in buona sostanza, egli ha agito in difformità a chiare disposizioni di servizio.
VIII. Dalle considerazioni premesse, consegue l'infondatezza del ricorso che, dunque, va rigettato.
Le spese di giudizio vanno integralmente compensate tra le parti, tenuto conto della questione agitata e del diverso orientamento reso in sede cautelare da questo stesso Tribunale, che depone per la non assoluta immediata percettibilità della infondatezza del ricorso.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la (@@@) sezione staccata di Catania (Sezione Terza), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo rigetta.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

   

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