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Dipendente pubblico - Titolarità di una licenza di commercio - Violazioni previste - decadenza dall'impiego - Ricorso

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T.A.R. Lazio Roma Sez. I ter, Sent., 12-07-2012, n. 6331

Fatto Diritto P.Q.M.
Svolgimento del processo
Con atto (n. 17291/1996) il sig. (@@@) ha adito questo Tribunale per l'annullamento del decreto del Capo della Polizia in data 7 maggio 1996 con cui è stata inflitta la sanzione disciplinare della sospensione dal servizio di due mesi, ai sensi dell'art. 6 del D.P.R. n. 737 del 1981, ed avverso la quale ha proposto, ai sensi del successivo art. 25, istanza di riesame al Ministro dell'interno su cui si è formato il silenzio rifiuto.
Espone che con nota del 15.10.1994 l'Amministrazione gli ha notificato l'atto di contestazione degli addebiti disciplinari a causa della titolarità di una licenza di commercio e per violazione della disposizione di cui all'art. 4, punto 2 ed all'art. 3, punto 3 del succitato D.P.R. n. 737 del 1981.
Espone, di aver prodotto in merito proprie controdeduzioni che affermavano che l'effettivo esercizio dell'attività commerciale era svolto da sua moglie.
Riferisce di aver comunicato, in data 11.9.1995, all'Amministrazione di appartenenza, l'intervenuta chiusura dell'esercizio commerciale e di aver presentato alla stessa Amministrazione istanza di acquisizione di copia della documentazione personale menzionata nella nota di contestazione degli addebiti (provvedimento di precedente punizione risalente all'anno 1980; invito formale a cessare tale attività commerciale; lettera del Comune di (@@@) al compartimento della Polfer; provvedimento di trasferimento presso il Commissariato P.S.di (@@@)), rimasta p(@@@) di seguito.
Riferisce, altresì, che in data 5.12.1995 l'Amministrazione gli ha notificato il provvedimento disciplinare di decadenza dall'impiego, ex artt. 50 e 51 del D.P.R. n. 335 del 1982, che è stato impugnato dinanzi a questo Tribunale (r.g. 1987/96).
Afferma che il successivo 10 giugno 1996 è stato a lui notificato l'ulteriore provvedimento di sospensione dal servizio per la durata di due mesi, a fronte del quale ha provveduto a presentare istanza di riesame a norma degli artt. 22 e 25 del D.P.R. n. 737 del 1981, sulla quale si è formato silenzio rifiuto.
Pertanto, ha adito questo Tribunale deducendo le seguenti censure:
a) Carenza di interesse e contraddittorietà, stante l'insussistenza di un interesse attuale dell'Amministrazione ad adottare nei suoi confronti il 7 maggio 1996 un provvedimento di sospensione dal servizio di due mesi successivamente alla data in cui era cessato dal servizio (13 settembre 1995).
Asserisce che a seguito della chiusura dell'attività commerciale intervenuta l'11.9.1995 l'Amministrazione doveva procedere all'archiviazione del procedimento disciplinare essendo venuti meno i presupposti fattuali da cui era originato.
b) Violazione del D.P.R. n. 737 del 1981, carenza d'istruttoria ed insufficiente motivazione.
Lamenta che in violazione dell'art. 21 del D.P.R. n. 737 del 1981 il provvedimento disciplinare adottato in 7 maggio 1996, è stato a lui notificato il 10 giugno 1996, ossia oltre il prescritto termine di dieci giorni decorrenti dalla relativa adozione e che l'attività istruttoria in sede disciplinare si è protratta per nove mesi, fino al 7 maggio 1996, ossia ben oltre il termine semestrale, ex artt. 19 e 20, decorrente dalla data di conferimento dell'incarico al funzionario istruttore, avvenuta con nota 12 agosto 1995.
Sotto altro profilo, deduce carenza d'istruttoria, posto che la fattispecie astratta sanzionabile, configurata dell'art. 6 n. 1 del D.P.R. n. 737 del 1981, cioè l'esercizio occasionale di commercio caratterizzato da condotte di particolare gravità, reiterate o abituali, non troverebbe corrispondenza nell'esercizio occasionale da parte sua dell'attività commerciale oggetto di contestazione.
Lamenta, inoltre, il difetto di motivazione del provvedimento disciplinare a causa della omessa indicazione specifica dei suoi precedenti disciplinari e di servizio, nonché la circostanza che il rapporto redatto dal funzionario istruttore non si sia limitato ad accertare la condotta contestata, bensì anche a formulare una proposta di sanzione disciplinare contrariamente a quanto prescritto dagli artt. 12 e 19 del D.P.R. n. 737 del 1981.
c) Eccesso di potere per sviamento e travisamento dei fatti.
Lamenta che il funzionario istruttore nella sua relazione avrebbe espresso un giudizio di discredito sull'attività di servizio da lui prestata negli ultimi anni.
Motivi della decisione
Il ricorso è infondato e, pertanto, deve essere respinto.
Il ricorrente, ispettore capo della Polizia di Stato, impugna il decreto, nell'epigrafe indicato, che ha disposto nei suoi confronti la sanzione disciplinare della sospensione dal servizio per mesi due, in applicazione dell'art. 6 del D.P.R. n. 737 del 1981, per esercizio di un'attività commerciale p(@@@)ta in località (@@@) del (@@@), incompatibile con lo status di appartenente alle Forze di polizia.
Con il primo motivo il sig. C. eccepisce la carenza d'interesse dell'Amministrazione ad adottare il provvedimento disciplinare odiernamente gravato, in data successiva alla sua cessazione dal servizio per intervenuta decadenza ai sensi degli artt. 50 e 51 del D.P.R. n. 335 del 1982, a far data dal 13 settembre 1995.
Afferma che la sanzione della sospensione dal servizio per mesi due sarebbe, pertanto, inutiliter data.
Sotto altro profilo, lamenta che il procedimento disciplinare avrebbe dovuto concludersi con un atto di archiviazione, atteso che a norma delle disposizioni contenute nei D.P.R. n. 737 del 1981 e D.P.R. n. 335 del 1992, sarebbe sanzionabile la sola titolarità della licenza commerciale e non anche l'effettivo esercizio e tenuto conto, inoltre, che l'attività commerciale oggetto di contestazione sarebbe cessata per chiusura del negozio, fin dall'11 settembre 1995.
La doglianza non può essere accolta.
In relazione alla asserita carenza d'interesse dell'Amministrazione ad adottare il provvedimento di sospensione dal servizio successivamente alla decadenza del ricorrente dall'impiego, il Collegio ritiene di poter ravvisare, contrariamente a quanto prospettato dalla difesa attorea, la sussistenza di un interesse della P.A. a concludere un procedimento disciplinare mediante un provvedimento rappresentativo dei presupposti fattuali e normativi ad esso sottesi. Difatti, non si può non rilevare, che radicano un interesse all'adozione della misura disciplinare odiernamente gravata, da un lato la pendenza dinanzi a questo Tribunale del giudizio (r.g. n. 14165/1995) instaurato dal ricorrente medesimo avverso il provvedimento del Dirigente superiore notificato il 28.8.1995 con cui lo si diffidava dal permanere in una condizione di incompatibilità ex art. 50 del D.P.R. n. 737 del 1981, pena la decadenza dall'impiego, che, in quanto sub iudice, è da ritenersi astrattamente suscettibile di annullamento in sede giurisdizionale, dall'altro la condotta ritenuta incompatibile con lo status di appartenente alle Forze di polizia che in quanto precedente di servizio sarebbe certamente suscettibile di valutazione nel caso in cui il sig. C. si determinasse a presentare una possibile istanza di riammissione in servizio.
Con il secondo motivo il ricorrente lamenta la violazione dell'art. 21 del D.P.R. n. 737 del 1981, atteso che il provvedimento disciplinare adottato in 7 maggio 1996, è stato a lui notificato il 10 giugno 1996, ossia oltre il prescritto termine di dieci giorni decorrenti dalla relativa adozione e che l'attività istruttoria in sede disciplinare si è protratta per nove mesi, fino al 7 maggio 1996, ossia ben oltre il termine semestrale, ex artt. 19 e 20, decorrente dalla data di conferimento dell'incarico al funzionario istruttore, avvenuta con nota 12 agosto 1995.
Deduce, inoltre, che la fattispecie astratta descritta dall'art. 6 n. 1 del D.P.R. n. 737 del 1981, cioè l'esercizio occasionale di commercio caratterizzato da condotte di particolare gravità, reiterate o abituali, non sarebbe ravvisabile nell'esercizio occasionale da parte sua dell'attività commerciale oggetto di contestazione.
Lamenta, inoltre, il difetto di motivazione del provvedimento disciplinare a causa della omessa indicazione specifica dei suoi precedenti disciplinari e di servizio, nonché la circostanza che il rapporto redatto dal funzionario istruttore non si è limitato ad accertare la condotta contestata, bensì a formulare una proposta di sanzione disciplinare contrariamente a quanto prescritto dagli artt. 12 e 19 del D.P.R. n. 737 del 1981.
La censura è p(@@@) di pregio.
Quanto al primo profilo, il Collegio non può che rilevarne l'infondatezza, atteso che per costante e consolidato insegnamento giurisprudenziale da cui il Collegio non intende discostarsi i termini previsti dagli artt. 19, 20 e 21 del D.P.R. 25 ottobre 1981, n. 737 che cadenzano il procedimento disciplinare del personale della Polizia di Stato, non hanno natura perentoria e la loro inosservanza non ha effetti invalidanti sulla sanzione assunta. (in tal senso TAR Lazio, Sez. I, 8.11.2010, n. 33228).
Difatti, le fasi fondamentali del procedimento disciplinare vanno individuate in quella degli accertamenti preliminari e nella fase del procedimento disciplinare propriamente detto (che ha inizio con la contestazione degli addebiti e termine con l'adozione del provvedimento sanzionatorio o con il proscioglimento dell'incolpato) e all'interno di quest'ultima, vanno distinti i termini inderogabili, che sono quelli posti a garanzia dell'inquisito (e cioè quelli previsti per la presentazione delle giustificazioni, per la presa visione degli atti, per il preavviso di trattazione davanti alla commissione), da quelli sollecitatori, che sono i termini restanti.
Tale principio è stato stabilito dall'Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato nella decisione 25.1.2000 n. 4), pronunciata con riguardo alle norme del T.U. n. 3 del 1957 sugli impiegati civili dello Stato ma è riferibile a tutte le fattispecie procedimentali caratterizzate da fasi organizzative analoghe; tant'è che lo stesso è stato esplicitamente ribadito dal medesimo Consesso (cfr. Ad.Pl. n. 10 del 2006) con riguardo a fattispecie specificamente concernente il procedimento disciplinare di cui al D.P.R. n. 737 del 1981 relativo al personale della Polizia di Stato.
Privi di pregio sono da ritenersi anche gli ulteriori profili di illegittimità, posto che dagli atti di causa e, segnatamente, dalla nota di contestazione degli addebiti è dato rilevare che al sig. C. è stato in più occasioni intimato di cessare l'esercizio dell'attività commerciale che è risultata essere stata svolta fin dal 1980 e per la quale l'Amministrazione di appartenenza aveva già provveduto ad intraprendere le opportune iniziative disciplinari. Ciò comprova la sussistenza e la reiterazione di una condotta non conforme al suo status che deve ritenersi, dunque, caratterizzata da gravità in quanto perpetrata nel tempo, nonostante i richiami formali operati dall'Amministrazione nei confronti del ricorrente.
In relazione alla asserita violazione delle disposizioni contenute negli artt. 12 e 19 del D.P.R. n. 737, il Collegio ne afferma l'infondatezza.
Il ricorrente lamenta, in particolare, che il funzionario istruttore avrebbe proceduto formalmente a contestare la sanzione disciplinare della sospensione dal servizio per tre mesi contrariamente a quanto prescritto ai sensi dell'ultimo comma dell'art. 12, secondo cui " Il rapporto deve indicare chiaramente, e concisamente tutti gli elementi utili a configurare l'infrazione e non deve contenere alcuna proposta relativa alla specie e all'entità della sanzione".
Il Collegio si limita ad osservare che la riferita disposizione attiene non alla formale contestazione degli addebiti - nella quale possono essere individuati sia la norma disciplinare ritenuta violata e i fatti rilevati, ossia quegli elementi contenutistici previsti a garanzia dell'interessato, che è posto nelle condizioni di replicare non soltanto con riguardo all'addebito dei fatti suscettibili di sanzione, ma anche in merito alla loro qualificazione giuridica in base al regolamento di disciplina e alla graduazione della sanzione secondo criteri di adeguatezza e di proporzionalità - bensì al solo rapporto redatto dal superiore che ha proceduto a rilevare l'infrazione passibile di sanzione disciplinare.
Difatti, la nota cui fa riferimento il ricorrente (nota del funzionario istruttore del 19.6.1995 cfr. allegato n. 6 al ricorso) attiene alla contestazione degli addebiti che gli è stata inoltrata ex art. 19, comma 3 del D.P.R. n. 737 del 1981, con la conseguenza che la disposizione di cui all'art. 12 ultimo comma, in quanto riferita al rapporto redatto dal superiore all'atto della rilevazione dell'infrazione suscettibile di valutazione in sede disciplinare, non può ritenersi applicabile.
Con l'ultimo motivo il sig. C. lamenta che il funzionario istruttore, nella nota di contestazione degli addebiti del 19.8.1995, avrebbe espresso, in assenza di un adeguato supporto probatorio, giudizi denigratori nei suoi riguardi nella parte in cui riferisce del discredito causato all'Amministrazione dalla condotta posta in essere da quest'ultimo, in quanto incompatibili con il suo status di appartenente alla Polizia di Stato.
La censura non può essere accolta, atteso che la riferita nota di contestazione degli addebiti indica in modo circostanziato le specifiche condotte, peraltro reiterate nel tempo nonostante i ripetuti richiami e solleciti a cessare l'esercizio dell'attività commerciale, passibili di sanzione disciplinare. Tali condotte sono state dal funzionario istruttore considerate incompatibili con lo status di appartenente alle Forze di Polizia e suscettibili di negativa valutazione e percezione da parte della cittadinanza del Comune di (@@@) del (@@@), tali da nuocere particolarmente all'immagine dell'Istituzione della Polizia di Stato, anche alla luce della specifica sollecitazione del Sindaco in data 8.8.1994 che aveva raccomandato al ricorrente stesso, senza esito, di provvedere alla cessazione dell'attività commerciale.
Appare, pertanto, evidente che la condotta ascritta al sig. C. non può che aver causato discredito all'immagine dell'Istituzione della Polizia di Stato per lo strepitus sorto nell'ambito di una comunità di circoscritte dimensioni.
Ne consegue, alla stregua delle considerazioni che precedono, che il ricorso deve essere respinto.
Le spese di giudizio seguono la soccombenza e vengono liquidate nella misura indicata in dispositivo.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Prima Ter)
definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge.
Condanna il sig. (@@@) al pagamento in favore del Ministero dell'interno delle spese di giudizio che liquida il Euro 1500,00 (millecinquecento/00).
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'Autorità amministrativa.




   

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