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..la brusca frenata causava uno sbandamento dell'auto di servizio e il conseguente urto della sua testa contro la staffa della cintura di sicurezza, direttamente sulla sporgenza di un bullone privo della necessaria copertura in plastica...

Dettagli

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RESPONSABILITA' CIVILE
T.A.R. Sicilia Catania Sez. III, Sent., 06-07-2012, n. 1716

Svolgimento del processo

Il ricorrente espone di essere stato assistente della Polizia di Stato dal 10.04.1980 al 28.02.1996, e che, durante il servizio svolto in data 11.04.1986, che lo vedeva impegnato al volante dell'auto di servizio Alfa Romeo Giulietta, al fine di evitare un bambino che improvvisamente fuoriusciva da un'altra autovettura, frenava bruscamente.

Deduce che la brusca frenata causava uno sbandamento dell'auto di servizio e il conseguente urto della sua testa contro la staffa della cintura di sicurezza, direttamente sulla sporgenza di un bullone privo della necessaria copertura in plastica.

Il ricorrente veniva pertanto trasportato al reparto di neurochirurgia del Policlinico di Messina, dove gli veniva accertato uno schiacciamento con avvallamento del cranio, con fuoriuscita liquerale.

Dopo un anno subiva un successivo incidente, sempre al volante di un'auto di servizio, che peggiorava ulteriormente le sue condizioni di salute rendendo così necessario un intervento di ricostruzione cranica nel luglio 1989.

A causa delle condizioni di salute del ricorrente, la Commissione Medica Ospedaliera, con Provv. n. 4061 del 6 ottobre 1989, riteneva di doverlo collocare in ruoli non operativi, ritenendolo idoneo in modo parziale ai servizi di polizia.

Con D.M. 3433 del 19 ottobre 1991 veniva concesso al ricorrente l'equo indennizzo di categoria tab. B in misura minima per l'importo di L.. 1.500.120.

Con successivo D.M. n. 672 del 12 settembre 1992, il Ministero dell'Interno riconosceva la somma di L. 7.875.630 a titolo di indennizzo una tantum di categoria settima, per la seguente infermità: "esiti cicatriziali di intervento neurochirurgico per fistola venosa diploica sottoperiostea parietale sinistra, con perdita di sostanza ossea, in soggetto con pregresso trauma cranico".

Con verbale n. 651 del 16.02.1996, la Commissione Medico ospedaliera dell'ospedale militare di medicina legale di Messina riconosceva le seguenti infermità: "1) esiti di intervento neurochirurgico per fistola venosa parietale sinistra, secondaria a frattura omonima con ampia zona tecale osteopriva e persistenti anomalie dell'attività elettrica cerebrale; 2) sindrome ansiosa persistente" e conseguentemente giudicava il sig. A. non idoneo permanentemente al servizio d'istituto in modo assoluto, riconoscendo la causa di servizio.

Quest'ultimo, infine con Provv. del 21 giugno 1996 veniva dispensato dal servizio per fisica inabilità a decorrere dal 28.02.1996.

Il ricorrente precisa che, negli anni successivi, le sue condizioni di salute si aggravavano ulteriormente, al punto che la Commissione medica del comando del servizio di sanità di Palermo riconosceva in data 19.03.1999 anche per altra patologia la dipendenza da causa di servizio, ma non l'equo indennizzo.

Lo stato di salute è progressivamente peggiorato, sino a giungere alla diagnosi della commissione medica ospedaliera del dipartimento militare di medicina legale di Messina del 04.03.2011 (all. 2 alla produzione documentale del 26.04.12) con la quale veniva diagnosticata l'epilessia parziale sintomatica.

A causa dell'aggravamento dello stato di salute, il ricorrente nel 2003 citava innanzi il Tribunale civile di Messina l'amministrazione resistente al fine di: 1) dichiarare la responsabilità del Ministero per aver dato in utilizzo automobile di servizio che non garantiva la necessaria sicurezza 2) conseguentemente condannare la stessa p.a. al risarcimento del danno patito dal sig. A., nella misura stabilita in corso di causa tramite apposita ctu.

Con sentenza n. 1976 del 26.05.2009, il Tribunale civile di Messina, in accoglimento dell'eccezione di difetto di giurisdizione sollevata dall'Avvocatura distrettuale dello Stato di Messina, dichiarava il proprio difetto di giurisdizione a favore del Giudice amministrativo qualificando la domanda del ricorrente come risarcimento danni per responsabilità contrattuale.

Il ricorrente quindi con ricorso notificato in data 24.11.2009, riassumeva il giudizio innanzi a questo Tar Catania, chiedendo, previa ammissione di CTU, onde accertare il nesso causale tra il sinistro denunciato e le patologie sofferte dal ricorrente ed il quantum del risarcimento spettante al ricorrente, una pronuncia dichiarativa della responsabilità della P.A. con conseguente condanna dell'amministrazione al ristoro dei danni quantificati in corso di CTU.

L'Amm.ne ha prodotto costituzione formale in giudizio.

All'udienza pubblica del giorno 6 giugno 2012 il ricorso è stato trattenuto in decisione.

Motivi della decisione

Parte ricorrente agisce per ottenere il risarcimento dei danni patiti in occasione di un turno di lavoro che lo vedeva impegnato alla giuda di un'auto di servizio che egli sostiene fosse priva delle necessarie misure di salvaguardia, e pertanto invoca la responsabilità della P.A. per non aver adottato le misure di salvaguardia e sicurezza necessarie per prevenire danni ai propri dipendenti.

A tale riguardo, sostiene (v. memoria conclusiva) che si debba ritenere "provato il danno, la condotta colposa della p.a. ed il nesso causale", e ciò perché "i presupposti di fatto allegati dall'odierno deducente (antecedenti storici dell'infortunio) non sono stati mai contestati dalla p.a. (art. 64, com. 2, c.p.a.) ed in ogni caso provati dagli atti depositati in giudizio tra i quali appare dirimente la stessa dichiarazione scritta resa dal funzionario medico della Polizia di Stato in servizio presso l'ufficio sanitario provinciale della questura di Messina, dott. Maurizio Geraci".

Quest'ultima dichiarazione (prodotta il 26.4.2012) attiene alla circostanza che il sig. A. in data 11 aprile 1986 veniva visitato dal funzionario medico della Polizia di Stato in servizio presso l'ufficio sanitario provinciale della questura di Messina, dott. Maurizio Geraci, il quale avendo constatato contusione con ematoma regione sx, consigliava ulteriori accertamenti in ambiente ospedaliero.

Il dott. Geraci dichiara altresì di ritenere che il sig. A. si fosse procurato la lesione sbattendo contro la sporgenza del bullone della cintura di sicurezza in quanto, avendo visionato - dopo l'incidente- l'autovettura di servizio utilizzata dal ricorrente vi aveva constatato l'assenza della copertura del materiale plastico sul bullone dell'apparato della cintura di sicurezza.

Ciò premesso, occorre ricordare che, in linea generale, per come chiarito dalla Giurisprudenza (per tutte Consiglio Stato , sez. VI, 19 gennaio 2011 , n. 365), in tema di infortunio sul lavoro, l'equo indennizzo è cumulabile con il risarcimento del danno.

Tuttavia, l'equo indennizzo da causa di servizio, per presupposti oggettivi, fatti costitutivi, regime probatorio e disciplina complessiva, è completamente distinto dal risarcimento del danno, atteso che, tra l'altro, l'equo indennizzo spettante ai dipendenti degli enti pubblici per infermità contratta per causa o concausa di servizio con una menomazione dell'integrità fisica non inferiore al 15% , per il concetto di equità e discrezionalità ad essa inerente, per la sua astrazione dalla responsabilità civile, colposa o dolosa, di parte datoriale, e per la sua non coincidenza con l'entità effettiva del pregiudizio subito dal dipendente, è assimilabile a una delle molteplici indennità che l'Amministrazione conferisce ai propri dipendenti in relazione alle vicende del servizio; per questa ragione equo indennizzo e risarcimento del danno da responsabilità contrattuale o extracontrattuale del datore di lavoro sono tra loro compatibili e cumulabili.

Ora, la responsabilità del datore di lavoro ex art. 2087 c.c., invocata dal ricorrente, ha natura contrattuale e la citata disposizione codicistica costituisce norma di chiusura del sistema infortunistico, la quale obbliga il datore di lavoro a tutelare l'integrità psico-fisica dei propri dipendenti imponendogli l'adozione di tutte le misure atte, secondo le comuni tecniche di sicurezza, a preservare i lavoratori dalla lesione del bene della salute nell'ambiente e in costanza di lavoro.

Ciò detto, la natura contrattuale dell'obbligo in esame comporta, sul piano processuale, che il riparto degli oneri probatori nella domanda di risarcimento dei danni da infortunio sul lavoro si pone negli stessi termini dell'art. 1218 c.c. circa l'adempimento delle obbligazioni, sicché il lavoratore, il quale agisca per il risarcimento di tali danni, deve allegare e provare l'esistenza dell'obbligazione lavorativa, l'esistenza del danno e il nesso causale tra quest'ultimo e la prestazione (Consiglio Stato , sez. VI, 19 gennaio 2011 , n. 365 cit.).

Infatti, come precisato dalla Giurisprudenza, "il carattere contrattuale dell'illecito e l'operatività della presunzione di colpa stabilita dall'art. 1218 c.c. non escludono che la responsabilità dell'imprenditore ex, art. 2087 c.c., in tanto possa essere affermata in quanto sussista una lesione del bene tutelato che derivi casualmente dalla violazione di determinati obblighi di comportamento, imposti dalla legge o suggeriti dalle conoscenze sperimentali o tecniche. Ne consegue che la verificazione del sinistro non è di per sè sufficiente per far scattare a carico dell'imprenditore l'onere probatorio di aver adottato ogni sorta di misura idonea ad evitare l'evento, atteso che la prova liberatoria a suo carico presuppone sempre la previa dimostrazione, da parte dell'attore, che vi è stata omissione nel predisporre le misure di sicurezza (suggerite dalla particolarità del lavoro, dall'esperienza e dalla tecnica) necessarie ad evitare il danno, e non può essere estesa ad ogni ipotetica misura di prevenzione, venendo altrimenti a configurarsi un'ipotesi di responsabilità oggettiva, che la norma invero non prevede. Ne consegue che il lavoratore che lamenti di aver subito, a causa dell'attività lavorativa svolta, un danno alla salute, ha l'onere di provare l'esistenza di tale danno, come pure la nocività dell'ambiente di lavoro, e il nesso di causalità tra l'uno e l'altro. E solo quando tali circostanze egli abbia provato incombe al datore di lavoro l'onere di provare di avere adottato tutte le cautele necessarie ad impedire il verificarsi del danno, rimanendo altrimenti quest'ultimo esonerato dall'onere di fornire la prova liberatoria a suo carico (Cassazione civile , sez. III, 20 febbraio 2006 , n. 3650).

Facendo applicazione dei superiori, pacifici, principi, se ne può agevolmente concludere che il ricorrente avrebbe dovuto, nel caso specifico, comprovare che:

- al momento in cui prese servizio sulla volante nella quale si verificò poi l'incidente, era assente la necessaria copertura in plastica sulla sporgenza del bullone facente parte della cintura di sicurezza;

- egli doverosamente fece rilevare tale circostanza all'amministrazione di appartenenza, e ciò nonostante dovette egualmente utilizzare per lavoro l'autovettura in questione;

- l'incidente si svolse effettivamente come descritto dal ricorrente nel ricorso introduttivo, e cioè; frenando per evitare di investire un pedone, l'auto sbandava ed egli sbatteva la testa proprio sul bullone in questione.

Esaminando la documentazione agli atti del fascicolo, balza agli occhi l'assoluta assenza di prova delle circostanze in questione.

Al riguardo, nessun rilievo può assumere la documentazione depositata il 26 aprile 2012: nel verbale del dirigente del servizio sanitario della questura di Messina del 1 aprile 1986 (AAAAA prima del sinistro ???? ), vengono semplicemente riportate le dichiarazioni rese dal ricorrente successivamente al sinistro, ed in chiusura l'opinione del dirigente circa la verosimiglianza che il fatto si sia verificato nelle circostanze descritte dall'infortunato; quanto all'attestazione del 19 aprile 2012, come già esposto in premesse, il Dr. Geraci, dirigente superiore medico della Polizia di Stato, si limita a riferire di aver sottoposto a visita medica il ricorrente dopo l'incidente e di avere successivamente eseguito un sopralluogo sull'autovettura di servizio verificando che sulla sporgenza del bullone facente parte dell'apparato della cintura di sicurezza non era presente la copertura in materiale plastico: ma anche in questo caso, nessuna dimostrazione se ne trae in ordine alla circostanza se tale copertura mancasse all'inizio del servizio, e se nel corso dell'incidente il ricorrente abbia subito il trauma battendo la testa proprio contro tale bullone.

In altri termini, la circostanza, postumamente rilevata, dell'assenza di un dispositivo di sicurezza all'interno dell'autovettura, non consente di dare per provato che il trauma sia avvenuto proprio nel modo descritto dal ricorrente.

Sotto tale profilo, non si può non rilevare che nell'ambito del giudizio civile, con memoria depositata il 13 marzo 2007, il ricorrente aveva chiesto in via istruttoria l'ammissione di prova testimoniale sulle circostanze dell'incidente, indicando quali testi il dr. Geraci ed un altro agente (il quale, ove fosse stato in servizio insieme con il ricorrente al momento dell'incidente, avrebbe potuto offrire una testimonianza diretta in ordine alle circostanze del sinistro).

Ora, per quanto riguarda il dottor Geraci, come già detto, le circostanze sulle quali egli poteva offrire chiarimenti risultano dichiarate nella nota prodotta in giudizio, ma, si ripete, non offrono alcuna prova certa in ordine alle modalità del sinistro, trattandosi di accertamenti postumi.

Quanto all'altro agente, la richiesta istruttoria non è stata riproposta nel presente giudizio.

A tale scelta difensiva non potrebbe certo ovviare questo Giudice introducendo d'ufficio la prova testimoniale chiesta in sede civile e non riproposta in sede di riassunzione.

Al riguardo, occorre premettere che la sentenza che ha dichiarato il difetto di giurisdizione è anteriore all'entrata in vigore della L. n. 69 del 2009, art. 59, invece la riassunzione del processo (tale qualificata dalla stessa parte ricorrente) è avvenuta successivamente alla data di entrata in vigore della L. n. 69 del 2009, che ha introdotto l'istituto della cosiddetta translatio iudicii.

Tale istituto, com'è noto, consente di realizzare la conservazione degli effetti processuali e sostanziali della domanda originaria, con esclusione della necessità della riproposizione ex novo della domanda, allorchè il giudizio sia riattivato innanzi al giudice provvisto di giurisdizione "con le modalità e secondo le forme previste per il giudizio davanti al giudice adito in relazione al rito applicabile" (art. 59, comma 2 ultima parte citato).

Nel caso in questione, in sede di riassunzione del giudizio parte ricorrente ha riproposto alcune richieste istruttorie (ctu) ma non la richiesta di assunzione di prova testimoniale (contenuta non nell'originario atto di citazione, bensì in una memoria successivamente depositata), richiesta sulla quale il giudice civile non si è mai espresso, cosa della quale dà atto la sentenza del Tribunale di Messina n.1176 del 26 maggio 2009 declinatoria della giurisdizione.

Precisamente, non solo la richiesta di prova testimoniale non è stata riproposta del presente giudizio, ma parte ricorrente ha prodotto una dichiarazione sottoscritta da uno dei due testi indicati nel giudizio civile.

Conseguentemente, la richiesta istruttoria in questione deve intendersi abbandonata, non essendo agli atti del presente giudizio alcun elemento che possa far ritenere diversamente, e non potendo certamente essere disposta da questo Giudice d'ufficio.

Dunque, risulta assente la prova circa il nesso causale tra il trauma subito dal dipendente e la prestazione lavorativa in una condizione asseritamente nociva.

Ciò detto, contrariamente a quanto afferma parte ricorrente, non è l'inerzia della Difesa Erariale a poter consentire di dare per provate le circostanze addotte dal ricorrente, in quanto, va ribadito, in carenza di prova circa le modalità del sinistro, le condizioni dell'autovettura ed il nesso causale, il datore di lavoro è "esonerato dall'onere di fornire la prova liberatoria a suo carico (Cassazione civile , sez. III, 20 febbraio 2006 , n. 3650)".

Il ricorso va, pertanto, rigettato.

Sussistono, comunque giusti motivi per compensare interamente tra le parti spese ed onorari del giudizio, avuto riguardo, tra l'altro, all'assenza di specifica attività difensiva da parte dell'Amministrazione intimata.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia sezione staccata di Catania (Sezione Terza), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo rigetta .

Compensa interamente tra le parti spese ed onorari del giudizio

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

   

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