Polizia di Stato:"Il corrente contenzioso è incentrato sul diniego, opposto dall'Amministrazione di appartenenza all'Ing. @@, dipendente della Polizia di Stato, di iscrizione dello stesso nell'albo dei Consulenti tecnici d'Ufficio in materia civile presso

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Categoria: Sentenze - Ordinanza - Parere - Decreto
Creato Lunedì, 04 Giugno 2012 01:17
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T.A.R. Lazio Roma Sez. I ter, Sent., 30-05-2012, n. 4890Fatto - Diritto P.Q.@@
Svolgimento del processo - Motivi della decisione
I)- Il corrente contenzioso è incentrato sul diniego, opposto dall'Amministrazione di appartenenza all'Ing. @@, dipendente della Polizia di Stato, di iscrizione dello stesso nell'albo dei Consulenti tecnici d'Ufficio in materia civile presso il Tribunale di @@.Avverso detto diniego che esclude - sulla base degli artt.50 del D.P.R. n. 335 del 1982 e 53 del D.Lgs. n. 165 del 2001 nonché delle prescrizioni contenute in una circolare ministeriale del 1990 - la compatibilità tra lo status di dipendente della P.S. e la prestazione di perizie e consulenze, reagisce l'ing. @@ lamentando in primo luogo la violazione delle normativa disciplinante la materia che consente, previa autorizzazione ministeriale, l'iscrizione del dipendente "all'albo dei periti" (così pag.4 ricorso). Aggiunge poi il ricorrente, evocando a conforto della propria tesi due precedenti giurisprudenziali (si tratta di Cons. St. n.1213/2002 e Tar FI n.5006/2003), che il "perito- consulente" (così pag.5) è un ausiliario del Giudice e che l'Albo cui dovrebbe iscriversi non è considerato un albo professionale.Nel caso di specie sarebbe stata anche violata la L. n. 241 del 1990 ed in particolare:
- l'art.3 a causa dell'insufficienza e contraddittorietà della motivazione dell'atto gravato;- l'art.10 bis essendosi astenuta l'amministrazione dal comunicare al ricorrente il preavviso di rigetto dell'istanza di iscrizione all'albo dei consulenti tecnici come sopra detto.
L'intimata amministrazione, costituitasi con mero atto di stile tramite il Pubblico Patrocinio, ha depositato copia di documenti inerenti la controversia.
Una nota conclusionale, in cui si insiste sulla fondatezza delle censure sviluppate nell'atto introduttivo del giudizio, è stata prodotta dal @@ il 02.4.2012.All'udienza del 10 maggio 2012 la causa è stata trattenuta per la relativa decisione.II)- Torna utile far precedere lo scrutinio delle sopra sintetizzate censure dalla delineazione del quadro normativo di interesse in relazione all'odierno contenzioso.
II.1)- A tal fine vanno richiamati:
- gli artt. da 60 a 64 del D.P.R. n. 3 del 1957 che (art.60) non consentono all'impiegato di esercitare il commercio, l'industria, né alcuna professione o assumere impieghi alle dipendenze di privati o accettare cariche in società costituite a fine di lucro, tranne che si tratti di cariche in società o enti per le quali la nomina è riservata allo Stato e sia all'uopo intervenuta l'autorizzazione del Ministro competente; e che permettono (art.61) solamente che l'impiegato sia prescelto come perito od arbitro previa autorizzazione del Ministro o del capo ufficio da lui delegato. L'impiegato che si trovi in una soluzione di incompatibilità viene diffidato alla sua rimozione e, decorsi 15 giorni senza che l'incompatibilità sia cessata, decade dall'impiego (art.63);- gli art.50 e 51 del D.P.R. n. 335 del 1982 che, con riferimento alla specifica categoria di dipendenti pubblici data dagli appartenente alla Polizia di Stato, riproducono, sostanzialmente, le previsioni normativa sopra richiamate;
- l'art.53 del D.Lgs. n. 165 del 2001 che, reiterando sostanzialmente disposizione già prevista dall'art.58 del D.Lgs. n. 29 del 1993, mantiene fermo per tutti i pubblici dipendenti il regime delle incompatibilità già regolamentato dall'art.60 del T.U. n.3 del 1957, estendendo anche al personale in regime di diritto pubblico di cui all'art.3 dello stesso decreto ( fra cui il personale della P.S.) le disposizioni limitative contenute nei commi da 7 a 13 che, per la parte di interesse, concernono (c.7) il divieto per i pubblici impiegati di svolgere incarichi retribuiti che non siano stati conferiti o previamente autorizzati dall'amministrazione di appartenenza, nonché (c.8) il divieto per le pp.aa. di conferire incarichi retribuiti a dipendenti di altre amministrazioni pubbliche senza la previa autorizzazione dell'amministrazione di appartenenza dei dipendenti stessi. Il comma 10 dispone che l'autorizzazione allo svolgimento dell'incarico può essere richiesta sia dal dipendente che, rivolgendosi all'amministrazione di appartenenza dello stesso, dai soggetti, pubblici o privati, che intendono conferire l'incarico.II.2)- Ora, all'evidenza, le disposizioni degli art.50 e 51 del D.P.R. n. 335 del 1982 si pongono, in quanto inserite nel testo normativo che disciplina l' "Ordinamento del personale della Polizia di Stato che espleta funzioni di polizia", in rapporto di specialità rispetto sia agli artt. da 60 a 64 del T.U. n.3 del 1957 (dei quali, si è detto, riproducono sostanzialmente il contenuto), che rispetto all'art.53 del D.Lgs. n. 165 del 2001 (ovviamente con riferimento alle disposizioni diverse da quelle sopra sintetizzate dei commi da 7 a 13).La regolamentazione in questione rinviene la sua ratio e base logica nella peculiarità del rapporto di impiego degli appartenenti alla P.S. che si contraddistingue per l'obbligo di immediata disponibilità a fronteggiare qualsiasi situazione di emergenza per l'ordine pubblico e di ottemperanza in qualsiasi momento agli ordini provenienti dai diretti superiori: rapporto che, quindi, quantomeno in linea di principio, è incompatibile con lo svolgimento di attività extraistituzionali e con l'impegno temporale, fisico e mentale che richiederebbe il loro assolvimento. Proprio per tale ragione è vietato al personale della Polizia di (art.50 D.Lgs. n. 165 del 2001 cit., comma 1) esercitare il commercio, l'industria, od alcuna professione o assumere impieghi alle dipendenze di privati o accettare cariche in società costituite a fine di lucro, con la sola eccezione (comma 2) della partecipazione a società cooperative tra impiegati dello Stato e dell'ipotesi (comma 3) in cui il dipendente sia "prescelto come perito od arbitro" ferma, per tale ultima evenienza, la previa autorizzazione del Ministro ovvero del capo dell'Ufficio da lui delegato.Ora è proprio sulla disposizione da ultimo citata, ed in particolar modo sulla figura del perito ( e, per relationem su quella del C.t.u. - Consulente tecnico d'Ufficio), che deve soffermarsi l'attenzione del Collegio.Orbene il perito è un esperto che possiede specifiche competenze tecniche, scientifiche o artistiche dal quale il (solo) Giudice penale (art.220 c.p.p.). può farsi assistere per raggiungere tre diverse finalità: svolgere indagini al fine di reperire dati probatori, acquisire dati selezionati e fornire un'interpretazione degli stessi, acquisire valutazioni sui dati raccolti.Il consulente tecnico d'ufficio (C.T.U) è la figura professionale, prevista dall'Ordinamento, da cui (nel processo civile) il Giudice (art.61 c.p.c.) o (nel processo penale) la parte (art.225 c.p.p.) può farsi assistere per il compimento di singoli atti o per tutto il processo. Più puntualmente, nel processo penale, allo scopo di esercitare e rendere effettivo il principio del contraddittorio, accanto al potere riconosciuto al Giudice di farsi affiancare da un perito, il c.p.p. attribuisce alle parti e cioè tanto al P.M quanto alle parti private (l'indagato, l'imputato, la persona offesa, la parte civile, il responsabile civile, il civilmente obbligato per la pena pecuniaria) quello di farsi assistere da propri ausiliari (e cioè da propri Consulenti tecnici). Dunque:- nella materia penale: si dice consulente tecnico il consulente di parte, mentre l'esperto nominato dal Giudice si dice perito;
- nella materia civile: non esiste la figura del perito ed il Giudice può farsi assistere, per singoli atti o per tutto il processo, da uno o più consulenti dotati di particolare competenza tecnica.Proseguendo, presso ogni Tribunale è istituito un Albo dei Consulenti Tecnici del Giudice (per consulenze tecniche nel processo civile), ed un Albo dei Periti (per perizie nel processo penale).Gli Albi sono suddivisi in categorie.
Fanno sempre parte dell'Albo dei C.T. le categorie: 1. medico-chirurgica; 2. industriale; 3. commerciale; 4. agricola; 5. bancaria; 6. assicurativa (art.13 disp. Att. c.p.c.).
Nell'Albo dei periti devono essere sempre previste le categorie di esperti in medicina legale, psichiatria, contabilità, ingegneria e relative specialità, infortunistica del traffico e della circolazione stradale, balistica, chimica, analisi e comparazione della grafia (art.67 disp. Att. C.p.p.).Salvo che non ricorra una delle cause di astensione previste dal Codice, tanto il perito (art.221 c.3 c.p.p.) quanto il CTU (art.63 c.p.c.), hanno l'obbligo di accettare il relativo incarico una volta nominati, rispettivamente, dal Giudice penale o civile.
Per quanto attiene alla nomina dell'esperto:
- in materia penale: il Giudice (art.221 c.1) nomina il perito scegliendolo tra gli iscritti all'Albo di cui all'art.67 delle disp. Att. c.p.p. ovvero, ove non iscritto all'Albo, tra "persona fornite di specifica competenza nella disciplina" designata "se possibile" fra quelle che svolgono la propria attività professionale presso un ente pubblico (art.67 D.Lgs. n. 165 del 2001 cit., c.3) avendo cura, per tale evenienza, di indicare "specificamente, nell'Ordinanza di nomina, le ragioni della scelta" (art.67 D.Lgs. n. 165 del 2001 cit., c.4). Sempre nella materia penale, anche il P.@@ quando nomina il CTU sceglie, "di regola, persona iscritta negli albi dei periti" (art.73 disp.att. c.p.p.);- in materia civile: Il Giudice deve affidare normalmente le funzioni di C.T. agli iscritti nell'Albo del Tribunale di appartenenza (art.22 disp.att. c.p.c.), fermo restando che può conferire incarico a persona iscritta nell'Albo di altro Tribunale, ovvero non iscritta in alcun Albo, sentendo previamente il Presidente del Tribunale ed indicando, nel provvedimento di nomina, i motivi di tale specifica scelta.Rebus sic stantibus, da tale quadro normativo si evince che la nomina dell'esperto (sia esso perito o CTU) non iscritto nel relativo Albo istituito presso ogni Tribunale, si pone come eccezione alla regola generale che vuole, di norma ( e cioè ordinariamente), che l'esperto sia prescelto fra gli iscritti al relativo Albo.A tanto accede che l'art.50 del D.P.R. n. 335 del 1982:
- laddove consente al personale della P.S. di essere prescelto "come perito", non appare escludere dalla propria portata applicativa sia l'ipotesi, ordinaria, che il perito sia "prescelto" fra quelli iscritti al relativo Albo, sia l'ipotesi, non ordinaria, che il perito sia "prescelto" tra i non iscritti all'Albo;
- laddove richiede la previa autorizzazione ministeriale, si riferisce non alla scelta del perito (che è di esclusiva competenza del Giudice che non è tenuto, certamente, a chiedere alcuna preventiva autorizzazione) ma allo svolgimento della relativa prestazione (tesi questa che appare recepita nella nota del Ministero della Giustizia del 9.7.2003, unita in atti dalla resistente, che espressamente riporta "La libertà di scelta del perito, da parte del Giudice, va quindi legittimamente contemperata, qualora ricada su appartenenti alla P.S., con gli interessi di pari rilevanza, dell'Organo di appartenenza del prescelto" e dunque configura la mancata concessione dell'autorizzazione come un legittimo impedimento del perito che esclude l'applicazione nei suoi confronti dell'art.133 c.p.p.).Va inoltre sottolineato che l'Albo dei periti, per pacifica giurisprudenza (ved. Cons. St, n.1213 del 2002), non può (al pari dell'Albo dei C.T.: ved. Tar FI nr.5006/2003) essere considerato un albo professionale.III)- Venendo, allora, all'esame delle questioni proposte con l'atto introduttivo della lite, assume carattere assorbente delle altre la censura imperniata sull'omissione della comunicazione ex art. 10-bis della L. n. 241 del 1990 ("Nei procedimenti ad istanza di parte il responsabile del procedimento o l'autorità competente, prima della formale adozione di un provvedimento negativo, comunica tempestivamente agli istanti i motivi che ostano all'accoglimento della domanda. Entro il termine di dieci giorni dal ricevimento della comunicazione, gli istanti hanno il diritto di presentare per iscritto le loro osservazioni, eventualmente corredate da documenti ... Dell'eventuale mancato accoglimento di tali osservazioni è data ragione nella motivazione del provvedimento finale ..."). Come è noto la ratio del c.d. "preavviso di rigetto" risiede nell'esigenza di instaurare un vero e proprio contraddittorio endoprocedimentale, in cui il privato è posto in condizione di addurre gli elementi che arricchiscano il patrimonio conoscitivo dell'Amministrazione e chiariscano tutte le circostanze ritenute utili al conseguimento del risultato finale, senza essere costretto ad adire immediatamente le vie giurisdizionali; pertanto, in quanto norma di garanzia partecipativa, la stessa impone la rigorosa indicazione di tutti i profili motivazionali che dovrebbero suffragare il provvedimento finale negativo, onde permettere al richiedente la presentazione delle osservazioni e la produzione dei documenti riferibili alla totalità degli aspetti che l'Amministrazione considera ostativi al rilascio del provvedimento invocato. Nella fattispecie, al contrario, l'Autorità procedente si è astenuta dal comunicare alcunché al ricorrente e ciò ha evidentemente impedito all'interessato di rappresentare, in modo compiuto e consapevole, le ragioni che, a suo avviso, consentivano di superare sia l'indicazione esegetica racchiusa dalla circolare del 1990 che le argomentazioni rassegnate nel provvedimento impugnato: argomentazioni che (in quanto sembrano negare categoricamente l'espletamento di perizie al dipendente della P.S.) appaiono ancor più rigide di quelle fatte proprie dalla circolare del 1990 che indica quali autorizzabili, e dunque non necessariamente incompatibili con l'attività di istituto del dipendente della P.S., (quantomeno) gli incarichi peritali attinenti la Polizia scientifica ed altri settori specialistici dell'Amministrazione della P.S.Di qui la fondatezza della doglianza relativa alla violazione dell'art. 10-bis della L. n. 241 del 1990 e, tenuto conto del carattere necessariamente assorbente di simile censura rispetto alle altre, l'annullamento del provvedimento ministeriale del 04. 12.2006.
IV)- Le spese di lite seguono la soccombenza e vanno liquidate come da dispositivo.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Prima Ter), accoglie, come da motivazione, il ricorso in epigrafe e, per l'effetto, annulla il Provv. del 4 dicembre 2006.
Condanna la resistente amministrazione al pagamento delle spese di lite che, forfetariamente, liquida in Euro2000,00 a beneficio della parte ricorrente.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.