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Forze armate - Esposizione all'uranio impoverito - Risarcimento del danno

Dettagli



FORZE ARMATE
Cons. Stato Sez. IV, Sent., 09-07-2011, n. 4136

Fatto Diritto P.Q.M.
Svolgimento del processo
Con ricorso al TAR Campania, il sig. @@, Sottufficiale in Servizio permanente effettivo con il grado di Capo di 1^ TSC, chiedeva l'accertamento del proprio diritto al risarcimento del danno derivante da infermità contratte per causa di servizio e per colpa della Pubblica Amministrazione datrice di lavoro, con conseguente condanna della stessa a quanto dovuto. La domanda veniva correlata ad una serie di fatti costituiti da:
- arruolamento (nel settembre del 1984) quale tecnico specializzato in guerra elettronica e dal marzo all'agosto del 1988 inviato in missione nel Golfo Persico, zona dove era stato nuovamente destinato dal settembre del 1990 al marzo del 1991, prendendo parte alla seconda missione italiana;
- frequenza di un corso di bonifiche ambientali presso il S.I.S.M.I. dove aveva adoperato apparecchiature mittenti radiazioni ionizzanti fino al 1995, data nella quale l'amministrazione decise di non impiegare più questi strumenti, ritenuti desueti;
- diagnosi, nel novembre del 1994, di "gammopatia monoclinale benigna asintomatica", non seguita da sottoposizione da parte della Marina Militare, fino al 29.11.2000, ad alcun ulteriore specifico controllo (tutti gli accertamenti successivi a tale diagnosi essendo stati svolti per iniziativa del ricorrente)
- invio in missione, nel 1996, nei Balcani, per supportare il contingente militare italiano e la NATO, venendo a tale scopo specificamente addestrato all'installazione di nuovi sistemi di comunicazione; in quest'occasione, per carenze tecniche, fu sottoposto a cicli vaccinali incompleti.
- prestazione del servizio in quel territorio di guerra (Sarajevo, Tirana, Durazzo e Katlanovo) sempre nel settore dei sistemi di comunicazione e di intercettazione, espletando le attività di competenza quasi esclusivamente oggetto di recentissimi bombardamenti e combattimenti delle forze alleate (periodo nel qual il ricorrente non veniva sottoposto ad alcun tipo di controllo specifico volto a verificare l'eventuale sviluppo della gammopatia monoclinale);
- successivamente all'assegnazione nel luglio del 2000 alla base di La Spezia, ricovero presso il Policlinico di Napoli, dove gli veniva diagnosticata una gammopatia monoclinale IgGK e probabile iperparoitiridismo da meglio valutare, microlitiasi renale".
- sottoposizione, in data 5/6/ 2001, ad intervento chirurgico di loboistmectomia dx e paratiroidectomia dx presso il Policlinico di Napoli, ed evoluzione, nonostante le terapie praticate, nel corso del 2001, della patologia ematologica verso la forma maligna mieloma multiplo iGgK..
1.3- In data 2 agosto del 2001 il V. proponeva istanza per il riconoscimento della dipendenza da causa di servizio dell'accertata infermità, e pertanto si sottoponeva a visita da parte della C.M.O. che confermava l'evoluzione maligna sopra riferita. Il Comitato di verifica per le cause di servizio rendeva poi parere favorevole al riconoscimento delle predette infermità, quindi, il Ministero (Decreto n.1222/04) conformandosi a detto parere, riconosceva la dipendenza da causa di servizio sia per la gammopatia monoclonale che per la paratiroidectomia e tiroidectomia parziale per adenoma paratiroideo.
1.4.- Tanto premesso il ricorrente sottolineava l'esistenza di un nesso di causalità tra le attività da lui svolte nel corso degli anni e le gravi patologie contratte, rapporto di derivazione del resto attestato negli stessi accertamenti medici esperiti dal Ministero della difesa. Segnatamente tra le cause dirette della virata dalla gammopatia monoclonale ad una forma maligna certamente si devono annoverare gli incompleti cicli vaccinali, nonché l'esposizione a radiazioni ionizzanti ed a polveri provenienti dall'esplosione di dardi arricchiti con uranio impoverito.
Oltre al nesso di causalità, tra gli elementi posti a fondamento della domanda, il V. sottolineava altresì la sussistenza di un elemento psicologico di responsabilità dell'amministrazione consistente nel non avere adottato le necessarie cautele, in territorio di guerra nella regione balcanica, onde prevenire il rischio derivante dall'esposizione a contatto dei militari con l'uranio impoverito, la cui presenza era ben nota o comunque facilmente accertabile.
1.5 Concludeva l'istante per il riconoscimento del suo diritto all'ottenimento del risarcimento del danno biologico e morale.
2.- Con la sentenza epigrafata, il Tribunale adito, preliminarmente disattesa l'eccezione di prescrizione dell'azione risarcitoria, accoglieva il ricorso in parte, riconoscendo il diritto al risarcimento del danno ma in misura ridotta del 60%, e ciò in ragione del riconoscimento dell'equo indennizzo e del ritenuto concorso di colpa del militare sulla determinazione dell'evento dannoso.
2.1- Di qui l'appello proposto dal sig. V. ed affidato ai motivi trattati nel prosieguo dalla presente decisione.
2.2.- Si è costituito nel giudizio il Ministero della difesa, resistendo al gravame ed esponendo in successiva memoria le proprie argomentazioni difensive.
2.3.- Alla pubblica udienza del 3 maggio 2011 il ricorso è stato trattenuto in decisione
Motivi della decisione
1.- Con la sentenza impugnata la pretesa risarcitoria azionata dal militare, odierno appellante (per patologia derivante da causa di servizio), è stata riconosciuta sulla base dell'applicazione analogica della legge 302/90 (provvidenze per le vittime della criminalità) ma in misura decurtata; in particolare il giudice di primo grado ha ridotto il risarcimento del danno biologico in ragione della concorrenza dell'equo indennizzo e del concorso di colpa del danneggiato nella determinazione dell'evento dannoso (quantificato nel 60% della somma riconosciuta). Di qui il gravame in trattazione.
2.- L'appello contesta entrambe le predette decurtazioni e chiede inoltre che non vengano applicati i criteri della legge individuata dal TAR, ma i criteri previsti per il risarcimento del danno biologico; l'impugnazione, che contrasta anche il punto della decisione che ha respinto la questione formulata sull'incompletezza dei cicli vaccinali, è parzialmente fondata ed in tale misura merita accoglimento.
2.1- Deve escludersi la fondatezza del primo motivo, che tende ad affermare la responsabilità risarcitoria per l'incompletezza dei cicli vaccinali effettuati; sul punto devesi concordare con quanto ritenuto dal primo giudice sulla insussistenza di un rapporto di causalità tra le determinazioni adottate dalla PA, avuto riguardo alle mansioni assegnate al ricorrente, e la patologia da cui è oggi affetto quest'ultimo. Del resto la questione appare superata dalla stessa decisione impugnata,la quale non ha negato sotto alcun profilo tale nesso (peraltro già accertato per effetto del riconoscimento dell'equo indennizzo) ma si è limitata a pronunziarsi su profili attinenti ai criteri ed alla misura del risarcimento.
2.2.- Quanto alle altre censure, il Collegio ritiene di dover osservare quanto segue.
a- Infondato è da ritenersi il mezzo che sostiene la possibilità di cumulare totalmente il risarcimento con l'equo indennizzo; l'art. 13, comma secondo, della legge n. 302/1990, disciplinando specificamente le ipotesi di concorso di benefici, dispone che "le elargizioni di cui alla presente legge non sono cumulabili con provvidenze pubbliche in unica soluzione o comunque a carattere non continuativo, conferite o conferibili in ragione delle medesime circostanze, quale che sia la situazione soggettiva della persona lesa o comunque beneficiaria". Si tratta tuttavia di un divieto insufficiente ad elidere le conseguenze risarcitorie da danno biologico; ed infatti correttamente il primo giudice, respingendo sul punto la prospettazione dell'avvocatura erariale, secondo cui vi sarebbe incumulabilità assoluta tra l'azione di risarcimento del danno biologico (in tutti gli aspetti comunemente in esso ricompresi), ha posto in rilievo la differenza tra i due istituti, atteso che l'equo indennizzo (riconosciuto all'appellante ai sensi dell'art.68 del D.P.R. n.3 del 1956) ha origine esclusivamente nel rapporto contrattuale intercorso tra le parti ed è idoneo a "coprire i danni subiti all'integrità fisica del dipendente (ivi compresi quelli incidenti sulla capacità lavorativa e produttivi di invalidità) mentre il biologico richiesto risarcimento "comprende tutte le conseguenze, psicologiche e sociali, che affliggono il danneggiato in quanto individuo interagente in un ambito sociale, conseguenze nelle quali com'è noto si compendia la casistica giurisprudenziale del cd. "danno biologico", inteso quale lesione al valore uomo, ontologicamente considerato indipendentemente dalle sue capacità lavorative". Il risarcimento per danno biologico deve pertanto essere decurtato della somma riconosciuta per equo indennizzo.
b- Parimenti non sussiste il vizio di ultrapetizione, prospettato perché non era stata chiesta l'applicazione dei criteri determinativi del risarcimento ai quali si è invece riferito il TAR.
Sotto un primo profilo va evidenziato che l'azione proposta in primo grado dal V. comprendeva anche la condanna al risarcimento; ne deriva che la pronunzia del TAR, una volta riconosciuta la responsabilità dell'amministrazione, non poteva limitarsi (come sostenuto dall'appellante) ad affermare la responsabilità dell'amministrazione; pertanto non sussiste interesse ad una censura tendente ad eliminare i criteri indicati dal TAR. Giova anche ricordare (secondo profilo) che all'epoca era vigente anche l'art. 35 della legge n. 205/2000, che prevedeva, a carico dell'amministrazione riconosciuta responsabile, l'effettuazione di una proposta risarcitoria sulla base dei criteri stabiliti dal giudice.
- Altra questione sollevata è se, per la quantificazione del danno biologico, il TAR abbia fatto correttamente riferimento alla normazione vigente in materia (legge n.302/1990 e DPR n.243/2006) la cui applicazione è contestata dall'appellante; questi si duole evidenziando che l'elargizione prevista dalle leggi sopra richiamate ha natura del tutto estranea rispetto ai parametri delineati dalla giurisprudenza sulla liquidazione del danno "biologico". In tal caso avrebbe errato il TAR nel determinare la somma risarcitoria sulla base di tali leggi, pur avendo riconosciuto che il danno biologico comprende tutte le conseguenze, psicologiche e sociali, che affliggono il danneggiato in quanto individuo interagente in un ambito sociale. La doglianza è fondata.
La normativa emergente dalla legge n.302/1990 e DPR n.243/2006 reca palesemente provvidenze indennitarie "una tantum", sicchè assolutamente disancorate da ogni parametro risarcitorio collegato alla durata della vita, e ciò a differenza di quanto la giurisprudenza civile ha evidenziato per il risarcimento del danno biologico.
Né può indicare identità di natura l'art. 10, c.2, della legge n.302/1990, il quale dispone che se il beneficiario ha già ottenuto il risarcimento del danno, il relativo importo si detrae dall'entità dell'elargizione; la disposizione ha la finalità, meramente economica, di evitare il concorso di benefici, stabilendo la decurtazione.
Sul punto non è poi obiettabile che il ricorrente non ha fornito la prova del nesso causale tra le mansioni svolte ed il danno subito; ad integrare questo presupposto è infatti sufficiente il medesimo parere medico che ha determinato la concessione dell'equo indennizzo, essendo questo per definizione correlato ad una causa di servizio.
2.3.- Altra questione sollevata dall'appello è se la somma da riconoscersi per danno biologico possa subire ulteriore riduzione, come affermato dal TAR, in ragione del comportamento tenuto dal danneggiato. Anche sotto tale aspetto (posto dal punto II dei motivi d'appello) il gravame risulta fondato.
Il Collegio ritiene infatti che l'applicazione al caso in esame del principio di riduzione del risarcimento (in misura proporzionale al concorso del danneggiato) non possa essere condivisa. Essa si fonda erroneamente sull'individuazione, nell'assenso del militare ad essere impiegato in zone potenzialmente rischiose, di un inammissibile elemento di corresponsabilità nell'evento dannoso, per non aver segnalato l'esistenza di una situazione di incompatibilità. La tesi tralascia il dato fondamentale per cui la verifica di tale situazione spetta istituzionalmente ai responsabili della missione militare, e non certo al militare subordinato che trovasi in una situazione meramente dipendente, che spesso peraltro si spinge oggettivamente oltre ogni nozione di normalità del servizio.
La somma da corrispondersi a risarcimento da calcolarsi secondo i principi del danno biologico non può pertanto subire decurtazioni per la ragione sopra indicata.
2.4.- L'appello, sotto i profili sopra trattati, deve perciò essere accolto; a ciò consegue la riforma "in parte qua" della sentenza impugnata e l'affermazione del diritto del ricorrente al risarcimento del danno biologico, previa decurtazione della sola somma corrisposta per equo indennizzo.
3.- Le spese di entrambi i gradi di giudizio seguono il principio della soccombenza, e sono poste perciò a carico del Ministero della difesa.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (sezione IV), definitivamente pronunziando in merito al ricorso in epigrafe, accoglie l'appello proposto, nei limiti di cui in motivazione, entro i quali, per l'effetto, riforma la sentenza impugnata ed accoglie il ricorso di primo grado.
Condanna il Ministero della difesa al pagamento, in favore dell'appellante, delle spese di entrambi i gradi di giudizio, che liquida complessivamente in Euro cinquemila (oltre accessori).
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

   

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