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Reato militare..reato di ritenzione di munizionamento militare aggravato..

Dettagli

REATO MILITARE
Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 13-12-2011) 27-01-2012, n. 3364

Fatto Diritto P.Q.M.
Svolgimento del processo
1. Il 16 dicembre 2010 il giudice dell'udienza preliminare del Tribunale militare di Napoli dichiarava non luogo a procedere, perchè il fatto non sussiste, nei confronti di P.G. in ordine al reato di ritenzione di munizionamento militare aggravato (art. 164 c.p.m.p.).
Il giudice osservava che la provenienza dei due proiettili cal. 9 parabellum "GFL N.A.T.O.", anno 1990, dal patrimonio dell'Autorità militare italiana non era stato provato dalla pubblica accusa ed era stato addirittura messo in dubbio dai risultati degli accertamenti effettuati dalla polizia giudiziaria quali trasfusi nell'annotazione della Compagnia Carabinieri di Torre Annunziata in cui si evidenziava che i comandi militari presso i quali P. aveva prestato servizio avevano risposto negativamente circa eventuali ammanchi del munizionamento di cui non era stato, quindi, possibile accertare l'effettiva provenienza. Argomentava, infine, che dalla sigla apposta sulle munizioni risultava che le stesse non erano in dotazione alle sole Forze Armate italiane (nel qual caso si sarebbe potuta ritenere integrata quanto meno la prova logica della responsabilità dell'imputato), bensì erano in uso a Forze Armate di altri Stati (tanto da recare la sigla "Nato"), sicchè non poteva escludersi che l'imputato se le fosse procurate attraverso canali diversi da quelli valorizzati dal pubblico ministero nella formulazione dell'imputazione.
2. Avverso la suddetta sentenza ha proposto ricorso per cassazione il Procuratore militare della Repubblica presso il Tribunale militare di Napoli, il quale lamenta erronea applicazione della legge penale e contraddittorietà della motivazione, in quanto l'art. 164 c.p.m.p. punisce la semplice ritenzione di munizionamento militare non dotato del marchio di rifiuto e/o palesemente dismesso. Nel caso di specie, pertanto, il reato deve ritenersi integrato sulla semplice base del fatto che l'imputato era in possesso del munizionamento. Nella prospettiva del reato contestato è, inoltre, irrilevante la circostanza che non sia stato possibile dimostrare ammanchi di munizionamento presso i comandi militari dove P. ha prestato servizio. Infine, la disposizione in esame non richiede che il munizionamento sia in uso esclusivo alle Forze armate italiane e, ai fini della sussistenza del reato, è sufficiente che il munizionamento appartenga all'Autorità militare.
Motivi della decisione
Il ricorso è fondato.
1. Il bene giuridico tutelato dall'art. 166 c.p.m.p. deve essere identificato non nel patrimonio, bensì nell'interesse generale al regolare svolgimento del servizio militare, inteso come complesso di attività preordinate all'assolvimento del compito fondamentale della difesa del territorio nazionale (Sez. 1, 3 aprile 1995, n. 5208; Sez. 1, 16 marzo 2000, n. 5982).
La norma punisce la condotta di ritenzione di munizionamento militare non munito del marchio di rifiuto e/o palesemente dismesso.
Ai fini della configurabilità del reato è sufficiente il dolo generico, ossia la consapevolezza, da parte del militare, che il munizionamento non ha legittimamente cessato di appartenere al servizio militare.
Nel caso di specie la sentenza impugnata non ha fatto corretta applicazione di questi principi, in quanto, a fronte dell'obiettivo rinvenimento presso l'abitazione dell'imputato del munizionamento militare privo del marchio di rifiuto o palesemente dismesso e dell'omessa acquisizione di elementi obiettivi indicativi della cessazione della sua appartenenza al servizio militare, il giudice ha attribuito rilievo ad un elemento estraneo alla fattispecie criminosa quale la mancata dimostrazione della sottrazione delle munizioni alle Forze Annate italiane. Si tratta di un dato irrilevante ai fini della configurabilità del reato contestato che, tutt'al più, avrebbe potuto essere significativo ove l'imputazione avesse avuto ad oggetto i diversi delitti di furto e di ricettazione.
Inoltre, come rilevato dal ricorrente, anche le conclusioni tratte dal giudicante in ordine alla valenza della sigla "NATO" apposto sui proiettili appaiono frutto di un ragionamento giuridicamente erroneo e illogico, ove si consideri che tale sigla indica semplicemente che le munizioni sono in uso alle Forze Armate dei Paesi aderenti alla NATO, tra cui sicuramente l'Italia.
In ogni caso, poi, il reato previsto dall'art. 166 c.p.m.p. non richiede, ai fini della sua sussistenza, che gli oggetti di armamento militare siano in uso esclusivo alle Forze Armate italiane. In tale prospettiva è priva di rilevanza giuridica la circostanza, evidenziata nel provvedimento impugnato, che l'imputato fosse stato in grado di procurarsi i proiettili attraverso canali diversi da quelli valorizzati dal pubblico ministero ai fini della contestazione. Anche sotto questo profilo, dunque, la motivazione della sentenza impugnata è espressione di un'erronea applicazione della legge penale.
Per tutte queste ragioni s'impone l'annullamento della sentenza impugnata e il rinvio per nuovo giudizio al gup del Tribunale militare di Napoli.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata e rinvia per nuovo giudizio al gup del Tribunale militare di Napoli.

 

 

   

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