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il paradosso di un?europa più attenta a forme e dimensioni dei cetrioli che non al diritto di libertà personale dei cittadini

Dettagli

IL PARADOSSO DI UN?EUROPA PIÙ ATTENTA A FORME E DIMENSIONI DEI CETRIOLI CHE NON AL DIRITTO DI LIBERTÀ PERSONALE DEI CITTADINI MILITARI (PRIMA PARTE) - di Cleto Iafrate
PRIMA PARTE

(La seconda parte è disponibile alla pagina http://www.ficiesse.it/home-page/5519/il-paradosso-di-un’europa-piu-attenta-a-forme-e-dimensioni-dei-cetrioli-che-non-al-diritto-di-liberta-personale-dei-cittadini-militari-_seconda-parte_---di-cleto-iafrate)

SOMMARIO 1. Il principio di legalità e le quattro generazioni di diritti dell’uomo – 2. Il riconoscimento di un diritto di quarta generazione – 3. La violazione di un diritto di prima generazione. Introduzione al principio di supremazia speciale – 4. Le origini della regola dell’onore posta alla base del principio di supremazia speciale – 5. Considerazioni dell’autore e conclusioni
 
 
1.   Il principio di legalità e le quattro generazioni di diritti dell’uomo
 
Con l'espressione diritti dell'uomo ci si riferisce ad un concetto dinamico, in quanto il suo significato, nel corso della storia, si è arricchito continuamente di nuovi contenuti.
 
Gli studiosi che si sono occupati di diritti dell’uomo hanno provato a schematizzare l’evoluzione subita dai diritti nel tempo ed hanno individuato ben quattro generazioni di diritti.
 
LA PRIMA GENERAZIONE risale al 1789, cioè alla fine della Rivoluzione francese, e coincide con l’approvazione della Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino.
 
Essa ricomprende i diritti conquistati a seguito della rivendicazione di una serie di libertà fondamentali che erano precluse, fino allora, ad ampi strati della popolazione. Si tratta, in particolare, di diritti concepiti essenzialmente per garantire agli individui una tutela nei confronti dello Stato; per esempio, i diritti legati alla libertà di pensiero, di religione, di espressione, di associazione, il diritto alla partecipazione politica, il diritto ad un giusto processo, eccetera.
 
I diritti di prima generazione sono stati definiti anche “diritti negativi”, perché, con la loro rivendicazione, si volevano ostacolare (negare) e contenere i comportamenti autoritari dello Stato, limitando i suoi interventi al minimo indispensabile.
 
In effetti, la vera conquista della rivoluzione francese fu l’affermazione del PRINCIPIO DI LEGALITA’, da cui scaturiscono i diritti sopra descritti. Tale principio costituisce l’argine del potere, cioè stabilisce la subordinazione di qualsiasi potere alla legge, che ne fissa limiti e contenuto. Esso presuppone sempre l’esistenza di una norma di legge posta a fondamento di ogni potere, attribuito ad un’autorità governativa o amministrativa.
 
Il principio deriva dal presupposto che “la legge è uguale per tutti” ed, allo stesso tempo, è posto a presidio di tale assioma. A causa della sua portata generale, è riferibile a tutto l’ordinamento giuridico, ma assume particolare rilievo nel diritto amministrativo e nel diritto penale. Nel primo, in quanto l’attività amministrativa - avendo un’origine spiccatamente politica, essendo cioè espressione della maggioranza di governo - deve necessariamente trovare nella legge i suoi presupposti ed i suoi limiti. Pertanto, il principio di legalità impone che  “nessuno può essere assoggettato a sanzioni amministrative se non in forza di una legge che sia entrata in vigore prima della commissione della violazione” e che “le leggi che prevedono sanzioni amministrative si applicano soltanto nei casi e per i tempi in esse considerati” (art. 1 legge 689/81).
 
Nel diritto penale, invece, il principio di legalità è fondamentale in quanto impedisce che vi siano arbitrarie limitazioni alla libertà degli individui. Esso, infatti, impone che “nessuno può essere punito per un fatto che non sia espressamente preveduto come reato dalla legge, né con pene che non siano da essa stabilite” (art. 1 c.p.) e nessuno può essere punito per un fatto che, secondo la legge del tempo in cui fu commesso, non costituiva reato (art. 2, I comma, c.p. ed art. 25 Cost.).
 
La riserva di legge rappresenta la massima attuazione del principio di legalità. Si parla di riserva di legge, quando una norma costituzionale richiede che una determinata materia sia disciplinata in via esclusiva dalla legge formale e/o da atti ad essa equiparati.
 
In definitiva, si può dire che il principio di legalità è lo strumento attraverso il quale si realizzano i fini previsti dalle norme costituzionali che impongono la riserva di legge. Ad esempio, l’art. 13 della Costituzione, stabilendo che la libertà personale è inviolabile, impone che “non è ammessa alcuna forma di detenzione … se non nei casi e nei modi previsti dalla legge”. La circostanza secondo la quale i reati e le relative pene sono previste dal codice penale – adottato con legge – rappresenta il compimento del principio di legalità che dà attuazione alla riserva di legge.
 
Il principio di legalità, conquistato con il sangue versato durante la rivoluzione francese, trasformò, in cittadini, coloro che fino allora erano dei sudditi.
 
Purtroppo, però, la conquista non è per sempre, in quanto il principio è continuamente sotto attacco da parte del potere politico che non tollera intromissioni e limitazioni.
 
Per esempio, agli inizi del secolo scorso un autore (G. Maggiore) propose di introdurre anche “la volontà del duce” nel nostro principio di legalità, ad imitazione di quello hitleriano.  
 
Un altro esempio più recente. Il difensore del premier, nel suo intervento alla Corte costituzionale, nel giudizio sulla legge Alfano, ha tentato di far passare una singolare tesi, provocando la ferma risposta della Corte.  Ha sostenuto che, essendo ormai il Presidente del Consiglio “primus super pares” e non più “ primus inter pares”, era pienamente  giustificato differenziare la sua posizione da quella degli altri membri del Governo  e, perciò, la legge Alfano  non violava il principio di eguaglianza.
 
Nella sentenza n. 262/2009, che ha dichiarato illegittima la legge Alfano, fortunatamente, la Corte costituzionale (al punto 7.3.2.3.1) ha smentito questa singolare tesi, negando che, nel nostro sistema costituzionale, al Presidente del Consiglio sia riconosciuta una posizione di preminenza nei confronti dei ministri.
 
In entrambi gli esempi citati, ma se ne possono fare tanti altri, la tecnica giuridica viene formalmente rispettata; nella sostanza, però, si è tentato di introdurre dei principi  che, oltre ad essere paradossali ed assurdi, si pongono al di fuori ed in contrasto con l’ordinamento giuridico generale.
 
LA SECONDA GENERAZIONE di diritti ha origine con la Dichiarazione universale del 1948 e comprende i diritti di natura economica, sociale e culturale, come, per esempio, il diritto all’istruzione, al lavoro, alla casa, alla sicurezza sociale, alla tutela della salute, eccetera.
 
I diritti di seconda generazione, definiti anche “diritti positivi”, si ispirano a una filosofia che mette in risalto, al contrario di quella liberale, il dovere d'intervento dello Stato. Essi permettono di chiedere allo Stato non più un'astensione, ma un'azione positiva. In questo senso si parla di diritti di matrice socialista, contrapponendoli a quelli di matrice liberale della prima generazione.
 
LA TERZA GENERAZIONE di diritti, invece, ricomprende i diritti di tipo collettivo; significa che i destinatari non sono i singoli individui, ma i popoli. Ecco quindi che si parla di diritto all’autodeterminazione dei popoli, alla pace, allo sviluppo, all’equilibrio ecologico, al controllo delle risorse nazionali, alla difesa ambientale.
 
Sono anche definiti diritti di tipo solidaristico; vuol dire che ogni popolo ha delle responsabilità nei confronti degli altri popoli, in particolare, nei confronti di quelli che si trovano in situazioni di difficoltà.
 
Rientrano in questa generazione di diritti tutte le azioni a tutela delle categorie di individui ritenute particolarmente deboli ed esposte al pericolo di violazione dei loro diritti. Si tratta, in particolare, dei diritti dell’infanzia, dei diritti della donna e, perché no, anche dei diritti dei militari.
 
ALLA QUARTA GENERAZIONE appartengono diritti caratterizzati dal fatto di essere sempre più specifici (ossia definiti nei più piccoli particolari) e di natura sempre più collettiva (cioè, non più indirizzati al singolo ma all’intera comunità mondiale nel suo complesso).
 
Alcuni di questi diritti derivano dalle nuove tecnologie (ad esempio, il diritto al consumo di cibi non geneticamente modificati, il diritto dei bambini che utilizzano internet); altri, invece, sono diritti già esistenti che si vogliono sempre più specificare nei minimi dettagli. Ad esempio il diritto all’etichettatura dei cibi, anche rispetto al Paese di provenienza ed alla tecnica di coltivazione, il diritto ad avere a tavola prodotti, che, oltre ad essere genuini, risultino appetibili anche dal punto di vista estetico.
 
 
2.     Il riconoscimento di un diritto di quarta generazione
 
Un esempio di diritto di quarta generazione è dato dal Regolamento (CEE) N. 1677/88 (inserire link del regolamento). Il regolamento, noto come regolamento dei cetrioli, è stato più volte, per così dire, “rimaneggiato”. Prima con regolamento (CE) n. 888/97 e, successivamente, con Regolamento (CE) 46/2003 – in G.U. 7 del 11/01/03 (pag. 61). Il Regolamento dei cetrioli stabilisce le norme di qualità per la commercializzazione in area euro dei cetrioli, imponendo il rispetto di criteri anche estetici, oltre che di qualità. Ciò al fine di creare standard europei comuni. Si distinguono, tanto per dire, la categoria extra-class dalla meno prestigiosa class II. In base al regolamento,  i cetrioli, per essere commercializzati, non devono avere “difetti e deformazioni dovute allo sviluppo”; sono tollerati “lievi difetti della buccia dovuti allo strofinamento ed alla manipolazione” ed anche lievi incurvature, a condizione che “l’altezza minima dell'arco non superi i 10 mm per 10 cm di lunghezza”. Per esempio, il cetriolo mostrato in foto, per forma e dimensione, non soddisfa  i requisiti minimi tipizzati dal citato Regolamento e successive modifiche.

 

    Questo cetriolo è fuorilegge
 
Appare evidentemente troppo grande e storto e quindi è un cetriolo “fuorilegge” e nel caso venisse commercializzato in area euro verrebbe subito respinto. Il legislatore, in effetti, ha ritenuto che il diritto ad essere informati, prima dell’acquisto, circa le dimensioni massime raggiungibili dai cetrioli, dovrebbe contribuire al miglioramento delle condizioni di vita del cittadino europeo. Pur essendo un garantista, ritengo che alcuni dei diritti di quarta generazione siano superflui e perciò non meritevoli di tutele. Mi chiedo, se il cetriolo, normalmente, si assume a fette, che bisogno c’è di porre un limite alla sua forma e dimensioni? Eppure, l’Europa ha ritenuto che anche l’aspetto esteriore del cetriolo sia meritevole  delle massime tutele da parte dell’ordinamento e vada presidiato da norme di legge ad hoc. Il regolamento del cetriolo, nel tipizzare i requisiti dei cetrioli, rappresenta il compimento del principio di legalità, che attua la riserva di legge.
 
 
3.  La violazione di un diritto di prima generazione. Introduzione al principio di supremazia speciale
 
Non tutti i cittadini europei, però, godono delle medesime tutele e garanzie da parte dell’ordinamento giuridico: alcuni hanno il diritto di conoscere addirittura quali siano forme e dimensioni del cetriolo che intendono acquistare; altri, invece, non hanno nemmeno il diritto di conoscere quali siano le infrazioni penalmente rilevanti che danno luogo a sanzioni restrittive della loro libertà personale.
 
Le sanzioni disciplinari militari si distinguono in sanzioni di Stato e sanzioni di Corpo. Entrambe vengono inflitte dall’Autorità militare in caso di violazione dei doveri attinenti alla disciplina da parte dei militari, compresi gli appartenenti alle Forze di polizia militarmente organizzate (Carabinieri e Guardia di Finanza). Le sanzioni di Stato non si differenziano, sostanzialmente, dalle corrispondenti sanzioni previste nel campo del pubblico impiego.
 
Le sanzioni disciplinari di Corpo, invece, sono tipicamente militari e consistono nel richiamo, nel rimprovero, nella consegna semplice e nella consegna di rigore. La sanzione della consegna semplice consiste nel privare il militare della libera uscita fino ad un periodo massimo di sette giorni consecutivi (art. 1352, comma 1, D. Lgs 66/2010). La legge, nel prevedere la sanzione di Corpo della consegna semplice, però, non tipizza gli specifici comportamenti a causa dei quali la sanzione può essere inflitta.Il legislatore, cioè, ha tipizzato il tipo di sanzione, ma ha omesso di tipizzare le violazioni che le stesse censurano.
 
Ci si chiede: la consegna semplice è una sanzione a carattere penale oppure una sanzione di tipo amministrativo? Chi scrive ritiene che il precetto abbia rilevanza para-penale nei confronti dei volontari in  ferma  prefissata (con  meno  di  dodici  mesi  di servizio) degli allievi delle scuole, delle  accademie  e  degli  altri istituti di istruzione militare e del rimanente personale in ferma che, pur non avendo  l'obbligo  dell'accasermamento, fruisce degli alloggiamenti di reparto o di unità navale. Infatti, per tale personale, che fruisce della cosiddetta “libera uscita”, la consegna, ai sensi dell’art. 741 DPR 90/2010 si traduce in una vera e propria limitazione della libertà.
Mi spiego. Pur non negando che i reparti d’istruzione abbiano spazi interni molto ampi e confortevoli, non è certo facile dimostrare che l’atteggiamento psicologico e lo stato d’animo del militare consegnato (privato della “libera uscita”) sia molto diverso da quello di qualsiasi altro detenuto comune posto agli arresti domiciliari per essersi reso colpevole di reati ben più gravi.
Nei confronti, invece, di tutte le altre categorie di militari, quelli cioè che non fruiscono della “libera uscita”, la sanzione disciplinare della consegna si atteggia come una species del genus sanzione amministrativa.
Sia che si tratti di sanzione di tipo para-penale che a carattere amministrativo, si ritiene che la sanzione della consegna sia in contrasto con il principio di legalità e violi il principio di imparzialità e buon andamento della pubblica amministrazione.
 
La norma, infatti, nell’affermare che “costituisce  illecito disciplinare ogni violazione dei doveri del servizio e della disciplina militare sanciti dal presente codice, dal regolamento, o conseguenti all'emanazione di un ordine” è estremamente generica, potendosi riferire a tutte le mancanze previste dal codice di disciplina.
 
Non soddisfa e non convince la precisazione di cui al successivo art. 1361 del citato D.Lgs, a mente del quale “Con la consegna sono punite:
a) la violazione dei doveri diversi da quelli previsti dall'articolo 751 del regolamento;
b) la recidiva nelle mancanze;
c) più  gravi  trasgressioni  alle  norme  della  disciplina  e del servizio.”
 
Non c’è dubbio che la scelta di locuzioni linguistiche quali “violazione dei doveri”, “recidiva nelle mancanze” e  “gravi  trasgressioni  alle  norme  della  disciplina  e del servizio”, si prestano, a causa della loro indeterminatezza, alle più disparate elusioni dei fondamentali diritti del militare.
 
Per avere un’idea circa la genericità della norma penale/amministrativa, si consideri che tra i doveri del militare vi è anche quello di “avere cura particolare dell'uniforme e indossarla con decoro” (Art. 720 comma 4 del DPR 15 marzo 2010, n. 90 - Testo unico delle disposizioni regolamentari in materia di ordinamento militare); di curare il suo aspetto esteriore, che “deve essere decoroso come richiede la dignità della sua condizione” (art. 721 DPR citato); di “tenere in ogni circostanza condotta esemplare”; di “improntare il proprio contegno al rispetto delle norme che regolano la civile convivenza”; di “astenersi dal compiere  azioni  e  dal  pronunciare  imprecazioni, parole e discorsi non confacenti alla dignità e al decoro” (art. 732). Le norme di tratto, invece, prevedono che “la correttezza nel tratto costituisce preciso dovere del militare” (Art. 733). Le norme denominate “senso dell'ordine”, impongono al militare di “compiere ogni operazione con le  prescritte  modalità, assegnare un posto per ogni  oggetto,  tenere  ogni  cosa  nel  luogo stabilito” (Art. 734).
 
Sembrerebbe quindi che, il compiere un’azione non con le prescritte modalità – oppure, tenere un oggetto fuori posto, avere l’uniforme in disordine oppure le scarpe sporche  - costituisca “violazione dei doveri militari” che può essere punita con la sanzione della consegna semplice.
Considerata la genericità della norma attinente all’aspetto esteriore, addirittura l’avere il “collo peloso” potrebbe dar luogo a sanzione.
 
Si consideri che ad un livello troppo alto di testosterone - ormone sessuale maschile che regola la distribuzione e l’intensità di crescita della peluria (anche sul collo) – corrisponde una crescita più rapida dei peli.
 

 

  Il problema del “collo peloso”
 
 
Ebbene, ci si chiede: Può il testosterone essere elevato a parametro per la comminazione di una sanzione restrittiva della capacità di autodeterminazione del militare che fruisce della libera uscita? Può esserlo la polverosità della strada che conduce alla caserma?
 
E’ a tutti evidente che la norma che prevede la sanzione della consegna si atteggia come un contenitore all’interno del quale ci può rientrare di tutto, ma proprio tutto.
 
Stando così le cose, il militare non è posto in grado di conoscere preventivamente i comportamenti punibili con la sanzione della consegna. All'Amministrazione, invece, viene attribuita la più ampia discrezionalità nello stabilire in relazione a quali illeciti infliggere la sanzione. Il potere disciplinare risulta dilatato in misura difficilmente sindacabile anche in sede di tutela giurisdizionale. A tal proposito si consideri, per ipotesi, il caso in cui una soldatessa voglia denunciare un suo istruttore per molestie e pressioni attraverso l’abuso di strumenti di correzione disciplinare. Ci si chiede: in assenza di una tipizzazione delle infrazioni  per cui può essere irrogata la sanzione disciplinare, come può la soldatessa argomentare le sue accuse? Di contro, come può l’istruttore sostenere le sue difese?
 
Al fine di chiarire il concetto della sconfinata discrezionalità di cui dispone l’Amministrazione, riporto due casi veramente accaduti. Da fonte ANSA ed APCOM, datate 17 novembre 2010, si è appreso che un militare italiano, impegnato in Afghanistan, è stato sanzionato con sette giorni di consegna “per aver lasciato il suo posto branda in disordine”.
 
In data 06 giugno 2011, si è appreso (da fonte Grnet.it), che un sottufficiale è stato sanzionato disciplinarmente con la consegna per aver consumato un rapporto sessuale con la propria fidanzata (altro effetto di un testosterone troppo alto; che, comunque, non può e non deve avere una valenza penale, almeno, se rimane entro questi limiti).
 
Sembrerebbe che il militare in questione si fosse sentito male durante il servizio ed un ufficiale medico, dopo averlo sottoposto a visita, gli avesse prescritto una cura, nonché la raccomandazione di astenersi dall’avere rapporti sessuali per un certo tempo. Alla visita di controllo successiva, il militare avrebbe ammesso di avere intrattenuto un rapporto sessuale con la fidanzata che era andata a trovarlo durante la degenza. Quindi è stato punito con la seguente motivazione: «Nonostante gli fosse raccomandato riposo … e specie l’astensione assoluta da attività traumatiche di qualsiasi genere, il sottufficiale di cui sopra non si atteneva alle prescrizioni mediche ricevute. Con il suo comportamento, è venuto meno agli articoli 717, 718 e 729 (senso di responsabilità, formazione militare e esecuzione di ordini) del Testo Unico delle disposizioni regolamentari in materia di Ordinamento Militare». Pare che la discrezionalità dell’Amministrazione militare non si limiti ad accertare solamente come vengono ripiegate le lenzuola ma, addirittura, pretenda di sindacare anche cosa vi accade sotto!
 
La sanzione della consegna non ha una esclusiva rilevanza interna, come alcuni sostengono, è giusto il caso di ricordare che essa viene annotata nella documentazione personale; pertanto ha devastanti effetti sulla carriera del militare ed incide negativamente sull’assegnazione degli incarichi, sui trasferimenti, sull’esito dei concorsi interni, sulla concessione delle ricompense, sull’autorizzazione al NOS. La sanzione coinvolge anche la sfera personale del militare: ha effetti sulla sua autostima e sui suoi rapporti con gli altri militari.  Si tenga a mente, inoltre, che ai sensi dell’art. 751 punto 33) del DPR 90/2010 “l’inosservanza ripetuta delle norme attinenti all'aspetto esteriore o al corretto uso dell'uniforme” (articoli 720 e 721) sono valutate per la comminazione della consegna di rigore. Inoltre, tra le cause di cessazione dal servizio permanente, si annoverano “le gravi e reiterati mancanze disciplinari che siano state oggetto di consegna di rigore (art. 12, 2° comma, lettera c L. 1168/1961)”. Quindi la sanzione, oltre ad incidere pesantemente sulla carriera del militare, può portare anche alla risoluzione del suo rapporto di lavoro, con le immaginabili conseguenze in termini patrimoniali. Tale incidenza non può essere negata neppure nel caso in cui le predette annotazioni, a seguito di specifica istanza dell’interessato, vengano eliminate dalla documentazione personale dopo due anni di buona condotta. Va osservato, infatti, che l’eliminazione non ha effetto retroattivo ed avviene previo parere conforme del superiore.
 
Si ritiene, visto che in gioco vi sono dei diritti soggettivi, che debbano essere meglio tipizzate le infrazioni punibili con la sanzione della consegna.
 
A tal proposito, sono scarsamente condivisibili e destituite di ogni fondamento le osservazioni di chi, soprattutto in ambienti interni all’Amministrazione militare, ritiene che sia impossibile tipizzare tutto. Basti solo considerare che esistono, perfino, delle leggi specifiche (ad hoc) che disciplinano la tipologia dei vini d.o.c., a presidio della loro qualità.
 
Si è visto che in Europa vige un regolamento che tipizza, addirittura, i cetrioli e vieta la commercializzazione di quelli troppo storti o troppo sviluppati. Non si comprende per quale motivo in Italia si dovrebbero lasciare vaganti “cetrioli” di simili dimensioni? (Si ribadisce che la consegna, incidendo sulla posizione di Stato del militare, può determinare la sua cessazione dal servizio, oltre ad incidere pesantemente sulla sua carriera).
 
E’ a tutti evidente l’incommensurabilità dei due interessi tutelati: cioè la protezione di un bene alimentare e commerciale (cetrioli e vino) e la tutela di beni personali ed intrasmissibili (libertà personale e diritto alla giusta retribuzione). I secondi esigono il rispetto della riserva assoluta di legge, del principio di legalità e di tassatività dell’illecito.
 
Atteso che i diritti di prima generazione costituiscono, sin dal 1789, i pilastri di qualsiasi ordinamento giuridico civile, ci si chiede: Come sia possibile che l’ordinamento militare italiano contenga così ampie deroghe a tali basilari principi costituzionali?
 
Si ritiene che ciò sia possibile in quanto  l’Ordinamento militare  si fonda su principi preesistenti allo Stato di diritto, ereditati dalla tradizione e dalla consuetudine, che lo Stato non ha potuto fare altro che riconoscere, in nome di una pretesa supremazia speciale, che ha consentito (e consente) di derogare alle regole dell’ordinamento giuridico statuale.  
 
 FINE PRIMA PARTE

(Prosegue alla pagina http://www.ficiesse.it/home-page/5519/il-paradosso-di-un’europa-piu-attenta-a-forme-e-dimensioni-dei-cetrioli-che-non-al-diritto-di-liberta-personale-dei-cittadini-militari-_seconda-parte_---di-cleto-iafrate)
 
CLETO IAFRATE
Direttivo nazionale Ficiesse
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