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Il TAR dà ragione alle parafarmacie per le vendita di farmaci di fascia C

Dettagli



REPUBBLICA ITALIANA
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia
(Sezione Terza)
ha pronunciato la presente
ORDINANZA
sul ricorso numero di registro generale 3078 del 2011, proposto da:
 
@@ @@ @@, rappresentata e difesa dall’avv. -
contro
A.S.L. @@, rappresentata e difesa dagli avv. -
MINISTERO DELLA SALUTE, rappresentato e difeso dall’Avvocatura dello Stato, presso i cui uffici è domiciliato ex lege in Milano, via Freguglia n. 1;
REGIONE LOMBARDIA, non costituita in giudizio;
COMUNE-
AIFA-AGENZIA ITALIANA DEL FARMACO, non costituita in giudizio;
per l’annullamento
- del provvedimento prot. gen. n. 0015363 del 3 agosto 2011 con cui il COMUNE DI -- ha ritenuto la propria incompetenza a pronunciarsi sulla istanza della ricorrente; – del provvedimento notificato il 17/08/2011, con cui l’ASL di @@ ha ritenuto di denegare l’avvio dell’attività di vendita dei medicinali soggetti a ricetta medica di cui all’art. 87, comma 1, lett. a) e b) d.lgs. n. 219/2006; – del provvedimento del Ministero della Salute prot.0035037 in data 18 agosto 2011 con il quale è stata respinta la richiesta della ricorrente di poter procedere nella vendita al pubblico dei medicinali di cui all’art. 87, comma 1, lett. a) e b) d.lgs. n. 219/2006; – della circolare del Ministero della salute n. 3 del 3/10/2006; – della delibera Regionale Lombardia VIII/003271 del 4/10/2006;
- nonché di tutti gli atti connessi;
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Visti gli atti di costituzione in giudizio del COMUNE -- e del MINISTERO DELLA SALUTE;
Relatore nella camera di consiglio del giorno 2 dicembre 2011 il dott. Dario Simeoli e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
1. La ricorrente, farmacista abilitata iscritta all’Ordine dei Farmacisti di Milano nonché titolare della omonima parafarmacia, ha comunicato all’ASL competente per territorio (@@), oltre che al Comune di -, al Ministero della Salute, all’Agenzia Italiana del Farmaco e alla Regione Lombardia la propria intenzione di avviare la vendita al pubblico dei medicinali di cui all’art. 87, comma 1, lett. a) e b) d.lgs. 219/06, ovvero di farmaci a totale carico del cittadino acquirente senza richiesta di rimborso da parte del servizio sanitario regionale e nazionale, nonché di tutte le specialità medicinali per uso veterinario soggette a ricetta medica, anch’esse a totale carico del cittadino acquirente, senza richiesta di rimborso da parte del servizio sanitario regionale o nazionale.
1.1. Con provvedimento del 3/8/2007, la Città di -- dichiarava di non essere deputata al rilascio dell’autorizzazione richiesta. Il Ministero della Salute, con provvedimento del 18 agosto 2011, rigettava la domanda asserendo che, sulla base della normativa vigente in materia, la vendita dei medicinali suddetti può essere effettuata solo all’interno delle farmacie. Parimenti, replicava in senso negativo l’ASL di @@, con provvedimento notificato in data 17/08/2011.
1.2. Con ricorso depositato il 14 novembre 2011, la ricorrente ha impugnato i citati dinieghi, sostenendo che la normativa su cui essi sono fondati sarebbe contraria al diritto dell’Unione Europea, nella parte in cui osta alla vendita dei medicinali di c.d. fascia C soggetti a prescrizione ma non a carico del SSN.
1.3. Con ordinanza del 2 dicembre 2011, il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia, ha rigettato la domanda cautelare, riservandosi di pronunciare separata ordinanza sulla questione di compatibilità comunitaria.
1.4. La controversia veniva riesaminata alla camera di consiglio del 29 febbraio 2012, onde valutare compiutamente la persistente rilevanza della questione alla luce della sopravvenuta legge n. 214/2011 e del decreto legge n. 1/2012, che dalle indiscrezioni della stampa sembrava volessero affrontare anche gli aspetti oggetto del presente giudizio ma che, invece, hanno riguardato importanti ma diverse innovazioni dell’ordinamento farmaceutico. All’esito di detta verifica, il Collegio ha ritenuto necessario investire di questione pregiudiziale la Corte di Giustizia dell’Unione Europea. Di seguito le motivazioni.
DIRITTO
I. In Italia, il servizio di distribuzione dei farmaci, in ragione delle caratteristiche dei prodotti e dei bisogni generali che è deputato a soddisfare, è settore economico sottoposto ad una penetrante regolazione amministrativa, la quale investe svariati ambiti tra cui: numero e regime proprietario delle farmacie, turni ed orari di apertura, sistema di remunerazione. Il diritto pubblico “interferisce”, non solo sul versante quantitativo, stabilendo in via autoritativa un rapporto “legale” tra domanda ed offerta, ma anche su quello soggettivo, riservando alla sola categoria dei farmacisti la possibilità di intraprendere l’attività di distribuzione dei farmaci. In definitiva, riguardato sotto il profilo dell’ordinamento professionale, il settore si caratterizza per essere i farmacisti una delle poche professioni per le quali lo Stato non ha solo prescritto la necessità del conseguimento di un titolo di studio abilitativo ma anche la pianificazione territoriale della relativa attività, contingentando il numero dei professionisti che possono svolgerla.
Preliminarmente, è utile esaminare diacronicamente gli sviluppi normativi del settore.
II. La disciplina delle distribuzione territoriale delle farmacie costituisce un esempio paradigmatico di pianificazione delle attività private, le cui radici affondano nella legislazione pre-repubblicana. La riforma “Giolitti” del 1913 (l. 22 maggio 1913 n. 468) riconosceva all’assistenza farmaceutica la natura di attività pri@@ dello Stato, esercitata tramite gli enti locali (farmacie comunali) oppure a mezzo di concessione governativa ai privati farmacisti. Al fine di garantire la capillare distribuzione delle farmacie sul tutto il territorio nazionale, scongiurando il rischio della concentrazione delle farmacie nelle sole zone più ambite sotto il profilo commerciale, venne messo appunto un apposito strumento amministrativo di contingentamento della offerta, denominato “pianta organica” (tra l’altro, in un contesto storico in cui le farmacie non provvedevano alla sola distribuzione ma, molte volte, anche al “confezionamento” del farmaco).
II.1. Gli sviluppi normativi successivi (risultanti dalle modifiche intervenute con la legge 2 aprile 1968 n. 475 e la legge 8 novembre 1991 n. 362) hanno sostanzialmente perpetuato il modello del 1913. La pianta organica, articolata su base comunale, determina il numero complessivo delle farmacie, le zone nelle quali hanno sede, la distanza minima tra di esse. Il criterio generale di pianificazione si basa sul rapporto numerico tra esercizi e utenti; la relativa organizzazione è soggetta a revisione periodica (in particolare, la legislazione, vigente sino alle recentissime modifiche di cui al punto seguente, prevedeva la presenza di una farmacia ogni 4.000 abitanti nei comuni con più di 12.500 abitanti e di una farmacia ogni 5.000 abitanti nei comuni con meno di 12.500 abitanti). La rigidità dell’impianto è reso parzialmente flessibile da misure che consentono di adattare la presenza delle farmacie alla particolare conformazione geomorfologica del territorio e alla difficoltà di raggiungere la farmacia in un altro nucleo abitante troppo distante (art. 2 l. n. 362/1991; v. anche l’art. 6 l. cit. sui dispensari farmaceutici). Le farmacie aperte al pubblico, anche quando sono gestite da comuni, ricadono comunque entro il regime della pianificazione.
II.2. E’ utile precisare che il successivo articolo 8, comma 10, della legge n. 537/1993 ha proceduto alla riclassificazione delle specialità medicinali e dei preparati galenici, collocando i medesimi in una delle seguenti classi: A) farmaci essenziali e farmaci per malattie croniche; B) farmaci, diversi da quelli di cui alla lettera a), di rilevante interesse terapeutico (categoria successivamente soppressa); C) altri farmaci privi delle caratteristiche indicate alle lettere a) e b) ad eccezione dei farmaci non soggetti a ricetta con accesso alla pubblicità al pubblico; C-bis) farmaci non soggetti a ricetta medica con accesso alla pubblicità al pubblico (OTC). Il comma 14 del medesimo articolo specifica che i farmaci collocati nella classe di cui al comma 10, lettera A), sono a totale carico del Servizio sanitario nazionale; mentre, i farmaci collocati nella classe di cui al comma 10, lettere C) e C-bis), sono a totale carico dell’assistito.
II.3. Il d.l. 4 luglio 2006 n. 223 (convertito in l. n. 248/2006), al fine di aumentare la concorrenza nel settore della distribuzione finale dei farmaci e stimolare una riduzione del prezzo finale, ha autorizzato l’apertura di nuovi esercizi commerciali diversi dalle farmacie, denominati “parafarmacie”, in cui è consentita la vendita di farmaci da banco (farmaci da automedicazione preconfezionati e vendibili senza ricetta medica di cui all’articolo 9-bis del d.l. 18 settembre 2001 n. 347). Per la prima volta, dunque, un operatore economico diverso dalla farmacia inserita in pianta organica, è abilitato ad effettuare attività di vendita al pubblico di alcune categorie di farmaci.
II.4. Il recente art. 32 d.l. 6-12-2011 n. 201 (convertito nella l. 22 dicembre 2011 n. 214), in continuità con l’ultimo indirizzo, ha previsto che, nei citati nuovi esercizi commerciali, possono essere venduti senza ricetta medica anche i medicinali di cui all’articolo 8, comma 10, lettera c), della legge 24 dicembre 1993, n. 537 (ad eccezione dei medicinali di cui all’articolo 45 del d.P.R. 9 ottobre 1990 n. 309, e di cui all’ articolo 89 d.lgs. 24 aprile 2006 n. 219, nonché dei farmaci del sistema endocrino e di quelli somministrabili per via parenterale). Tuttavia, il comma 1 bis, rimette al Ministero della salute il compito di individuare entro centoventi giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto un elenco, periodicamente aggiornabile, dei medesimi farmaci di fascia C, per i quali permane l’obbligo di ricetta medica e dei quali non è consentita la vendita nelle parafarmacie. La norma, dunque, non ha rimosso l’ostacolo normativo lamentato dalla ricorrente.
Per completezza, si ricorda che il medesimo decreto, al fine di censurare talune pratiche di boicottaggio, ha stabilito che le condizioni contrattuali e le prassi commerciali adottate dalle imprese di produzione o di distribuzione dei farmaci che si risolvono in una ingiustificata discriminazione tra farmacie e parafarmacie quanto ai tempi, alle condizioni, alle quantità ed ai prezzi di fornitura, costituiscono casi di pratica commerciale sleale ai fini dell’applicazione delle vigenti disposizioni in materia. Sotto altro profilo, è stata data facoltà alle farmacie e agli esercizi commerciali di cui all’art. 5, comma 1, d.l. n. 223/06 cit, di praticare liberamente sconti sui prezzi al pubblico sui medicinali di cui ai commi 1 e 1-bis, purché gli sconti siano esposti in modo leggibile e chiaro al consumatore e siano praticati a tutti gli acquirenti.
II.5. Ulteriori misure in tema di servizio farmaceutico sono state introdotte, da ultimo, dall’art. 11 del d.l. 24 gennaio 2012 n. 1. In particolare: si è abbassato a 3.000 abitanti il quorum di popolazione necessario per l’apertura di una nuova farmacia, con l’avvertenza che sulle sedi farmaceutiche all’uopo istituite non potrà essere esercitato il diritto di prelazione da parte del comune; al fine poi di incentivare la concorrenza si attribuiscono ai gestori la libertà di praticare sconti sui prezzi di tutti i tipi di farmaci e, inoltre, la possibilità di aprire la farmacia anche in orari diversi da quelli obbligatori; per far diminuire i costi, poi, il farmacista è tenuto a dispensare il medicinale generico equivalente avente il costo più basso, salvo che il medico non abbia espressamente indicato in ricetta la non sostituibilità del farmaco prescritto e, ovviamente, salvo diversa richiesta del cliente.
III. Il problema concretamente posto all’attenzione del Collegio è se il diritto di esclusiva, in favore dei soli esercizi di distribuzione farmaceutica rientranti nella pianta organica, in ordine alla vendita di tutti i medicinali soggetti a prescrizione medica, anche di quelli c.d. di fascia C soggetti a prescrizione medica ma non a carico del SSN, sia rispettoso dei vincoli derivanti all’Italia dall’appartenenza all’ordinamento comunitario. Prima di venire al cuore della questione, ritiene il Collegio di anteporre una breve premessa di carattere sistematico.
III.1. Invero, le limitazioni quantitative all’ingresso degli operatori economici su alcuni mercati costituiscono un tradizionale strumento del diritto pubblico dell’economia, le cui finalità possono essere assai diverse, ma per lo più riconducibili: alla necessità di proteggere quanti già siano insediati sul mercato dalla concorrenza di nuovi operatori (si pensi, per il passato, alla programmazione della distribuzione commerciale); ovvero, alla finalità di assicurare la presenza del servizio anche in aree che potrebbero essere trascurate perché meno redditizie (è il caso, per l’appunto, delle farmacie).
Per quanto tale dimensionamento coattivo dell’offerta costituisca una indubbia incisione della libertà di iniziativa economica, esso non ha mai posto problemi di compatibilità rispetto alla c.d. costituzione economica italiana (cfr. Corte cost., sentenza n. n. 27/2003, secondo cui il contingentamento delle farmacie è volto ad assicurare ai cittadini la continuità territoriale e temporale del servizio ed agli esercenti un determinato bacino d’utenza; sentenza n. 4/1996, secondo cui il diritto alla salute, costituzionalmente riconosciuto dall’art. 32 della Costituzione, non comporta l’obbligo per il legislatore di rimuovere qualsivoglia condizione obiettiva all’istituzione di farmacie, al contrario ne legittima la programmazione allo scopo di garantire la più ampia e razionale copertura di tutto il territorio nell’interesse della salute dei cittadini; sentenza 76/2008, secondo cui la sintesi tra siffatte esigenze è affidata alle scelte non irragionevoli del legislatore, in modo che siano garantiti sia un adeguato ambito di operatività alle farmacie in attività, sia la piena efficienza a favore degli utenti del servizio farmaceutico).
Complice la costruzione compromissoria del disposto costituzionale, suscettibile di essere declinato sia sul versante individualistico del costituzionalismo liberale, sia in direzione delle istanze solidaristiche, la declamazione della libertà economica (art. 4, comma 1) è stata generalmente interpretata come pura garanzia “verticale” di non interferenza da parte dello Stato in un certo ambito di scelte private, piuttosto che come presidio della “concorrenza effettiva” quale specifica modalità di funzionamento del mercato. Per altro, con riguardo alle misure conformative dei mercati per finalità correttive e sociali (art. 41, commi 2 e 3), nonché ai monopoli pubblici regolati (art. 43), la giurisprudenza costituzionale non ha definitivamente chiarito i termini del contemperamento tra la libertà economica ed interessi generali. Ed anche quando, a seguito della riforma costituzionale del 2001 (l. cost. 18 ottobre 2001, n. 3), la “tutela della concorrenza” è divenuta oggetto di una disposizione espressa (art. 117 comma 2 lett. e), all’ampliamento della competenza statale in materia di regolazione amministrativa dei mercati, non si è accompagnata una chiara definizione, sul piano della gerarchia dei valori, delle ragioni e scopi della concorrenza come bene da tutelare.
A parere del Collegio, nuove prospettive devono essere verificate alla luce dei trattati europei i quali, per contro, esprimono una assai più marcata scelta valutativa circa il modello di funzionamento dei mercati che si intende promuovere, un modello radicalmente alternativo ai criteri del “dirigismo” costituzionale italiano. L’indirizzo comunitario, difatti, è da lunghissimo tempo orientato ad emendare il diritto pubblico dell’economia degli stati membri da quegli strumenti di pianificazione che si propongono di conformare i processi economici alle condizioni ivi prefigurate; al suo posto si promuove una regolazione obbiettiva e neutrale che, sul presupposto della spontaneità dei processi economici, si proponga di guidarne le dinamiche dall’esterno, ove ciò occorra per finalità di interesse generale.
Indubbiamente, il principio dell’economia di mercato aperta ed in libera concorrenza, il quale impone agli ordinamenti nazionali di predisporre un ambiente giuridico propizio alla competizione, non ha valore assoluto. Molti valori, collocati nell’architettura delle fonti comunitarie in una posizione di preminenza, possono giustificare interventi conformativi dell’attività economica, finalizzati a salvaguardarli. Tuttavia, in primo luogo, ciò deve avvenire pur sempre nel rispetto del principio di proporzionalità ed imponendo di prescegliere tra i mezzi astrattamente possibili per realizzare il medesimo fine, quello meno invasivo della libertà d’intrapresa. Inoltre, tali valori non legittimano interventi dirigistici che, in particolare, vogliano tutelare gli interessi di operatori economici già insediati, a detrimento di altri.
Nello specifico, i Trattati riconoscono sì servizi di interesse economico generale che legittimamente sono realizzati direttamente dagli Stati attraverso imprese incaricate. Tuttavia, anche in tali casi, il diritto comunitario sembra ispirarsi al principio per cui, prima di battere la strada della riserva ai poteri pubblici, occorre verificare la possibilità che le disfunzioni ed i fallimenti di mercato siano, ove possibili, semplicemente “corretti”, combinando gli elementi positivi della competizione economica con il perseguimento delle istanze sociali (su queste basi, si è sviluppato, come è noto, il grande capitolo della liberalizzazione e regolazione dei servizi di pubblica utilità; esemplificativo, il meccanismo del servizio pubblico universale dove, per ragioni di utilità sociale, viene prevista la prestazione obbligatoria di determinati servizi improduttivi, con finanziamento a carico, in tutto o in parte, di quelli produttivi che vengono contestualmente liberalizzati). A questa stregua, la dotazione di diritti esclusivi, con correlative barriere all’ingresso, è consentita solo allorquando i medesimi scopi non siano affatto realizzabili attraverso l’azione dei mercati sia pure regolati, il che accade: o perché si tratta di promuovere finalità che non possono essere conseguite, con accettabili standard di benessere sociale, ove le decisioni allocative siano determinate dai prezzi; ovvero quando la spontaneità stessa del mercato agisca come fattore anticoncorrenziale; ovvero quando l’attività non è per nulla appetibile per le imprese private.
Occorre dire che l’impianto descritto non pare possa dirsi cambiato con l’entrata in vigore del Trattato di Lisbona (dal 1º dicembre 2009). In particolare, per quanto sia scomparso dall’art. 3 Trattato Ue l’indicazione della “concorrenza non falsata” come obiettivo fondamentale dell’Unione stessa (sostituito con la proposizione per cui l’Unione “si adopera per lo sviluppo sostenibile dell’Europa, basato su una crescita economica equilibrata e sulla stabilità dei prezzi, su un’economia sociale di mercato fortemente competitiva, che mira alla piena occupazione e al progresso sociale, e su un elevato livello di tutela e di miglioramento della qualità dell’ambiente”), permangono molteplici disposizioni di principio che pongono la tutela della concorrenza come principio generale del diritto dell’Unione europea: le norme antitrust di cui agli art. 101 ss. TFUE; l’art. 120 TFUE; l’art. 119 TFUE; il Protocollo n. 27; l’art. 16 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione. L’espunzione della concorrenza dall’elenco di valori ed obiettivi generali dell’Unione europea, viene letta dalla dottrina come mera sottolineatura del rifiuto di posizioni di estremo liberismo.
Passiamo al merito della vicenda portata all’attenzione del Tribunale.
IV. In prima battuta occorre dedurre sulla rilevanza comunitaria della questione.
IV.1. L’art. 168, n. 7, TFUE non restringe la competenza degli Stati membri ad adottare norme destinate all’organizzazione di servizi sanitari come le farmacie. La direttiva 2005/36 (avente ad oggetto il compito di fissare le regole in materia di riconoscimento delle qualifiche professionali regolamentate) non contiene regole che disciplinino lo stabilimento delle farmacie o le condizioni di gestione delle stesse né, più specificamente, la loro ripartizione territoriale (cfr. il ventiseiesimo “considerando”). La direttiva servizi 163/2006 fa salva la libertà degli Stati di provvedere alla organizzazione di servizi economici di interesse generale nel modo che essi considerano conveniente in relazione ai compiti assegnati ai servizi in questione (art. 1, comma 3; articolo 15, comma 4).
Ciò premesso, per quanto le condizioni per l’esercizio delle attività farmaceutiche non siano state interamente oggetto di misure di coordinamento e di armonizzazione, le attività che possono essere svolte da un farmacista sono pur sempre da intendersi come esercizio di attività economiche prestate dietro retribuzione, come tali sottoposte alle disposizioni del TFUE (cfr. Corte di giustizia, G.S., 19 maggio 2009, cause riunite C-171/07 e C-172/07; Corte di giustizia, G.S., 10 giugno 2010, cause riunite C-S70/07 e C-S71/07). Inoltre, per quanto spetti agli Stati membri stabilire il livello al quale intendono garantire la tutela della sanità pubblica e il modo in cui tale livello deve essere raggiunto, e per quanto debba riconoscersi agli Stati membri sul punto un margine discrezionale (sentenze 11 settembre 2008, causa C-141/07), le previsioni interne le quali, pur senza discriminare direttamente fra operatori di diversa cittadinanza, assoggettano discrezionalmente l’attività economica del farmacista ad un regime che ne limiti in concreto il pieno e libero esplicarsi in quanto fissano un divieto di vendita di determinate categorie di prodotti farmaceutici ed un contingentamento numerico degli esercizi commerciali insediabili sul territorio nazionale, devono pur sempre scontare una verifica di compatibilità alla luce ed in ragione dei principi di libera circolazione e di stabilimento sanciti dal Trattato europeo.
IV.2. In particolare, la normativa nazionale che subordina la vendita dei farmaci di fascia C (soggetti a prescrizione medica) ad una previa autorizzazione amministrativa che può essere accordata solo ai titolari di farmacia in pianta organica, avendo l’effetto oggettivo di ostacolare e di scoraggiare, nell’ambito di tale specifico mercato, l’esercizio in forma stabile, da parte dei farmacisti degli altri Stati membri, delle loro attività nel territorio, va qualificata in termini di “restrizione” alla libertà di stabilimento ai sensi dell’art. 49 TFUE; ciò anche se la normativa nazionale controversa è applicabile senza discriminazioni basate sulla cittadinanza, in quanto mira a comunque a limitare il numero dei prestatori di servizi. Le restrizioni alla libertà di stabilimento possono essere giustificate da motivi imperativi di interesse generale (cfr. anche l’art. 52, n. 1, TFUE in tema di tutela della sanità pubblica), a condizione che siano atte a garantire la realizzazione dell’obiettivo perseguito e non vadano oltre quanto necessario al raggiungimento dello stesso può giustificare.
Esaminiamo la giurisprudenza formatasi in relazione proprio alla specifica materia delle farmacie.
V. Secondo la giurisprudenza europea, sul piano della restrizione soggettiva, è compatibile con il diritto dell’Unione la scelta dello Stato membro che riservi ai soli farmacisti la vendita al dettaglio dei medicinali, in ragione della loro specifica formazione, della loro esperienza professionale e della responsabilità su di essi incombente, elementi tutti che possono legittimamente garantire la piena considerazione degli interessi generali della tutela della salute e della salvaguardia dell’equilibrio finanziario dei sistemi nazionali di sicurezza sociale. La limitazione soggettiva in favore di farmacisti è restrizione giustificata dall’obiettivo di garantire alla popolazione una fornitura di medicinali sicura e di qualità (CGCE, sentenza 19 maggio 2009).
V.1. Sul versante della restrizione quantitativa degli esercenti, i regimi nazionali che si occupino di regolamentare il numero delle farmacie insediate sul territorio in relazione ad una pianta organica delle stesse, sono in linea di principio stati ritenuti compatibili con le libertà economiche di circolazione previste dal TFUE purché, in concreto, i loro effetti non incidano in maniera sproporzionata rispetto agli interessi generali perseguiti (Corte di giustizia, gr. sez., 1 giugno 2010, cause riunite C-S70/07 e C-S71/07). E’ stato rilevato, in particolare (Corte giustizia CE grande sezione 1 giugno 2010 n. 570): che esistono agglomerati che possono apparire a numerosi farmacisti particolarmente redditizi, e per questo più attraenti, come quelli situati nelle zone urbane, ed altre parti del territorio nazionale che invece potrebbero essere considerate meno attraenti, come le zone rurali, geograficamente isolate o altrimenti svantaggiate; che non si può escludere che, se non ci fosse alcuna regolamentazione, le farmacie sarebbero concentrate in località reputate attraenti, mentre in alcune località meno attraenti si ritroverebbe un numero di farmacie insufficiente ad assicurare un servizio farmaceutico sicuro e di qualità; che, in un contesto siffatto uno Stato membro può ritenere che sussista un rischio di penuria di farmacie in talune parti del suo territorio e, conseguentemente, un rischio di inadeguato approvvigionamento di medicinali quanto a sicurezza e a qualità; che, tenuto conto di questo rischio, uno Stato membro può allora adottare una normativa che preveda l’apertura di non più di una farmacia per un certo numero di abitanti; che una tale condizione può sortire l’effetto di canalizzare l’insediamento di farmacie verso parti del territorio nazionale dove l’accesso al servizio farmaceutico è lacunoso, poiché, impedendo ai farmacisti di impiantarsi in zone già dotate di un numero sufficiente di farmacie, li invita a stabilirsi in zone nelle quali le farmacie scarseggiano; che, peraltro, è anche lecito che uno Stato membro preveda condizioni supplementari che mirino ad impedire tale concentrazione, adottando, per esempio, una condizione che impone distanze minime tra le farmacie, tale condizione permette, infatti, per sua stessa natura di evitare una simile concentrazione e risulta, così, idonea a ripartire le farmacie in maniera più equilibrata all’interno di una determinata area geografica; che la condizione relativa alla distanza minima accresce la certezza per i pazienti che disporranno di una farmacia nei paraggi e, per ciò stesso, disporranno di un accesso facile e rapido ad un servizio farmaceutico adeguato.
V.2. In definitiva, le giustificazioni delle restrizioni ammesse dalla Corte di giustizia in materia sono la tutela della salute pubblica, gli effetti socialmente indesiderabili derivanti dall’eccesso di concorrenza, la salvaguardia dell’equilibrio finanziario dei sistemi nazionali di sicurezza sociale.
A questo punto, alla luce degli indicati motivi di interesse generale ammessi dal diritto dell’Unione per derogare al diritto di stabilimento, occorre verificare se il sistema che riserva ai soli titolari di farmacia in pianta organica anche la distribuzione dei farmaci di fascia C soggetti a prescrizione medica sia proporzionato ed idoneo a raggiungere l’obiettivo addotto di garantire alla popolazione un approvvigionamento di medicinali sicuro e di qualità; ovvero se il medesimo possa essere realizzato con misure meno restrittive, in modo altrettanto coerente e sistematico, evitando che taluni farmacisti siano privati di qualunque accesso all’attività professionale indipendente mentre altri, già presenti sul mercato, godano di profitti sproporzionati.
VI. Orbene, ritiene il Collegio che la normativa in causa ecceda quanto necessario per raggiungere l’obiettivo perseguito, in quanto il regime di contingentamento vigente in Italia con riguardo alla vendita dei farmaci di fascia C, non sembra giustificato né da ragioni di controllo della salute pubblica, né di ordine economico (pianificazione di spesa), né per evitare gli eccessi socialmente indesiderati della concorrenza.
VI.1. Quanto al profilo del controllo della salute pubblica, l’art 5, comma 2, del decreto Bersani prevede espressamente che la vendita dei medicinali ammessi alla libera distribuzione debba necessariamente avvenire da parte di farmacisti abilitati all’esercizio della professione ed iscritti al relativo ordine.
Inoltre, i farmaci per cui è causa (di cui all’art. 87, c. l letto a) e b) del d.lgs. n. 219/2006) possono essere venduti dal farmacista solo a fronte della presentazione di una ricetta medica ripetibile (farmaci di cui alla letto a) o non ripetibili ( farmacia di cui alla letto b). Dunque il farmacista non può vendere il prodotto in questione a propria discrezione, ma può consegnare il farmaco al paziente solo dopo aver acquisito dal medesimo la ricetta del medico curante ed aver verificato e garantito la rispondenza tra quanto prescritto e quanto venduto.
Da ultimo, in base alla normativa vigente in materia, la parafarmacia (analogamente alla farmacia): garantisce la tracciabilità del farmaco venduto grazie al codice unico attribuitogli dal Ministero della Salute; si avvale dei medesimi canali di rifornimento delle farmacie con tutte le garanzie di qualità e sicurezza che ciò comporta; utilizza per la gestione della propria attività gli stessi sistemi informatici delle farmacie ed è quindi costantemente aggiornata su tutte le problematiche che possono riguardare i farmaci (ritiri, cautele, ect.); si avvale di farmacisti abilitati tenuti all’aggiornamento costante tramite ECM, come i farmacisti che operano nelle farmacie; è dotata di apparati ed attrezzature idonee a garantire una buona conservazione e una buona distribuzione dei farmaci; è obbligatoriamente dotata di un fax e indirizzo mail comunicati al Responsabile della farmacovigilanza dell’ASL attraverso i quali vengono ricevuti gli avvisi di ritiro o sequestro di farmaci, ovvero altri avvisi riferiti ai farmaci, diffusi dall’Agenzia Italiana del Farmaco,dal Ministero della Salute o dalla Regione Lombardia; deve provvedere, tramite il farmacista titolare, al costante controllo, ritiro e smaltimento dei farmaci scaduti o non vendibili in seguito alle segnalazioni di cui al punto precedente; è soggetta a vigilanza igienico sanitaria da parte della U.O. Igiene della Direzione Gestionale Distrettuale territorialmente competente dell’ASL e a vigilanza sul farmaco da parte dei farmacisti della U.O. Farmaceutica designati dal Responsabile del Servizio Assistenza Farmaceutica e Protesica.
VI.2. Quanto al profilo della spesa pubblica, il genere di farmaci per cui è causa sono a totale carico del cittadino acquirente, senza richiesta di rimborso da parte del sistema sanitario regionale/o nazionale. Dunque, la liberalizzazione della vendita dei farmaci soggetti a prescrizione e non a carico del SSN, non è suscettibile, nemmeno in potenza, di arrecare pregiudizio all’obiettivo di contenimento della spesa pubblica (tramite il contingentamento dei punti vendita), dato che l’acquisto di tali farmaci è posto a totale carico del cittadino acquirente.
VI.3. Neppure ricorre il rischio che possa essere alterato l’obiettivo della parcellizzata distribuzione su tutto il territorio nazionale del servizio di distribuzione farmaceutico. Difatti, permanendo, per tutti i farmaci a carico del SSN, il diritto di esclusiva in favore delle farmacie “territorializzate” in pianta organica, è evidente che non è neppure prospettabile un rischio di scrematura del mercato ad opera dei concorrenti, ovvero il rischio che alcune imprese concentrino la propria offerta sui segmenti più redditizi dell’attività lasciando scoperti quelli i cui costi sono più elevati. In sostanza, si vuole dire che la rendita monopolistica sui farmaci a carico del SSN, impedendo in radice che possa verificarsi un ridimensionamento dei servizi offerti nelle aree territoriali periferiche ed un correlativo eccesso di offerta nelle zone più densamente abitate, fa apparire oltremodo sproporzionata l’esclusione, sul mercato dei farmaci di fascia C, di altri operatori economici dal mercato, al fine di assicurare anche tale clientela all’operatore “incaricato” dall’amministrazione.
VII. Arriviamo alla conclusione. La disciplina italiana sembra al Collegio in contrasto con l’art. 49 TFUE, in quanto idonea a rendere di fatto pressoché impossibile lo stabilimento di un farmacista in Italia che voglia accedere al mercato dei farmaci di fascia C soggetti a prescrizione medica, oltre che a rendere concretamente più difficile lo svolgimento di tale attività economica entro il mercato nazionale. Non sembrano sussistere motivi che possano giustificare una tale restrizione all’esercizio di una libertà economica fondamentale prevista dal TFUE: non vi è alcuna motivazione legata all’obiettivo di ripartire in maniera equilibrata le farmacie nel territorio nazionale e di assicurare in tal modo a tutta la popolazione un accesso adeguato al servizio farmaceutico; non vi è la motivazione di aumentare la sicurezza e la qualità dell’approvvigionamento della popolazione in medicinali; non vi è il rischio derivante da un eccesso di consumo, neppure in termini di ammontare di risorse pubbliche assorbite.
Il contingentamento del numero di esercizi farmaceutici sul territorio nazionale abilitati alla vendita dei farmaci di fascia C si traduce, pertanto, nella sproporzionata protezione di reddito degli esercizi esistenti, piuttosto che nel conseguimento di una razionale e soddisfacente distribuzione territoriale degli esercizi di vendita al pubblico dei farmaci. Si impedisce, senza giustificazione di interesse generale, che, attraverso l’erosione delle posizioni di rendita create da una regolamentazione restrittiva, si accresca il grado di concorrenza, restituendo al mercato la sua capacità allocativa e, tramite produzioni più efficienti, si offrano ai cittadini benefici sotto forma di minori prezzi.
VIII. Ai fini della risoluzione del presente gravame, pertanto, il Collegio giudica rilevante sollevare la seguente questione pregiudiziale dinnanzi alla Corte di Giustizia delle Comunità Europee, ai sensi dell’art. 267 del TFUE:
“Se i principi di libertà di stabilimento, di non discriminazione e di tutela della concorrenza di cui agli articoli 49 ss. TFUE, ostano ad una normativa nazionale che non consente al farmacista, abilitato ed iscritto al relativo ordine professionale ma non titolare di esercizio commerciale ricompreso nella pianta organica, di poter distribuire al dettaglio, nella parafarmacia di cui è titolare, anche quei farmaci soggetti a prescrizione medica su “ricetta bianca”, cioè non posti a carico del SSN ed a totale carico del cittadino, stabilendo anche in questo settore un divieto di vendita di determinate categorie di prodotti farmaceutici ed un contingentamento numerico degli esercizi commerciali insediabili sul territorio nazionale”.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia (Sezione Terza):
VISTO l’art. 267 del TFUE;
VISTO l’art. 23 dello Statuto della Corte di giustizia delle Comunità europee;
VISTO l’art. 3 della L. 13 marzo 1958, n. 204;
VISTA la “Nota informativa riguardante le domande di pronuncia pregiudiziale da parte delle giurisdizioni nazionali”, diramata dalla Corte di giustizia delle Comunità europee e pubblicata sulla G.U.C.E. del 28 maggio 2011
RIMETTE alla Corte di Giustizia delle Comunità Europee la questione pregiudiziale indicata in motivazione.
SOSPENDE il processo fino alla definizione della questione pregiudiziale.
DISPONE che il presente provvedimento, unitamente a copia del fascicolo della causa, sia trasmesso, in plico raccomandato, alla Cancelleria della Corte di Giustizia delle Comunità Europee.
Così deciso in Milano nelle camere di consiglio del 2 dicembre 2011 e del 29 febbraio 2012 con l’intervento dei magistrati:
Domenico Giordano, Presidente
Dario Simeoli, Referendario, Estensore
Fabrizio Fornataro, Referendario
L’ESTENSORE IL PRESIDENTE
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 22/03/2012
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)

   

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