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Carabinieri - conversione della pensione provvisoria in definitiva - Ausiliaria - Restituzione somme percepite - Accoglimento ricorso

Dettagli


SENT. N. 37/12
 REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
la Corte dei Conti
Sezione giurisdizionale per la regione Piemonte
nella composizione di Giudice Unico delle pensioni in persona del giudice Consigliere Luigi GILI, ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 18887 del registro di Segreteria, proposto dal signor @@, nato a Omissis il Omissis (C.@@:Omissis), residente in Omissis, Via Omissis, rappresentato e difeso, congiuntamente e disgiuntamente, -
contro
INPDAP sede di Torino, rappresentato e difeso anche disgiuntamente, dagli avv.ti - dell’Avvocatura dell’Istituto, come da procura generale ad lites conferita con atto del notaio -, rep. 24843 del 22.12.2010, con loro elettivamente domiciliato in Torino, C.so Vittorio Emanuele II, n. 3, ora I.N.P.S., quale successore di INPDAP ai sensi dell’art. 21 del d.l. n. 201 del 6 dicembre 2011, convertito in legge n. 214/2011, in persona del Presidente e legale rappresentante, rappresentato e difeso, anche disgiuntamente, dagli Avv. Ti - dell’ Avvocatura dell’ Istituto ex art. 21, comma 2bis del medesimo D.L. 201/2011, convertito in legge n. 214/2011, con loro elettivamente domiciliato in Torino, -
nonché
contro
il COMANDO REGIONE CARABINIERI PIEMONTE E VALLE D’AOSTA, in persona del legale rappresentante pro-tempore,
avverso
il decreto n. 4761/ST prot. n. 4922 del 25 febbraio 2011, con il quale il Comando Regione Carabinieri Piemonte e Valle d’Aosta disponeva l’ annullamento del decreto n. 3447/ST del 9 maggio 2005, nonché avverso
il provvedimento prot. n. 12263 del 19 maggio 2011, emesso dall’ INPDAP – sede di Cuneo,  provvedimento con il quale è stata chiesta la rifusione della somma di € 11.940,60=, asseritamente maturata sul trattamento pensionistico intestato al ricorrente medesimo;
Visto il decreto con il quale è stata fissata l’odierna udienza di discussione;
Uditi alla pubblica udienza del 22 febbraio 2012, l’Avv. Patrizia SANGUINETI, in rappresentanza dell'Ente previdenziale costituito, nonché per il ricorrente l’Avv. Giovanna ZORGNIOTTI, la quale ha depositato memoria difensiva, comparso per il Comando Regione CC Piemonte e Valle d’Aosta il Brig. @@ @@, il quale, richiamando le conclusioni già rassegnate per iscritto, si è formalmente opposto ad una declaratoria di rivalsa, quale quella invocata dall’INPS.
Ritenuto in
FATTO
Con ricorso giurisdizionale, regolarmente notificato, e depositato presso la segreteria di questa Sezione giurisdizionale in data 16 giugno 2011, il ricorrente ha rappresentato quanto segue.
Il ricorrente, già alle dipendenze dell’Arma dei Carabinieri con il grado di Brigadiere, ha iniziato a percepire pensione ordinaria diretta in via provvisoria a far data dal 28 gennaio 1996, allorchè veniva posto in congedo e collocato nella categoria della riserva.
Con decreto n. 3447 del 9 maggio 2005, mai comunicato al ricorrente secondo tesi di ricorso, il citato Comando convertiva la pensione provvisoria in definitiva, provvedendo alla liquidazione del relativo trattamento. Detto decreto, tuttavia, non veniva ammesso al visto di registrazione dalla Ragioneria Territoriale dello Stato di Torino a seguito rilievo del 12 settembre 2008. Conseguentemente, con decreto n. 4761 del 25 febbraio 2011 il Comando Regione CC Piemonte e Valle d’Aosta disponeva l’ annullamento del decreto n. 3447 del 2005.
Con nota in data 19 maggio 2011 l’INPDAP di Cuneo, in aderenza al decreto da ultimo emanato dal Comando menzionato, comunicava all’interessato l’avvio di procedura amministrativa volta ad accertare l’entità dell’indebito maturato a suo carico nel periodo 1996 – 2011, indebito risultato pari ad euro 11.940,60.
 Con la stessa missiva, in funzione dell’attivato recupero, veniva disposta una ritenuta mensile di euro 411,74 a decorrere dal mese di giugno 2011.
Premesso quanto sopra, il ricorrente con il ricorso introduttivo ha chiesto l'annullamento del provvedimento di recupero in oggetto, con il quale è stato disposto il recupero del credito erariale sopra menzionato, con restituzione di quanto nel frattempo cautelativamente trattenuto sul trattamento pensionistico, con rivalutazione monetaria ed interessi dalla data di ogni trattenuta sino all’effettivo soddisfo.
Successivamente, l'INPDAP ha depositato il fascicolo amministrativo degli atti afferenti il ricorso, costituendosi in giudizio con successiva memoria tempestivamente depositata.
Nel predetto atto l'Istituto sostiene la natura obbligatoria del recupero dei crediti derivanti da indebite erogazioni a favore dei pensionati, contestando le conclusioni cui è pervenuta la nota sentenza delle Sezioni Riunite n. 7/2007/QM, secondo la quale, in assenza di dolo dell’interessato, decorso il termine posto per l’emanazione del provvedimento definitivo sul trattamento di quiescenza, non può più effettuarsi il recupero dell’indebito, per il consolidarsi della situazione esistente, fondato sull’affidamento riposto nell’Amministrazione.
In particolare, l'INPDAP si dichiara in disaccordo con il significato che le Sezioni Riunite hanno inteso attribuire al termine di cui all'art. 2 della legge 241/1990 per la conclusione del procedimento.
L'INPDAP ritiene, infatti, che tale termine abbia semplicemente natura procedimentale, al fine di cadenzare e snellire i tempi della conclusione del procedimento, ma non certamente il significato di far venire meno il potere dell'Amministrazione di recuperare le somme illegittimamente corrisposte al pensionato. Tale considerazione sarebbe oggi avvalorata dal fatto che l'art. 7, comma 1, lett. c) della legge 18 giugno 2009 n. 69 ha introdotto nel corpo della legge 241 del 1990 il nuovo art. 2-bis, appositamente dedicato alla disciplina delle conseguenze per il ritardo dell'amministrazione nella conclusione del procedimento, disciplina che, per il caso di inosservanza dolosa o colposa del termine di conclusione del procedimento, prevede il diritto al risarcimento del danno da azionare innanzi al giudice amministrativo.
Secondo l'INPDAP, da tale norma discenderebbe che la ritardata adozione del provvedimento conclusivo del procedimento, rispetto al termine fissato, determina la sola e unica conseguenza del risarcimento del danno ingiusto cagionato al suo destinatario, senza incidere sul diritto dell'INPDAP al recupero delle somme indebitamente erogate, che rimane quindi integro.
Sul punto, peraltro, l’INPDAP, al fine di conseguire una pronuncia di riconoscimento del diritto di rivalsa nei confronti dell’Amministrazione di appartenenza dell’interessato, relativamente alla parte di ritardo imputabile a detta amministrazione nella liquidazione della pensione definitiva, chiedeva il riconoscimento del diritto di rivalsa nei confronti del Comando Regione Carabinieri Piemonte e Valle d’Aosta, Ente già datore di lavoro.
L'INPDAP ha, poi, riproposto le contestazioni già formulate in precedenti giudizi nei confronti del menzionato pronunciamento delle Sezioni Riunite e ha citato varie sentenze delle Sezioni regionali di questa Corte che se ne discostano motivatamente.
Conclusivamente, l’INPDAP ha chiesto, in principalità, ammettersi la ripetizione di quanto indebitamente percepito dal pensionato.
 In subordine l'Istituto, ha chiesto che venga comunque dichiarato ripetibile quanto indebitamente percepito dal pensionato nel decennio e/o quinquennio precedente la comunicazione di avvio del procedimento.
In ulteriore subordine, l'INPDAP ha chiesto che sia dichiarato il diritto al rimborso delle sole somme medio tempore percepite, ad esclusione di interessi e rivalutazione monetaria.
A sua volta, il Comando Regione Carabinieri Piemonte e Valle d’Aosta si costituiva in giudizio con memoria depositata il 26 luglio 2011, con la quale, dopo aver instato, preliminarmente, per l’estromissione dal giudizio della Amministrazione militare per carenza di legittimazione passiva, chiedeva il rigetto del ricorso.
Con ordinanza n. 52/2011, depositata il 24 novembre 2011, la Sezione, dopo aver respinto la domanda di estromissione dal giudizio del Comando Regione CC, rigettava l’istanza di sospensione cautelare.
In data 10 febbraio 2012, in occasione del deposito di memoria difensiva, si costituiva in giudizio l’INPS, quale successore ex lege dell’INPDAP, con richiesta conclusiva di rigetto del ricorso nonché di ritenere e dichiarare il diritto dell’INPDAP ad agire in rivalsa nei confronti del Ministero convenuto, con conseguente condanna a manlevare l’INPDAP da una eventuale pronuncia di irripetibilità delle somme indebitamente percepite dal ricorrente e di restituzione di quanto ad oggi trattenuto sul suo trattamento di quiescenza e/o da un’eventuale pronuncia di prescrizione del relativo diritto di ripetizione.
All’odierna udienza le parti presenti hanno insistito come in atti e concluso come da verbale.
Considerato in    
DIRITTO
In limine litis deve evidenziarsi che l’art. 21, comma 1, del decreto legge 06 dicembre 2011, n. 201 (pubbl. in gazz. uf@@ suppl. ord. n. 251 della Ser. Gen. n. 284, del 06 dicembre 2011, data della sua entrata in vigore), convertito con legge n. 214/2011, ha soppresso dalla data di entrata in vigore l’I.N.P.D.A.P. con attribuzione delle relative funzioni all’I.N.P.S., che succede (universalmente ex art. 110 c.p.c.) in tutti i rapporti attivi e passivi dell’Ente soppresso.
In specie l’INPS, costituitasi in giudizio, subentra con effetto immediato nel presente giudizio, che prosegue ai sensi dell’ art. 302 c.p.c..
In via preliminare, in accoglimento della specifica eccezione prospettata dalla difesa di parte attrice, deve essere dichiarata la prescrizione del diritto dell’Istituto previdenziale a recuperare le somme percepite dalla ricorrente a valere sui ratei dell’assegno di quiescenza corrisposti sino alla data di notifica del provvedimento di recupero del 19 maggio 2011, sul rilievo che il diritto dell’Amministrazione creditrice di ripetere ciò che ha indebitamente pagato a titolo di pensione è soggetto all’ordinaria prescrizione decennale, ai sensi dell’articolo 2946 del Codice Civile, e che il primo atto interruttivo della stessa è identificabile nella relativa impugnata determinazione di recupero (comunicazione notificata, in relazione alle somme percette nel periodo 1996 – 2011, il 25 maggio 2011).
Come noto, nel caso di indebito pagamento di ratei di pensione poi risultati non spettanti, il termine di prescrizione per il recupero delle somme non dovute inizia a decorrere dalle rate dei singoli pagamenti e non dal momento in cui l’ufficio pagatore è venuto a conoscenza del fatto ostativo alla corresponsione dell’emolumento, atteso che l’ignoranza del diritto alla restituzione, pur se eventualmente non imputabile all’Amministrazione, costituisce impedimento di mero fatto e come tale non può dalla medesima essere invocata, a mente del citato articolo 2935 C.C., per sottrarsi alle conseguenze del regime prescrizionale.
Ciò premesso, venendo al merito, l’odierna controversia riguarda la giuridica possibilità, per l’Amministrazione Previdenziale, di ripetere o meno somme di denaro corrisposte in più e non dovute, sul trattamento definitivo di pensione (decreto n. 3447, del 2005) dell’accipiens – pensionato, dal 1996 al 2011, ed emerse in sede di conguaglio operato con altro provvedimento definitivo (decreto n. 4761, del 2011).
Il ricorrente ha invocato la non ripetibilità quale conseguenza automatica della buona fede e dell’affidamento ingenerato dal conferimento di un trattamento di quiescenza definitivo, non esatto nel suo ammontare complessivo ma non da ascrivere a proprie responsabilità.
A supporto ha richiamato il T.U. n. 1092/1973, ma anche la sentenza delle Sezioni Riunite n.7/2007/QM, sull’indebito emerso sul trattamento provvisorio, successivamente conguagliato in provvedimento definitivo, a sua volta, modificato.
L’Istituto previdenziale, da parte sua, opponeva l’obbligo di recupero delle maggiori somme erogate, anche nell’ipotesi di conguaglio effettuato tra <<...due provvedimenti entrambi definitivi...>>.
Per le ragioni di seguito esposte il ricorso si appalesa fondato e, pertanto, meritevole di accoglimento.
E’ necessario, preliminarmente, inquadrare la fattispecie sotto l’aspetto normativo.
L’art. 2033 del c.c. disciplina il c.d. pagamento non dovuto, poiché non supportato da idonea causa (ad es. solvendi, donandi), accordando al solvens la ripetizione di quanto pagato, indipendentemente da ogni altra considerazione relativa alla scusabilità dell’errore ed alla buona fede dell’accipiens: ciò in ragione del fatto che il nostro Ordinamento non ammette l’esecuzione di una prestazione non sorretta da giustificazione causale giuridicamente rilevante.
La giurisprudenza ha poi introdotto, progressivamente, il principio della tutela dell’affidamento ingenerato nel privato in buona fede, nel senso che la legittimità del provvedimento amministrativo, con cui si agiva per il recupero dell’indebito, era valutata anche alla stregua di tale affidamento.
Per altro verso, la non ripetizione delle somme pagate in più rispetto a quelle dovute, da parte di talune amministrazioni, trovava riscontro in proprie peculiari discipline, che attribuivano rilevanza all’elemento psicologico del beneficiato.
Tra tali normative, particolari e derogatorie al principio generale della ripetizione dell’indebito, merita menzione, per il favorevole trattamento che ne conseguiva per i pensionati, l’art. 206 del D.P.R. 1092 del 1973, che stabiliva il principio dell’irripetibilità dell’indebito emergente a seguito di revoca o modifica del provvedimento definitivo di pensione, in assenza di fatto doloso dell’interessato.
La norma era autenticamente interpretata dal 1° comma, dell’art. 3, della legge 428/1985, nel senso che il recupero era escluso quando, in presenza delle condizioni stabilite dagli artt. 204 e 205 del T.U. 1092/1973, il provvedimento definitivo di concessione o di riliquidazione di pensione veniva modificato o revocato da altra determinazione formale soggetta a registrazione.
Analoga disciplina si rinviene nell’ambito delle pensioni a carico dell’Assicurazione Generale Obbligatoria (AGO), ove l’art. 52, della legge n.88 del 1989, anch’esso interpretato autenticamente dal Legislatore con l’art. 13, della legge 412 del 1991, precisava che la <…sanatoria ivi prevista opera in relazione alle somme corrisposte in base a formale, definitivo provvedimento…che risulti viziato da errore di qualsiasi natura imputabile all’Ente erogatore…>, fatto, comunque, salvo il caso di percezione dolosa.
La suddetta disciplina, con riferimento all’art. 52, della legge 88/1989, avente formulazione letterale e sostanziale identica all’art. 206 del T.U. 1092 del 1973, in termini di definitività del provvedimento di pensione, ha superato anche il vaglio di legittimità costituzionale, con la sentenza n.383, del 31 luglio 1990, del Giudice delle Leggi.
Secondo la detta pronuncia <…in altri termini, è sancita l’irripetibilità delle somme erogate, sia che l’errore sia caduto sull’an, sia sul quantum. Unica condizione richiesta è quella della mancanza di dolo dell’interessato …La suddetta interpretazione… è adeguatrice ai precetti costituzionali, ponendo su un piano di parità il trattamento dei pensionati INPS e quello dei pensionati ex dipendenti pubblici…>.
Ne conseguiva, quindi, che l’Amministrazione attiva e l’Ente previdenziale, nei casi previsti, potevano revocare o modificare, quale espressione del loro potere di autotutela, un provvedimento definitivo di pensione, alla presenza di errore di fatto in cui le stesse fossero incorse in sede di liquidazione del trattamento di quiescenza, con conseguente irripetibilità delle somme in più corrisposte, in assenza di dolo dell’interessato.
Ora, nel caso di specie, al Brigadiere @@, cessato dal servizio, a domanda, e collocato nella categoria della riserva dal 28 gennaio 1996, con decreto n. 3447 del 2005, dopo circa nove anni, è stato attribuito il trattamento definitivo di pensione: detto decreto, tuttavia, non è stato ammesso al visto di registrazione dalla competente Ragioneria a seguito rilievo.
In adesione al citato rilievo, l’Amministrazione militare, dopo aver annullato, in sede di autotutela il precedente decreto definitivo, emanava un nuovo decreto definitivo, il n. 4761, in data 25 febbraio 2011.
Tale ultima liquidazione, conguagliata con la precedente determinazione sempre definitiva, operazione eseguita dall’INPDAP di Cuneo nel mese di maggio 2011, era all’origine dell’indebito di € 11.940,60, per cui è causa.
Ciò premesso, appare pacificamente che, con riferimento al provvedimento del 2005, poi annullato d’ufficio dalla stessa Amministrazione a distanza di ben sei anni, si trattava di liquidazione definitiva, così come, del resto, non smentito neppure dagli Enti resistenti.
Pertanto, il riconoscimento pacifico, in quanto incontestato, della definitività della liquidazione, a norma dell’art. 166, della legge 11 luglio 1980, n. 312, imponeva la trasmissione del decreto concessivo, <…che acquista immediata efficacia…>, alla <…Corte dei Conti per il riscontro in via successiva>.
E, infatti, a seguito dell’entrata in vigore del citato art.166, che ha eliminato la registrazione preventiva sostituendola con il riscontro in via successiva (anch’esso in seguito venuto meno), per provvedimento definitivo di pensione, ai fini dell’inesigibilità dell’indebito di cui è causa, deve intendersi non più quello soggetto a registrazione, ma quello assoggettabile al controllo e impugnabile dinanzi al giudice delle pensioni (cfr. ex multis Corte dei Conti, Sezione III, sent. n.62862, del 19 maggio 1989, Sezione Sicilia, sent.n. 262, del 14 novembre 1995, Sezione Liguria, sent. n.63, del 24 gennaio 1996, Sezione II d’Appello, sent. n.10, del 22 gennaio 1997, Sezione Basilicata, sent. n.22, del 07 febbraio 2000 e Sezione Veneto, sent. n.156/2009, del 17 febbraio 2009).
In sostanza la definitività di un provvedimento, ai fini della realizzazione della fattispecie di cui all’art. 206, del D.P.R. n.1092/1973, impeditiva del recupero dei ratei pensionistici risultanti in tutto o in parte non dovuti in assenza di dolo, prescinde dall’esito positivo del controllo della Corte dei Conti.
Ora, ferma la conformità a norma della rideterminazione operata dall’Amministrazione militare in esito alle osservazioni della Ragioneria Territoriale, questione, peraltro, non controversa tra le parti, rileva il giudice che la fattispecie in esame è pienamente riconducibile all’art. 206, del T.U. n.1092/1973, giacché i maggiori pagamenti sono stati realizzati anche in esecuzione di un provvedimento definitivo assoggettabile a controllo, il n. 3447 del 2005, annullato da altro formale provvedimento, anch’esso soggetto a registrazione, il n. 4761 del 2011, applicato sulla rata di giugno 2011.
E, in tale ipotesi, non potrà darsi corso alla ripetizione giacché il pensionato in buona fede, per non avere indotto l’Amministrazione attiva in errore e per la mancanza delle competenze necessarie per individuare l’errore stesso, operazione di difficile estrinsecazione anche in termini oggettivi, con pieno affidamento nelle determinazioni intervenute, poteva ritenere – a distanza di quindici anni - che il procedimento per la concessione del trattamento pensionistico si fosse ormai concluso con definitività degli importi attribuiti e, di fatto, sempre erogati.
In ogni caso, anche nella specie trova applicazione la disciplina di cui all’art. 162 del T.U. 29.12.1973, n. 1092, sostituito dall’art. 7 del d.p.r. 19.4.86, n. 138, siccome interpretato dalle Sezioni Riunite di questa Corte, con sentenza n. 7/2007/QM in data 7.8.2007, (in disparte la considerazione che detta sentenza difetta del necessario carattere vincolante, in quanto antecedente all’entrata in vigore della novella n. 69/2009 [cfr., in proposito, l’orientamento espresso nella sentenza 23 aprile 2010, n. 4/2010/QM].
In base alla menzionata pronuncia, in adesione alla tesi attorea, le disposizioni concernenti il recupero dell’indebito, devono interpretarsi nell’ambito della disciplina sopravvenuta contenuta nella legge n° 241 del 1990, per cui, dall’entrata in vigore di detta legge, in assenza di dolo dell’interessato, decorso il termine posto per l’emanazione del provvedimento definitivo sul trattamento di quiescenza, non può più effettuarsi il recupero dell’indebito, per il consolidarsi della situazione esistente, fondato sull’affidamento riposto dal percipiente  nell’Amministrazione.
Peraltro, questo giudice condivide il principio enunciato nella decisione n. 7/2007/QM e non ritiene che le pur interessanti considerazioni svolte dall'INPDAP in relazione al fatto che il superamento del termine di conclusione del procedimento sia esclusivamente finalizzato all'azione di risarcimento del danno, possano costituire sufficiente motivazione per esprimere un dissenso motivato rispetto alla citata pronuncia delle Sezioni Riunite (secondo l’insegnamento dello stesso organo nomofilattico, v. SS.RR. sent. n. 8/QM/2010).
Nella suddetta decisione di riferimento (sent. 7/QM/2007) il supremo consesso ha reso estremamente ridotti i limiti temporali concessi all’Ente previdenziale per disporre il conguaglio, poiché, facendoli coincidere con i termini fissati per la concessione del trattamento definitivo, ha sancito di fatto la irripetibilità dell’indebito nella quasi totalità delle situazioni, in quanto dalla disamina della normativa interna all’istituto si osserva che tali termini appaiono particolarmente brevi e difficili da rispettare.
Né a diversa soluzione può pervenirsi a seguito di recenti decisioni dell’Istituto, richiamate dall’INPS (v., Sez. I appello, sent. 449/2011, ed ancor più di recente, Sez. Bolzano, sent. n. 37/2011), decisioni dirette a valorizzare  il “bilanciamento” tra la potestà di recupero da parte dell’Amministrazione e la posizione del pensionato, bilanciamento che, non potendosi elidere il principio della ripetizione dell’indebito, trova ampio spazio sulle modalità del recupero, attraverso la c.d. “limitazione del quinto” e “la possibilità di ulteriore rateizzazione”. Infatti, come di recente, autorevolmente osservato dalle Sezioni Riunite di questa corte (v. sent. n. 16/QM/2011), sull’argomento oggetto di esame non sussistono reali divergenze giurisprudenziali tra le Sezioni di secondo grado.
In primo luogo, infatti, “…la Sezione giurisdizionale d’appello per la Sicilia, pur non recependo la motivazione della sentenza n. 7/2007/QM nella parte in cui attribuisce decisivo significato allo scadere dei termini procedimentali previsti in materia, in realtà si pone comunque nella scia del più generale orientamento, cui pure è riconducibile la predetta pronuncia nomofilattica, che ricollega al de- corso del tempo la conseguenza di far insorgere il diritto alla tutela del pensionato in forma di irripetibilità delle maggiori somme percepite dal medesimo, pur distinguendosi, in detto ambito, per aver fondato il proprio convincimento esclusivamente sul richiamo ai princìpi costituzionali in materia di affidamento incolpevole [13 luglio 2009, n. 252; 15 dicembre 2010, n. 252; 14 febbraio 2011, n. 27].
Quanto poi alle Sezioni giurisdizionali centrali d’appello, va detto che l’orientamento consolidatosi nell’ultimo biennio recepisce il principio di diritto affermato dalla sentenza n. 7/2007/QM [ex multis:
Sezione prima: 11 maggio 2011, n. 194; 6 luglio 2011, n. 308; 5 settembre 2011, n. 362; 7 ottobre 2011, n. 451;
Sezione seconda: 8 marzo 2011, n. 142; 10 marzo 2011, n.ri 149 e 150; 17 maggio 2011, n. 223; 23 maggio 2011, n. 239 (pronunce, peraltro, fondate sulla particolare gravità del ritardo nei casi di specie);
Sezione terza: 18 febbraio 2011, n. 164; 2 marzo 2011, n. 214; 16 giugno 2011, n. 490; 21 ottobre 2011, n. 698]” (SS.RR., sent. 16/QM/2011, cit.).
Orbene, la fattispecie in esame si caratterizza per il ritardo procedimentale ingiustificato di oltre quattordici anni nell’adozione del provvedimento definitivo rispetto a quello provvisorio, ritardo i cui effetti deleteri non possono gravare sul pensionato, ma solo sull’amministrazione – intesa, in termini assoluti, sia come ordinatore primario sia secondario di spesa - che ha violato in modo particolarmente grave i termini procedimentali previsti dalla norma.
In adesione, peraltro, a quanto già precisato dalla Sezione (v., Sez. giurisd. Piemonte, sentenza n. 183 del 2011), ed in condivisione della tesi difensiva, il riferimento alla recente Sentenza delle Sezioni Riunite nr. 7/QM/2011, invocata nel corso dell’Udienza dal rappresentante dell’ Ente resistente, si rivela non pertinente poiché la predetta sentenza non si pone in contrasto con la n.7/2007/QM, ma affronta la questione della immodificabilità in peius del trattamento provvisorio dopo il lungo intervallo di tempo, al di fuori di tutti i termini procedimentali, per l’emanazione del provvedimento definitivo, stabilendo sì il diritto  alla non ripetizione dell’indebito, ma non alla consolidazione del trattamento provvisorio in definitivo.
Per tali ragioni, le conseguenze operative ricavabili dalla richiamata sentenza n.7/2011/QM non sono applicabili né in favore dell’INPDAP (non smentendo il principio della irripetibilità delle somme medio tempore percepite dal ricorrente) né in favore del ricorrente stesso (non affermando il principio della immodificabilità del trattamento pensionistico da provvisorio  in definitivo ancorché sia trascorso un notevole lasso temporale).
Quanto alla domanda di rivalsa formulata dall’Istituto resistente nei confronti dell’Amministrazione, già datrice di lavoro, responsabile, secondo tesi dell’Ente previdenziale, del ritardo nella definizione del procedimento amministrativo di liquidazione definitiva della pensione, detta domanda appare finalizzata all’accertamento della responsabilità dell’Amministrazione datrice di lavoro, soggetto da giudicarsi unico responsabile ed in quanto tale obbligato alla refusione di somme trattenute al pensionato in conseguenza dell’ atto di recupero.
Il giudicante, nella materia afferente il preteso diritto di rivalsa, si ritiene sprovvisto di giurisdizione, non vertendosi in ipotesi di refusione di indebito pensionistico (di competenza del giudice contabile) bensì in ipotesi di rapporto obbligatorio distinto da quello pensionistico e sorgente tra soggetti diversi dal pensionato ed in base ad un titolo ed a presupposti differenti, non incidenti sul contenuto del diritto e sull’ ammontare del trattamento di quiescenza (cfr., Corte conti, Sez. Veneto, sentt. nn. 835/2010, 901/2010 e 42/2011).
Ciò in quanto in relazione alla pretesa dell’Ente previdenziale, diretta ad accollare all’ amministrazione di appartenenza del pensionato la responsabilità del conferimento dei maggiori importi in ipotesi di dichiarata irripetibilità dell’indebito, non appare configurabile la giurisdizione di questa Corte.
Infatti, mentre è devoluta alla Corte dei Conti sia l’azione del privato avente ad oggetto l’accertamento del diritto all’an ed al quantum di pensione, che l’azione di recupero intrapresa dall’Amministrazione Previdenziale e quella di rivalsa nei confronti del pensionato ex CPDEL, disposta da parte dell’Ente datore di lavoro il quale abbia rifuso l’indebito predetto all’Ente previdenziale (cfr. Corte di Cassazione SS.UU., sentenza n. 920/1999, Corte dei Conti Sezione Lombardia sent. n./2011, Sezione Veneto, sent. n.584/2006 e n.628/2007), rimane, invece, estranea alla giurisdizione contabile la controversia sull’esistenza o meno dell’obbligo, ovvero la determinazione della misura della sua eventuale sussistenza, dell’Ente statale di appartenenza del pensionato, o di altri Uffici (sempre a rilevanza statale), di rifondere all’Amministrazione Previdenziale l’importo indebitamente erogato, per effetto di errore contenuto negli atti di liquidazione del trattamento di quiescenza.
Sul punto, si richiama la giurisprudenza contabile, secondo cui il <…difetto di giurisdizione appare giustificato dal fatto che…le parti processuali in senso formale e sostanziale sono soggetti che, in questa specifica fase, nulla hanno a che vedere con la determinazione di un trattamento di pensione…(omissis) controvertendo tra loro soltanto in ordine all’individuazione del soggetto cui dovranno essere addossate le responsabilità di un versamento erariale ritenuto conseguenza…(omissis) di errori imputabili all’Amministrazione di appartenenza ovvero all’Ente liquidatore del trattamento di pensione>(cfr. Corte dei Conti, Sezione III, sentt. n.62/2000 e n.24/2005).
In ogni caso, ad avviso del giudice, la situazione che precede appare del tutto differente rispetto alla fattispecie di cui all’art. 8, comma 2, del D.P.R. n. 538 del 1986, relativa alla rifusione delle somme all’ente pagatore, da parte dell’Amministrazione datrice di lavoro nei confronti del pensionato, situazione nella quale la Corte di Cassazione ha riconosciuto la giurisdizione contabile (ex multis Cass. S.U. civili, sent. 24078/11, del 25 ottobre – 17 novembre 2011, id. ord. n. 5927, del 14 marzo 2011, id. S.U. sent. n. 9969, del 27 aprile 2010, Cass. Sez. Unite, 28 maggio 2007, n.12349).
Ciò in quanto, secondo il giudice di legittimità, il D.P.R. 08 agosto 1986, n.538 (recante Modalità di liquidazione dei trattamenti di quiescenza a favore degli iscritti alle casse pensioni degli istituti di previdenza), non applicabile ai pensionati, come in fattispecie, già dipendenti di Amministrazioni statali (e iscritti alla Cassa dei trattamenti pensionistici dei dipendenti dello Stato: C.T.P.S.), all’art.8, comma 2, prevede <<Qualora, per errore contenuto nella comunicazione dell’ente di appartenenza del dipendente, venga, indebitamente liquidato un trattamento pensionistico, definitivo o provvisorio, diretto, indiretto o di reversibilità, ovvero un trattamento in misura superiore a quella dovuta e l’errore non sia da attribuire a fatto doloso dell’interessato, l’ente responsabile della comunicazione è tenuto a rifondere (al Ministero del Tesoro) le somme indebitamente corrisposte, salvo rivalsa verso l’interessato medesimo>>.
In ragione di tale disciplina la Corte di Cassazione ha affermato (così Cass. Sez. Unite, sent. n.920 del 21 dicembre 1999, id. 18 giugno 2008, n.16530) che la giurisdizione esclusiva della Corte dei Conti in materia di pensioni dei pubblici dipendenti (per i dipendenti degli enti locali espressamente prevista dal R.D.L. 03 marzo 1938, n.680, art. 60) <<...si estende alla speciale rivalsa dell’ente di appartenenza del dipendente nei confronti di quest’ultimo...nel caso in cui l’ente stesso sia tenuto a rifondere all’istituto erogatore della pensione quanto da quest’ultimo indebitamente corrisposto in relazione a un trattamento pensionistico erroneamente liquidato a causa di inesattezza (non imputabile a dolo dell’assicurato), dei dati comunicati dall’ente datore di lavoro...>>.
In tale evenienza, ai fini del riconoscimento della giurisdizione contabile, la Cassazione ha ritenuto prevalere, sui soggetti coinvolti, il contenuto oggettivo del rapporto: <<...per cui è il contenuto pubblicistico del rapporto dedotto in giudizio l’elemento di discrimine della giurisdizione, anche se la vicenda specifica riguardi non già il pagamento del debito di pensione, ma la rifusione di somme erroneamente corrisposte a tale titolo>> (Cass. Sez. Unite, 28 dicembre 2007, n. 27178).
In sostanza, <<Non vi è dubbio, infatti, che l’esito dell’azione di ripetizione proposta nei confronti dell’ente di appartenenza del pensionato spieghi una diretta incidenza anche sull’ammontare della pensione medesima, per le somme che il pensionato potrebbe appunto essere chiamato a rifondere a seguito dell’azione di rivalsa nei suoi confronti dell’ente medesimo, sicuramente devoluta alla giurisdizione del giudice contabile>> (Cass. Sez. Unite, n.27178, del 28 dicembre 2007).
In ogni caso, la giurisprudenza di legittimità (cfr. Cass. S.U. sent. n.24078/11, del 17 novembre 2011) con riferimento all’art. 8, 2° comma, del DPR n.538/1986, ossia con riguardo alla <<...successiva azione di rivalsa dal datore di lavoro al lavoratore avanti alla Corte dei Conti>>, non prevista per i pensionati civili e militari dello Stato, ribadisce la giurisdizione contabile solo nell’ipotesi di cui all’art. 8, comma 2, del DPR n. 538 del 1986.
Tali conclusioni (ampiamente fatte proprie dalla giurisprudenza contabile, v., ex multis, Sez. giurisd. Veneto, sent. n. 724/2011) non appaiono, al contrario, applicabili al caso di specie, in cui non è prevista un’analoga azione di rivalsa, né uno specifico obbligo dell’Amministrazione statale di rifondere le somme erogate in più per propria responsabilità. Diversamente opinando, la pretesa INPDAP, tesa ad accollare, con intento restitutorio, all’amministrazione di appartenenza del pensionato la responsabilità del conferimento dei maggiori importi, in ipotesi di dichiarata irripetibilità dell’indebito, costituirebbe applicazione analogica del citato 1° comma, dell’art. 8, del D.P.R. cit., in realtà, non consentita in quanto operazione ermeneutica estensiva, stante la specificità delle normative previdenziali del settore statale e di quello degli enti locali.
Pertanto, in dette ipotesi – corrispondenti al caso in oggetto - la giurisdizione deve ritenersi sussistente in favore del Giudice Ordinario (cfr. art. 59, della legge 18 giugno 2009, n. 69).
Ne consegue la fondatezza del ricorso in punto di riconoscimento dell'irripetibilità delle somme indebitamente percepite, con obbligo di restituzione degli importi medio tempore versati all’Ente e/o, comunque, cautelativamente recuperati dall'Amministrazione.
Al riguardo la Sezione precisa che l'obbligazione di restituzione a carico dell’ Ente previdenziale, non trovando ragione e fondamento nel credito previdenziale ma solo nella pronuncia di accoglimento del ricorso, costituisce debito di valuta e, come tale, non é rivalutabile d'ufficio dal Giudice (cfr. Cass. 16 giugno 1990 n. 6056, 13 giugno 1991 n. 6702 e 10 ottobre 1992 n.1104).
Per quanto sopra esposto, il ricorso deve essere accolto e, pertanto, previa declaratoria di prescrizione come sopra precisato, va dichiarata l’irripetibilità del credito erariale di € 11.940,60 =, con conseguente restituzione delle somme già trattenute cautelativamente, con interessi legali dalla data di notificazione della domanda giudiziale, secondo le regole in materia di indebito oggettivo ex art. 2033 c.c..
Sussistono le ragioni ex art. 92 c.p.c. per la compensazione delle spese, in considerazione della complessità della vicenda e della novità delle obiezioni formulate alla decisione n. 7/2007/QM delle Sezioni Riunite, basate sulle nuove norme recate dalla legge 18 giugno 2009 n. 69, entrata in vigore il 4 luglio 2009.
P.Q.M.
la Corte dei conti, Sezione Giurisdizionale per la regione Piemonte, in composizione monocratica, definitivamente pronunciando,
ACCOGLIE
il ricorso in epigrafe presentato dal signor @@ e, per l’effetto, previa declaratoria di prescrizione del diritto dell’Ente Previdenziale al recupero delle somme percepite dal ricorrente a valere sui ratei dell’assegno di quiescenza corrisposti fino al 25 maggio 2001, dichiara l’irripetibilità della somma indebitamente corrisposta al ricorrente di € 11.940,60 =, con conseguente restituzione di quanto trattenuto cautelativamente o, comunque recuperato, aumentato degli interessi, decorrenti dalla data di notifica della domanda giudiziale alla controparte.
Spese compensate.
Si fissa in 30 giorni il termine per il deposito della sentenza.
Così deciso in Torino il 22 febbraio 2012.
                           Il GIUDICE
               (@@to Consigliere Luigi GILI)
Depositata in Segreteria il 29 Febbraio 2012
                                  Il Direttore della Segreteria                                                      
                                     (@@to Antonio CINQUE)
 
SEZIONE
ESITO
NUMERO
ANNO
MATERIA
PUBBLICAZIONE
PIEMONTE
Sentenza
37
2012
Pensioni
29-02-2012


   

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