Blog Lpd Notizie flash dall'Italia e dal mondo. Oltre 100.000 notizie di libera consultazione.  

 

 Leggi, Decreti, Circolari, sentenze e tanto altro di libera consultazione e scaricabili

d

 

   

frascan web solutions

   

Area Riservata  

   

unidata

   

Pagine Facebook  

d Clicca qui

Sostituisce la piattaforma Google + che dal 2 aprile 2019 non sarà più visibile

 

   

Forme di collaborazione con il portale  

 

 

   

Modalità per consultare e/o ricevere soltanto il documento che interessa  

 

d

Per consultare e/o ricevere soltanto la notizia che interessa e per cui occorre la registrazione inquadra il QRCode ed effettua una donazione a piacere.
Per sapere come ricevere poi il documento  CLICCA QUI

 

 

   

Abuso di posizione da parte del pubblico ufficiale, danno erariale a favore della P.A.

Dettagli



REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE DEI CONTI
SEZIONE GIURISDIZIONALE REGIONALE PER LA TOSCANA
composta dai seguenti magistrati:
Francesco PEZZELLA                             Presidente
Carlo GRECO                                             Consigliere
Elena TOMASSINI                         Consigliere relatore
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
Nel giudizio n. 58986/R su atto di citazione della Procura regionale, nei confronti di @@ @@ @@, nato a --
Visto il decreto-legge 15 novembre 1993, n. 453, convertito, con modificazioni, nella legge 14 gennaio 1994, n. 19.
            Vista la legge 14 gennaio 1994, n. 20, nel testo novellato dal decreto-legge 26 ottobre 1996, n. 543, convertito, con modificazioni, nella legge 20 dicembre 1996, n. 639.
            Visto l’atto di citazione a giudizio, depositato in segreteria in data 19 agosto 2011 della Procura regionale presso questa Sezione giurisdizionale, regolarmente notificato al convenuto;
Uditi, nella pubblica udienza del giorno 11 gennaio 2012, con l’assistenza della Segretaria signora -
Esaminati gli atti e i documenti tutti di causa.
            Ritenuto in
FATTO
Con l’atto all’esame la Procura regionale ha citato il convenuto in epigrafe per sentirlo condannare al risarcimento del danno, in favore del Ministero dell’Interno, pari alla somma di euro 50.000 oltre interessi, rivalutazione monetaria e spese dell’odierno giudizio.
Il danno scaturiva dalla condanna in sede penale del @@, già Ispettore di Polizia, per i reati di cui agli artt. 81 cpv. 317 c.p., commessi ai danni di meretrici, che erano state costrette a subire rapporti sessuali contro la loro volontà.
La condanna in primo grado del G.U.P. presso il Tribunale di Lucca era stata confermata dalla Corte di Appello di Firenze con sentenza n. 3117 del 2008 e la Corte Suprema di Cassazione aveva respinto il ricorso con sentenza n. 16342 del 9 giugno 2010.
Il P.M., nel richiamare la decisione n. 501/2009 della Sezione, sottolineava che la gravità del fatto e le funzioni del convenuto avevano arrecato grave danno all’immagine dell’Amministrazione, anche a seguito della pubblicazione di articoli di stampa sulla vicenda.
L’ammontare del risarcimento era stato calcolato considerando tutti i parametri noti, tra i quali la rilevanza del fatto, le funzioni svolte nella P.A. dal convenuto, appartenente alle Forze dell’ordine, e al conseguente sconcerto ingenerato dalla vicenda nella collettività.
Il @@ si costituiva lo scorso 23 dicembre, eccependo la decorrenza del termine prescrizionale poiché il fatto dannoso era da identificare nella pubblicazione degli articoli prodotti dalla stessa Procura; la nullità del giudizio contabile, non avendo il P.M. proposto l’azione di responsabilità entro 30 giorni dalla notitia del fatto inviata dal P.M. penale ai sensi dell’art. 129 disp. att. del c.p.p.; la mancanza di prova dell’elemento soggettivo della condotta dannosa, l’assenza di una puntuale quantificazione del danno e, altresì, la rilevanza assai limitata del clamor fori, ristretto all’ambito locale.
Inoltre si riportavano ampi stralci di relazioni elogiative dei superiori nei confronti del poliziotto (poi destituito dal 19.10.2010) il cui lodevole servizio non era stato valutato dalla citazione.
Pertanto la Difesa del @@, oltre all’eccezione di prescrizione dell’azione della Procura regionale, chiedeva l’assoluzione nel merito dell’assistito.
All’udienza dell’11 gennaio 2012 il P.M. V.P.G. Acheropita Mondera Oranges sottolineava che il poliziotto aveva costretto le due prostitute a subire atti sessuali, abusando della sua posizione, con conseguente condanna in tre gradi di giudizio. Il caso aveva portato il diffondersi delle gravi notizie anche all’interno della struttura e tante persone erano venute a conoscenza del fatto, non certo edificante, commesso da un appartenente alle forze dell’ordine.
In ordine alle eccezioni svolte dalla Difesa il P.M. deduceva che, in caso di danno all’immagine, l’art. 17 comma 30 ter individua il passaggio in giudicato della sentenza penale di condanna come dies a quo per l’inizio del giudizio di responsabilità. Per quanto concerneva poi l’asserita nullità per superamento del termine di 30 giorni, ex art. 129 disp. att. c.p.p. si doveva riferire all’apertura del fascicolo. Ora, nel caso in esame, essendo pervenuta la comunicazione il 16 marzo 2011, il 23 marzo era stato aperto il fascicolo e il 28 successivo erano stati chiesti i documenti alla Procura e al Tribunale di Lucca. Contrariamente a quanto dedotto dalla Difesa del convenuto, il termine non poteva essere riferito all’emissione dell’atto di citazione per la previsione normativa della possibilità di presentare difese entro trenta giorni dalla notifica dell’invito a dedurre.
Per quanto riguardava il merito, precisava la Procura che il danno all’immagine era da ritenersi in re ipsa trattandosi di concussione, reato contro la Pubblica Amministrazione ricompreso in quelli per i quali è previsto il risarcimento del danno all’immagine.
In ordine ai parametri di quantificazione, nel richiamare la sentenza n. 501 del 2009 di questa Sezione, si deduceva la sufficienza di prove presuntive e indiziarie che a giudizio della procura erano integrate (dolosità, riprovevolezza sociale, venir meno del rapporto di fiducia nelle forze dell’ordine, risonanza sugli organi di stampa). Pertanto la Sezione poteva valutare il danno all’immagine richiesto.
Conclusivamente, parte attrice insisteva per la condanna così come da atto di citazione.
L’avv. - in sostituzione dell’avv. - ribadiva le eccezioni di prescrizione del diritto al risarcimento del danno, sottolineando l’ambivalenza della giurisprudenza; quanto al danno gli articoli di stampa erano limitati all’ambito locale e non configuravano un danno all’immagine grave. Insisteva, inoltre, nell’eccezione di nullità dell’azione perché non esercitata nel termine di trenta giorni (invito formulato il 27 maggio 2011). Non sussisteva inoltre l’elemento soggettivo contestato e mancavano i criteri di qualificazione del danno. L’ispettore convenuto non aveva, poi, la possibilità di difendersi dal delitto di concussione, che è stato configurato soltanto alla fine del processo di primo grado. Il Difensore sottolineava poi che servizio dell’ispettore era sempre stato ineccepibile, e che lo stesso aveva ricevuto molti elogi come riportato nei documenti allegati alla comparsa di risposta. Si chiedeva inoltre una prova per testi.
La Procura rilevava che la prova per testi non era ammissibile e che l’aspetto lavorativo non era rilevante perché nel 2010 era stato destituito.
Dopo le rituali repliche, la causa era rimessa in decisione.
DIRITTO
Va preliminarmente esaminata la questione di nullità sollevata dalla Difesa del convenuto, che sostiene che il termine di 30 giorni stabilito dall’ art. 7 della legge 27 marzo 2001 n. 97 del 2001, è di carattere perentorio e va riferito all’emissione dell’atto di citazione nei confronti del convenuto.
Giova al riguardo ricordare che detta disposizione prevede che “La sentenza irrevocabile di condanna, pronunciata nei confronti dei dipendenti indicati nell’art. 3 per i delitti contro la pubblica amministrazione previsti nel capo I del titolo II del codice penale è comunicata al competente Procuratore Regionale della Corte dei conti affinchè promuova, entro trenta giorni, l’eventuale procedimento di responsabilità per danno erariale nei confronti del condannato. Resta salvo quanto disposto dall’art. 129 norme di attuazione, di coordinamento e transitorie del codice di procedura penale”.
Alla luce della lettera della legge il Procuratore regionale ha l’onere di “promuovere” il “procedimento” di responsabilità per danno erariale nei confronti del condannato.
Al di là, pertanto, dell’assenza della previsione di decadenze a seguito del mancato rispetto del termine, sì da far dubitare al Collegio della sua natura perentoria, va dato atto che il legislatore ha collegato i trenta giorni non già alla promozione dell’”azione” di responsabilità, bensì a quella del “procedimento”. Quindi deve ritenersi, ad avviso di questa Corte adita, che, se sanzione vi deve essere (comunque non espressamente prevista dalla legge e la cui natura non è quindi specificata: nullità, annullabilità, inefficacia) essa si ricollega alla mancata apertura dell’istruttoria e non agli atti successivi, come l’invito a dedurre (o la sua notifica) o addirittura l’atto di citazione (o la sua notifica). Ove poi si aderisse a tale ultima interpretazione, il termine di trenta giorni sarebbe incompatibile con i tempi successivi alla notifica dell’invito a dedurre e alle facoltà che l’art. 5 del D.L. 15 novembre 1993, n. 453, convertito n legge n. 20 del 1994, contempla per il soggetto che la riceve. Infatti, al termine minimo di trenta giorni per la presentazione di deduzioni ed eventuali documenti da parte dell’indagato vanno aggiunti quello di un’eventuale audizione, nonché i centoventi giorni dalla scadenza del termine ultimo per emettere l’atto di citazione; e ciò, ipotizzando un procedimento a carico di un solo soggetto. Ma, anche prescindendo dalla dizione legislativa, sarebbe parimenti irragionevole comprimere i tempi dell’istruttoria, fino all’invito a dedurre, in soli trenta giorni, che ridonderebbe a pregiudizio delle persone sottoposte ad indagine.
Tale interpretazione è, del resto, confortata dalla ratio della legge in esame, che ha voluto istituire un raccordo tra il processo penale e il procedimento disciplinare nei confronti dei dipendenti di amministrazioni o di enti pubblici ovvero di enti a prevalente partecipazione pubblica (di cui al precedente art. 3), inserendo altresì nel corpo del testo alcune norme (artt. 6 e 7) volte a collegare il processo penale, ormai concluso, con l’azione del Procuratore contabile, istituendo una via legale di conoscenza costituita dall’invio della sentenza resa nel processo penale.
Ora, nel caso di specie, essendo pervenuta la comunicazione il 16 marzo 2011, il 23 marzo è stato aperto il fascicolo e il 28 successivo sono stati chiesti i documenti alla Procura e al Tribunale di Lucca.
Pertanto deve ritenersi che l’istruttoria sia stata iniziata tempestivamente.
L’eccezione di nullità sollevata dalla Difesa deve, quindi, essere respinta.
Anche l’eccezione difensiva di prescrizione merita identica sorte.
La Difesa del convenuto ha infatti eccepito che il danno contestato si sarebbe verificato con la pubblicazione degli articoli di stampa sugli avvenimenti oggetto del procedimento penale, di talchè il dies a quo per la decorrenza del termine prescrizionale sarebbe da identificarsi nella data di pubblicazione degli stessi (2004).
Rileva sul punto il Collegio che, con l’articolo 17, comma 30-ter, dell’art. 17 del D.L. n.78/2009, convertito in L. n.102/2009 e contestualmente modificato dall’art. 1, comma 1, del D.L. n.103/2009, convertito con L. n. 141/2009 il legislatore, nel restringere le ipotesi di perseguibilità, da parte del P.M. contabile, del danno all’immagine, ha anche introdotto la condizione di procedibilità dell’azione di quest’ultimo, consistente nella necessità di conclusione definitiva del procedimento penale per i delitti contro la Pubblica Amministrazione. “Le procure della Corte dei conti possono iniziare l’attività istruttoria ai fini dell’esercizio dell’azione di danno erariale a fronte di specifica e concreta notizia di danno, fatte salve le fattispecie direttamente sanzionate dalla legge. Le procure della Corte dei conti esercitano l’azione per il risarcimento del danno all’immagine nei soli casi e modi previsti dall’art. 7 della legge 27 marzo 2001 n.97. A tale ultimo fine, il decorso del termine di prescrizione di cui al comma 2 dell’articolo 1 della legge 14 gennaio 1994 n. 20, è sospeso fino alla conclusione del procedimento penale. Qualunque atto istruttorio o processuale posto in essere in violazione delle disposizioni di cui al presente comma, salvo che sia stata già pronunciata sentenza anche non definitiva alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, è nullo e la relativa nullità può essere fatta valere in ogni momento, da chiunque vi abbia interesse, innanzi alla competente sezione giurisdizionale della Corte dei conti, che decide nel termine perentorio di trenta giorni dal deposito della richiesta”.
Durante tale arco temporale è stata opportunamente introdotta la previsione della sospensione del decorso del termine prescrizionale del diritto al risarcimento del danno erariale. Da ciò discende che, anche a voler identificare il fatto dannoso con la semplice pubblicazione degli articoli di stampa conseguenti all’arresto del convenuto e alle fasi successive del procedimento penale (in realtà il disdoro è stato cagionato anche dal diffondersi delle notizie all’interno dell’amministrazione di appartenenza del poliziotto), il termine per esercitare l’azione erariale era sospeso fino alla conclusione del processo penale. Tale conclusione è intervenuta, come riportato nella parte in fatto, con sentenza di rigetto del ricorso da parte della Corte Suprema di Cassazione n. 16342 del 9 giugno 2010, comunicata il 16 marzo 2011.
Di conseguenza anche tale eccezione va respinta.
Venendo, poi, al merito della presente causa, giova rilevare che nel caso di specie a carico del convenuto risulta una sentenza irrevocabile di condanna (n. 56 del 31/1/2006) del Giudice per l’Udienza Preliminare presso il Tribunale di Lucca, confermata dalla Corte d’Appello di Firenze e da ultimo dalla Corte di Cassazione con la decisione sopra ricordata, che ha respinto il ricorso del @@.
Dalla sentenza penale, che quindi, a norma dell’art. 651 c.p.p., fa stato anche nel giudizio amministrativo - contabile per quanto concerne la materialità dei fatti accertati nel relativo procedimento, emerge che il @@, abusando della sua qualità di pubblico ufficiale – ispettore della Polizia di Stato in servizio presso il Commissariato di P.S. di @@ – aveva indotto e costretto De @@ @@ e indotto @@ @@, entrambe esercenti la prostituzione, a concedere indebitamente prestazioni sessuali in suo favore. Il delitto, inizialmente qualificato nel capo di imputazione dagli artt. 61 n. 9, 81 cpv., 609 bis, 609 septies comma 2 n. 3 c.p., è stato qualificato dal G.U.P. nel più grave reato di concussione, delitto contro la pubblica amministrazione.
Le indagini svolte dopo la denuncia delle ragazze e le loro dichiarazioni, ritenute affidabili dal Giudice, hanno permesso di identificare il poliziotto nell’imputato, che al tempo stava svolgendo indagini sulla prostituzione nella Versilia, pubblicizzata attraverso appositi giornali. L’ispettore, approfittando dello stato di soggezione delle due prostitute, una delle quali clandestina (la - @@, extracomunitaria) e l’altra munita di permesso di soggiorno ma ritirato momentaneamente dal poliziotto, il quale l’aveva restituito solo al momento di uscire, aveva indotto le donne a prestazioni sessuali nei suoi confronti. Di qui la condanna del @@ ad anni due di reclusione.
I fatti non possono essere oggetto di alcuna contestazione in questa sede, giusto il disposto dell’art. 651 c.p.p.; in virtù di tale norma, l’efficacia vincolante del giudicato penale di condanna nel processo per la responsabilità amministrativa concerne l’accertamento dei fatti che hanno formato oggetto del relativo giudizio, intesi nella loro realtà fenomenica ed oggettiva, quali la condotta, l’evento e il nesso di causalità materiale che sono stati assunti a presupposto logico-giuridico della pronuncia penale, restando, quindi, preclusa al giudice contabile ogni contraria analisi.
Devono ritenersi pertanto dimostrati in sede penale con forza di giudicato e relativa efficacia in questa sede:
a)       L’abuso della qualità di ispettore di P.S.;
b)       L’induzione delle due donne, in posizione di soggezione o perché clandestine (la De @@) o perché comunque straniera e privata momentaneamente del permesso di soggiorno (la @@) a compiere (la @@) e subire (la De @@) atti sessuali in suo favore;
c)        Il compimento e la soggezione a detti atti, nell’abitazione della @@ ove soggiornava, transitoriamente, la De @@, ove esercitavano la prostituzione, coordinate da altra straniera pure a processo.
Viene ora in questione la domanda di risarcimento del danno all’immagine arrecata al Ministero dell’Interno da parte del @@, in servizio presso il Commissariato di @@ @@.
La giurisprudenza civile, a conclusione di un laborioso percorso interpretativo teso a rileggere criticamente il contenuto precettivo dell’art. 2059 c.c., disancorandolo dall’esclusiva connessione con l’art. 185 del codice penale, e supportata anche dalle pronunce della Corte Costituzionale in materia di danno biologico, è pervenuta ad affermare la risarcibilità delle lesioni di interessi c.d. “areddituali”, cioè non inerenti necessariamente alla salute individuale o collettiva, ma parimenti dotati di rilevanza costituzionale ai sensi dell’art. 2, tanto da essere ritenuti meritevoli di eguale tutela giurisdizionale.
Ne è nata la nozione di danno esistenziale, definito come pregiudizio areddituale, non patrimoniale, tendenzialmente omnicomprensivo, in quanto qualsiasi privazione e/o lesione di attività esistenziali del danneggiato può dar luogo a risarcimento.
In tale ambito è stato collocato il danno all’immagine, consistente per le pubbliche amministrazioni nella lesione del diritto alla propria identità personale, al proprio buon nome, alla propria reputazione e credibilità, in sé considerate, tutelato dall’art. 97 della Costituzione; in particolare, la Corte di Cassazione (Sezione III civile, 04.06.2007 n. 12929) ha statuito che la lesione del diritto della persona giuridica all’integrità della propria immagine è causa di danno non patrimoniale risarcibile, sia sotto il profilo della sua diminuita considerazione presso i consociati in genere o presso quei settori con i quali l’ente interagisce, sia sotto il profilo dell’incidenza negativa che la sminuita reputazione cagiona nell’agire delle persone fisiche dei suoi organi.
Ne consegue che l’illecito in questione si concretizza ogniqualvolta un soggetto, legato da un rapporto di servizio con la Pubblica Amministrazione, ponga in essere un comportamento criminoso e sfrutti la posizione ricoperta per il soddisfacimento di scopi personali utilitaristici e non per il raggiungimento di interessi pubblici generali, così minando la fiducia dei cittadini nella correttezza dell’azione amministrativa, con ricadute negative sull’organizzazione amministrativa e sulla gestione dei servizi in favore della collettività.
Tale orientamento ha superato quello, più risalente nel tempo, che, pur annoverando il danno all’immagine nell’alveo del danno esistenziale, lo colloca normativamente non sotto l’egida dell’art. 2059 c.c., bensì dell’art. 2043 c.c., qualificandolo ugualmente quale danno-evento di natura non patrimoniale (cfr. Sez. Giur. Sicilia nn. 2189, 2160/2011; Sez. Giur. Lombardia n. 208/2011).
L’orientamento più recente delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione, inaugurato con la sentenza n. 26972/2008, ha ricostruito unitariamente la figura del danno non patrimoniale di cui all’art. 2059 c.c., negando il carattere autonomo al danno cosiddetto esistenziale e ridimensionando la categoria del danno evento; va, poi, ricordata la decisione della III Sezione Centrale d’Appello della Corte dei Conti (sentenza n. 143/2009) che, dopo avere ritenuto i principi contenuti nella pronuncia della Suprema Corte non applicabili, immediatamente e autonomamente, al danno all’immagine della Pubblica Amministrazione, si è soffermata sulla “nozione di danno all’immagine subito da un soggetto pubblico come danno patrimoniale da perdita di immagine, di tipo contrattuale, avente natura di danno conseguenza (tale comunque da superare una soglia minima di pregiudizio e la cui prova potrà essere fornita anche per presunzioni e mediante il ricorso a nozioni di comune esperienza)”.
Prescindendo dalla collocazione dogmatica del citato danno, la giurisprudenza ritiene che la violazione del diritto all’immagine della Pubblica Amministrazione sia, comunque, economicamente valutabile, concretizzandosi in un onere finanziario che si ripercuote sull’intera collettività, spostando conseguentemente l’attenzione sulla sua quantificazione; la Corte di Cassazione (Sezioni Unite n. 26806/2009 e n. 8098/2007) ha puntualizzato che il danno all’immagine “anche se non comporta apparentemente una diminuzione patrimoniale alla pubblica amministrazione, è suscettibile di una valutazione economica finalizzata al ripristino del bene giuridico leso”. In altre parole una cosa è la prova della lesione, che è in re ipsa, un’altra quella della sua quantificazione da compiersi in via equitativa, ex art. 1226 c.c., i cui parametri devono essere forniti, però, dall’attore pubblico, anche con il concorso dei fatti notori, di cui all’art. 115, comma 2, c.p.c., e delle presunzioni, di cui agli artt. 2727 ss. codice civile. Allo scopo, è possibile fare riferimento alle spese direttamente sostenute e/o a quelle eventuali da sostenere per il ripristino dell’immagine pubblica lesa e a tutte le ulteriori conseguenze che secondo l’id quod plerumque accidit possono derivare in futuro dalla condotta illecita”.
All’articolato orientamento giurisprudenziale di cui sopra ha fatto seguito il recente intervento del legislatore che, con l’art. 1 del decreto legge 3 agosto 2009 n. 103, convertito nella legge 3 ottobre 2009 n. 141, di modifica dell’art. 17 comma 30 ter del decreto legge 1° luglio 2009 n. 78, convertito con modifiche nella legge 3 agosto 2009 n. 102, senza fornire alcuna definizione di “danno all’immagine”, né indicare i criteri in base ai quali lo stesso debba essere risarcito, ha puntualizzato: “Le procure della Corte dei conti esercitano l’azione per il risarcimento del danno all’immagine nei soli casi e nei modi previsti dall’articolo 7 dalla legge 27 marzo 2001, n. 97. A tale ultimo fine, il decorso del termine di prescrizione di cui al comma 2 dell’articolo 1 della legge 14 gennaio 1994, n. 20, è sospeso fino alla conclusione del procedimento penale”.
Da un lato, quindi, si è avuta la definitiva consacrazione normativa della figura di danno all’immagine subito da un’amministrazione pubblica, frutto in precedenza di esclusiva elaborazione giurisprudenziale, dall’altro si è voluto restringere l’operatività dello stesso ai soli casi in cui i pubblici dipendenti siano stati condannati, con sentenza irrevocabile. come è avvenuto per l’odierno convenuto.
Nel silenzio del legislatore, deve darsi per avallata la prassi giurisprudenziale circa i criteri elaborati per la definizione e la quantificazione del citato danno: il danno all’immagine può, pertanto, essere connesso solo a gravi condotte integranti gli estremi dell’illecito penale, poste in essere dai dipendenti pubblici, di cui si sia avuta eco nell’ambito della comunità organizzata, tanto da minare la fiducia dei cittadini nelle Istituzioni, con effetti distorsivi sull’organizzazione amministrativa e conseguenti costi aggiuntivi da quantificare in via equitativa ai sensi degli artt. 1226 e 2056 c.c. Tale criterio è, del resto, fatto proprio anche dalla Corte di cassazione, la quale, nella sentenza n. 10847 dell’11 maggio 2007, ha affermato che, nell’ipotesi di danno recato all’immagine di un ente pubblico, “la valutazione di siffatto pregiudizio, per sua natura privo delle caratteristiche della patrimonialità, non può che essere effettuata dal giudice alla stregua di un parametro equitativo, essendo difficilmente utilizzabili parametri economici o reddituali (cfr. Cass. 26 maggio 2004, n. 10157, nonché Cass. 9 settembre 2003, n. 13185). Del resto costituisce ius receptum nella giurisprudenza di questa Corte regolatrice che il danno arrecato da pubblici dipendenti (o da soggetti comunque inseriti nell’apparato organizzativo di una pubblica amministrazione) all’immagine dell’ente [...] anche se non comporta una diminuzione patrimoniale diretta, è tuttavia suscettibile di valutazione patrimoniale, sotto il profilo della spesa necessaria al ripristino del bene giuridico leso (Cass., sez. un., 15 luglio 2005, n. 14990).
Il criterio adottato dal giudice del merito - in ultima analisi - non è molto distante da quello normalmente seguito dalla giurisprudenza della Corte dei Conti in materia (che quantifica il danno nella stessa misura delle somme percepite a titolo di tangenti da parte di pubblici dipendenti responsabili di concussione (cfr., ad esempio, C. conti, sez. 2^, 9 ottobre 2003, n. 285/A)”.
L’esercizio del potere equitativo è subordinato, però, alla condizione che sia obiettivamente impossibile, o particolarmente difficile, per la parte interessata e, quindi, per il Pubblico Ministero contabile, provare il danno nel suo preciso ammontare; l’organo requirente non è esonerato dal fornire gli elementi probatori e i dati di fatto a sua disposizione affinché l’esercizio del potere equitativo sia il più possibile volto a colmare solo le lacune insuperabili nell'iter della determinazione dell'equivalente pecuniario del danno stesso, con la conseguenza che, assolto tale compito, il giudice può procedere secondo equità.
A tal fine è possibile utilizzare i criteri indicati dalle Sezioni Riunite di questa Corte nella sentenza n. 10/QM/2003 e ripresi dalla giurisprudenza contabile successiva (cfr. questa Sezione, nn. 514/08, 596/08, 597/08, 249/09, 501/09), nonché quelli individuati dalla Corte di Cassazione, Sezioni Unite Penali, nella recente sentenza n. 15208/2010 e in particolare:
·                    la qualifica posseduta dal convenuto al momento del commesso illecito (nel caso di specie il convenuto @@ @@ @@ era ispettore di Polizia in Servizio presso il Commissariato di @@ e quindi Ufficiale di Polizia Giudiziaria preposto alla prevenzione e repressione dei fatti criminosi o comunque violativi del T.U.L.P.S. e delle leggi in materia di sicurezza pubblica e, sub specie, incaricato proprio delle indagini sul territorio in materia di prostituzione;
·                    il notevole disvalore sociale connesso alla gravità del delitto di concussione, che è il più grave dei delitti contro la P.A., a carattere plurioffensivo e con elevatissima pena edittale (da cinque a dodici anni), unitamente all’entità della pena inflitta (anni due di reclusione, a seguito della scelta del rito abbreviato con una riduzione della pena di un terzo, ex art. 442, comma II, del c.p.p. (la pena base era di anni 4 di reclusione);
·                    il mercimonio, quindi, del munus publicum da parte del @@, con conseguente convincimento, da parte di una numerosa platea di cittadini, anche extracomunitari, di dover sottostare a innominabili richieste per esercitare l’attività del meretricio (“Poliziotto non paga” come detto dalla @@);
·                    La diffusione, nella piccola comunità amministrata, di siffatte condotte, continuate nel tempo.
Alla luce dei parametri sopra indicati, il Collegio ritiene equa la stima di un danno pari ad euro 50.000 (cinquantamila) come richiesto dalla Procura, oltre rivalutazione monetaria, da calcolarsi secondo l’indice ISTAT dei prezzi al consumo per le famiglie di operai e impiegati (FOI), a decorrere dalla data del fatto (3 giugno 2003) e fino alla pubblicazione della presente sentenza; dalla data di pubblicazione sono altresì dovuti, sulla somma come sopra rivalutata, gli interessi nella misura del saggio legale fino all’effettivo pagamento in favore del Ministero dell’Interno.
Si liquidano in favore dello Stato le spese di giustizia - che seguono la soccombenza - nella misura di euro 288,00.=
(Euro duecentottantotto/00.=)
***
P.Q.M.
La Corte dei conti
Sezione giurisidizionale regionale per la Toscana
Definitivamente pronunciando nel giudizio iscritto al n. 58986/R
CONDANNA
@@ @@ @@, generalizzato in atti, al risarcimento del danno nei confronti del Ministero dell’Interno pari ad euro 50.000 (cinquantamila), oltre rivalutazione monetaria, da calcolarsi secondo l’indice ISTAT dei prezzi al consumo per le famiglie di operai e impiegati (FOI), a decorrere dalla data del fatto (3 giugno 2003) e fino alla pubblicazione della presente sentenza; dalla data di pubblicazione sono altresì dovuti, sulla somma come sopra rivalutata, gli interessi nella misura del saggio legale fino all’effettivo pagamento.
Si liquidano in favore dello Stato le spese di giustizia - che seguono la soccombenza - nella misura di euro 288,00.=
(Euro duecentottantotto/00.=)
Così deciso in Firenze, nella Camera di Consiglio del giorno 11 gennaio 2012.
L’ESTENSORE                                          IL PRESIDENTE
      F.to Elena TOMASSINI             F.to Francesco PEZZELLA
 
Depositata in Segreteria il   2 MARZO 2012
                                                           IL DIRETTORE DI SEGRETERIA
                                                                       F.to Paola Altini
SEZIONE
ESITO
NUMERO
ANNO
MATERIA
PUBBLICAZIONE
TOSCANA
Sentenza
113
2012
Responsabilità
02-03-2012

Abuso di posizione da parte del pubblico ufficiale, danno erariale a favore della P.A.

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE DEI CONTI

SEZIONE GIURISDIZIONALE REGIONALE PER LA TOSCANA

composta dai seguenti magistrati:

Francesco PEZZELLA                             Presidente

Carlo GRECO                                             Consigliere

Elena TOMASSINI                         Consigliere relatore

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

Nel giudizio n. 58986/R su atto di citazione della Procura regionale, nei confronti di @@ @@ @@, nato a --

Visto il decreto-legge 15 novembre 1993, n. 453, convertito, con modificazioni, nella legge 14 gennaio 1994, n. 19.

            Vista la legge 14 gennaio 1994, n. 20, nel testo novellato dal decreto-legge 26 ottobre 1996, n. 543, convertito, con modificazioni, nella legge 20 dicembre 1996, n. 639.

            Visto l’atto di citazione a giudizio, depositato in segreteria in data 19 agosto 2011 della Procura regionale presso questa Sezione giurisdizionale, regolarmente notificato al convenuto;

Uditi, nella pubblica udienza del giorno 11 gennaio 2012, con l’assistenza della Segretaria signora -

Esaminati gli atti e i documenti tutti di causa.

            Ritenuto in

FATTO

Con l’atto all’esame la Procura regionale ha citato il convenuto in epigrafe per sentirlo condannare al risarcimento del danno, in favore del Ministero dell’Interno, pari alla somma di euro 50.000 oltre interessi, rivalutazione monetaria e spese dell’odierno giudizio.

Il danno scaturiva dalla condanna in sede penale del @@, già Ispettore di Polizia, per i reati di cui agli artt. 81 cpv. 317 c.p., commessi ai danni di meretrici, che erano state costrette a subire rapporti sessuali contro la loro volontà.

La condanna in primo grado del G.U.P. presso il Tribunale di Lucca era stata confermata dalla Corte di Appello di Firenze con sentenza n. 3117 del 2008 e la Corte Suprema di Cassazione aveva respinto il ricorso con sentenza n. 16342 del 9 giugno 2010.

Il P.M., nel richiamare la decisione n. 501/2009 della Sezione, sottolineava che la gravità del fatto e le funzioni del convenuto avevano arrecato grave danno all’immagine dell’Amministrazione, anche a seguito della pubblicazione di articoli di stampa sulla vicenda.

L’ammontare del risarcimento era stato calcolato considerando tutti i parametri noti, tra i quali la rilevanza del fatto, le funzioni svolte nella P.A. dal convenuto, appartenente alle Forze dell’ordine, e al conseguente sconcerto ingenerato dalla vicenda nella collettività.

Il @@ si costituiva lo scorso 23 dicembre, eccependo la decorrenza del termine prescrizionale poiché il fatto dannoso era da identificare nella pubblicazione degli articoli prodotti dalla stessa Procura; la nullità del giudizio contabile, non avendo il P.M. proposto l’azione di responsabilità entro 30 giorni dalla notitia del fatto inviata dal P.M. penale ai sensi dell’art. 129 disp. att. del c.p.p.; la mancanza di prova dell’elemento soggettivo della condotta dannosa, l’assenza di una puntuale quantificazione del danno e, altresì, la rilevanza assai limitata del clamor fori, ristretto all’ambito locale.

Inoltre si riportavano ampi stralci di relazioni elogiative dei superiori nei confronti del poliziotto (poi destituito dal 19.10.2010) il cui lodevole servizio non era stato valutato dalla citazione.

Pertanto la Difesa del @@, oltre all’eccezione di prescrizione dell’azione della Procura regionale, chiedeva l’assoluzione nel merito dell’assistito.

All’udienza dell’11 gennaio 2012 il P.M. V.P.G. Acheropita Mondera Oranges sottolineava che il poliziotto aveva costretto le due prostitute a subire atti sessuali, abusando della sua posizione, con conseguente condanna in tre gradi di giudizio. Il caso aveva portato il diffondersi delle gravi notizie anche all’interno della struttura e tante persone erano venute a conoscenza del fatto, non certo edificante, commesso da un appartenente alle forze dell’ordine.

In ordine alle eccezioni svolte dalla Difesa il P.M. deduceva che, in caso di danno all’immagine, l’art. 17 comma 30 ter individua il passaggio in giudicato della sentenza penale di condanna come dies a quo per l’inizio del giudizio di responsabilità. Per quanto concerneva poi l’asserita nullità per superamento del termine di 30 giorni, ex art. 129 disp. att. c.p.p. si doveva riferire all’apertura del fascicolo. Ora, nel caso in esame, essendo pervenuta la comunicazione il 16 marzo 2011, il 23 marzo era stato aperto il fascicolo e il 28 successivo erano stati chiesti i documenti alla Procura e al Tribunale di Lucca. Contrariamente a quanto dedotto dalla Difesa del convenuto, il termine non poteva essere riferito all’emissione dell’atto di citazione per la previsione normativa della possibilità di presentare difese entro trenta giorni dalla notifica dell’invito a dedurre.

Per quanto riguardava il merito, precisava la Procura che il danno all’immagine era da ritenersi in re ipsa trattandosi di concussione, reato contro la Pubblica Amministrazione ricompreso in quelli per i quali è previsto il risarcimento del danno all’immagine.

In ordine ai parametri di quantificazione, nel richiamare la sentenza n. 501 del 2009 di questa Sezione, si deduceva la sufficienza di prove presuntive e indiziarie che a giudizio della procura erano integrate (dolosità, riprovevolezza sociale, venir meno del rapporto di fiducia nelle forze dell’ordine, risonanza sugli organi di stampa). Pertanto la Sezione poteva valutare il danno all’immagine richiesto.

Conclusivamente, parte attrice insisteva per la condanna così come da atto di citazione.

L’avv. - in sostituzione dell’avv. - ribadiva le eccezioni di prescrizione del diritto al risarcimento del danno, sottolineando l’ambivalenza della giurisprudenza; quanto al danno gli articoli di stampa erano limitati all’ambito locale e non configuravano un danno all’immagine grave. Insisteva, inoltre, nell’eccezione di nullità dell’azione perché non esercitata nel termine di trenta giorni (invito formulato il 27 maggio 2011). Non sussisteva inoltre l’elemento soggettivo contestato e mancavano i criteri di qualificazione del danno. L’ispettore convenuto non aveva, poi, la possibilità di difendersi dal delitto di concussione, che è stato configurato soltanto alla fine del processo di primo grado. Il Difensore sottolineava poi che servizio dell’ispettore era sempre stato ineccepibile, e che lo stesso aveva ricevuto molti elogi come riportato nei documenti allegati alla comparsa di risposta. Si chiedeva inoltre una prova per testi.

La Procura rilevava che la prova per testi non era ammissibile e che l’aspetto lavorativo non era rilevante perché nel 2010 era stato destituito.

Dopo le rituali repliche, la causa era rimessa in decisione.

DIRITTO

Va preliminarmente esaminata la questione di nullità sollevata dalla Difesa del convenuto, che sostiene che il termine di 30 giorni stabilito dall’ art. 7 della legge 27 marzo 2001 n. 97 del 2001, è di carattere perentorio e va riferito all’emissione dell’atto di citazione nei confronti del convenuto.

Giova al riguardo ricordare che detta disposizione prevede che “La sentenza irrevocabile di condanna, pronunciata nei confronti dei dipendenti indicati nell’art. 3 per i delitti contro la pubblica amministrazione previsti nel capo I del titolo II del codice penale è comunicata al competente Procuratore Regionale della Corte dei conti affinchè promuova, entro trenta giorni, l’eventuale procedimento di responsabilità per danno erariale nei confronti del condannato. Resta salvo quanto disposto dall’art. 129 norme di attuazione, di coordinamento e transitorie del codice di procedura penale”.

Alla luce della lettera della legge il Procuratore regionale ha l’onere di “promuovere” il “procedimento” di responsabilità per danno erariale nei confronti del condannato.

Al di là, pertanto, dell’assenza della previsione di decadenze a seguito del mancato rispetto del termine, sì da far dubitare al Collegio della sua natura perentoria, va dato atto che il legislatore ha collegato i trenta giorni non già alla promozione dell’”azione” di responsabilità, bensì a quella del “procedimento”. Quindi deve ritenersi, ad avviso di questa Corte adita, che, se sanzione vi deve essere (comunque non espressamente prevista dalla legge e la cui natura non è quindi specificata: nullità, annullabilità, inefficacia) essa si ricollega alla mancata apertura dell’istruttoria e non agli atti successivi, come l’invito a dedurre (o la sua notifica) o addirittura l’atto di citazione (o la sua notifica). Ove poi si aderisse a tale ultima interpretazione, il termine di trenta giorni sarebbe incompatibile con i tempi successivi alla notifica dell’invito a dedurre e alle facoltà che l’art. 5 del D.L. 15 novembre 1993, n. 453, convertito n legge n. 20 del 1994, contempla per il soggetto che la riceve. Infatti, al termine minimo di trenta giorni per la presentazione di deduzioni ed eventuali documenti da parte dell’indagato vanno aggiunti quello di un’eventuale audizione, nonché i centoventi giorni dalla scadenza del termine ultimo per emettere l’atto di citazione; e ciò, ipotizzando un procedimento a carico di un solo soggetto. Ma, anche prescindendo dalla dizione legislativa, sarebbe parimenti irragionevole comprimere i tempi dell’istruttoria, fino all’invito a dedurre, in soli trenta giorni, che ridonderebbe a pregiudizio delle persone sottoposte ad indagine.

Tale interpretazione è, del resto, confortata dalla ratio della legge in esame, che ha voluto istituire un raccordo tra il processo penale e il procedimento disciplinare nei confronti dei dipendenti di amministrazioni o di enti pubblici ovvero di enti a prevalente partecipazione pubblica (di cui al precedente art. 3), inserendo altresì nel corpo del testo alcune norme (artt. 6 e 7) volte a collegare il processo penale, ormai concluso, con l’azione del Procuratore contabile, istituendo una via legale di conoscenza costituita dall’invio della sentenza resa nel processo penale.

Ora, nel caso di specie, essendo pervenuta la comunicazione il 16 marzo 2011, il 23 marzo è stato aperto il fascicolo e il 28 successivo sono stati chiesti i documenti alla Procura e al Tribunale di Lucca.

Pertanto deve ritenersi che l’istruttoria sia stata iniziata tempestivamente.

L’eccezione di nullità sollevata dalla Difesa deve, quindi, essere respinta.

Anche l’eccezione difensiva di prescrizione merita identica sorte.

La Difesa del convenuto ha infatti eccepito che il danno contestato si sarebbe verificato con la pubblicazione degli articoli di stampa sugli avvenimenti oggetto del procedimento penale, di talchè il dies a quo per la decorrenza del termine prescrizionale sarebbe da identificarsi nella data di pubblicazione degli stessi (2004).

Rileva sul punto il Collegio che, con l’articolo 17, comma 30-ter, dell’art. 17 del D.L. n.78/2009, convertito in L. n.102/2009 e contestualmente modificato dall’art. 1, comma 1, del D.L. n.103/2009, convertito con L. n. 141/2009 il legislatore, nel restringere le ipotesi di perseguibilità, da parte del P.M. contabile, del danno all’immagine, ha anche introdotto la condizione di procedibilità dell’azione di quest’ultimo, consistente nella necessità di conclusione definitiva del procedimento penale per i delitti contro la Pubblica Amministrazione. “Le procure della Corte dei conti possono iniziare l’attività istruttoria ai fini dell’esercizio dell’azione di danno erariale a fronte di specifica e concreta notizia di danno, fatte salve le fattispecie direttamente sanzionate dalla legge. Le procure della Corte dei conti esercitano l’azione per il risarcimento del danno all’immagine nei soli casi e modi previsti dall’art. 7 della legge 27 marzo 2001 n.97. A tale ultimo fine, il decorso del termine di prescrizione di cui al comma 2 dell’articolo 1 della legge 14 gennaio 1994 n. 20, è sospeso fino alla conclusione del procedimento penale. Qualunque atto istruttorio o processuale posto in essere in violazione delle disposizioni di cui al presente comma, salvo che sia stata già pronunciata sentenza anche non definitiva alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, è nullo e la relativa nullità può essere fatta valere in ogni momento, da chiunque vi abbia interesse, innanzi alla competente sezione giurisdizionale della Corte dei conti, che decide nel termine perentorio di trenta giorni dal deposito della richiesta”.

Durante tale arco temporale è stata opportunamente introdotta la previsione della sospensione del decorso del termine prescrizionale del diritto al risarcimento del danno erariale. Da ciò discende che, anche a voler identificare il fatto dannoso con la semplice pubblicazione degli articoli di stampa conseguenti all’arresto del convenuto e alle fasi successive del procedimento penale (in realtà il disdoro è stato cagionato anche dal diffondersi delle notizie all’interno dell’amministrazione di appartenenza del poliziotto), il termine per esercitare l’azione erariale era sospeso fino alla conclusione del processo penale. Tale conclusione è intervenuta, come riportato nella parte in fatto, con sentenza di rigetto del ricorso da parte della Corte Suprema di Cassazione n. 16342 del 9 giugno 2010, comunicata il 16 marzo 2011.

Di conseguenza anche tale eccezione va respinta.

Venendo, poi, al merito della presente causa, giova rilevare che nel caso di specie a carico del convenuto risulta una sentenza irrevocabile di condanna (n. 56 del 31/1/2006) del Giudice per l’Udienza Preliminare presso il Tribunale di Lucca, confermata dalla Corte d’Appello di Firenze e da ultimo dalla Corte di Cassazione con la decisione sopra ricordata, che ha respinto il ricorso del @@.

Dalla sentenza penale, che quindi, a norma dell’art. 651 c.p.p., fa stato anche nel giudizio amministrativo - contabile per quanto concerne la materialità dei fatti accertati nel relativo procedimento, emerge che il @@, abusando della sua qualità di pubblico ufficiale – ispettore della Polizia di Stato in servizio presso il Commissariato di P.S. di @@ – aveva indotto e costretto De @@ @@ e indotto @@ @@, entrambe esercenti la prostituzione, a concedere indebitamente prestazioni sessuali in suo favore. Il delitto, inizialmente qualificato nel capo di imputazione dagli artt. 61 n. 9, 81 cpv., 609 bis, 609 septies comma 2 n. 3 c.p., è stato qualificato dal G.U.P. nel più grave reato di concussione, delitto contro la pubblica amministrazione.

Le indagini svolte dopo la denuncia delle ragazze e le loro dichiarazioni, ritenute affidabili dal Giudice, hanno permesso di identificare il poliziotto nell’imputato, che al tempo stava svolgendo indagini sulla prostituzione nella Versilia, pubblicizzata attraverso appositi giornali. L’ispettore, approfittando dello stato di soggezione delle due prostitute, una delle quali clandestina (la - @@, extracomunitaria) e l’altra munita di permesso di soggiorno ma ritirato momentaneamente dal poliziotto, il quale l’aveva restituito solo al momento di uscire, aveva indotto le donne a prestazioni sessuali nei suoi confronti. Di qui la condanna del @@ ad anni due di reclusione.

I fatti non possono essere oggetto di alcuna contestazione in questa sede, giusto il disposto dell’art. 651 c.p.p.; in virtù di tale norma, l’efficacia vincolante del giudicato penale di condanna nel processo per la responsabilità amministrativa concerne l’accertamento dei fatti che hanno formato oggetto del relativo giudizio, intesi nella loro realtà fenomenica ed oggettiva, quali la condotta, l’evento e il nesso di causalità materiale che sono stati assunti a presupposto logico-giuridico della pronuncia penale, restando, quindi, preclusa al giudice contabile ogni contraria analisi.

Devono ritenersi pertanto dimostrati in sede penale con forza di giudicato e relativa efficacia in questa sede:

a)       L’abuso della qualità di ispettore di P.S.;

b)       L’induzione delle due donne, in posizione di soggezione o perché clandestine (la De @@) o perché comunque straniera e privata momentaneamente del permesso di soggiorno (la @@) a compiere (la @@) e subire (la De @@) atti sessuali in suo favore;

c)        Il compimento e la soggezione a detti atti, nell’abitazione della @@ ove soggiornava, transitoriamente, la De @@, ove esercitavano la prostituzione, coordinate da altra straniera pure a processo.

Viene ora in questione la domanda di risarcimento del danno all’immagine arrecata al Ministero dell’Interno da parte del @@, in servizio presso il Commissariato di @@ @@.

La giurisprudenza civile, a conclusione di un laborioso percorso interpretativo teso a rileggere criticamente il contenuto precettivo dell’art. 2059 c.c., disancorandolo dall’esclusiva connessione con l’art. 185 del codice penale, e supportata anche dalle pronunce della Corte Costituzionale in materia di danno biologico, è pervenuta ad affermare la risarcibilità delle lesioni di interessi c.d. “areddituali”, cioè non inerenti necessariamente alla salute individuale o collettiva, ma parimenti dotati di rilevanza costituzionale ai sensi dell’art. 2, tanto da essere ritenuti meritevoli di eguale tutela giurisdizionale.

Ne è nata la nozione di danno esistenziale, definito come pregiudizio areddituale, non patrimoniale, tendenzialmente omnicomprensivo, in quanto qualsiasi privazione e/o lesione di attività esistenziali del danneggiato può dar luogo a risarcimento.

In tale ambito è stato collocato il danno all’immagine, consistente per le pubbliche amministrazioni nella lesione del diritto alla propria identità personale, al proprio buon nome, alla propria reputazione e credibilità, in sé considerate, tutelato dall’art. 97 della Costituzione; in particolare, la Corte di Cassazione (Sezione III civile, 04.06.2007 n. 12929) ha statuito che la lesione del diritto della persona giuridica all’integrità della propria immagine è causa di danno non patrimoniale risarcibile, sia sotto il profilo della sua diminuita considerazione presso i consociati in genere o presso quei settori con i quali l’ente interagisce, sia sotto il profilo dell’incidenza negativa che la sminuita reputazione cagiona nell’agire delle persone fisiche dei suoi organi.

Ne consegue che l’illecito in questione si concretizza ogniqualvolta un soggetto, legato da un rapporto di servizio con la Pubblica Amministrazione, ponga in essere un comportamento criminoso e sfrutti la posizione ricoperta per il soddisfacimento di scopi personali utilitaristici e non per il raggiungimento di interessi pubblici generali, così minando la fiducia dei cittadini nella correttezza dell’azione amministrativa, con ricadute negative sull’organizzazione amministrativa e sulla gestione dei servizi in favore della collettività.

Tale orientamento ha superato quello, più risalente nel tempo, che, pur annoverando il danno all’immagine nell’alveo del danno esistenziale, lo colloca normativamente non sotto l’egida dell’art. 2059 c.c., bensì dell’art. 2043 c.c., qualificandolo ugualmente quale danno-evento di natura non patrimoniale (cfr. Sez. Giur. Sicilia nn. 2189, 2160/2011; Sez. Giur. Lombardia n. 208/2011).

L’orientamento più recente delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione, inaugurato con la sentenza n. 26972/2008, ha ricostruito unitariamente la figura del danno non patrimoniale di cui all’art. 2059 c.c., negando il carattere autonomo al danno cosiddetto esistenziale e ridimensionando la categoria del danno evento; va, poi, ricordata la decisione della III Sezione Centrale d’Appello della Corte dei Conti (sentenza n. 143/2009) che, dopo avere ritenuto i principi contenuti nella pronuncia della Suprema Corte non applicabili, immediatamente e autonomamente, al danno all’immagine della Pubblica Amministrazione, si è soffermata sulla “nozione di danno all’immagine subito da un soggetto pubblico come danno patrimoniale da perdita di immagine, di tipo contrattuale, avente natura di danno conseguenza (tale comunque da superare una soglia minima di pregiudizio e la cui prova potrà essere fornita anche per presunzioni e mediante il ricorso a nozioni di comune esperienza)”.

Prescindendo dalla collocazione dogmatica del citato danno, la giurisprudenza ritiene che la violazione del diritto all’immagine della Pubblica Amministrazione sia, comunque, economicamente valutabile, concretizzandosi in un onere finanziario che si ripercuote sull’intera collettività, spostando conseguentemente l’attenzione sulla sua quantificazione; la Corte di Cassazione (Sezioni Unite n. 26806/2009 e n. 8098/2007) ha puntualizzato che il danno all’immagine “anche se non comporta apparentemente una diminuzione patrimoniale alla pubblica amministrazione, è suscettibile di una valutazione economica finalizzata al ripristino del bene giuridico leso”. In altre parole una cosa è la prova della lesione, che è in re ipsa, un’altra quella della sua quantificazione da compiersi in via equitativa, ex art. 1226 c.c., i cui parametri devono essere forniti, però, dall’attore pubblico, anche con il concorso dei fatti notori, di cui all’art. 115, comma 2, c.p.c., e delle presunzioni, di cui agli artt. 2727 ss. codice civile. Allo scopo, è possibile fare riferimento alle spese direttamente sostenute e/o a quelle eventuali da sostenere per il ripristino dell’immagine pubblica lesa e a tutte le ulteriori conseguenze che secondo l’id quod plerumque accidit possono derivare in futuro dalla condotta illecita”.

All’articolato orientamento giurisprudenziale di cui sopra ha fatto seguito il recente intervento del legislatore che, con l’art. 1 del decreto legge 3 agosto 2009 n. 103, convertito nella legge 3 ottobre 2009 n. 141, di modifica dell’art. 17 comma 30 ter del decreto legge 1° luglio 2009 n. 78, convertito con modifiche nella legge 3 agosto 2009 n. 102, senza fornire alcuna definizione di “danno all’immagine”, né indicare i criteri in base ai quali lo stesso debba essere risarcito, ha puntualizzato: “Le procure della Corte dei conti esercitano l’azione per il risarcimento del danno all’immagine nei soli casi e nei modi previsti dall’articolo 7 dalla legge 27 marzo 2001, n. 97. A tale ultimo fine, il decorso del termine di prescrizione di cui al comma 2 dell’articolo 1 della legge 14 gennaio 1994, n. 20, è sospeso fino alla conclusione del procedimento penale”.

Da un lato, quindi, si è avuta la definitiva consacrazione normativa della figura di danno all’immagine subito da un’amministrazione pubblica, frutto in precedenza di esclusiva elaborazione giurisprudenziale, dall’altro si è voluto restringere l’operatività dello stesso ai soli casi in cui i pubblici dipendenti siano stati condannati, con sentenza irrevocabile. come è avvenuto per l’odierno convenuto.

Nel silenzio del legislatore, deve darsi per avallata la prassi giurisprudenziale circa i criteri elaborati per la definizione e la quantificazione del citato danno: il danno all’immagine può, pertanto, essere connesso solo a gravi condotte integranti gli estremi dell’illecito penale, poste in essere dai dipendenti pubblici, di cui si sia avuta eco nell’ambito della comunità organizzata, tanto da minare la fiducia dei cittadini nelle Istituzioni, con effetti distorsivi sull’organizzazione amministrativa e conseguenti costi aggiuntivi da quantificare in via equitativa ai sensi degli artt. 1226 e 2056 c.c. Tale criterio è, del resto, fatto proprio anche dalla Corte di cassazione, la quale, nella sentenza n. 10847 dell’11 maggio 2007, ha affermato che, nell’ipotesi di danno recato all’immagine di un ente pubblico, “la valutazione di siffatto pregiudizio, per sua natura privo delle caratteristiche della patrimonialità, non può che essere effettuata dal giudice alla stregua di un parametro equitativo, essendo difficilmente utilizzabili parametri economici o reddituali (cfr. Cass. 26 maggio 2004, n. 10157, nonché Cass. 9 settembre 2003, n. 13185). Del resto costituisce ius receptum nella giurisprudenza di questa Corte regolatrice che il danno arrecato da pubblici dipendenti (o da soggetti comunque inseriti nell’apparato organizzativo di una pubblica amministrazione) all’immagine dell’ente [...] anche se non comporta una diminuzione patrimoniale diretta, è tuttavia suscettibile di valutazione patrimoniale, sotto il profilo della spesa necessaria al ripristino del bene giuridico leso (Cass., sez. un., 15 luglio 2005, n. 14990).

Il criterio adottato dal giudice del merito - in ultima analisi - non è molto distante da quello normalmente seguito dalla giurisprudenza della Corte dei Conti in materia (che quantifica il danno nella stessa misura delle somme percepite a titolo di tangenti da parte di pubblici dipendenti responsabili di concussione (cfr., ad esempio, C. conti, sez. 2^, 9 ottobre 2003, n. 285/A)”.

L’esercizio del potere equitativo è subordinato, però, alla condizione che sia obiettivamente impossibile, o particolarmente difficile, per la parte interessata e, quindi, per il Pubblico Ministero contabile, provare il danno nel suo preciso ammontare; l’organo requirente non è esonerato dal fornire gli elementi probatori e i dati di fatto a sua disposizione affinché l’esercizio del potere equitativo sia il più possibile volto a colmare solo le lacune insuperabili nell'iter della determinazione dell'equivalente pecuniario del danno stesso, con la conseguenza che, assolto tale compito, il giudice può procedere secondo equità.

A tal fine è possibile utilizzare i criteri indicati dalle Sezioni Riunite di questa Corte nella sentenza n. 10/QM/2003 e ripresi dalla giurisprudenza contabile successiva (cfr. questa Sezione, nn. 514/08, 596/08, 597/08, 249/09, 501/09), nonché quelli individuati dalla Corte di Cassazione, Sezioni Unite Penali, nella recente sentenza n. 15208/2010 e in particolare:

·                    la qualifica posseduta dal convenuto al momento del commesso illecito (nel caso di specie il convenuto @@ @@ @@ era ispettore di Polizia in Servizio presso il Commissariato di @@ e quindi Ufficiale di Polizia Giudiziaria preposto alla prevenzione e repressione dei fatti criminosi o comunque violativi del T.U.L.P.S. e delle leggi in materia di sicurezza pubblica e, sub specie, incaricato proprio delle indagini sul territorio in materia di prostituzione;

·                    il notevole disvalore sociale connesso alla gravità del delitto di concussione, che è il più grave dei delitti contro la P.A., a carattere plurioffensivo e con elevatissima pena edittale (da cinque a dodici anni), unitamente all’entità della pena inflitta (anni due di reclusione, a seguito della scelta del rito abbreviato con una riduzione della pena di un terzo, ex art. 442, comma II, del c.p.p. (la pena base era di anni 4 di reclusione);

·                    il mercimonio, quindi, del munus publicum da parte del @@, con conseguente convincimento, da parte di una numerosa platea di cittadini, anche extracomunitari, di dover sottostare a innominabili richieste per esercitare l’attività del meretricio (“Poliziotto non paga” come detto dalla @@);

·                    La diffusione, nella piccola comunità amministrata, di siffatte condotte, continuate nel tempo.

Alla luce dei parametri sopra indicati, il Collegio ritiene equa la stima di un danno pari ad euro 50.000 (cinquantamila) come richiesto dalla Procura, oltre rivalutazione monetaria, da calcolarsi secondo l’indice ISTAT dei prezzi al consumo per le famiglie di operai e impiegati (FOI), a decorrere dalla data del fatto (3 giugno 2003) e fino alla pubblicazione della presente sentenza; dalla data di pubblicazione sono altresì dovuti, sulla somma come sopra rivalutata, gli interessi nella misura del saggio legale fino all’effettivo pagamento in favore del Ministero dell’Interno.

Si liquidano in favore dello Stato le spese di giustizia - che seguono la soccombenza - nella misura di euro 288,00.=

(Euro duecentottantotto/00.=)

***

P.Q.M.

La Corte dei conti

Sezione giurisidizionale regionale per la Toscana

Definitivamente pronunciando nel giudizio iscritto al n. 58986/R

CONDANNA

@@ @@ @@, generalizzato in atti, al risarcimento del danno nei confronti del Ministero dell’Interno pari ad euro 50.000 (cinquantamila), oltre rivalutazione monetaria, da calcolarsi secondo l’indice ISTAT dei prezzi al consumo per le famiglie di operai e impiegati (FOI), a decorrere dalla data del fatto (3 giugno 2003) e fino alla pubblicazione della presente sentenza; dalla data di pubblicazione sono altresì dovuti, sulla somma come sopra rivalutata, gli interessi nella misura del saggio legale fino all’effettivo pagamento.

Si liquidano in favore dello Stato le spese di giustizia - che seguono la soccombenza - nella misura di euro 288,00.=

(Euro duecentottantotto/00.=)

Così deciso in Firenze, nella Camera di Consiglio del giorno 11 gennaio 2012.

L’ESTENSORE                                          IL PRESIDENTE

      F.to Elena TOMASSINI             F.to Francesco PEZZELLA

 

Depositata in Segreteria il   2 MARZO 2012

                                                           IL DIRETTORE DI SEGRETERIA

                                                                       F.to Paola Altini

SEZIONE ESITO NUMERO ANNO MATERIA PUBBLICAZIONE
TOSCANA Sentenza 113 2012 Responsabilità 02-03-2012
   

Lpd - documenti sfogliabili  

        Solo consultazione.  Non è possibile richiedere l'invio del Pdf.  

 

   
© LPD - Laboratorio di Polizia Democratica