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Polizia Penitenziaria - rapporto di lavoro - diritto al servizio giornaliero di mensa obbligatorio ed alla corresponsione del controvalore del pasto

Dettagli

 


LAVORO (RAPPORTO DI)
Cons. Stato Sez. IV, Sent., 09-02-2012, n. 687

Fatto Diritto P.Q.M.
Svolgimento del processo
Con il ricorso introduttivo del giudizio di primo grado gli originari ricorrenti - cui si erano aggiunti alcuni interventori ad adiuvandum- tutti dipendenti della Polizia Penitenziaria, avevano chiesto il riconoscimento del loro diritto al servizio giornaliero di mensa obbligatorio ed alla corresponsione del controvalore del pasto per la mancata fruizione, nel periodo dall'1 giugno 1989 al 18 dicembre 1998, e che venisse disposta la condanna dell'Amministrazione al versamento del quantum dovuto a tale titolo, maggiorato degli accessori.
Avevano anche chiesto l'annullamento del provvedimento emesso dal Dipartimento dell'Amministrazione penitenziaria - Direzione generale del Personale e della Formazione - Ufficio II - Sezione II - Trattamento giuridico ed economico Polizia penitenziaria 27.12.2007, prot. n. GDAP - 0401639-2007, col quale il Direttore dell'Ufficio aveva espresso parere negativo in ordine "alla richiesta di corresponsione del controvalore del pasto per la mancata fruizione del servizio di mensa obbligatorio" dall'1 giugno 1989 al 18 dicembre 1998, sostenendo che "la L. 30 dicembre 2004, n. 311 con l'art. 1 comma 132 vieta la possibilità di adottare provvedimenti per l'estensione di giudicati amministrativi, in materia di personale delle amministrazioni pubbliche";
Essi sostanzialmente si dolevano della circostanza per cui, oltre a non aver potuto usufruire di detto servizio di mensa, non avevano neppure ottenuto un'indennità sostitutiva o buoni pasto di valore corrispondente, così che avevano dovuto provvedere a proprie spese ai pasti consumati nelle ore di turno.
Il primo giudice, disattesa la eccezione di inammissibilità del ricorso per indeterminatezza e genericità sollevata dall'amministrazione odierna appellata, ed ammesso l'intervento ad adiuvandum spiegato da alcuni colleghi degli originari ricorrenti, ha respinto il ricorso in accoglimento dell'eccezione di prescrizione formulata dall'amministrazione.
Ciò perché il controvalore del pasto costituiva un importo che doveva essere corrisposto periodicamente: rilevava pertanto la prescrizione breve quinquennale di cui all'art. 2948, n. 4, del codice civile.
Neppure poteva applicarsi il principio desumibile dalla sentenza della Corte costituzionale 1 giugno 1966, n. 63 perché questa imponeva il mancato decorso del termine prescrizionale in relazione soltanto al diritto al salario (mentre le somme in questione costituivano un'indennità di natura compensativa).
Per tutti i ricorrenti - nonché per gli interventori ed anche per quelli che risultavano aver messo in mora l'Amministrazione, ma solo nel 2007 - si era quindi perfezionata la prescrizione quinquennale, in relazione all'intero periodo fatto valere (dall'1 giugno 1989 al 18 dicembre 1998) e l'eccezione di prescrizione doveva ritenersi estesa alla domanda di risarcimento del danno meramente economico (in realtà riferita alla medesima pretesa di natura indennitaria).
Avverso la sentenza in epigrafe gli originarii ricorrenti hanno proposto un articolato appello evidenziando che la motivazione della impugnata decisione era apodittica e non teneva conto della circostanza che il petitum contenuto nel mezzo di primo grado faceva riferimento alla omessa erogazione d'ufficio, da parte dell'amministrazione appellata, degli importi sostitutivi della indennità di mensa nella misura del controvalore già dalla stessa fissato ai sensi della L. 18 maggio 1989, n. 203, e dell'art. 12 della L. 15 dicembre 1990, n. 395.
Posto che non erano state dettate le disposizioni attuative del prescritto obbligo di istituzione della mensa obbligatoria (come riconosciuto dalla stessa appellata amministrazione, laddove questa aveva sostenuto trovarsi al cospetto di una posizione di interesse legittimo e non già innanzi ad un diritto soggettivo incondizionato) non poteva neppure essere individuato un dies a quo dal quale fare decorrere il termine prescrizionale.
Con memoria ritualmente depositata gli appellanti hanno puntualizzato e ribadito le proprie doglianze.
L'appellata amministrazione ha depositato un'articolata memoria, chiedendo di respingere il ricorso perché infondato. Ha in proposito evidenziato che gli appellanti non avevano mai messo in mora l'Amministrazione di guisa da potere impugnare l'atto reiettivo della loro pretesa, ovvero il silenzio illegittimamente protrattosi.
Ne conseguiva che non poteva ipotizzarsi una pretesa creditoria di natura risarcitoria per il periodo di riferimento (1989/1998), mentre l'erogazione del buono pasto sostitutivo era stata prevista soltanto con l'art. 35 del D.P.R. 16 marzo 1999, n. 254 .
Alla pubblica udienza del 24 gennaio 2012 la causa è stata posta in decisione dal Collegio.
Motivi della decisione
1. L'appello è infondato e merita di essere respinto.
2. La statuizione del primo giudice in punto di maturata prescrizione della pretesa vantata dagli appellanti appare immune da mende.
2.1. La disposizione normativa sulla quale si fonda il petitum degli appellanti è quella di cui all'art. 1 della L. 18 maggio 1989, n. 203 ("oltre a quanto previsto da specifiche disposizioni di legge o di regolamento, il Ministro dell'interno è autorizzato a disporre, con propri decreti, nei limiti degli stanziamenti iscritti nei competenti capitoli, la costituzione di mense obbligatorie di servizio per il personale della Polizia di Stato che si trova nelle seguenti particolari situazioni di impiego e ambientali: a) personale impiegato in servizi di ordine e sicurezza pubblica o di soccorso pubblico in reparto organico o a questo aggregato, ovvero impiegato in speciali servizi operativi, durante la permanenza nel servizio; b) personale impiegato in servizi di istituto, specificamente tenuto a permanere sul luogo di servizio o che non può allontanarsene per il tempo necessario per la consumazione del pasto presso il proprio domicilio; c) personale impiegato in servizi di istituto in località di preminente interesse operativo ed in situazioni di grave disagio ambientale; d) personale alloggiato collettivamente in caserma o per il quale l'alloggio collettivo in caserma è specificatamente richiesto ai fini della disponibilità per l'impiego.
Per le mense costituite nelle situazioni di impiego e ambientali di cui al comma 1, si applica il trattamento previsto dal primo comma dell'articolo 3 del D.P.R. 11 settembre 1950, n. 807.").
Essa deve essere letta in combinato disposto con l'art. 12 della L. 15 dicembre 1990, n. 395 ("è istituita la mensa di servizio per il personale dell'Amministrazione penitenziaria. Sono altresì istituiti asili nido per i figli dei dipendenti dell'Amministrazione penitenziaria.").
Ulteriore precetto che regola la fattispecie è quello contenuto nell'art. 1 comma 1 D.P.R. 16 marzo 1999, n. 254: "qualora ricorrano le condizioni previste dall'art. 2, comma 1, della L. 18 maggio 1989, n. 203, nelle fattispecie disciplinate dall'art. 1, comma 1, lettera b ), della stessa legge, allorché si provvede ricorrendo ad esercizi privati, l'onere a carico dell'Amministrazione è elevato, ove inferiore, a L. 9.000 a decorrere dalla data di entrata in vigore del presente decreto." .
2.2. La giurisprudenza ordinaria e quella amministrativa si sono più volte interrogate in ordine alla natura retributiva - od assistenziale - della c.d. "indennità di mensa".
La questione tuttavia non appare rilevante nell'ambito dell'odierno giudizio, in considerazione della circostanza che l'emolumento preteso (anche laddove la pretesa venga prospettata in forma risarcitoria conseguente alla mancata attivazione del servizio mensa e quale forma di restaurazione in favore dei lavoratori per le spese sostenute a cagione di detta omessa attivazione del servizio) è certamente connesso alla prestazione lavorativa e soggiace alla prescrizione quinquennale .
Tutti i crediti di lavoro di natura retributiva da corrispondere periodicamente e per trattamento di fine rapporto, come è noto, sono infatti soggetti alla prescrizione estintiva breve di cinque anni e , ancora di recente, la giurisprudenza ha chiarito che "le pretese di contenuto giuridico si prescrivono entro l'ordinario termine decennale, in quanto l'art. 2948 c.c., norma eccezionale, si applica esclusivamente ai pagamenti da effettuarsi ad anno o a scadenza più brevi, mentre a quelle a contenuto patrimoniale, legate alla percezione dello stipendio, si prescrivono nel termine breve quinquennale."(Consiglio Stato , sez. VI, 01 dicembre 2010 , n. 8386).
2.2.1. Nell'unico precedente specifico rinvenibile, anche la giurisprudenza ordinaria di merito è pervenuta al convincimento per cui "premessa la natura retributiva del servizio mensa e dell'indennità sostitutiva della stessa corrisposta indistintamente a tutti i lavoratori a prescindere dal consumo e computabile sugli istituti retributivi indiretti nella misura stabilita convenzionalmente, la vera indennità sostitutiva della mensa va individuata nell'indennità di mancata mensa, corrispondente al valore reale del servizio e computabile negli istituti retributivi di origine legale e in tutti quelli che fanno riferimento alla c.d. retribuzione globale di fatto, fino al 31 dicembre 1990, nei limiti della prescrizione quinquennale" (Pretura Milano, 11 luglio 1992).
2.3. La circostanza che - avuto riguardo alle garanzie di stabilità dal quale è assistito il rapporto di impiego pubblico intrattenuto dagli appellanti con l'appellata amministrazione - la prescrizione decorresse in costanza di rapporto appare del tutto pacifica (si veda, ancora di recente Cassazione civile , sez. lav., 19 gennaio 2011 , n. 1147: ""la decorrenza o meno della prescrizione in corso di rapporto va verificata con riguardo al concreto atteggiarsi del medesimo, ben diversa essendo la situazione psicologica in cui versa il lavoratore per il timore della risoluzione del rapporto, allorché si tratti di lavoro formalmente autonomo, da quella in cui il rapporto di lavoro sia garantita sin dall'inizio della stabilità reale.").
2.4. Quanto infine alla tesi degli appellanti, secondo cui la decorrenza della prescrizione sarebbe stata impedita dalla omessa adozione da parte dell'amministrazione appellata delle disposizioni attuative dei precetti primari e regolamentari soprarichiamati, ne rileva il Collegio la inaccoglibilità.
Il Collegio infatti ritiene di dovere ribadire - anche avuto riguardo al tempo in cui fu instaurata la controversia - il consolidato principio secondo il quale lo speciale procedimento di formazione del silenzio-rifiuto non è compatibile con le controversie aventi ad oggetto diritti soggettivi, dovendo tale accertamento essere proposto mediante l'ordinaria azione di accertamento entro il termine di prescrizione del diritto (né al giudice è consentito convertire d'ufficio la proposta impugnazione del silenzio-rifiuto in una azione di accertamento): ciò perché il rito speciale previsto per l'impugnazione del silenzio rifiuto, di cui all'art. 21 bis della L. 6 dicembre 1971, n. 1034, non è compatibile con le controversie aventi ad oggetto l'accertamento di pretese patrimoniali costitutive di diritti soggettivi di credito, soggette a prescrizione.
Ma anche a volere seguire l'iter argomentativo degli appellanti, ci si troverebbe al cospetto di una prestazione patrimoniale asseritamente dovuta in connessione con un interesse pretensivo all'adozione di atti amministrativi tendenti all'attuazione del precetto previsto ex lege.
L'interfaccia procedimentale della pretesa patrimoniale vantata dagli appellanti non è stato in alcun modo sollecitato né stimolato dagli appellanti stessi i quali non hanno intrapreso alcuna attività tesa ad obbligare l'amministrazione (anche attraverso l'attivazione della procedura del silenzio-rifiuto) ad adottare i precetti attuativi del servizio-mensa, di guisa che appare impossibile sostenere che il termine prescrizionale delle pretese di natura economica con quest'ultimo connesse non potesse decorrere.
2.5. Con la decisione n. 720/2005, peraltro, la Sezione ha condivisibilmente ricostruito l'ordito normativo sotteso alla odierna controversia ed ha riconosciuto la fondatezza della pretesa in quel giudizio avanzata da alcuni colleghi degli odierni appellanti che sostenevano che la normativa di riferimento prescrivesse l'istituzione della mensa obbligatoria in favore (tra l'altro) del "personale impiegato in servizi di istituto, specificamente tenuto a permanere sul luogo di servizio o che non può allontanarsene per il tempo necessario per la consumazione del pasto presso il proprio domicilio" (art.1, lett.b, L. n. 203 del 1989) e che la durata della pausa-pranzo concessa loro (trenta minuti) integrasse gli estremi della condizione richiamata.
In detta pronuncia la Sezione (nel riformare la decisione di primo grado) ha affermato la immediata precettività della disposizione di legge richiamata, stabilendo che essa, "applicabile agli appartenenti al corpo di Polizia Penitenziaria in forza dell'estensione sancita dall'art.3 L. n. 203 del 1989) mirava a garantire il servizio della mensa (a carico dell'amministrazione) al personale delle forze di polizia che, per la consistenza degli impegni connessi ai servizi prestati, non poteva consumare i pasti presso il proprio domicilio e che la limitata (e documentata) durata dell'intervallo assicurato ai ricorrenti (trenta minuti) impediva loro la consumazione del pasto presso il domicilio (tenuto conto della notoria ampiezza dei tempi tecnici occorrenti per gli spostamenti nella città - Roma - in cui gli stessi prestano servizio) e che restava, quindi, confermata la ricorrenza del requisito prescritto dalla disposizione citata per il riconoscimento del diritto all'istituzione della mensa da parte dell'amministrazione" e da ciò ha fatto scaturire la conseguenza che la ha omessa istituzione del servizio mensa implicasse la debenza degli importi sostitutivi (nella misura del controvalore già stabilito dalla stessa amministrazione), a far data dall'1.6.1989 (data della costituzione del titolo) e fino al 18.12.1998 (data del riconoscimento del diritto in questione da parte dell'amministrazione).
Da tale armonica ricostruzione, dalla quale il Collegio non ravvisa motivo per discostarsi, consegue che gli odierni appellanti ben avrebbero potuto pretendere l'erogazione delle somme, e che alla loro inerzia protratta non può che conseguire l'estinzione della pretesa per maturata prescrizione.
3. Conclusivamente, l'appello va respinto.
4. Devono essere compensate le spese processuali sostenute dalle parti avuto riguardo alla natura della controversia.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta), definitivamente pronunciando sull'appello, numero di registro generale 6910 del 2009 come in epigrafe proposto, lo respinge e per l'effetto conferma l'appellata sentenza.
Spese processuali compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

   

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