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Il datore di lavoro che non mostra i documenti per attestare la regolarità del rapporto di lavoro costituisce reato

Dettagli



REPUBBLICA ITALIANA
In nome del popolo italiano
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
Sezione III Penale

composta dagli Ill.mi signori Magistrati:
dott. Saverio Mannino Presidente
1. dott. Claudia Squassoni
2. dott. Giovanni Amoroso
3. dott. Luigi Marini
4. dott. Elisabetta Rosi
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
 
sul ricorso proposto da @@ @@, n. -
Udita la relazione fatta in pubblica udienza dal Consigliere Giovanni Amoroso;
Udito il P.M., in persona del S. Procuratore Generale dott. Sante Spinaci che ha concluso per l'inammissibilità del ricorso;
la Corte osserva:



Fatto
 

1. Con decreto di citazione diretta emesso dal P.M. presso il Tribunale di S. Maria @@V. 30.4.2007 @@ @@ veniva tratto a giudizio del Giudice Monocratico di Caserta, in relazione al reato previsto dall'art. 4 della legge n. 628 del 1961 per non avere esibito, a seguito dell'accesso effettuato il 21 giugno 2006, presso la sede della direzione provinciale del lavoro, la documentazione utile al fine di verificare la regolarità dei rapporti di lavoro instaurati con gli operai @@ @@ e @@ @@.

Con sentenza del 17 dicembre 2009 il tribunale di Santa Maria Capua Vetere dichiarava l'imputato colpevole del reato a lui ascritto e, concesse le attenuanti generiche, lo condannava la pena di euro 300 di ammenda oltre al pagamento delle spese processuali, col beneficio della pena sospes@@

2. Avverso questa pronuncia l'imputato propone ricorso per cassazione.
 
Diritto
 

1. Il ricorso, nei suoi due profili in cui si articola, è inammissibile perché nella sostanza muove censure di merito alla sentenza impugnat@@
L'art. 4, ultimo comma, della legge 22 luglio 1961, n. 628, come modificato dall'art. 28 d.lgs. 19 dicembre 1994, n.758, prevede come reato la condotta del datore di lavoro che, legalmente richiesto di fornire notizie a norma del medesimo articolo, non le fornisca o le dia errate od incomplete (Cass., sez. III, 14 dicembre 2010 - 25 gennaio 2011, n. 2337).
Il reato si perfeziona alla scadenza del momento in cui le informazioni avrebbero dovuto esser date e permane fin quando sussiste tale condotta omissiva; cf@@ Cass., sez. III, 10 dicembre 2002 - 31 gennaio 2003, n. 4687, che ha affermato che l'ultimo comma dell'art. 4 della legge 22 luglio 1961, n. 628, che punisce coloro i quali, legalmente richiesti dall'ispettorato del lavoro di fornire notizie sul processo produttivo, non le forniscano o le diano errate od incomplete, configura nella sua forma omissiva un reato permanente, la cui consumazione si protrae fino alla data della relativa denuncia penale in danno del responsabile.

Nella specie il giudice di merito ha fondato il suo convincimento sugli esiti dell'istruttoria dibattimentale da cui è emerso che l'imputato non ha esibito la documentazione di lavoro relativa agli operai @@ @@ ed @@ @@ richiestagli dalla Direzione Provinciale del lavoro. L'istruttoria dibattimentale - come emerge dalla sentenza impugnata - è consistita nelle dichiarazioni rese dal teste @@, all'epoca dei fatti ispettore della Direzione Provinciale del Lavoro di Casert@@ Nel corso di un'ispezione il @@ aveva richiesto all'imputato di produrre la documentazione relativa al rapporto di lavoro con gli @@ e segnatamente la comunicazione dell'assunzione al Centro per l'Impiego e la denuncia delle giornate lavorative. In particolare risulta che in data 18.7.2006 era stata inviata al @@ l'ultima diffida per esibire la documentazione di lavoro, diffida emessa a seguito della inottemperanza alla precedente diffida impartita nel corso del verbale di accesso del 21.6.2006 e con la quale si poneva come termine ultimo per l'imputato il 21.8.2006. Il @@ non ottemperava neppure a tale ulteriore diffida nel termine concessogli. Il teste @@ ha anche riferito che il @@, successivamente aveva depositato documentazione relativa ai suoi rapporti di lavoro, ma in ritardo; circostanza questa che comunque è valsa a far cessare la permanenza del reato.
2. Pertanto il ricorso va dichiarato inammissibile.
Tenuto poi conto della sentenza 13 giugno 2000 n. 186 della Corte costituzionale e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che "la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità", alla declaratoria dell'inammissibilità medesima consegue, a norma dell'art. 616 @@p.p., l'onere delle spese del procedimento nonché quello del versamento di una somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata in euro 1.000,00
 
P.Q.M.

la Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento di euro mille alla Cassa delle ammende. Così deciso in Roma, il 3 novembre 2011
Depositata in Cancelleria il 23 gennaio 2012

   

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