Decesso di un militare a seguito di una valanga - Parere negativo sulla concessione dei benefici previsti per le vittime del dovere

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Categoria: Sentenze - Ordinanza - Parere - Decreto
Creato Lunedì, 13 Febbraio 2012 12:20
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N. 00480/2012REG.PROV.COLL.

N. 02486/2010 REG.RIC.



REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 2486 del 2010, proposto da:
@@ @@, rappresentato e difeso dagli avv. -


contro

Ministero della Difesa;


per la riforma

della sentenza del T.R.G.A. - DELLA PROVINCIA DI TRENTO n. 00005/2010, resa tra le parti, concernente DINIEGO CONCESSIONE BENEFICI VITTIME DEL DOVERE




Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 8 novembre 2011 il Cons. Umberto Realfonzo e uditi per le parti l’Avv. Maurizio Calò;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.




FATTO e DIRITTO

Con il presente gravame gli appellanti, aventi causa dal militare @@ @@ deceduto in servizio, impugnano la sentenza di cui in epigrafe con cui è stato respinto il loro ricorso diretto all’annullamento della reiezione dell’istanza di data 16.4.2008, ed all’accertamento del loro diritto alle provvidenze previste per le vittime del dovere.

Il loro congiunto, militare di leva, era deceduto in data 12.2.1972 durante un’esercitazione militare sulle montagne di Malles (Val Venosta) in Alto Adige, quando circa 20 militari della 49° Compagnia di un Battaglione appartenente al 5° Reggimento Alpini della Brigata Orobica, ad altezza fra i 2.000 ed i 2.300 m. s.l.m. furono travolti da una valanga precipitata dalle pendici del Monte Vernun.

Il Ministero della Difesa, nel 1973, aveva concesso al padre la pensione privilegiata indiretta a vita di cui alla legge 17.10.1967, n. 974 (prevista per i congiunti dei caduti per cause di servizio) e la speciale elargizione una tantum di cui al combinato disposto dell’art. 2 della legge 14.8.1991, n. 280, e degli artt. 6 e 1 della legge 3.6.1981, n. 308, allora prevista per i militari di leva che avessero subito un evento mortale in servizio.

L’appello è affidato a due rubriche di censura concernenti :

__ 1. l’error in judicando, l’errata motivazione, e l’errata applicazione dell’art. 1, commi 563 e 564 della legge 23.12.2005, n. 266,

__ 2. l’errata, carente e contraddittoria motivazione della sentenza nell’applicazione dell’art. 10 bis della legge 7.8.1990, n. 241.

L’Amministrazione non si è costituita in giudizio.

Chiamata all’udienza di discussione la causa è stata ritenuta in decisione dal Collegio.

L’appello è infondato.

___ 1. Con il primo motivo di gravame si assume che, con l’art. 1, co. 563 e 564 della legge n. 266/2005, si sarebbe ampliata la nozione di “vittime del dovere” ( originariamente previsto dalla legge 13 agosto 1980 n. 466) fino a ricomprendere tutti i soggetti, avessero riportato lesioni in conseguenza di eventi connessi all’espletamento di funzioni di istituto o in operazioni di polizia preventivo repressiva o nell’espletamento dell’attività di soccorso o di tutela della pubblica incolumità. Erroneamente la sentenza avrebbe stravolto la ratio dell’articolo 1, lettera b del d.p.r. n. 243 del 7 luglio del 2006 per cui sono qualificate missioni di qualunque natura “… le missioni, quali ne siano gli scopi, autorizzate dall’autorità gerarchicamente e funzionalmente subordinata al dipendente”.

Erroneamente, infatti, il Tar Trento avrebbe ritenuto che l’elemento di rischio non abbia travalicato “la soglia consueta delle mere esercitazioni, che le truppe alpine sono notoriamente chiamate a svolgere in montagna ed anche in condizioni ambientali proibitive” e che nel caso sarebbe mancato il carattere di missione vera e propria, vale a dire “un’operazione strategica volta nel perseguimento di un obiettivo specifico”. Al contrario tale elemento sarebbe dimostrato dalle risultanze processuali della Corte d’Appello di Torino, (confermata dalla Cassazione) di condanna per omicidio colposo il comandante del reparto.

Nel caso di specie, vi sarebbero stati:

-- il presupposto legale della “missione”, qualunque ne sia lo scopo autorizzato da parte dell’autorità gerarchicamente subordinata in quanto era una manovra invernale di tutti i reparti della brigata Orobica, regolarmente calendarizzata e quindi rientrante nella missione “di qualunque natura di cui al comma 564 n. 266;

-- le particolari condizioni operative che avevano esposto il dipendente a maggior rischio in rapporto alle ordinarie condizioni di svolgimento dei compiti di istituto.

Del tutto inconferentemente il Tar avrebbe citato le missioni Onu, Nato quelle dell’Unione Europea, e le operazione in Italia (i Vespri siciliani, Testuggine, Riace, Partenope, e Domino), per escludere la riconducibilità del caso alla nozione di “missione di qualunque natura”. Al contrario, sarebbero “missioni” tutte le attività che si svolgono al di fuori della guarnigione, per cui viene erogato il c.d. “soprassoldo” (generi di conforto quali caffè, cordiale, cioccolate ecc).

Erroneamente il Tar avrebbe definito un’esercitazione oggettivamente pericolosa, di livello inferiore alla soglia di rischio propria delle truppe alpine ed avrebbe ascritto il decesso ad una mera casualità connessa con l’espletamento di mansioni tipiche di istituto, sia pure riconoscendo contraddittoriamente che l’ambiente era reso ostile dal rigore della stagione, dall’alta montagna e dalla presenza di un superiore inesperto, negligente e titubante che non conosceva la zona, peraltro immersa nell’oscurità, aveva violato le prescrizioni ricevute dal comandante del reparto, non aveva saputo comprendere il rischio delle valanghe cagionando il decesso di sette giovani militari. Stravolgendo la realtà il Tar aveva ritenuto che le marce in montagna costituiscono per le truppe alpine parte essenziale del loro tradizionale impegno addestrativo, Mentre la consegna ai comandanti di unità era di modificare i programmi qualora le condizioni ambientali avessero presento aspetti anormali.

La straordinarietà della situazione sarebbe stata invece dimostrata dal fatto che l’Amministrazione della Difesa aveva provveduto, in via risarcitoria, ad attivare ogni provvidenza in favore dei superstiti, ed avrebbe dovuto corrispondere la speciale elargizione per ragioni di giustizia.

Il motivo è infondato.

Al riguardo, al di là dei sentimenti di pietà umana e di comprensione per la oggettiva tragicità della vicenda del giovane deceduto, sul piano giuridico, deve assolutamente condividersi l’impostazione del Primo Giudice.

La condizione di soldato (ma anche di agente delle forze dell’ordine) è di per sé una condizione connotata ordinariamente da un maggior coefficiente di rischio, per cui il concetto di “vittima del dovere” presenta caratteristiche speciali rispetto a chi è deceduto per “causa di servizio”.

La L. 23 dicembre 2005, n. 266, art. 1 commi da 562 a 565, ed il successivo regolamento di attuazione di cui al D.P.R. 7 luglio 2006, n 243, certamente avevano voluto estendere gli ambiti di concedibilità dei benefici originariamente previsti solamente in favore delle vittime della criminalità e del terrorismo, ad altri, vittime del dovere, originariamente delimitati dall'art. 3 della L. 13.8.1980, n. 466, benefici che però devono essere tenuti distinti dalle ordinarie provvidenze, che, nel caso, sono state ritualmente riconosciute agli eredi del militare.

Le predetta novella infatti concerne esclusivamente il profilo soggettivo ed estende la riconoscibilità dei benefici ai casi di:

-- invalidità permanenti riportate dai dipendenti in attività di servizio o in funzioni di istituto per effetto diretto di “lesioni riportate in conseguenza di eventi verificatisi”(co. 563);

-- infermità permanentemente invalidanti o alle quali consegua il decesso cagionate “in occasione o a seguito di missioni di qualunque natura, effettuate dentro e fuori dai confini nazionali e che siano riconosciute dipendenti da causa di servizio per le particolari condizioni ambientali od operative” (comma 564).

Deve rilevarsi che la norma non ha natura interpretativa, ma un peculiare portato innovativo, che è conseguente sia al mutata ruolo internazionale dell’Italia sia alle nuove politiche dei ricorrenti “interventi straordinari”.

Sotto altro profilo, l’equiparazione tra “vittime di atti di terrorismo” e “vittime del dovere” rappresenta un strumento di estensione del novero dei soggetti cui può essere riconosciuto un beneficio di carattere speciale, ma non muta i presupposti oggettivi per conseguire l’ulteriore “speciale” elargizione. Ha dunque ragione il TAR nel sostenere che la speciale elargizione prevista dalla sopravvenuta legge n. 466/2005 a coloro che erano stati equiparati alle vittime del dovere, doveva comunque tassativamente ancorata all’esistenza dei presupposti legali quali:

- un evento lesivo conseguente all'espletamento di incarichi assolti “in particolare condizioni ambientali od operative”;

- la sussistenza di un “missione di qualunque natura”. Al termine “missione” , in questo contesto normativo, non può essere attribuito un significato burocratico (nel senso classico di semplice trasferta di un dipendente di un ente pubblico), ma l’espressione deve funzionalmente intesa in senso più propriamente tecnico-militare, come incarico operativo a specifico scopo, predefinito dall’autorità di comando.

Perche sorga il diritto alla speciale elargizione prevista dalla legge per le vittime del dovere, non basta cioè che l'evento letale sia genericamente connesso all'espletamento di funzioni d'istituto, ma è indispensabile che sia anche dipendente "da rischi specificamente attinenti a operazioni di polizia preventiva o repressiva o all'espletamento di attività di soccorso" (cfr. Consiglio Stato , sez. IV, 12 marzo 2001 , n. 1404); e che il rischio stesso vada oltre quello ordinario (cfr. Consiglio Stato , sez. VI, 24 giugno 2006 , n. 4042).

Il concetto di “missione di qualunque natura” sta a significare che le norme invocate dagli appellanti, implicano non tanto una prestazione genericamente al di fuori della ordinaria sede di servizio, quanto piuttosto che l’evento lesivo si sia comunque verificato nell’ambito di speciali iniziative di difesa, di polizia, di soccorso, di ordine pubblico, di sostegno sociale, temporalmente limitate e direttamente correlate con gli obiettivi specificamente assegnati ed approvati dal Comando.

Pertanto se, in linea generale, è vero che i commi 563 e 564 dell’art. 1 della legge n. 266/2005, avevano provveduto ad ampliare la nozione di “vittime del dovere” originariamente prevista dalla legge 13 agosto 1980 n. 466, deve concludersi che anche successivamente alla detta novella, è comunque necessario, per l’erogazione dello speciale beneficio, che l’evento sia avvenuto nell’ambito di attività estranee al normale attività addestrativa o operativa.

Esattamente il TAR ha dunque concluso che l’esposizione al pericolo, che pure tali esercitazioni comportano, costituisce un ordinario mezzo per l’ambiente e le condizioni per quanto possibile simili a quelle nelle quali i reparti poi dovrebbero operare” : per gli alpini, quindi, l’escursione invernale resta comunque una normale esercitazione militare con un certo grado di pericolosità.

Inoltre, se è incontestato che non fosse invocabile l’originaria legge n. 466/1980 – in assenza di una apposita disposizione transitoria -- deve comunque denegarsi l’applicabilità ad una disgrazia avvenuta nel 1972, di una legge, quale la n.266/2005, intervenuta oltre trentatre anni dopo.

In ogni caso, ai fini del riconoscimento del beneficio ai sensi del comma 564 invocato dagli appellanti, è giuridicamente necessario che ricorra non solo la particolare gravosità delle circostanze esogene ed un eccezionale rischio, ma anche il presupposto normativo per cui l’evento deve essere specificamente conseguente all’adempimento di una specifica missione.

Il motivo va dunque respinto.

___ 2.Con il secondo motivo si lamenta che l’appellata sentenza avrebbe poi erroneamente rigettato la censura riferita alla dedotta violazione dell’articolo 10 bis della legge n. 241/1990 ritenendo erroneamente che, nella specie, il provvedimento non avrebbe potuto trovare un contenuto diverso. Nel caso l’inevitabilità della tragedia, non sarebbe stata affatto accertata ed anzi sarebbe smentita proprio dal giudicato formatosi in sede penale da cui sarebbe emersa l’assoluta trascuratezze, l’irragionevolezza del comandante, la posizione subordinata di sudditanza di militari, la causa diretta di morte per soffocamento provocato dalla valanga.

Anche in conseguenza delle considerazioni che precedono, l’assunto va disatteso.

In carenza di uno dei presupposti legali per l’adozione del provvedimento, quale nella specie, la presenza di una specifica missione autorizzata dall’autorità, il beneficio non era oggettivamente riconoscibile, per cui il procedimento non poteva comunque avere un diverso esito.

L'art. 10 bis, l. 7 agosto 1990, n. 241, così come le altre norme in materia di partecipazione procedimentale, va interpretato non in senso formalistico, ma avendo riguardo all'effettivo e oggettivo pregiudizio che la sua inosservanza abbia causato alle ragioni del soggetto privato nello specifico rapporto con la Pubblica amministrazione. Pertanto, come più volte riconosciuto dalla giurisprudenza, il mancato preavviso di rigetto di cui all'art. 10-bis, l. 7 agosto 1990 n. 241, non comporta l'automatica illegittimità del provvedimento finale, in quanto in tale ipotesi trova applicazione l'art. 21-octies della stessa legge, secondo il quale il giudice non può annullare il provvedimento per vizi formali, che non abbiano inciso sulla legittimità sostanziale di un provvedimento, il cui contenuto non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato (cfr. Consiglio Stato , sez. IV, 28 gennaio 2011 , n. 679; Consiglio Stato, sez. VI, 18 marzo 2011 , n. 1673).

Il motivo va dunque respinto.

___ 3. In conclusione l’appello è infondato e va respinto.

In assenza della costituzione dell’Amministrazione non v’è luogo a pronuncia sulle spese.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta) definitivamente pronunciando_

___ 1. Respinge l'appello, come in epigrafe proposto.

___ 2. Nulla per le spese .

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 8 novembre 2011 con l'intervento dei magistrati:



Anna Leoni, Presidente FF

Diego Sabatino, Consigliere

Raffaele Potenza, Consigliere

Andrea Migliozzi, Consigliere

Umberto Realfonzo, Consigliere, Estensore







L'ESTENSORE IL PRESIDENTE






DEPOSITATA IN SEGRETERIA

Il 31/01/2012

IL SEGRETARIO

(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)