mancato godimento delle pause previste dalla legge per gli addetti ai videoterminali.

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Categoria: Sentenze - Ordinanza - Parere - Decreto
Creato Giovedì, 26 Gennaio 2012 05:42
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LAVORO (RAPPORTO DI)   -   PROVA DOCUMENTALE   -   PROVA IN GENERE IN MATERIA CIVILE
Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., 30-11-2010, n. 24208

Fatto Diritto P.Q.M.
Svolgimento del processo
Con ricorso al Tribunale di Aosta @@ conveniva in giudizio la s.p.a. @@ esponendo di avere lavorato alle dipendenze della convenuta in qualità di impiegato amministrativo di (OMISSIS) livello e di avere operato dall'ottobre 2000 come cassiere alle Casse Card, dove si potevano acquistare fiches pagando con Bancomat, carta di credito o assegni; impugnava il licenziamento disciplinare intimatogli con lettera del 23.3.2004 chiedendone l'annullamento, con le conseguenze di cui alla L. n. 300 del 1970, art. 18; chiedeva inoltre la condanna della convenuta al risarcimento del danno esistenziale, che quantificava in Euro 100.000,00, ed al pagamento di differenze retributive derivanti dal lavoro straordinario prestato in luogo del riposo, nonchè al risarcimento di un ulteriore danno esistenziale per il mancato godimento delle pause previste dalla legge per gli addetti ai videoterminali.
Costituendosi in giudizio, la s.p.a. @@ contestava il fondamento delle domande, chiedendone il rigetto.
Istruita la causa, con sentenza del 5.5.2006 il Tribunale adito respingeva il ricorso. Avverso detta decisione proponeva appello il @@, con ricorso depositato il 4.5.2007, chiedendone la riforma.
L'appellata, costituitasi, resisteva al gravame. Con sentenza del 12 luglio - 1 agosto 2007, l'adita Corte di Appello di Torino, ritenuto che la svolta istruttoria non dimostrava con certezza quanto contestato con la lettera di addebito e, cioè, l'utilizzo, da parte del @@, di carte di credito altrui, accoglieva l'impugnazione, dichiarando illegittimo il licenziamento con ordine all'appellato Casino di reintegrare il lavoratore appellante nel posto di lavoro e condanna a corrispondere allo stesso, a titolo di risarcimento del danno, le retribuzioni globali di fatto maturate dalla data del licenziamento a quella della effettiva reintegrazione, oltre rivalutazione ed interessi dalle singole scadenze al saldo:
compensava le spese di entrambi i gradi di giudizio.
Per la cassazione di tale pronuncia ricorre i @@ con quattro motivi.
Resiste @@ con controricorso, proponendo altresì ricorso incidentale affidato a due motivi, cui resiste il @@ con controricorso.
Fntrambe le parti hanno depositato memorie. Il @@ ha anche prodotto ulteriore documentazione.
Motivi della decisione
Va preliminarmente disposta la riunione del ricorso principale e di quello incidentale, trattandosi di impugnazioni avverso la medesima sentenza (art. 335 c.p.c.).
Va, inoltre, ed ancora preliminarmente, puntualizzato - per una più agevole esposizione dei termini della controversia, e per una migliore comprensione degli articolati motivi di gravame - che, secondo quanto si ricava dalla stessa sentenza impugnata, con una prima missiva del 23.01.2004 veniva contestato al @@ che la Banca @@ aveva addebitato al @@ l'importo di Euro 1500,00 relativo ad un'operazione eseguita dallo stesso @@ ricorrente (secondo quanto accertato dal datore di lavoro) digitando manualmente il codice della carta di credito in data 4.10.2003, allorquando il cliente titolare della carta, si@@ @@, non risultava essere presente nella casa da gioco, onde il disconoscimento dell'operazione da parte dello stesso.
Con una seconda missiva del 3.3.2004 veniva contestato che il si@@ @@U. aveva disconosciuto l'operazione dell'importo di Euro 500,00 effettuata dal @@ (secondo quanto accertato dalla casa da gioco) con carta di credito del cliente in data (OMISSIS) e che la@@aveva richiesto alla casa da gioco gli scontrini delle operazioni effettuate in data 14.7.2003 presso le Casse card, una delle quali, dell'importo di Euro 1000,00 effettuata sempre dal @@ (secondo quanto accertato dalla casa da gioco), era stata disconosciuta dal si@@ @@P., titolare della carta utilizzata.
Il Giudice di primo grado, dopo avere osservato che, in astratto, ognuna della gravi condotte contestate, consistenti nella volontaria contabilizzazione in danno dei clienti di operazioni di acquisto inesistenti, era tale da incrinare irrimediabilmente il rapporto di fiducia che deve legare il dipendente con mansioni di cassiere alla casa da gioco, ha ritenuto provati gli addebiti sulla base della istruttoria, documentale e testimoniale, espletata.
Il Giudice di appello ha valutato il medesimo materiale probatorio, pervenendo ad opposta conclusione, alla stregua di argomentazioni contestate dall'attuale ricorrente con quattro motivi, e dallo stesso controricorrente, @@, in via incidentale, con due motivi.
Con il primo motivo di ricorso il @@, denunciando omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio (art. 360 c.p.c., n. 5), fa riferimento alla prima lettera di contestazione al @@ del 23.1.2004.
Infatti, il motivo riguarda l'imputazione al @@, cassiere addetto nella notte dal 4 al 5 ottobre 2003 alla cassa POS (Point of Service) della Banca @@ presso la casa da gioco di Saint Vincent, dell'operazione di addebito al titolare della carta di credito VISA (n. (OMISSIS)), si@@ @@ - che quella notte non era presente nella casa da gioco e pertanto aveva disconosciuto l'intera operazione - di un ordine di pagamento per acquisto di fiches dell'importo di Euro 1.500,00, intervenuto - mediante digitazione manuale dei codici della predetta carta - presso la cassa POS suindicata alle ore (OMISSIS) (4.10 come "giornata di gioco" del @@).
Con detto motivo, in particolare, la ricorrente lamenta che il Giudice d'appello, anzichè condividere la valutazione del Giudice di primo grado, che aveva ritenuto insussistente la giusta causa di licenziamento, è stato di opposta opinione in base alla considerazione che la società appellata aveva l'onere di dimostrare che la firma apposta sullo scontrino, disconosciuta dal si@@ @@ e ictu oculi falsa, era stata apposta dal si@@ @@, e questa prova non era stata fornita e nemmeno dedotta".
La Corte di merito avrebbe errato per una serie di ordine di ragioni:
a) in primo luogo perchè la sua affermazione non si è mostrata congruente con il fatto elevato a giusta causa e dedotto a supporto fattuale della eccezione di giusta causa; ciò in quanto il @@, come risultava dalla riportata lettera di contestazione, aveva contestato e posto a base del recesso e, in causa, della eccezione di giusta causa, una operazione compiuta dal cassiere POS contro le istruzioni ricevute (digitazione dei dati della carta, senza impiego materiale della stessa) valutandone poi la gravità alla stregua delle circostanze di copertura; b) in secondo luogo, per avere ritenuto, in contrasto con la decisione di primo grado - che l'operazione in parola sarebbe stata effettuata con "inserimento manuale della carta" e cioè -"pare doversi intendere"- con la presenza fisica della carta di credito, e non già senza l'impiego della stessa, come affermato dal Tribunale; c) infine, avrebbe violato la regola che la decisione sia tratta unicamente dalle allegazioni delle parti, cioè dalle circostanze di fatto dedotte a fondamento della domanda o dell'eccezione e dalle prove offerte dalle parti medesime nel caso in esame, invece, la sentenza impugnata, dopo avere dato atto che il si@@ @@ aveva registrato l'operazione in esame nel sistema informatico del @@ attribuendola al codice cliente n. (OMISSIS), corrispondente ad un cliente diverso dal @@ e, precisamente a tale si@@ @@, presente la sera del 4.10.2003 - almeno secondo la difesa del @@ - nella casa da gioco, aveva ritenuto non sufficiente tale circostanza a dimostrare l'esecuzione, da parte del @@, di una falsa operazione di vendita di fiches od anche il comportamento del dipendente volto ad occultare l'illecito compiuto, mediante l'inserimento nel computer aziendale di dati fittizi apparentemente regolari (l'acquisto di fiches da parte di un cliente presente). A sostegno della insufficienza della dimostrazione la Corte di merito aveva, infatti, ipotizzato la possibilità che alla Cassa Card dove operava il si@@ @@ si sarebbe potuto essere presentato un individuo, in possesso del biglietto di ingresso nominativo rilasciato all'entrata del @@ intestato al si@@ @@, consegnando al si@@ @@ una carta di credito donata a quella del si@@ @@; il si@@ @@ avrebbe eseguito una normale operazione di vendita di fiches per l'importo di Euro 1.500,00, effettuando un "inserimento manuale" della carta di credito nel POS; il cliente avrebbe sottoscritto lo scontrino con una firma, ovviamente, difforme da quella autografa del si@@ @@; il si@@ @@ avrebbe infine registrato l'operazione nel sistema informatico del @@ attribuendola al si@@ @@, cioè al nominativo indicato sul biglietto di ingresso presentatogli dal cliente.
Osserva il Collegio che sussiste il denunciato difetto di motivazione in quanto il ragionamento della Corte di appello si basa solo su una presupposizione che non regge ad un esame critico per vari ordini di ragioni: innanzitutto perchè il dipendente avrebbe dovuto accertarsi delle generalità di colui che gli aveva dato la Carta, poi perchè appare poco verosimile che vi fosse una clonazione della carta di credito all'epoca dei fatti esclusa dalla Banca; nè si può sottovalutare per ritenere infondata la doglianza che il si@@ @@ non era presente nel @@ allorquando vi era stata la utilizzazione della carta e che sulla base degli impegni che il @@ aveva nei riguardi della Banca - da osservarsi dai suoi dipendenti - il pagamento delle fiches dovesse avvenire attraverso la strisciata della carta e non digitando i numeri della carta stessa - peraltro conoscibili indipendentemente dalla presenza fisica della carta e compiendo una operazione comunque contraria alle direttive ed alla normalità d'uso. La stessa Corte territoriale, nel sostenere che per "inserimento manuale della carta", pare doversi intendere presenza fisica della carta di credito, e non già assenza di impiego della stessa, attraverso la semplice digitazione degli estremi della carta di credito, mostra di essere tutt'altro che convinta della esattezza della sua interpretazione circa il sistema dell'operazione, senza, peraltro, preoccuparsi di approfondirne le modalità.
Il motivo va, pertanto, accolto.
Con una seconda censura la ricorrente denuncia violazione delle regole inerenti l'onere della prova dell'autenticità di un documento sottoscritto, non autenticato, proveniente da un terzo in relazione all'art. 360 c.p.c., n. 3.
In particolare, si sostiene che erroneamente il Giudice d'appello nella sentenza impugnata abbia ritenuto, rispetto a tutti e tre i fatti contestati, gravare a carico del datore di lavoro l'onere di dimostrare la non autenticità della sottoscrizione degli scontrini POS inerenti alle operazioni di acquisto di fiches che i clienti del @@ dei quali si tratta avevano negato di aver fatto, dichiarando non essere propria la sottoscrizione apposta sullo "scontrino POS" relativo.
Con il terzo motivo la ricorrente, denunciando falsa applicazione dell'art. 2697 c.c. e violazione degli artt. 437 e 421 c.p.c. in relazione all'art. 360 c.p.c., n. 3, censura la Corte di Torino che, pur dando atto dei "consistenti elementi probatori emersi dall'istruttoria", ha ritenuto non sufficientemente provata la sussistenza della giusta causa dedotta a fondamento del licenziamento del si@@ @@.
Il particolare, censura il rilievo della Corte di merito secondo cui avrebbe dovuto essere richiesta una CTU grafologica per dimostrare che le firme disconosciute sugli scontrini POS fossero effettivamente apocrife.
I due motivi appena esposti, da trattarsi congiuntamente per la loro stretta connessione, sono fondati.
Va chiarito che il Giudice a qua, in relazione all'operazione riguardante il si@@ @@ ha osservato che il cliente aveva disconosciuto una delle due operazioni, di Euro 500,00 ciascuna, effettuate, con la sua carta di credito, dalla cassa cui era addetto il @@ in data (OMISSIS); ha aggiunto che erano sono stati prodotti, in copia, i due scontrini, uno delle ore (OMISSIS), recante la firma riconosciuta dal si@@ @@, l'altro delle ore (OMISSIS), recante la firma disconosciuta dal cliente. Le due firme, seppure diverse in alcuni elementi, non apparivano affatto tali da consentire un immediato giudizio di falsità della seconda sottoscrizione) il fatto che il si@@ @@ avesse disconosciuto la paternità della firma presente sul secondo scontrino non significava che quella firma fosse con certezza apocrifa, e fosse inoltre da addebitare al si@@ @@ - il quale aveva sempre disconosciuto la riconducibilità alla propria persona delle firme apposte sugli scontrini contestati - in assenza di una CTU grafologica che avrebbe dovuto essere richiesta dal datore di lavoro, sul quale gravava l'onere di dimostrare che la firma disconosciuta dal si@@ @@ era stata apposta dal si@@ @@ o, quantomeno, che si trattava effettivamente di sottoscrizione apocrifa.
Analoghe considerazioni potevano svolgersi in relazione all'operazione riguardante il si@@ @@P. anche in questo caso, il cliente aveva disconosciuto una delle due operazioni, di Euro 1.000,00 ciascuna, effettuate, con la sua carta di credito, dalla cassa cui era addetto il si@@ @@, in data 14.7.2003 ed era stata prodotta copia (pressochè illeggibile, tanto da essere ... ripassata a mano) dei due scontrini, uno delle ore (OMISSIS) e l'altro - ove la firma era stata disconosciuta - delle ore (OMISSIS).
Sennonchè - prosegue il Giudice d'appello -, apparendo le due firme pressochè integralmente sovrapponibili e, comunque, molto simili tra loro, allo stato, non poteva certamente ritenersi raggiunta la prova - il cui onere era a carico del datore di lavoro - della falsità della firma disconosciuta dal cliente nè, tantomeno, della sua attribuibilità alla mano del si@@ @@.
Orbene, va considerato che il sistema di funzionamento delle carte di credito interessa tre soggetti: ente emittente che l'azienda - banca o ente finanziario - che provvede ad emettere la carta di credito, definendo un contratto di finanziamento con il titolare della carta;
i titolari di carta, considerati clienti della società emittente e sono coloro che spendono denaro attraverso l'utilizzo della carta;
l'ente esercente ossia l'esercizio commerciale che, aderendo ad un circuito di pagamento, permette ai propri clienti di pagare attraverso il mezzo di pagamento convenzionato, alternativo al contante. L'adesione al circuito avviene solitamente tramite l'intermediazione di una società di gestione terminali (acquirer) che offre servizi di vendita o noleggio POS, contabilizzazione e rendicontazione dei pagamenti, reportistica e gestione delle controversie (solitamente definite dispute), comunicazione flussi informativi da e verso i circuiti stessi.
Secondo l'interpretazione della giurisprudenza il memorandum di spesa (nella specie, lo scontrino POS) nelle operazioni di acquisto di beni o servizi mediante carta di credito (trilaterale) costituisce una dichiarazione unilaterale di debito alla cui sottoscrizione è legittimato il solo titolare della carta di credito (Cass. pen., sez. 1. 9.3.2004, n. 11023 cit.), mentre, sul piano civilistico, si tratta di una c.d. scrittura privata proveniente da terzi.
In materia, questa Corte ha chiarito che le scritture private provenienti da terzi estranei alla lite possono essere liberamente contestate dalle parti, non applicandosi alle stesse nè la disciplina sostanziale di cui all'art. 2702 cod. civ., nè quella processuale di cui all'art. 214 cod. proc. civ., atteso che esse costituiscono prove atipiche il cui valore probatorio è meramente indiziario, e che possono, quindi, contribuire a fondare il convincimento del giudice unitamente agli altri dati probatori acquisiti al processo. Nell'ambito delle scritture private deve, peraltro, riservarsi diverso trattamento a quelle la cui natura conferisce loro una incidenza sostanziale e processuale intrinsecamente elevata, tale da richiedere la querela di falso onde contestarne l'autenticità (Cass. S.U. n. 15160/2010).
In particolare, secondo le regole elaborate dalla giurisprudenza, nel caso che l'autenticità del documento formi oggetto di contestazione, il relativo onere probatorio incomberà a chi del documento vuoi far uso sostenendone la genuità. Pertanto, appare fondata la censura di violazione delle regole sull'onere della prova; tanto più che - e la circostanza è pacifica - le operazioni in contestazione risultano tutte effettuate dalla cassa dove poteva accedere solo il @@.
La sentenza, peraltro, nell'affermare che, di fronte al disconoscimento, da parte del @@, della riconducibilità alla propria persona delle firme apposte sugli scontrini contestati, il datore di lavoro avrebbe dovuto richiedere una "CTU grafologica", gravando sullo stesso l'onere che le firme disconosciute erano state apposte dal @@, si pone in contrasto con l'indirizzo di questa Corte secondo cui in materia di procedimento civile, la consulenza tecnica d'ufficio non costituisce un mezzo di prova, ma è finalizzata all'acquisizione, da parte del giudice, di un parere tecnico necessario, o quanto meno utile, per la valutazione di elementi probatori già acquisiti o per la soluzione di questioni che comportino specifiche conoscenze. La nomina del consulente rientra quindi nel potere discrezionale del giudice, che può provvedervi anche senza alcuna richiesta delle parti, sicchè ove la parte ne faccia richiesta non si tratta di un'istanza istruttoria in senso tecnico ma di una mera sollecitazione rivolta al giudice affinchè questi, avvalendosi dei suoi poteri discrezionali, provveda a riguardo; ne consegue che una tale richiesta non può mai considerarsi tardiva, ancorchè formulata dalla parte tardivamente costituitasi in giudizio (ex plurimis, Cass. n. 9461/2010). In particolare, l'esigenza probatoria ritenuta come indispensabile (CTU grafologica) attiene propriamente all'attività del giudice ed è estranea alla disponibilità della parte.
Gli esaminati motivi vanno, dunque, accolti con assorbimento del quarto con cui la ricorrente, lamentando la violazione dell'art. 112 c.p.c. e, in connessione, violazione del diritto alla prova art. 115 c.p.c., per l'omessa pronuncia sullo "aliunde perceptum", dedotto in subordine per la riduzione del danno da licenziamento ritenuto ingiustificato e ammesso dal ricorrente in relazione all'art. 360 c.p.c., n. 4.
Quanto al ricorso incidentale va osservato che esso si articola formalmente in due motivi, di cui con il primo il @@ lamenta la "omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio e ragioni per le quali la dedotta insufficienza della motivazione la rende inidonea a giustificare la decisione".
I "fatti controversi", secondo quanto si afferma nel ricorso incidentale, consisterebbero sia nell'accoglimento parziale dell'appello, anzichè integrale come richiesto dal si@@ @@" sia nella "compensazione delle spese di entrambi i gradi per la ritenuta soccombenza reciproca delle parti in lite" Con il secondo il @@ denuncia - con richiamo all'art. 360 c.p.c., n. 3 e agli artt. 366 bis e 366 c.p.c. - la "violazione o falsa applicazione di norme di diritto" indicate negli artt. 91, 92, 112, 113 c.p.c. "nel combinato disposto con gli artt. 1218 e 1226 c.c. e con l'art. 24 Cost.".
In ordine alla questione della mancata fruizione delle pause fisiologiche, di cui al primo motivo, nessun argomento ha svolto il @@ che possa mettere in discussione la decisione adottata dal Giudice di appello, che, per un verso, ha escluso il diritto allo straordinario, collocandosi il mancato godimento di dette pause all'interno dell'orario di lavoro ordinario, e, per altro verso, ha ritenuto per nulla provata e neppure allegata una lesione dell'integrità psicofisica del lavoratore, possibile fonte di danno, non configurabile in re ipsa (Cass. S.U. n. 6572/06). Quanto, invece, alla ritenuta erronea compensazione delle spese la questione viene assorbita dall'accoglimento del ricorso principale. Solo per completezza va aggiunto che i documenti prodotti dal @@ "ex artt. 372 e 378 c.p.c." non possono essere presi in considerazione non riguardando "la nullità della sentenza impugnata e l'ammissibilità del ricorso o del controricorso". Per quanto precede, l'impugnata sentenza va cassata in relazione all'accoglimento dei ricorso principale nei termini sopra esposti, con rinvio per il riesame ad altra Corte di appello, indicata in dispositivo, che provvederà anche alla regolamentazione delle spese del presente giudizio.
P.Q.M.
LA CORTE riunisce i ricorsi; accoglie i primi motivi del ricorso principale e dichiara assorbito il quarto. Dichiara assorbito il motivo di ricorso incidentale in ordine alla intervenuta compensazione delle spese, rigettando quello concernente la mancata fruizione delle pause fisiologiche. Cassa la sentenza impugnata in relazione all'accoglimento del ricorso principale nei termini sopra esposti, con rinvio, anche per le spese, alla Corte di appello di Torino.