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le mazzette di segnalazione della polizia municipale: armi o strumenti operativi?

Dettagli

LE MAZZETTE DI SEGNALAZIONE DELLA POLIZIA MUNICIPALE: ARMI O STRUMENTI OPERATIVI?
(Avv. Bruno Troya)
L'Autore si sofferma sul regime giuridico che regola la dotazione di armi della polizia municipale, con particolare riferimento alle cosiddette mazzette di segnalazione.



Periodicamente ritorna agli onori della cronaca la questione relativa alle cosiddette “mazzette di segnalazione”, cioè, in pratica, di quei manganelli che vengono forniti in dotazione ai vigili urbani.

Recentemente è stato il Comune di Salerno a deliberare l’assegnazione ai propri 244 agenti di Polizia Municipale di questi “strumenti di autodifesa”, ma in passato, dalla fine degli anni ’90 in poi, più volte se ne è parlato con riferimento soprattutto a Comuni del nord Italia[1].

In questa sede non vogliamo entrare nel merito dell’opportunità che i Corpi di Polizia Locale si dotino o meno di questi strumenti. E’ questione strettamente connessa all’evoluzione, o, meglio, all’involuzione, della situazione dell’ordine e della sicurezza pubblica nelle città italiane.

Vogliamo, tuttavia, esaminare la questione da un punto di vista strettamente tecnico-giuridico cercando di fare ordine, sotto questo specifico aspetto, nella materia.

La mazzetta di segnalazione in questione è un “oggetto” in gomma bianca, lungo circa 50 centimetri, con impugnatura, correggilo di sicurezza da polso in nastro di pelle, con all’estremità distale una zona, alta circa 15 centimetri, ad alta visibilità di colore arancio, nastro o vernice.

Non vi sono particolari dubbi che l’oggetto in questione sia, pertanto, uno “sfollagente”, cioè un manganello al quale è applicata una fascia colorata ad alta visibilità, una specie di catarifrangente.

Per definizione normativa, infatti, lo sfollagente è un oggetto “in gomma o materiale sintetico, cilindrico, internamente cavo, con impugnatura scanalata, anello in lamierino con doppia campanella, moschettone e cinturino di cuoio fissato all'attacco o alla base dell'impugnatura, diametro di cm. 3 e lunghezza compresa tra cm 40 e cm 60”. E’ questa la descrizione contenuta nell’art. 11 del D.P.R. 5 ottobre 1991, n. 359 (Regolamento che stabilisce i criteri per la determinazione dell'armamento in dotazione all' Amministrazione della pubblica sicurezza e al personale della Polizia di Stato che espleta funzioni di polizia).

Analogamente pare indubitabile che la “mazzetta di segnalazione”, con le predette caratteristiche, sia un’arma.

Essa, infatti, a norma dell'art. 4, comma 1 della legge 110/75 è definita un’arma comune non da sparo, unitamente ad altre categorie quali le armi bianche (pugnali, baionette, coltelli, spade), essendo annoverata tra gli strumenti per i quali sussiste un divieto assoluto di porto (insieme a mazze ferrate, bastoni ferrati e noccoliere).

Da un punto di vista strettamente tecnico trattasi di “arma propria” in quanto strumento atto ad offendere per sua destinazione naturale[2], come le armi da fuoco, quelle da taglio o da punta, quelle batteriologiche o chimiche, i congegni esplodenti, dirompenti o incendiari, etc.. Ciò è confermato dall’art. 30 del Testo Unico delle Leggi di Pubblica Sicurezza, laddove nella nozione di armi si ricomprendono “le armi proprie, cioè quelle da sparo e tutte le altre la cui destinazione naturale è l'offesa della persona”.

L’oggetto in questione è classificabile come arma anche agli effetti della Legge penale (art. 585 del c.p.), laddove viene confermato che per armi si intendono quelle da sparo e tutte le altre la cui destinazione naturale è l'offesa della persona.

In pratica la mazzetta di segnalazione è uno sfollagente e in quanto tale è un’arma. In particolare è un’arma propria[3].

Fatta questa premessa occorre ragionare sul fatto se i Corpi di Polizia Municipale possono dotarsi o meno di tali armi.

La legge 7 marzo 1986, n. 65 (Legge quadro sull’ordinamento della Polizia Municipale), all’art. 5, comma 5 (come modificato dall'art. 17, comma 134, L. 15 maggio 1997, n. 127), stabilisce che “gli addetti al servizio di polizia municipale ai quali è conferita la qualità di agente di pubblica sicurezza possono, previa deliberazione in tal senso del consiglio comunale, portare, senza licenza, le armi, di cui possono essere dotati in relazione al tipo di servizio nei termini e nelle modalità previsti dai rispettivi regolamenti, anche fuori dal servizio, purché nell'ambito territoriale dell'ente di appartenenza e nei casi di cui all'articolo 4. Tali modalità e casi sono stabiliti, in via generale, con apposito regolamento approvato con decreto del Ministro dell'interno, sentita l'Associazione nazionale dei comuni d'Italia. Detto regolamento stabilisce anche la tipologia, il numero delle armi in dotazione e l'accesso ai poligoni di tiro per l'addestramento al loro uso”.

Il regolamento che stabilisce la tipologia delle armi in dotazione agli addetti al servizio di polizia municipale ai quali è conferita la qualità di agente di pubblica sicurezza è il Decreto del Ministero dell'Interno 14 marzo 1987 n° 145.

L’articolo 4 di detto Decreto stabilisce che “l'arma in dotazione agli addetti di cui all'art. 1 è la pistola semi-automatica o la pistola a rotazione i cui modelli devono essere scelti fra quelli iscritti nel catalogo nazionale delle armi comuni da sparo di cui all'art. 7 della legge 16 aprile 1975, n. 110 e successive modificazioni. Il modello, il tipo ed il calibro sono determinati con il regolamento di cui all'art. 2, il quale può prevedere un modello ed un tipo di pistola, fra quelli iscritti in catalogo, diverso per il personale femminile. Lo stesso regolamento può altresì determinare:

a) la dotazione della sciabola per i soli servizi di guardia d'onore in occasione di feste o funzioni pubbliche, fissandone il numero in ragione degli addetti ai servizi medesimi:

b) la dotazione di arma lunga comune da sparo per i soli servizi di polizia rurale e zoofila eventualmente esplicati dagli addetti dì cui all'art. 1.”

Ricapitolando, gli operatori di Polizia Municipale con la qualifica di agenti di p.s. possono portare soltanto la pistola semi-automatica o la pistola a rotazione. Per i servizi di rappresentanza può essere prevista una sciabola. Per i soli servizi di polizia rurale e zoofila può essere loro attribuito un fucile.

Resta allora da chiedersi come abbiano fatto tecnicamente i Comuni a dotare i propri Corpi di Polizia Municipale degli sfollagente, sia pure “di segnalazione”.

E’ presto detto.

Infatti, l’art. 6 della citata legge quadro 65/1986, al secondo comma, stabilisce che le regioni provvedono con legge regionale, fra l’altro, a “disciplinare le caratteristiche dei mezzi e degli strumenti operativi in dotazione ai Corpi o ai servizi, fatto salvo quanto stabilito dal comma 5 del precedente articolo 5”.

In buona sostanza la legislazione in materia di dotazione di armi agli agenti di p.s. è attribuita in via esclusiva allo Stato, che la esercita a mezzo dell’apposito regolamento approvato con decreto del Ministro dell'interno, ossia il D.M. 145/1987.

La legislazione in materia di “mezzi e strumenti operativi in dotazione” alle Polizia Locali è devoluta alla competenza regionale, che va esercitata, tuttavia, nel rispetto del limite per materia attribuito alla competenza statale[4].

Ed ecco che per incanto lo “sfollagente/arma propria” si trasforma in “mazzetta di segnalazione/strumento operativo in dotazione”.

Una tale soluzione lascia assolutamente perplessi.

Né in tale materia si può invocare la devolution, poiché l’art. 117 della Costituzione attribuisce alla competenza legislativa esclusiva dello Stato la materia dell’ordine pubblico e sicurezza, ad esclusione della polizia amministrativa e locale.

Ma poiché l’attribuzione delle armi, con i limiti già visti, è astrattamente possibile solo per gli addetti al servizio di polizia municipale ai quali è conferita la qualità di agente di pubblica sicurezza, è da respingere un’eventuale interpretazione per la quale, trattandosi di armi in dotazione alla polizia locale, in detta materia la potestà legislativa sia regionale.

La circostanza, peraltro, è confermata dal fatto che le Regioni, nell’attribuire ai Corpi di Polizia Locale le mazzette di segnalazione, lo fanno in quanto “strumenti operativi in dotazione” e non come armi, con ciò dimostrando due cose: da un lato di avere ben presente il limite in detta materia della legislazione esclusiva statale e, dall’altro, operando una manovra di aggiramento e trasformando surrettiziamente quella che è un’arma propria in uno strumento di segnalazione visiva.

Non vi sarebbe da meravigliarsi allora se, in futuro, qualche regione decida di includere tra gli strumenti in dotazione ai propri Corpi di Polizia Municipale un oggetto descritto come “asta di materiale ligneo di altezza ricompresa tra 180 e 220 cm, del diametro di circa 2 centimetri, avente in cima una scure tagliente da entrambi i lati, da una parte, e di una o più punte, dall'altra, con all’estremità distale una zona, alta circa 15 centimetri, ad alta visibilità di colore arancio, nastro o vernice, ovvero sormontata sulla cuspide da apposito segnalatore lampeggiante di colore blu”.

E che tale oggetto sia definito “asta di segnalazione” ovvero “alabarda di segnalazione” ed utilizzato per dirigere il traffico in ore notturne.

 


 


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[1] Molti ricorderanno le iniziative del Sindaco di Treviso Gentilini, dalla stampa definito “sindaco sceriffo”.

[2] In ciò differenziandosi dalle cd. “armi improprie” che sono strumenti atti ad offendere non per loro destinazione naturale bensì per le modalità d’impiego (e tra le quali rientrano, ad esempio, le mazze, i tubi, le catene, i bulloni, le sfere metalliche, etc.).

[3] Volendo si può affermare, come pare abbia fatto il sindaco di Salerno, che esso sia uno strumento di “autodifesa”. In realtà qualsiasi strumento atto ad offendere lo è anche, in linea di principio, a difendere. Ma questo è un altro discorso.

[4] Per il Veneto, ad esempio, ai sensi dell’art. 17 della legge regionale 41/2003 sono state adottate le delibere di Giunta Regionale 2689/2004, 2350/2005 e, da ultimo, la n. 1054 dell’11 aprile 2006.

Per gentile concessione liberatoria Avv. Bruno Troya

   

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