... che, nonostante i "caveat" o "health warnings", sui danni da fumo, aveva continuato a fumare con una scelta autonoma ... stato indotto dalla dicitura "lights") di ridurre i danni da fumo
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- Creato Domenica, 30 Ottobre 2011 07:34
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RESPONSABILITA' CIVILE - TABACCO
Cass. civ. Sez. III, Sent., 17-12-2009, n. 26517Fatto Diritto P.Q.M.
Svolgimento del processo
xxxxx conveniva davanti al giudice di pace di Napoli la s.p.a. ETI (Enti Tabacchi Italiani, poi British American Tobaco, Bat Italia s.p.a.) per sentirla condannare al risarcimento dei danni, nei limiti del giudizio di equità, derivanti dall'ingannevolezza dei descrittivi - "leggera" o "Lights" - apposti sul contenitore di sigarette, per effetto dei quali egli, già fumatrice di sigarette Rothmans normali, era passato a questo tipo di sigarette più "leggere", nella convinzione indotta, ma errata, che esse fossero meno dannose; che, in effetti egli aveva finito, per un fenomeno di compensazione per fumare un maggior numero di sigarette; che queste c.d. sigarette "leggere" erano egualmente dannose; che egli aveva subito un danno esistenziale nel momento in cui aveva avuto coscienza dell'inutilità della scelta delle sigarette "leggere", che avevano, anzi peggiorato le sue condizioni di vita.Si costituiva la convenuta, che proponeva varie eccezioni e chiamava in causa l'Amministrazione Autonoma dei Monopoli di Stato, per essere da questa manlevata, in caso di condanna.
Il Giudice di pace, con sentenza definitiva depositata il 7.11.2003, condannava la convenuta al pagamento della somma di Euro 1000,00 a titolo di risarcimento del danno in favore dell'attore, oltre alle spese processuali. Rigettava la domanda nei confronti della chiamata Amministrazione Monopoli di Stato.
Riteneva il giudice di pace che la convenuta aveva colpevolmente prodotto, commercializzato e pubblicizzato confezioni di sigarette con l'utilizzo della dicitura "LIGHT", atta ad indurre in errore il consumatore medio in ordine alla presunta minore pericolosità e nocività di tali prodotti rispetto a quelli "normali". Secondo il giudice l'attrice da tale errore indotto aveva subito il danno esistenziale dovuto al peggioramento della qualità della vita conseguente allo stress ed al turbamento per il rischio del verificarsi di gravi danni ed al peggioramento delle abitudini e condizioni di vita. Tale danno era liquidato equitativamente nella predetta somma.Avverso questa sentenza ha proposto ricorso per cassazione la convenuta BAT Italia s.p.a.
Resiste con controricorso l'Amministrazione Autonoma dei Monopoli di Stato. La ricorrente ha presentato memoria.
Motivi della decisione
1. Il primo motivo di ricorso censura la sentenza per avere omesso di accertare la sussistenza o meno degli elementi costitutivi della responsabilità aquiliana, i quali, comunque, non sarebbero riscontrabili nella fattispecie in esame. Sostiene, infatti, la ricorrente che la propria condotta non potrebbe qualificarsi illecita, in quanto l'accertamento della natura ingannevole della dicitura LIGHT, ad opera dell'Autorità Garante, non esplica nessun effetto diretto in ordine all'accertamento della responsabilità civile e, comunque, la dicitura in questione è stata vietata solo dal settembre 2003, sicchè per il periodo precedente la relativa condotta non può essere considerata illecita, tanto più che i pacchetti di sigarette LIGHT riportavano, in modo identico ad ogni altro tipo di sigarette, le avvertenze imposte a salvaguardia della salute dei consumatori. Assume la ricorrente che sia il provvedimento dell'autorità garante che la direttiva comunitaria vietavano la dicitura Lights solo dal 2003, mentre, quanto al periodo precedente,unico rilevante nella fattispecie, non poteva configurarsi nessuna ipotesi di inganno.2.1. Il motivo è infondato.E' vero che a norma dell'art. 7 della direttiva 2001/37/CE, cui è stata data attuazione tramite il D.Lgs. n. 184 del 2003, solo dal 30 settembre 2003 sono vietate le dicitu. L'art. 2043 c.c., fa infatti riferimento al "fatto doloso o colposo" ed al "danno ingiusto", ma non al "fatto illecito".Per cui ciò che rileva è che il fatto dell'agente abbia prodotto la lesione di una posizione giuridica altrui, ritenuta meritevole di tutela da parte dell'ordinamento, lesione non altrimenti giustificata.Nella stessa linea di pensiero nessun rilievo ha la norma di cui al D.Lgs. n. 184 del 2003, art. 10, nella parte in cui dispone che "le sigarette non conformi alle disposizioni del presente decreto possono ancora essere commercializzate fino al 30 settembre 2003". Ciò significa solo che, anche per la particolare fattispecie indicata da tale norma, transitoriamente le sigarette prodotte potevano essere vendute, senza che ciò costituisse illecito amministrativo, ma non che il produttore di sigarette fosse autorizzato a "produrre danno ingiusto" alla persona, così come non poteva produrlo per il periodo antecedente all'entrata in vigore del D.Lgs. n. 184 del 2003. re, denominazioni, marchi, immagini o altri elementi, che suggeriscono che un particolare prodotto del tabacco è meno nocivo di altri.Sennonchè la circostanza che solo dal 30/9/2003 la dicitura "lights" non possa essere apposta sulla confezione di sigarette non esclude che tale parola non possa costituire il fatto integrante la responsabilità aquiliana, antecedentemente a tale data.2.2. In ogni caso nella fattispecie la parte attrice ha fatto valere il diritto al risarcimento del danno da messaggio ingannevole (lights) apposto sul pacchetto di sigarette, indipendentemente dall'esplicito divieto all'utilizzo di tale dicitura.
L'ordinamento già con il D.Lgs. 25 gennaio 1992, n. 74 (abrogato dal D.Lgs. 6 settembre 2005, art. 146,) sanzionava la pubblicità ingannevole statuendo all'art. 2, lett. B) che per "pubblicità ingannevole", dovesse intendersi qualsiasi pubblicità che in qualunque modo, compresa la sua presentazione, induca in errore o possa indurre in errore le persone fisiche o giuridiche alle quali è rivolta o che essa raggiunge e che, a causa del suo carattere ingannevole, possa pregiudicare il loro comportamento economico ovvero che, per questo motivo, leda o possa ledere un concorrente.3. Con il secondo motivo di ricorso la ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione dei principi ispiratori in tema di responsabilità civile, per omesso accertamento dell'elemento soggettivo, nonchè la radicale ed insanabile contraddittorietà della motivazione.4. Con il terzo motivo di ricorso la ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione dei principi della responsabilità civile, avendo la sentenza impugnata condannato la Bat Italia, pur in mancanza dell'accertamento di una condotta illecita, dolosa o colposa, alla medesima imputabile. Assume la ricorrente che essa non aveva svolto alcuna attività per ingenerare nel consumatore il convincimento della minore nocività delle sigarette lights.Secondo la ricorrente la sentenza impugnata è incorsa in violazione e falsa applicazione dei principi informatori della responsabilità civile, con particolare riguardo al rapporto di causalità ed all'omessa valutazione della condotta del fumatore come fattore che interrompe il nesso causale, nonchè il vizio motivazionale dell'impugnata sentenza.Lamenta la ricorrente che non risulta provato che il danno assunto derivasse dalla condotta di essa ricorrente; che essa non era tenuta ad apporre sui pacchetti di sigarette, che già contenevano le diciture (previste dalla legge) relative ai danni del fumo, ulteriori dichiarazioni aggiuntive per le sigarette lights, poichè il consumatore-fumatore era già avvertito di tali danni dalle diciture esistenti ed aveva consapevolmente accettato il rischio del fumo.5.1.1 suddetti due motivi vanno esaminati congiuntamente,essendo connessi. Essi sono fondati, salvo che nel riferimento al comportamento del consumatore-fumatore.
L'art. 2043 c.c., fissa i principi informatori della responsabilità civile, ai quali anche il giudice di pace nel giudizio di equità deve attenersi, quanto alla struttura del fatto dannoso (costituito da una condotta, almeno colposa, da un evento lesivo e da un nesso causale che unisca etiologicamente la prima al secondo) ed al danno risarcibile, inteso come danno consequenziale all'evento lesivo.L'art. 2059 c.c., fissa, invece, i principi informatori della materia in tema di risarcimento del danno non patrimoniale,per cui tale danno è risarcibile (oltre alle ipotesi tipicamente previste dalla legge) solo allorchè l'evento dannoso incida su valori della persona umana costituzionalmente garantiti (Cass. S.U. 11.11.2008, n. 26972).5.2. Come rilevato da S.U. n. 794 del 15/01/2009, in ricorso avverso sentenza similare del giudice di pace di Napoli, la sentenza manca di qualsiasi motivazione in ordine alla natura ingannevole della pubblicità, sussistendo, in proposito, la mera citazione del provvedimento dell'Autorità Garante (del quale non sono riportate neppure le ragioni) ed il riferimento alle affermazioni dello stesso attore; manca, poi, la motivazione in ordine all'esistenza del nesso di causalità tra la propagazione del messaggio ingannevole ed il danno ingiusto lamentato.Manca, altresì, qualsiasi argomentazione in ordine all'atteggiamento psicologico della società convenuta, pur avendo la parte attrice e quella intervenuta proposto domanda risarcitoria ex art. 2043 c.c. (e non ex art. 2050 c.c.). Sul punto bisogna dire che la ricorrente ha, per un verso, ragione quando sostiene che tale elemento della fattispecie risarcitoria debba essere adeguatamente provato e motivato; tuttavia essa sbaglia, per altro verso, quando ritiene che sia necessaria la dimostrazione di avere essa mirato a presentare le sigarette in questione come meno dannose per la salute. Così argomentando la società finisce con il pretendere la dimostrazione del dolo, ossia della volontà del comportamento diretto ad ingannare; laddove, invece, è sufficiente presupposto risarcitorio la dimostrazione della colposa diffusione di un messaggio prevedibilmente idoneo ad insinuare nel consumatore il falso convincimento intorno alle caratteristiche ed agli effetti del prodotto.5.3. E' infondata la censura secondo cui il giudice non avrebbe tenuto conto del comportamento del fumatore, che, nonostante i "caveat" o "health warnings", sui danni da fumo, aveva continuato a fumare con una scelta autonoma che comportava l'interruzione del nesso causale tra il produttore delle sigarette ed il danno da fumo e l'esclusiva responsabilità del fumatore a norma dell'art. 1227 c.c., comma 1.Nella fattispecie, infatti, non è prospettabile la questione della volontaria assunzione (freedom of choice) di rischio da parte del danneggiato, poichè non sì fa questione del danno da fumo subito dal fumatore, che ne era avvertito, ma del danno da pubblicità ingannevole e cioè di quello subito da parte di un soggetto fumatore, che riteneva di ridurre il rischio di danno, proprio fumando tali sigarette lights.6. Con il quarto motivo di ricorso la ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione dei principi ispiratori in tema di individuazione del danno risarcibile (ex art. 360 c.p.c., nn. 3 e 4).
Assume la ricorrente che non risulta provato nè l'assunto peggioramento delle condizioni ed abitudini di vita nè il danno alla vita di relazione ed il danno non patrimoniale, quale danno esistenziale.Nella fattispecie il giudice di pace ha ritenuto che la parte attrice, passando a fumare sigarette "leggere" (Rothmans blu) in luogo di quelle normali (che già fumava), sulla base dell'errata convinzione (a cui era stato indotto dalla dicitura "lights") di ridurre i danni da fumo, proprio perchè tale risultato non era stato conseguito, avesse subito un danno alla salute, alla vita di relazione, atteso il peggioramento delle condizioni ed abitudini di vita e la paura di ammalarsi. La ricorrente lamenta da una parte l'inconsistenza di tali danni e dall'altra, la mancanza di prova in merito da parte dell'attore, con conseguente ritenuto automatismo di detto danno.7.1. Il motivo è fondato sotto entrambi i profili.Osserva questa Corte che, anche in tema di risarcimento del danno da responsabilità aquiliana (sia esso patrimoniale che non patrimoniale) occorre che sia provata l'esistenza di questo danno di cui si chiede il risarcimento, non potendo ritenersi che il danno sia in re ipsa, cioè coincida con l'evento, poichè il danno risarcibile è pur sempre un danno conseguenza anche nella responsabilità aquiliana, giusti i principi di cui agli artt. 2056 e 1223 c.c., e non coincide con l'evento, che è invece un elemento del fatto, produttivo del danno.Invero il danno risarcibile, nella struttura della responsabilità aquiliana, non si pone in termini di automatismo, con il fatto dannoso.La linea logica che sostenesse il contrario ed a cui pare ispirarsi la sentenza impugnata, si fonderebbe essenzialmente sul presupposto che, una volta verificatosi il fatto dannoso, la dimostrazione del danno ingiusto risarcibile sarebbe "in re ipsa", per cui non ricadrebbe sull'attore originario l'onere della dimostrazione delle singole situazioni di pregiudizio subite e risarcibili.
Questa impostazione non è accettabile.Ed invero sostenere ciò significa affermare la sussistenza di una presunzione in base alla quale, una volta verificatosi il fatto, appartiene alla regolarità causale la realizzazione del danno ingiusto oggetto della domanda risarcitoria, per cui la mancata conseguenza di tale pregiudizio debba ritenersi come eccezionale.Così operando si pone a carico del convenuto danneggiante l'onere della prova contraria all'esistenza del danno in questione, senza che esso sia stato provato dall'attore.7.2. Occorre, quindi, che l'attore-danneggiato fornisca la specifica prova del danno lamentato.
Quanto al danno alla salute, esso deve essere provato attraverso l'accertamento medico-legale (D.Lgs. n. 209 del 2005, artt. 138 e 139; Cass. S.U. 26972/2008) e non attraverso la prova testimoniale.
Ciò vale tanto più nella fattispecie in esame in cui l'attore assume di essere già un fumatore e come tale già esposto coscientemente ai rischi e danni da fumo, ma lamenta che il passaggio alle sigarette più "leggere", che secondo il messaggio subliminalmente "ingannevole" nel predetto descrittivo avrebbe dovuto comportargli una riduzione del rischio e del danno da fumo, in effetti non gli ha dato il risultato sperato, essendo danno e rischio da fumo rimasti inalterati.Sennonchè la statuizione risarcitoria dell'impugnata sentenza non ha ad oggetto questo danno per così dire "differenziale" tra la situazione precedente e quella seguente l'induzione all'uso delle sigarette lights, ma un generico danno da peggioramento della salute ed alla vita di relazione, non altrimenti precisato nè provato, ma ritenuto in re ipsa.7.3. Egualmente è fondato il motivo di ricorso nella parte in cui censura il risarcimento per un generico danno non patrimoniale conseguente a tale pubblicità ingannevole.Come sopra detto, a seguito dello specifico arresto delle S.U. n. 26972/2008, il danno non patrimoniale di cui all'art. 2059 c.c., è risarcibile, oltre che nei casi specificamente previsti dalla legge, solo nel caso di danno conseguente a lesione di valori della persona umana, costituzionalmente garantiti.Le S.U. - inoltre - hanno escluso che possa sussistere una generica categoria di danno esistenziale.
Nella fattispecie il danno da pubblicità ingannevole (salvo che non si risolva in un danno alla salute da accertarsi nei termini suddetti) ha come referente costituzionale più prossimo solo l'art. 41 Cost., il quale garantisce la libertà dell'iniziativa economica privata e l'autodeterminazione delle scelte in materia. Tale norma tuttavia appartiene alla sfera dei rapporti economici e non dei diritti inviolabili della persona, con la conseguenza che l'evento lesivo, che attinge la posizione tutelata dall'art. 41 Cost., non può dar luogo, in assenza di una specifica norma, a danno non patrimoniale.Quanto al diritto all'autodeterminazione, esso può essere tratto dal Codice del consumo che, all'art. 2, riconosce come fondamentali i diritti del consumatore ad una adeguata informazione e ad una corretta pubblicità, nonchè all'esercizio delle pratiche commerciali secondo principi di buona fede, correttezza e lealtà. 7.4. Quanto alla paura di ammalarsi, in dottrina è stato fatto riferimento al danno da pericolo già elaborato dalle Sezioni Unite, quando, a proposito del disastro di (OMISSIS), è stato ritenuto risarcibile il danno morale soggettivo lamentato da coloro che avevano subito un turbamento psichico (non tradottosi in malattia) a causa dell'esposizione a sostanze inquinanti ed alle conseguenti limitazioni del normale svolgimento della loro vita (Cass. sez. un. 21 febbraio 2002, n. 2515). Tuttavia, non si può omettere di considerare che siffatta soluzione è stata accolta in un caso in cui il danno lamentato era posto in collegamento causale con un fatto costituente il reato di disastro colposo e, dunque, in riferimento all'art. 185 c.p..8. Il quinto motivo di ricorso, relativo alla legittimazione passiva dell'Amministrazione autonoma dei Monopoli dello Stato, essendo stata la domanda di manleva nei confronti di questa Amministrazione proposta subordinatamente all'accoglimento della domanda dell'attore nei confronti della BAT, va dichiarato assorbito, a seguito dell'accoglimento dei motivi secondo, terzo e quarto.
9. Con il sesto motivo di ricorso la ricorrente lamenta la violazione del principio di corrispondenza tra il chiesto ed il pronunziato, per omessa pronunzia in merito all'eccezione di prescrizione, sollevata dalla convenuta.
10. Il motivo è fondato.Nella sentenza impugnata il giudice da atto dell'eccezione di prescrizione proposta dalla Bat (pag. 3 sentenza), ma poi omette di pronunziarsi su tale eccezione, così violando l'art. 112 c.p.c., che fissa il principio della corrispondenza tra il chiesto ed il pronunziato.11. Pertanto va rigettato il primo motivo di ricorso; vanno accolti, nei termini suddetti, il secondo, terzo, quarto, e sesto motivo e va dichiarato assorbito il quinto motivo.
Va cassata la sentenza impugnata, con rinvio ad altro giudice di pace di Napoli, che si uniformerà ai seguenti principi di diritto: 1) "L'apposizione, sulla confezione di un prodotto, di un messaggio pubblicitario considerato ingannevole (nella specie il segno descrittivo "LIGHT" sul pacchetto di sigarette) può essere considerato come fatto produttivo di danno ingiusto, obbligando colui che l'ha commesso al risarcimento del danno, indipendentemente dall'esistenza di una specifica disposizione o di un provvedimento che vieti l'espressione impiegata". 2) "Il consumatore che lamenti di aver subito un danno per effetto di una pubblicità ingannevole ed agisca, ex art. 2043 c.c., per il relativo risarcimento, non assolve al suo onere probatorio dimostrando la sola ingannevolezza del messaggio, ma è tenuto a provare l'esistenza del danno, il nesso di causalità tra pubblicità e danno, nonchè (non avendo egli agito ex art. 2050 c.c.) almeno la colpa di chi ha diffuso la pubblicità, concretandosi essa nella prevedibilità che dalla diffusione di un determinato messaggio sarebbero derivate le menzionate conseguenze dannose".Esistono giusti motivi (segnatamente la novità di alcune questioni trattate) per compensare tra tutte le parti le spese di questo giudizio di cassazione.P.Q.M.
Rigetta il primo motivo di ricorso; accoglie , nei termini di cui in motivazione, il secondo, terzo, quarto e sesto motivo e dichiara assorbito il quinto motivo.
Cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa ad altro giudice di pace di Napoli.
Compensa tra tutte le parti le spese di questo giudizio di cassazione.
Così deciso in Roma, il 18 novembre 2009.Depositato in Cancelleria il 17 dicembre 2009