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E’ esclusa la riammissione in servizio se il rapporto è cessato per provvedimento disciplinare

Dettagli

 

 

N. 03842/2011REG.PROV.COLL.
N. 03261/2006 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 3261 del 2006, proposto da:
Ministero dell'Economia e delle Finanze - Com. Gen. Guardia di Finanza, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Gen. dello Stato, domiciliata per legge in Roma, via dei Portoghesi, 12;

contro
#################### ####################, rappresentato e difeso dagli avv.-

per la riforma
della sentenza del T.A.R. LOMBARDIA - SEZ. STACCATA DI BRESCIA n. 00067/2006, resa tra le parti, concernente DINIEGO PROLUNGAMENTO O RIPRISTINO RAPPORTO DI IMPIEGO



Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l’appello incidentale proposto;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 29 marzo 2011 il Cons. Oberdan Forlenza e uditi per le parti gli avvocati Maurizio Greco (avv. St.) e Giorgio Allocca;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.



FATTO
1. Con l’appello in esame, il Ministero dell’economia e delle finanze – Comando generale della Guardia di finanza, impugna la sentenza 25 gennaio 2006 n. 67, con la quale il TAR per la Lombardia, sede di Brescia, in accoglimento del ricorso proposto dal sig. #################### ####################, ha annullato il provvedimento del Capo del I Reparto del Comando generale della Guardia di Finanza 18 giugno 2004 n. 205427/P3, di reiezione dell’istanza di prolungamento o ripristino del rapporto di impiego del ricorrente, ai sensi dell’art. 3, comma 57, l. n. 350/2003.
Il ricorrente, all’epoca dei fatti maresciallo capo della Guardia di Finanza, è stato sottoposto a procedimento penale per gravi reati (venendo contestualmente sottoposto dapprima a sospensione obbligatorio, in seguito a sospensione facoltativa), risultando successivamente assolto perché il fatto non sussiste.
Il medesimo è stato sottoposto anche a procedimento disciplinare, all’esito del quale gli è stata inflitta la sanzione della perdita del grado per rimozione. Tale provvedimento è stato tuttavia annullato dal TAR Lombardia, con sentenza n. 1348/2003, appellata dall’amministrazione.
Tanto premesso, la sentenza appellata, con riferimento al provvedimento di reiezione impugnato, ha affermato:
- l’art. 3, comma 57, l. n. 350/2003, che prevede il prolungamento o il ripristino del rapporto di impiego per i dipendenti pubblici sospesi dal servizio o che abbiano chiesto di essere collocati anticipatamente in quiescenza a seguito di un procedimento penale conclusosi con assoluzione con formula ampia, si applica con riferimento sia ai periodi di sospensione obbligatoria, sia ai periodi di sospensione facoltativa.
- il ripristino del rapporto di impiego, nelle ipotesi contemplate dal citato art. 3, comma 57, può ottenersi anche laddove il rapporto sia cessato non a richiesta del’interessato (ipotesi espressamente contemplata), ma per provvedimento disciplinare, successivamente annullato dal giudice.
Avverso tale decisione, vengono proposti i seguenti motivi di appello:
a) error in iudicando, violazione art. 3, comma 57, l. n. 350/2003, ciò in quanto “il legislatore ha inteso distinguere la posizione giuridica soggettiva del dipendente pubblico il cui procedimento penale si sia definito con una pronuncia rientrante fra quelle indicate dal comma 57 dell’art. 3, dalla posizione del personale per cui il procedimento penale si sia definito con una decisione rientrante fra quelle previste dal successivo comma 57bis”, di modo che nel primo caso vi è “un vero e proprio diritto soggettivo al ripristino del rapporto di impiego”, mentre nel secondo vi è un interesse legittimo “al cospetto della facoltà dell’amministrazione di accogliere l’istanza all’uopo proposta, dopo aver valutato la fattispecie dal punto di vista disciplinare”;
b) error in iudicando, violazione del combinato disposto dell’art. 3, comma 57, l. n. 350/2003 e dell’art. 2, comma 4, d.l. n. 66/2004, poiché la seconda delle disposizioni indicate subordina l’applicazione della prima, in favore del personale delle Forze Armate e di polizia ad ordinamento militare, al rispetto delle vigenti disposizioni in materia di reclutamento, stato giuridico, avanzamento, di modo che eventuali provvedimenti disciplinari, quali la rimozione, costituiscono “elemento ostativo all’accesso al beneficio in parola”.
Si è costituito in giudizio l’appellato #################### ####################, che ha concluso richiedendo il rigetto dell’appello, stante la sua infondatezza.
Ha altresì proposto appello incidentale “limitatamente ad alcune precisazioni contenute a pag. 6 (ultimo cpv.) e a pag. 7 (primo cpv.), nonché in chiusura della pronuncia (pag. 9):
a) error in iudicando, poiché “tutti gli episodi considerati in sede disciplinare sono stati invero trattati anche nel giudizio penale”, di modo che “contrariamente a quanto affermato al primo cpv. di pag. 7 della decisione del TAR, il richiamo ai contenuti e alla formula della sentenza penale di proscioglimento già varrebbe in sé ad assorbire ogni questione inerente al cd. “problema disciplinare” e alla sua inidoneità a reagire con il beneficio del prolungamento o del ripristino del rapporto di impiego che la legge collega esclusivamente all’avvenuto proscioglimento penale”;
b) error in iudicando, poiché il giudice di i grado “avrebbe dovuto propendere per la totale irrilevanza di tale valutazione disciplinare ai fini della concessione del beneficio richiesto” e non “condizionare il ripristino del rapporto di impiego all’incerto esito del pendente giudizio di appello avverso il provvedimento sanzionatorio”. Ne consegue che “il provvedimento sanzionatorio adottato nei confronti dell’odierno appellante potrà, se del caso, produrre i suoi effetti solo dopo il decorso del triennio di temporanea riammissione in servizio del dipendente” contemperando “da un lato, la necessità di conservare integro il potere disciplinare dell’amministrazione e, dall’altro lato, l’esigenza di garantire comunque una qualche forma di risarcimento al dipendente che, già sospeso dal servizio (con gravissime ripercussioni sul piano economico e morale) sia stato poi definitivamente prosciolto con la formula più ampia”.
Con ordinanza 4 luglio 2006 n. 3266, questo Consiglio di Stato ha accolto la domanda cautelare di sospensione dell’esecutività della sentenza appellata.
Con memoria 3 ottobre 2007, l’amministrazione appellante ha evidenziato che il Consiglio di Stato, con sentenza n. 2844/2007, ha accolto l’appello avverso la sentenza del TAR Brescia, confermando la legittimità del provvedimento disciplinare di perdita del grado per rimozione,l a suo tempo adottato nei confronti del ####################.
All’odierna udienza la causa è stata riservata in decisione.
DIRITTO
2. L’appello è fondato e deve essere, pertanto, accolto.
L’art. 3 della legge 24 dicembre 2003 n. 350, nel testo attualmente vigente (ed a seguito delle modifiche apportate dal d.l. n. 66/2004) prevede:
(comma 57): “Il pubblico dipendente che sia stato sospeso dal servizio o dalla funzione e, comunque, dall'impiego o abbia chiesto di essere collocato anticipatamente in quiescenza a seguito di un procedimento penale conclusosi con sentenza definitiva di proscioglimento perché il fatto non sussiste o l'imputato non lo ha commesso o se il fatto non costituisce reato o non è previsto dalla legge come reato ovvero con decreto di archiviazione per infondatezza della notizia di reato, anche se pronunciati dopo la cessazione dal servizio, [e, comunque, nei cinque anni antecedenti la data di entrata in vigore della presente legge: parole soppresse dall’art. 2, co. 30, d.l. n. 225/2010] anche se già collocato in quiescenza alla data di entrata in vigore della presente legge, ha il diritto di ottenere, su propria richiesta, dall'amministrazione di appartenenza il prolungamento o il ripristino del rapporto di impiego, anche oltre i limiti di età previsti dalla legge, comprese eventuali proroghe, per un periodo pari a quello della durata complessiva della sospensione ingiustamente subita e del periodo di servizio non espletato per l'anticipato collocamento in quiescenza, cumulati tra loro, anche in deroga ad eventuali divieti di riassunzione previsti dal proprio ordinamento, con il medesimo trattamento giuridico ed economico a cui avrebbe avuto diritto in assenza della sospensione. Alle sentenze di proscioglimento di cui al presente comma sono equiparati i provvedimenti che dichiarano non doversi procedere per una causa estintiva del reato pronunciati dopo una sentenza di assoluzione del dipendente imputato perché il fatto non sussiste o perché non lo ha commesso o se il fatto non costituisce reato o non è previsto dalla legge come reato. Ove la sentenza irrevocabile di proscioglimento sia stata emanata anteriormente ai cinque anni antecedenti alla data di entrata in vigore della presente legge, il pubblico dipendente può chiedere il riconoscimento del migliore trattamento pensionistico derivante dalla ricostruzione della carriera con il computo del periodo di sospensione dal servizio o dalla funzione o del periodo di servizio non espletato per l'anticipato collocamento in quiescenza.”
(comma 57 – bis): “Ove il procedimento penale di cui al comma 57, ricorrendo ogni altra condizione ivi indicata, si sia concluso con provvedimento di proscioglimento diverso da decreto di archiviazione per infondatezza della notizia di reato o sentenza di proscioglimento perché il fatto non sussiste o l'imputato non lo ha commesso o se il fatto non costituisce reato o non è previsto dalla legge come reato, anche pronunciati dopo la cessazione dal servizio, l'amministrazione di appartenenza ha facoltà, a domanda dell'interessato, di prolungare e ripristinare il rapporto di impiego per un periodo di durata pari a quella della sospensione e del servizio non prestato, secondo le modalità indicate nel comma 57, purché non risultino elementi di responsabilità disciplinare o contabile all'esito di specifica valutazione che le amministrazioni competenti compiono entro dodici mesi dalla presentazione dell'istanza di riammissione in servizio.”
Come è dato osservare, i commi 57 e 57bis dell’art. 3 della. n. 350/2003, con riferimento ai dipendenti pubblici sospesi dal servizio o dalla funzione e, comunque, dall'impiego o che abbiano chiesto di essere collocati anticipatamente in quiescenza a seguito di un procedimento penale, contemplano due distinte situazioni:
- la prima, relativa a coloro che hanno ottenuto: a) una sentenza definitiva di proscioglimento perché il fatto non sussiste o l'imputato non lo ha commesso o perchè il fatto non costituisce reato o non è previsto dalla legge come reato ovvero un decreto di archiviazione per infondatezza della notizia di reato, anche se pronunciati dopo la cessazione dal servizio; ovvero: b) provvedimenti che dichiarano non doversi procedere per una causa estintiva del reato pronunciati dopo una sentenza di assoluzione perché il fatto non sussiste o perché non lo ha commesso o perchè il fatto non costituisce reato o non è previsto dalla legge come reato;
- la seconda, relativa a coloro che hanno ottenuto un provvedimento di proscioglimento diverso da decreto di archiviazione per infondatezza della notizia di reato o sentenza di proscioglimento perché il fatto non sussiste o l'imputato non lo ha commesso o perchè il fatto non costituisce reato o non è previsto dalla legge come reato, anche pronunciati dopo la cessazione dal servizio.
Le due disposizioni, ferma l’individuazione delle caratteristiche soggettive dei beneficiari ivi contemplati, differiscono sia in ordine ai presupposti (tipologia del provvedimento del giudice penale), sia in ordine alla posizione giuridica dell’interessato (diritto o interesse legittimo), sia in ordine ai poteri dell’amministrazione di appartenenza dell’istante ed alle incombenze a questa rimesse.
Le caratteristiche soggettive, invece, sono identiche in ambedue le ipotesi: deve, cioè, trattarsi di un “pubblico dipendente che sia stato sospeso dal servizio o dalla funzione e, comunque, dall'impiego o abbia chiesto di essere collocato anticipatamente in quiescenza a seguito di un procedimento penale”.
Ancorchè il comma 57-bis non ripeta tali caratteristiche soggettive, non può esservi dubbio alcuno circa la loro identità in ambedue le ipotesi normative, sia perché, sul piano logico-sistematico, non vi sono ragioni di differenziazione, sia perché lo stesso legislatore, laddove al comma 57-bis prevede che quanto in esso previsto trova applicazione “ricorrendo ogni altra condizione ivi indicata” (cioè nel comma 57), ha chiaramente inteso limitare l’applicazione dei commi 57 e 57-bis alle sole due ipotesi della sospensione (dal servizio, dalla funzione, dall’impiego), e del collocamento anticipato in quiescenza a seguito di procedimento penale.
Quanto alla prima differenza, inerente alla tipologia del provvedimento del giudice penale, occorre osservare che, ponendo a raffronto i commi 57 e 57-bis, si rileva come - in disparte le considerazioni sulle differenti tipologie di archiviazione (artt. 408-411 c.p.p.) - quanto alle sentenze di proscioglimento, ciò che le differenzia non è la formula, più o meno ampia., utilizzata dal giudice (essendo richiamate, in ambedue i commi, tutte le classiche quattro tipologie di sentenze di assoluzione previste dall’art. 530 c.p.p.), bensì la circostanza che, nel caso del comma 57, sono prese in considerazione “sentenze definitive”, nel caso del comma 57-bis, invece, solo “sentenze” .
Tale differenza, che costituisce una delle chiavi ermeneutiche delle norme in esame, risalta ancor di più laddove si consideri che, nel comma 57, proprio perché la prima ipotesi considerata è quella delle “sentenze definitive”, è altresì prevista (introdotta dal d.l. n. 66/2004) quella dei provvedimenti che dichiarano non doversi procedere per una causa estintiva del reato pronunciati dopo una sentenza di assoluzione perché il fatto non sussiste o perché l’imputato non lo ha commesso o perchè il fatto non costituisce reato o non è previsto dalla legge come reato.
In altre parole, il legislatore ha inteso equiparare, quanto al presupposto, all’ipotesi di sentenze “definitive” di proscioglimento con le formule considerate, l’ulteriore ipotesi di sentenze dichiarative dell’improcedibilità per una causa estintiva del reato, purchè successive ad una sentenza (evidentemente non definitiva) di assoluzione con una delle dette formule.
Ed il fatto che il comma 57-bis e l’ipotesi “aggiuntiva” (ed equiparata), ora richiamata, nel comma 57, siano state introdotte contestualmente dal d.l. n. 66/2004, depone in favore di un disegno coerente del legislatore.
In definitiva, ciò che distingue (con particolare riguardo alle sentenze di proscioglimento) il comma 57 dal comma 57-bis non è il tipo di formula di proscioglimento utilizzata (se cioè il proscioglimento sia stato di maggiore o minore “ampiezza”), ovvero – sempre con riferimento alla formula di assoluzione – la considerazione (peraltro opinabile) che talune formule consentirebbero autonome valutazioni in sede disciplinare dei medesimi fatti che hanno formato oggetto del processo penale, ed altre invece no. Al contrario, la differenza consiste nella definitività della sentenza del giudice penale nel primo caso (comma 57), salvo l’ipotesi “equiparata” sopra descritta, e nella non definitività della sentenza di proscioglimento, nel secondo caso.
Tale differenza, così precisata, consente di fornire risposta anche al terzo ed al secondo dei profili sopra evidenziati, relativi, rispettivamente, ai poteri dell’amministrazione di appartenenza dell’istante ed alle incombenze a questa rimesse, ed altresì alla posizione giuridica dell’interessato (diritto o interesse legittimo).
In presenza di provvedimenti giurisdizionali di cui al comma 57, non è richiesta all’amministrazione alcuna valutazione o attività particolari, posto che la stessa è tenuta a porre in essere una attività sostanzialmente vincolata che, in presenza del presupposto e della domanda dell’interessato, consiste in atti che comportino, come prevede il medesimo comma 57, “ il prolungamento o il ripristino del rapporto di impiego, anche oltre i limiti di età previsti dalla legge, comprese eventuali proroghe, per un periodo pari a quello della durata complessiva della sospensione ingiustamente subita e del periodo di servizio non espletato per l'anticipato collocamento in quiescenza, cumulati tra loro, anche in deroga ad eventuali divieti di riassunzione previsti dal proprio ordinamento, con il medesimo trattamento giuridico ed economico a cui avrebbe avuto diritto in assenza della sospensione”.
A conferma della natura vincolata dell’attività dell’amministrazione, occorre osservare che il comma 57 si esprime testualmente affermando il “diritto” di ottenere, il prolungamento o il ripristino del rapporto di impiego. E nel senso che, nelle ipotesi di cui al citato comma 57, la posizione dell’interessato consista in un diritto soggettivo si è già espressa la giurisprudenza di questo Consiglio di Stato (sez. IV, 26 gennaio 2009 n. 409; 6 maggio 2008 n. 2063).
Occorre, tuttavia, precisare che la natura vincolata del potere dell’amministrazione, ed il diritto soggettivo, pur riconosciuto, alla riammissione in servizio sono tali nel preciso ambito delineato dalla norma, di modo che resta fermo il potere disciplinare autonomo dell’amministrazione.
Ne consegue che sussiste il diritto soggettivo alla riammissione in servizio (e la corrispondente natura vincolata dell’attività amministrativa volta a disporre tale riammissione), nella misura in cui la “presunta” rilevanza penale del fatto sia stata l’unica causa di sospensione o cessazione per dimissioni del rapporto ed a condizione che non sussistano diversi ed autonomi provvedimenti adottati dall’amministrazione (avverso i quali è, ovviamente, garantita la tutela giurisdizionale), ostativi alla riammissione in servizio.
Invece, in presenza di provvedimenti giurisdizionali di cui al comma 57-bis, attesa (con riferimento alle sentenze) la loro non definitività, il legislatore ha previsto non già il dovere, bensì la “facoltà”, per l’amministrazione, in presenza di domanda dell'interessato, di prolungare e ripristinare il rapporto di impiego.
Inoltre, la legge subordina l’esercizio (positivo) di tale facoltà alla verifica della insussistenza di “elementi di responsabilità disciplinare o contabile all'esito di specifica valutazione che le amministrazioni competenti compiono entro dodici mesi dalla presentazione dell'istanza di riammissione in servizio.”.
In definitiva, e del tutto ragionevolmente, la norma prende atto della controvertibilità dell’esito giudiziario penale (trattandosi di sentenze non definitive), e tuttavia consente - per un evidente favor collegato alla presunzione di non colpevolezza ex art. 27 Cost., temperato con la tutela del prestigio ed affidabilità dell’amministrazione, corollari del principi di imparzialità e buon andamento ex art. 97 Cost. - che l’amministrazione valuti, in esercizio di potere discrezionale, l’opportunità della riammissione in servizio.
A tal fine, si pone un solo elemento ostativo all’esercizio della potestà discrezionale, rappresentato dalla presenza di elementi di responsabilità disciplinare o contabile nei fatti (oggetto del procedimento penale), rilevata con accertamento da compiersi entro 12 mesi dalla domanda dell’interessato.
Per un verso, quindi, il legislatore ha inteso consentire la riammissione in servizio, a precise condizioni, anche in presenza di sentenze di proscioglimento non definitive; per altro verso, ha subordinato tale riammissione ad un accertamento (doveroso e propedeutico) della irrilevanza dei fatti, oggetto del procedimento penale pendente, sul piano della responsabilità disciplinare o contabile.
Ciò non significa che, ove i fatti siano irrilevanti su tali piani, l’amministrazione sia “tenuta” a disporre la riammissione in servizio, essendo essa sempre titolare di potere discrezionale, e potendo quindi disporre anche in senso negativo, sulla base di differenti valutazioni dell’interesse pubblico, restando l’eventuale decisione negativa soggetta al sindacato giurisdizionale di legittimità, nei limiti propri dei provvedimenti discrezionali.
In altre parole, mentre la rilevanza dei fatti sul piano disciplinare o della responsabilità contabile, verificata dalla medesima amministrazione con le modalità previste dalla legge, costituisce elemento ostativo all’esercizio del potere discrezionale, viceversa l’irrilevanza dei medesimi fatti non trasforma, per così dire, un potere discrezionale in vincolato, ma consente proprio l’esercizio pieno di tale potere.
Ovviamente, in questa seconda ipotesi, a fronte dell’esercizio del potere discrezionale dell’amministrazione, la posizione giuridica dell’interessato è di interesse legittimo.



3. Alla luce di quanto esposto, occorre rilevare la fondatezza del primo motivo di appello proposto dall’amministrazione, laddove, con lo stesso, si evidenzia, in sostanza, l’impossibilità del ripristino del rapporto di servizio, laddove esso sia cessato per provvedimento disciplinare.
La sentenza appellata, infatti, si fonda su un assunto non condivisibile, alla luce della sopra riportata interpretazione dell’art. 3, commi 57 e 57bis, della l. n. 350/2003, e precisamente sul fatto che i benefici concessi dal comma 57 (o anche 57bis), e precisamente il ripristino del rapporto di impiego, possono essere concessi anche nel caso di cessazione del rapporto medesimo a seguito di provvedimento disciplinare.
A tali conclusioni il primo giudice perviene considerando:
- che il legislatore “ha operato una semplificazione della materia sul presupposto che le questioni disciplinari non possono presentarsi quando vi sia un proscioglimento con formula ampia”, mentre ciò non è riscontrabile laddove “la ricostruzione dei fatti contenuta nella sentenza consegna all’amministrazione elementi rilevanti sotto il profilo disciplinare”;
- ciò premesso, la sentenza distingue l’ipotesi del comma 57, dove si “presume che il proscioglimento abbia un riflesso favorevole anche sulle questioni disciplinari, ma non esclude la dimostrazione del contrario”, dall’ipotesi di cui al comma 57-bis, dove “la norma presume invece che il fatto esaminato penalmente sia comunque di qualche rilevanza e richiede pertanto una valutazione discrezionale dell’amministrazione e l’espletamento di una verifica della responsabilità disciplinare e contabile”.
Si sono già esposte le ragioni che consentono di dissentire dalla ricostruzione operata dalla sentenza appellata.
Ferma la condivisione del principio secondo il quale un medesimo fatto, pur non costituendo illecito penale, ben può essere rilevante come illecito disciplinare, appare evidente come la sentenza appellata non abbia considerato l’identità delle formule di proscioglimento considerate da ambedue i commi 57 e 57-bis, né ha rilevato che la differenza tra tali sentenze è la loro definitività (comma 57) o non definitività (comma 57bis), di modo che viene meno il presupposto argomentativo su cui si fonda una presunta (ma non esatta) differenza voluta del legislatore in rapporto alle formule di proscioglimento, peraltro argomentando su sue non esatte supposizioni circa gli effetti di tali formule.
Né la sentenza ha considerato il dato letterale del comma 57-bis, secondo il quale quanto in esso previsto è applicabile “ricorrendo ogni altra condizione ivi indicata” (cioè indicata al comma 57), e quindi qualora sussista anche uno dei due (e non oltre i due considerati) presupposti indicati dal comma 57, precisamente la sospensione (dal servizio, dalla funzione, dall’impiego), o il collocamento anticipato in quiescenza a seguito di procedimento penale.
Per le ragioni esposte, l’appello è fondato, in riferimento al primo motivo proposto (riportato sub a) dell’esposizione in fatto), con conseguente assorbimento dell’ulteriore motivo.
La sopra riportata interpretazione dei commi 57 e 57bis dell’art. 3 della l. n. 350/2003 sorregge anche la pronuncia di infondatezza dell’appello incidentale (motivi riportati sub a) e b) dell’esposizione in fatto).
La sentenza appellata deve essere, pertanto, annullata.
Le spese seguono la soccombenza e vanno liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)
definitivamente pronunciando sull’appello proposto dal Ministero dell’economia e delle finanze (n. 3261/2006 r.g.), lo accoglie e, per l’effetto, annulla la sentenza appellata.
Rigetta l’appello incidentale.
Condanna l’appellato #################### #################### al pagamento, in favore dell’amministrazione appellante, delle spese, diritti ed onorari di giudizio, che liquida in complessivi Euro 3.000,00 (tremila/00), oltre accessori come per legge.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 29 marzo 2011 con l'intervento dei magistrati:


Giorgio Giaccardi, Presidente
Diego Sabatino, Consigliere
Andrea Migliozzi, Consigliere
Fulvio Rocco, Consigliere
Oberdan Forlenza, Consigliere, Estensore




 


 


L'ESTENSORE

IL PRESIDENTE
 


 


 


 


 


DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 27/06/2011
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)



   

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