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Sulla anzianità lavorativa interessante sentenza della Comunità Europea che tutela anche i dipendenti pubblici

Dettagli

Due sentenze in 2 giorni per tutelare i lavoratori pubblici europei. La Corte di Giustizia, infatti, tra il 6 e l'8 settembre si è pronunciata in materia di computo dell'anzianità lavorativa dei dipendenti pubblici.


 (Corte di Giustizia UE, Sezione II, sentenza 8 settembre 2011, causa C-177/10)
 (Corte di Giustizia UE, Grande Sezione, sentenza 6 settembre 2011, causa C-108/10)AVVISO IMPORTANTE:Le informazioni contenute in questo sito sono soggette ad una Clausola di esclusione della responsabilità e ad un avviso relativo al Copyright.



SENTENZA DELLA CORTE (Seconda Sezione)
8 settembre 2011 (*)
«Politica sociale – Direttiva 1999/70/CE − Accordo quadro CES, UNICE e CEEP sul lavoro a tempo determinato – Clausola 4 – Applicazione dell’accordo quadro nell’ambito della funzione pubblica – Principio di non discriminazione»
Nel procedimento C‑177/10,
avente ad oggetto la domanda di pronuncia pregiudiziale proposta alla Corte, ai sensi dell’art. 267 TFUE, dal Juzgado de lo Contencioso-Administrativo n. 12 de Sevilla (Spagna), con decisione 24 marzo 2010, pervenuta in cancelleria il 7 aprile 2010, nella causa
Francisco Javier Rosado Santana
contro
Consejería de Justicia y Administración Pública de la Junta de Andalucía,
LA CORTE (Seconda Sezione),
composta dal sig. J.N. Cunha Rodrigues, presidente di sezione, dai sigg. A. Arabadjiev, A. Rosas, A. Ó Caoimh (relatore) e dalla sig.ra P. Lindh, giudici,
avvocato generale: sig.ra E. Sharpston
cancelliere: sig. A. Calot Escobar
vista la fase scritta del procedimento,
considerate le osservazioni presentate:
–        per la Consejería de Justicia y Administración Pública de la Junta de Andalucía, dall’avv. A. Cornejo Pineda, in qualità di agente;
–        per il governo spagnolo, dal sig. J. Rodríguez Cárcamo, in qualità di agente;
–        per la Commissione europea, dal sig. M. van Beek e dalla sig.ra S. Pardo Quintillán, in qualità di agenti,
sentite le conclusioni dell’avvocato generale, presentate all’udienza del 12 maggio 2011,
ha pronunciato la seguente
Sentenza
1        La domanda di pronuncia pregiudiziale verte sull’interpretazione della clausola 4 dell’accordo quadro sul lavoro a tempo determinato, concluso il 18 marzo 1999 (in prosieguo: l’«accordo quadro»), che figura nell’allegato alla direttiva del Consiglio 28 giugno 1999, 1999/70/CE, relativa all’accordo quadro CES, UNICE e CEEP sul lavoro a tempo determinato (GU L 175, pag. 43).
2        Tale domanda è stata presentata nell’ambito di una controversia tra il sig. Rosado Santana, attualmente dipendente pubblico di ruolo della Junta de Andalucía, e la Consejería de Justicia y Administración Pública de la Junta de Andalucía (Ministero della Giustizia e della Pubblica amministrazione della Comunità autonoma dell’Andalusia; in prosieguo: la «Consejería») in merito alla decisione di quest’ultima di annullare gli atti relativi alla sua nomina a dipendente pubblico di ruolo nella categoria generale degli assistenti per via di promozione interna.
 Contesto normativo
 La normativa dell’Unione
3        Dal quattordicesimo ‘considerando’ della direttiva 1999/70, fondata sull’art. 139, n. 2, CE, risulta che le parti contraenti dell’accordo quadro hanno espresso l’intenzione di migliorare la qualità del lavoro a tempo determinato garantendo l’applicazione del principio di non discriminazione, nonché di creare un quadro per la prevenzione degli abusi derivanti dall’utilizzo di una successione di contratti o di rapporti di lavoro a tempo determinato.
4        Ai sensi dell’art. 1 di detta direttiva, il suo scopo è «attuare l’accordo quadro (…) concluso (…) fra le organizzazioni intercategoriali a carattere generale (CES, CEEP e UNICE)».
5        In forza dell’art. 2, primo comma, di tale direttiva:
«Gli Stati membri mettono in atto le disposizioni legislative, regolamentari e amministrative necessarie per conformarsi alla presente direttiva al più tardi entro il 10 luglio 2001 o si assicurano che, entro tale data, le parti sociali introducano le disposizioni necessarie mediante accordi. Gli Stati membri devono prendere tutte le disposizioni necessarie per essere sempre in grado di garantire i risultati prescritti dalla presente direttiva. Essi ne informano immediatamente la Commissione».
6        Ai sensi della clausola 1 dell’accordo quadro, l’obiettivo di quest’ultimo è:
«a)      migliorare la qualità del lavoro a tempo determinato garantendo il rispetto del principio di non discriminazione;
b)      creare un quadro normativo per la prevenzione degli abusi derivanti dall’utilizzo di una successione di contratti o rapporti di lavoro a tempo determinato».
7        La clausola 2, punto 1, dell’accordo quadro è formulata come segue:
«Il presente accordo si applica ai lavoratori a tempo determinato con un contratto di assunzione o un rapporto di lavoro disciplinato dalla legge, dai contratti collettivi o dalla prassi in vigore di ciascuno Stato membro».
8        La clausola 3 dell’accordo quadro così recita:
«1. Ai fini del presente accordo, il termine “lavoratore a tempo determinato” indica una persona con un contratto o un rapporto di lavoro [di durata determinata] definiti direttamente fra il datore di lavoro e il lavoratore e il cui termine è determinato da condizioni oggettive, quali il raggiungimento di una certa data, il completamento di un compito specifico o il verificarsi di un evento specifico;
2.      Ai fini del presente accordo, il termine “lavoratore a tempo indeterminato comparabile” indica un lavoratore con un contratto o un rapporto di lavoro di durata indeterminata appartenente allo stesso stabilimento e addetto a lavoro/occupazione identico o simile, tenuto conto delle qualifiche/competenze. In assenza di un lavoratore a tempo indeterminato comparabile nello stesso stabilimento, il raffronto si dovrà fare in riferimento al contratto collettivo applicabile o, in mancanza di quest’ultimo, in conformità con la legge, i contratti collettivi o le prassi nazionali».
9        La clausola 4 dell’accordo quadro, intitolata «Principio di non discriminazione», prevede quanto segue:
«1.       Per quanto riguarda le condizioni di impiego, i lavoratori a tempo determinato non possono essere trattati in modo meno favorevole dei lavoratori a tempo indeterminato comparabili per il solo fatto di avere un contratto o rapporto di lavoro a tempo determinato, a meno che non sussistano ragioni oggettive.
(…)
4.      I criteri del periodo di anzianità di servizio relativi a particolari condizioni di lavoro dovranno essere gli stessi sia per i lavoratori a tempo determinato sia per quelli a tempo indeterminato, eccetto quando criteri diversi in materia di periodo di anzianità siano giustificati da motivazioni oggettive».
La normativa nazionale
10      L’art. 1, n. 2, della legge 26 dicembre 1978, n. 70, in materia di riconoscimento di servizi pregressi effettuati presso l’amministrazione pubblica (Ley 70/1978 de reconocimiento de servicios previos en la Administración Pública; BOE del 10 gennaio 1979, n. 9, pag. 464; in prosieguo: la «legge 70/1978»), stabilisce:
«Si considerano periodi di servizio effettivo tutti i periodi di servizio indistintamente prestati presso gli organismi della pubblica amministrazione menzionati al punto precedente, in qualità di dipendente pubblico a tempo determinato (a termine o temporaneo) nonché tutti i periodi di servizio prestati in virtù di un contratto disciplinato dal diritto amministrativo o del lavoro, sia esso formalizzato documentalmente o meno».
11      La ventiduesima disposizione aggiuntiva alla legge 2 agosto 1984, n. 30, relativa alla riforma della funzione pubblica spagnola (Ley 30/1984 de reforma de la Función Pública; BOE del 3 agosto 1984, n. 185, pag. 22629), come modificata dalla legge 30 dicembre 1994, n. 42, contenente provvedimenti fiscali, amministrativi e di ordine sociale (Ley 42/1994 de medidas fiscales, administrativas y de orden social; BOE del 31 dicembre 1994, n. 313, pag. 39457), prevede quanto segue:
«L’accesso alle categorie o scatti del gruppo C può avvenire attraverso una promozione interna a partire da categorie o scatti del gruppo D in un ambito di attività o di funzioni corrispondenti, se disponibili, ed è attuato secondo il sistema del concorso, con valutazione, in sede di concorso, delle qualifiche rispetto alla carriera e ai posti ricoperti, del livello di formazione e dell’anzianità.
A tal fine si richiedono i titoli elencati nell’art. 25 della presente legge o un’anzianità di dieci anni in una categoria o scatto del gruppo D, o di cinque anni se l’interessato ha seguito un corso di formazione specifico il cui accesso è disciplinato da criteri oggettivi.
La presente disposizione costituisce una norma di base dello statuto dei dipendenti pubblici, adottata in forza dell’art. 149, n. 1, punto 18, della Costituzione».
12      L’art. 32 del decreto 9 gennaio 2002, n. 2, che contiene la disciplina generale del reclutamento, promozione interna, assegnazione di posti e promozione professionale dei dipendenti dell’amministrazione generale della Junta de Andalucía (Decreto 2/2002 por el que se aprueba el Reglamento General de Ingreso, promoción interna, provisión de puestos de trabajo y promoción profesional de los funcionarios de la Administración General de la Junta de Andalucía, BOJA n. 8, del 19 gennaio 2002, pag. 913), è formulato in termini analoghi a quelli di detta disposizione aggiuntiva.
13      La legge 12 aprile 2007, n. 7, recante le norme di base applicabili ai dipendenti pubblici (Ley 7/2007 del Estatuto básico del empleado público; BOE n. 89 del 13 aprile 2007, pag. 16270; in prosieguo: la «LEBEP») si applica, conformemente al suo art. 2, n. 1, al personale di ruolo e, ove occorre, agli agenti a contratto che lavorano, in particolare, nelle amministrazioni delle comunità autonome.
14      L’art. 8, n. 2, della LEBEP prevede che i dipendenti pubblici siano inquadrati nelle seguenti categorie: dipendenti di ruolo («funcionarios de carrera»); dipendenti temporanei («funcionarios interinos»); agenti contrattuali e personale reclutato occasionalmente.
15      L’art. 9, n. 1, della LEBEP così recita:
«Sono dipendenti pubblici di ruolo le persone designate dalla legge che fanno parte di un’amministrazione pubblica in forza di un rapporto statutario disciplinato dal diritto amministrativo, per svolgere in via permanente servizi professionali retribuiti».
16      L’art. 10, n. 1, della LEBEP prevede quanto segue:
«Sono dipendenti pubblici temporanei i soggetti che, per motivi di necessità e urgenza specificamente motivati, sono nominati in tale qualità per esercitare funzioni proprie dei dipendenti pubblici di ruolo, nei casi qui di seguito elencati:
a)      esistenza di posti vacanti che non possono essere ricoperti da dipendenti pubblici di ruolo.
b)      Sostituzione temporanea di dipendenti pubblici di ruolo.
c)      Attuazione di programmi a carattere temporaneo.
d)      Eccesso o accumulo di lavoro, per un massimo di sei mesi, su un periodo di dodici mesi».
17      L’art. 18 della LEBEP, intitolato «Promozione interna dei dipendenti pubblici di ruolo», è formulato nei termini seguenti:
«1.      La promozione interna avviene tramite procedure di selezione che garantiscono il rispetto dei principi costituzionali di uguaglianza, di merito e di capacità (…)
2.      I dipendenti pubblici di ruolo devono soddisfare i requisiti richiesti per l’accesso all’impiego pubblico, aver maturato un’anzianità di almeno due anni di servizio attivo nel sottogruppo inferiore o nel gruppo di inquadramento professionale, qualora quest’ultimo non comprenda un sottogruppo, e superare le rispettive prove di selezione».
 La causa principale e le questioni pregiudiziali
18      Dalle informazioni presentate alla Corte risulta che, tra il 1989 e il 2005, il ricorrente nella causa principale era impiegato come dipendente temporaneo nei servizi della Junta de Andalucía. Nel 2005 egli diventava dipendente di ruolo di detta amministrazione pubblica.
19      Il 17 dicembre 2007 la Consejería pubblicava un bando di concorso nel Boletín Oficial de la Junta de Andalucía, con cui annunciava l’organizzazione di prove di selezione per l’accesso dei dipendenti, tramite promozione interna, alla categoria generale degli assistenti di tale amministrazione pubblica.
20      Il summenzionato bando enunciava numerosi requisiti che i candidati alle prove dovevano soddisfare. In primo luogo, essi dovevano essere dipendenti pubblici del corpo generale della Junta de Andalucía. Dovevano poi essere in possesso o poter entrare in possesso del titolo di Bachiller Superior o di un diploma equivalente o, in mancanza di titolo, comprovare un’anzianità in qualità di dipendente pubblico di ruolo nelle categorie rientranti nel gruppo D di dieci anni o di cinque anni se avevano frequentato in precedenza un corso specifico dell’Istituto andaluso di amministrazione pubblica. Infine, i candidati alle prove dovevano accedere alla promozione interna a partire da categorie appartenenti al gruppo di livello immediatamente inferiore a quello della categoria oggetto di concorso e comprovare un’anzianità di almeno due anni in qualità di dipendenti pubblici
di ruolo del medesimo gruppo.
21      Il bando di concorso precisava altresì che «non saranno presi in considerazione i servizi che risultano precedentemente prestati in qualità di personale temporaneo o a contratto presso qualsiasi amministrazione pubblica né altri servizi analoghi precedentemente prestati».
22      Il ricorrente nella causa principale, che ha partecipato alle prove della procedura di selezione nella sua qualità di dipendente pubblico di ruolo del gruppo D del personale della Junta de Andalucía in possesso di oltre due anni di anzianità, era inizialmente iscritto nell’elenco definitivo di coloro che avevano superato il concorso, pubblicato il 12 novembre 2008.
23      Successivamente alla pubblicazione, il 2 febbraio 2009, dell’elenco dei posti vacanti offerti e dopo che il sig. Rosado Santana aveva fornito i documenti richiesti, il segretario generale della Consejería, con decisione 25 marzo 2009 (in prosieguo: la «decisione di cui trattasi nella causa principale»), annullava la decisione contenente l’ammissione e la nomina dell’interessato a dipendente pubblico di ruolo del gruppo C, in quanto non possedeva né i titoli richiesti né, in mancanza di essi, l’anzianità di dieci anni in qualità di dipendente pubblico di ruolo.
24      L’8 giugno 2009 il ricorrente nella causa principale proponeva un ricorso contro la decisione di cui trattasi nella causa principale, sul fondamento dell’art. 14 della Costituzione spagnola, che sancisce il principio di uguaglianza dinanzi alla legge, e dell’art. 1 della legge n. 70/1978. Inoltre, il ricorrente affermava che, poiché il segretario generale della Consejería aveva preso in considerazione esclusivamente l’anzianità maturata in qualità di dipendente pubblico di ruolo dal 2005, e non i periodi di servizio precedentemente compiuti in qualità di dipendente pubblico temporaneo, la decisione di cui trattasi nella causa principale viola il principio di non discriminazione enunciato nella clausola 4 dell’accordo quadro.
25      La Consejería ha fatto valere dinanzi al giudice del rinvio che la legge n. 70/1978 non può applicarsi per accertare le qualifiche richieste per un concorso, dal momento che il computo dei periodi di servizio precedentemente prestati, per quanto riguarda i dipendenti pubblici temporanei, può essere effettuato solo a fini economici. In caso contrario, un dipendente pubblico che avesse precedentemente prestato periodi di servizio in qualità di temporaneo riceverebbe un trattamento migliore di colui che non li avesse prestati. Un siffatto atteggiamento sarebbe discriminatorio poiché, tenuto conto della natura intrinseca del lavoro prestato da un dipendente pubblico temporaneo, che non ha le caratteristiche di stabilità e permanenza che caratterizzano la funzione pubblica, l’anzianità maturata in qualità di dipendente pubblico di ruolo dovrebbe in ogni caso prevalere
su qualsiasi merito derivante dai periodi di servizio espletati come dipendente pubblico temporaneo.
26      Nella sua decisione di rinvio lo Juzgado de lo Contencioso-Administrativo n. 12 de Sevilla si interroga sulle conseguenze di una serie di decisioni del Tribunal Constitucional in base alle quali è ammessa una disparità di trattamento tra dipendenti pubblici di ruolo e dipendenti pubblici temporanei che esercitano le medesime funzioni. Il giudice del rinvio constata tuttavia che tali decisioni sono in parte contraddette da altre sentenze pronunciate dallo stesso Tribunal Constitucional.
27      Il giudice del rinvio dichiara altresì che la maggior parte dei giudici spagnoli segue una certa linea dottrinale secondo cui, nel caso di bandi di concorso pubblici in cui sono pubblicate le clausole contenenti i requisiti di ammissione e di valutazione dei candidati, tali clausole costituiscono la «legge» del concorso e, se non sono state contestate dall’interessato entro il termine a tal fine previsto, la loro illegittimità non può più essere invocata successivamente per contestare il risultato del concorso che danneggia l’interessato.
28      A parere del detto giudice, la questione essenziale che si pone nella causa principale è se una normativa nazionale che, pur effettuando il raffronto tra due dipendenti pubblici di ruolo, escluda che siano presi in considerazione i periodi di servizio prestati da uno di essi per il solo motivo che li aveva prestati in qualità di dipendente temporaneo, sia contraria alla clausola 4 dell’accordo quadro.
29      Ciò premesso, lo Juzgado de lo Contencioso-Administrativo n. 12 de Sevilla ha deciso di sospendere la pronuncia e di sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:
«1)       Se la direttiva [1999/70] debba essere interpretata nel senso che, qualora un giudice costituzionale di uno Stato membro dell’Unione [europea] abbia stabilito che l’attribuzione ai dipendenti pubblici a tempo determinato di diritti diversi da quelli conferiti ai dipendenti pubblici di ruolo può risultare compatibile con la Costituzione di tale Stato, ciò escluda necessariamente l’applicabilità della menzionata normativa comunitaria nell’ambito della pubblica amministrazione dello Stato di cui trattasi.
2)      Se detta direttiva debba essere interpretata nel senso che osta a che un giudice nazionale interpreti il principio della parità di trattamento e il divieto di discriminazione in modo da escludere in generale dal loro ambito di applicazione l’equiparazione tra dipendenti pubblici a tempo determinato e dipendenti pubblici di ruolo.
3)      Se la clausola 4 [dell’accordo quadro] debba essere interpretata nel senso che osta a che i servizi prestati nell’ambito di un rapporto di lavoro a tempo determinato non vengano computati a titolo di anzianità di servizio acquisita quando si diviene dipendenti pubblici a tempo indeterminato e concretamente ai fini della retribuzione, classificazione o progressione di carriera nel pubblico impiego.
4)      Se la clausola 4 [dell’accordo quadro] obblighi a interpretare la normativa nazionale nel senso che non esclude dal computo dei periodi di servizio dei pubblici impiegati quelli prestati nell’ambito di un rapporto di lavoro a tempo determinato.
5)      Se la clausola 4 [dell’accordo quadro] debba essere interpretata nel senso che, quand’anche il regolamento di un concorso pubblico sia stato pubblicato e non sia stato impugnato dall’interessato, il giudice nazionale sia tenuto ad esaminare se tale regolamento risulti in contrasto con il diritto [dell’Unione europea] e, in caso affermativo, debba disapplicare il medesimo regolamento o la disposizione nazionale che ne costituisce il fondamento, in quanto contrari alla menzionata clausola».
 Sulla ricevibilità del ricorso
30      La Consejería ritiene che la decisione di rinvio in generale, e la prima, seconda e quinta questione pregiudiziale in particolare, non siano conformi ai requisiti posti dalla giurisprudenza della Corte in merito alla ricevibilità delle domande di pronuncia pregiudiziale. Infatti, esse non conterrebbero alcun riferimento alle norme nazionali applicabili nella causa principale o al regime giuridico nazionale in cui essa si colloca. Il giudice del rinvio non avrebbe neppure esposto i motivi che l’hanno indotto a scegliere la direttiva 1999/70 e non avrebbe provato il nesso esistente tra essa e le summenzionate norme nazionali.
31      D’altra parte, la Consejería sostiene che le questioni pregiudiziali definiscono erroneamente l’ambito di applicazione della clausola 4 dell’accordo quadro e che, pertanto, sono irricevibili.
32      A tale riguardo occorre rammentare che, nell’ambito della cooperazione tra la Corte e i giudici nazionali ex art. 267 TFUE, spetta soltanto al giudice nazionale, cui è stata sottoposta la controversia e che deve assumersi la responsabilità dell’emananda decisione giurisdizionale, valutare, alla luce delle particolari circostanze della causa, sia la necessità di una pronuncia pregiudiziale per essere in grado di emettere la propria sentenza, sia la rilevanza delle questioni che sottopone alla Corte. Di conseguenza, se le questioni sollevate riguardano l’interpretazione del diritto dell’Unione, la Corte, in via di principio, è tenuta a pronunciarsi (v., in particolare, sentenze 15 dicembre 1995, causa C‑415/93, Bosman, Racc. pag. I‑4921, punto 59, e 12 ottobre 2010, causa C‑45/09, Rosenbladt, non ancora pubblicata nella Raccolta, punto 32).
33      Inoltre, spetta al giudice nazionale fornire alla Corte gli elementi di fatto o di diritto necessari per favorire una soluzione utile alle questioni che le vengono sottoposte (sentenza 14 settembre 1999, causa C‑249/97, Gruber, Racc. pag. I‑5295, punto 19).
34      Nel caso di specie occorre rilevare che il giudice del rinvio ha descritto in modo sufficientemente chiaro le disposizioni di diritto spagnolo applicabili nella causa principale e il contesto giuridico nazionale in cui si colloca. Inoltre, i motivi che hanno indotto il giudice del rinvio a porre questioni relative all’interpretazione della direttiva 1999/70 risultano chiaramente dalla decisione di rinvio.
35      Per quanto riguarda gli argomenti della Consejería relativi all’erronea definizione da parte del giudice del rinvio dell’ambito di applicazione della clausola 4, punto 1, dell’accordo quadro, occorre constatare che tale questione non riguarda la ricevibilità della domanda di decisione pregiudiziale, ma il merito di essa.
36      Alla luce di quanto precede si deve considerare la domanda di pronuncia pregiudiziale ricevibile in toto.
 Sulle questioni pregiudiziali
 Osservazioni preliminari relative all’applicabilità della direttiva 1999/70 e dell’accordo quadro
37      Secondo il governo spagnolo e la Commissione europea, la direttiva 1999/70 e l’accordo quadro che figura in allegato ad essa non sono applicabili nella causa principale.
38      Il governo spagnolo constata che, al momento in cui ha partecipato alla procedura di promozione interna il cui accesso, conformemente alla normativa applicabile, è riservato solo ai dipendenti pubblici di ruolo, il ricorrente nella causa principale era lui stesso, dal 2005, dipendente pubblico di ruolo. La disparità di trattamento che invoca si verificherebbe quindi rispetto ad altri dipendenti pubblici di ruolo, che partecipavano a detta procedura ed erano in possesso dei titoli richiesti o potevano far valere un’anzianità di dieci anni in qualità di dipendenti pubblici di ruolo. Tanto il governo spagnolo quanto la Commissione sostengono che l’accordo quadro non riguarda la disparità di trattamento tra lavoratori a tempo indeterminato, alcuni dei quali avrebbero in passato svolto le loro mansioni in qualità di lavoratori a tempo determinato.
39      A tale proposito occorre rammentare che, ai sensi della clausola 2, punto 1, dell’accordo quadro, esso si applica ai lavoratori a tempo determinato con un contratto di assunzione o un rapporto di lavoro disciplinato dalla legge, dai contratti collettivi o dalla prassi in vigore di ciascuno Stato membro.
40      La Corte ha già giudicato che la direttiva 1999/70 nonché l’accordo quadro trovano applicazione nei confronti di tutti i lavoratori che forniscono prestazioni retribuite nell’ambito di un rapporto di impiego a tempo determinato che li vincola al loro datore di lavoro (sentenza 13 settembre 2007, causa C‑307/05, Del Cerro Alonso, Racc. pag. I‑7109, punto 28).
41      La sola circostanza che il ricorrente nella causa principale abbia acquisito la qualità di dipendente pubblico di ruolo e che il suo accesso ad una procedura di selezione per via interna sia subordinato al possesso di tale qualità non esclude che abbia la possibilità di avvalersi, in talune circostanze, del principio di non discriminazione enunciato nella clausola 4 dell’accordo quadro.
42      Infatti, nella causa principale il ricorrente intende esclusivamente, nella sua qualità di dipendente pubblico di ruolo, mettere in discussione una disparità di trattamento in sede di valutazione dell’anzianità e dell’esperienza professionale acquisita ai fini di una procedura di selezione interna. Mentre i periodi di servizio prestati in qualità di dipendente pubblico di ruolo vengono presi in considerazione, quelli effettuati in qualità di dipendente pubblico temporaneo non lo sono senza che, a suo giudizio, vengano esaminate la natura delle mansioni svolte e le caratteristiche ad esse inerenti. Poiché la discriminazione contraria alla clausola 4 dell’accordo quadro di cui asserisce essere vittima il ricorrente nella causa principale riguarda i periodi di servizio prestati in qualità di dipendente pubblico temporaneo, è priva di rilievo la circostanza che
nel frattempo sia divenuto dipendente pubblico di ruolo.
43      Inoltre, occorre rilevare che la clausola 4 dell’accordo quadro prevede, al punto 4, che i criteri di periodi di anzianità relativi a condizioni particolari di occupazione devono essere gli stessi per i lavoratori a tempo determinato che per i lavoratori a tempo indeterminato, salvo quando i criteri diversi siano giustificati da ragioni oggettive. Non risulta né dal testo di tale disposizione né dal contesto in cui si colloca che essa cessi di essere applicabile dal momento in cui il lavoratore interessato acquista lo status di lavoratore a tempo indeterminato. Infatti, gli obiettivi perseguiti dalla direttiva 1999/70 e dall’accordo quadro, diretti sia a vietare la discriminazione sia a prevenire gli abusi risultanti dall’impiego di contratti o di rapporti di lavoro a tempo determinato successivi, inducono a pensare il contrario.
44      Escludere a priori l’applicazione dell’accordo quadro in una situazione come quella di cui alla causa principale, come vorrebbero la Commissione e il governo spagnolo significherebbe limitare, ignorando l’obiettivo attribuito a detta clausola 4, l’ambito della protezione concessa ai lavoratori interessati contro le discriminazioni e porterebbe ad un’interpretazione indebitamente restrittiva di tale clausola, contraria alla giurisprudenza della Corte (v., in tal senso, sentenze Del Cerro Alonso, cit., punti 37 e 38, nonché 15 aprile 2008, causa C‑268/06, Impact, Racc. I‑2483, punti 114 e 115).
45      La Consejería sostiene da parte sua che la clausola 4, punto 1, dell’accordo quadro non si applica nella causa principale, poiché la condizione dell’anzianità in qualità di dipendente pubblico di ruolo costituisce una condizione di accesso all’impiego richiesta per partecipare ad una procedura di selezione e non una condizione di impiego ai sensi di tale clausola.
46      La Corte ha già dichiarato che norme nazionali relative ai periodi di servizio necessari per poter essere classificato in una categoria retributiva superiore o al calcolo dei periodi di servizio richiesti per ricevere annualmente un rapporto informativo e, conseguentemente, per poter fruire di una promozione come quella di cui alla causa principale corrispondono a condizioni di impiego (v. per analogia, nell’ambito della parità di trattamento tra lavoratori di sesso maschile e lavoratori di sesso femminile, sentenze 30 aprile 1998, causa C‑136/95, Thibault, Racc. pag. I‑2011, punto 27, e 18 novembre 2004, causa C‑284/02, Sass, Racc. pag. I‑11143, punti 31 e 34).
47      Ne consegue che la nozione di condizioni di impiego di cui alla clausola 4, punto 1, dell’accordo quadro include un requisito, come quello di cui alla causa principale, relativo alla presa in considerazione, nell’ambito di una procedura di selezione per una promozione per via interna, di periodi di servizio precedentemente prestati in qualità di dipendente pubblico temporaneo.
48      Alla luce delle considerazioni che precedono, occorre rilevare che, contrariamente all’interpretazione sostenuta dalla Consejería, dal governo spagnolo e dalla Commissione, nulla osta all’applicabilità della direttiva 1999/70 e della clausola 4 dell’accordo quadro alla causa principale.
 Sulla prima e seconda questione pregiudiziale
49      Con la prima e seconda questione, che è opportuno esaminare congiuntamente, il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se i giudici di uno Stato membro, compresa la Corte costituzionale, possano interpretare la direttiva 1999/70 e il principio di non discriminazione sancito nella clausola 4 dell’accordo quadro in modo da escludere l’applicazione di tali atti del diritto dell’Unione alla pubblica amministrazione di tale Stato membro e a qualsiasi disparità di trattamento tra i dipendenti pubblici temporanei e i dipendenti di ruolo di quest’ultimo.
50      Occorre anzitutto ricordare che la direttiva impone l’obbligo, per ciascuno degli Stati membri destinatari, di adottare tutti i provvedimenti necessari a garantire la piena efficacia della direttiva in questione, conformemente allo scopo che essa persegue (v. sentenza 10 aprile 1984, causa 14/83, von Colson e Kamann, Racc. pag. 1891, punto 15, nonché Impact, cit., punto 40).
51      L’obbligo degli Stati membri, derivante da una direttiva, di raggiungere il risultato previsto da quest’ultima, nonché il loro dovere, ai sensi dell’art. 4, n. 3, TUE, di adottare tutti i provvedimenti generali o particolari atti a garantire l’adempimento di tale obbligo, valgono per tutti gli organi degli Stati membri, ivi compresi, nell’ambito della loro competenza, quelli giurisdizionali (sentenza Impact, cit., punto 41).
52      Infatti, spetta in particolare ai giudici nazionali assicurare ai singoli la tutela giurisdizionale derivante dalle norme del diritto dell’Unione e garantirne la piena efficacia (sentenza Impact, cit., punto 42).
53      Secondo la giurisprudenza della Corte, ne consegue che qualora non possano procedere ad un’interpretazione ed un’applicazione conformi alle prescrizioni del diritto dell’Unione, i giudici nazionali e gli organi dell’amministrazione hanno l’obbligo di applicare integralmente il diritto dell’Unione e di tutelare i diritti che quest’ultimo attribuisce ai singoli, disapplicando, se necessario, qualsiasi contraria disposizione del diritto interno (v., in tal senso, sentenze 22 giugno 1989, causa 103/88, Costanzo, Racc. pag. 1839, punto 33; 11 gennaio 2007, causa C‑208/05, ITC, Racc. pag. I‑181, punti 68 e 69, nonché 25 novembre 2010, causa C‑429/09, Fuß, cit., non ancora pubblicata nella Raccolta, punto 40).
54      L’accordo quadro, nato da un dialogo condotto, sul fondamento dell’art. 139, n. 1, CE, tra parti sociali a livello comunitario, è stato attuato, conformemente al n. 2 dello stesso articolo, da una direttiva del Consiglio dell’Unione europea, di cui è parte integrante (sentenza Impact, cit., punto 58).
55      Secondo una giurisprudenza consolidata le prescrizioni enunciate nell’accordo quadro sono applicabili ai contratti e ai rapporti di lavoro a tempo determinato conclusi con le amministrazioni e con altri enti del settore pubblico (sentenze 4 luglio 2006, causa C‑212/04, Adeneler e a., Racc. pag. I‑6057, punto 54, nonché 22 dicembre 2010, cause riunite C‑444/09 e C‑456/09, Gavieiro Gavieiro e Iglesias Torres, non ancora pubblicata nella Raccolta, punto 38.
56      La clausola 4 dell’accordo quadro, che ha effetto diretto, enuncia il divieto di trattare, per quanto riguarda le condizioni di impiego e i criteri relativi ai periodi di anzianità relativi alle condizioni di occupazione, i lavoratori a tempo determinato in modo meno favorevole dei lavoratori a tempo indeterminato comparabili per il solo fatto di avere un contratto o rapporto di lavoro a tempo determinato (sentenza Impact, cit. punti 59 e 68).
57      È vero che tale disposizione implica, rispetto al principio di non discriminazione da essa enunciato, una riserva relativa alle giustificazioni fondate su ragioni oggettive.
58      Tuttavia, il fatto di potere, in circostanze precise e in presenza di ragioni oggettive, trattare diversamente i lavoratori a tempo determinato e i lavoratori a tempo indeterminato non implica affatto che possa escludersi l’applicazione della direttiva 1999/70 e dell’accordo quadro ai lavoratori occupati nell’amministrazione pubblica di uno Stato membro.
59      Il governo spagnolo da parte sua sostiene che la premessa su cui si fonda la prima questione è erronea, poiché il Tribunal Constitucional non ha rifiutato di applicare la direttiva 1999/70 ai dipendenti pubblici temporanei spagnoli e non ha neppure ammesso, in generale, le disparità di trattamento non giustificate tra questi ultimi e i dipendenti pubblici di ruolo.
60      A tale proposito, va rammentato che non compete alla Corte pronunciarsi sull’interpretazione di disposizioni nazionali, dato che quest’ultima rientra nella competenza esclusiva dei giudici nazionali (sentenza 8 settembre 2010, causa C‑409/06, Winner Setter, non ancora pubblicata nella Raccolta, punto 35) e che la Corte non può sostituire il suo giudizio a quello del giudice del rinvio per quanto riguarda l’evoluzione della giurisprudenza dinanzi a tali giudici.
61      Nell’ipotesi in cui un giudice nazionale, compresa una Corte costituzionale, escludesse l’applicazione della direttiva 1999/70 e dell’accordo quadro al personale dell’amministrazione pubblica di uno Stato e/o permettesse disparità di trattamento tra i dipendenti pubblici temporanei e i dipendenti pubblici di ruolo in mancanza di ragioni oggettive nell’accezione di cui alla clausola 4, punto 1, di detto accordo quadro, si dovrebbe concludere che una giurisprudenza siffatta sarebbe contraria alle disposizioni di tali atti del diritto dell’Unione e violerebbe gli obblighi che, nell’ambito delle loro competenze, incombono alle autorità giurisdizionali degli Stati membri di assicurare la tutela giuridica attribuita ai singoli dalle disposizioni di detto diritto e di garantirne la piena efficacia.
62      In tali circostanze, occorre risolvere la prima e seconda questione dichiarando che la direttiva 1999/70 e l’accordo quadro che figura in allegato ad essa devono essere interpretati nel senso che, da un lato, essi si applicano ai contratti e rapporti di lavoro a tempo determinato conclusi con le amministrazioni e gli altri enti del settore pubblico e, dall’altro, richiedono che sia esclusa qualsiasi disparità di trattamento tra i dipendenti pubblici di ruolo e i dipendenti pubblici temporanei comparabili di uno Stato membro per il solo motivo che questi ultimi lavorano a tempo determinato, a meno che la disparità di trattamento non sia giustificata da ragioni oggettive nell’accezione di cui alla clausola 4, punto 1, di detto accordo quadro.
 Sulla terza e quarta questione pregiudiziale
63      Con la terza e quarta questione, che è opportuno esaminare congiuntamente, il giudice del rinvio chiede, in sostanza se la clausola 4 dell’accordo quadro debba essere interpretata nel senso che osta a che i periodi di servizio prestati da un dipendente pubblico temporaneo di un’amministrazione pubblica non siano presi in considerazione per l’accesso di quest’ultimo, divenuto nel frattempo dipendente pubblico di ruolo, ad una promozione per via interna cui hanno diritto esclusivamente i dipendenti pubblici di ruolo.
64      Come risulta dalla soluzione delle prime due questioni, la clausola 4, punto 1, dell’accordo quadro enuncia un divieto di trattare, per quanto riguarda le condizioni di impiego, i lavoratori a tempo determinato in un modo meno favorevole dei lavoratori a tempo indeterminato comparabili per l’unico motivo che lavorano a tempo determinato, a meno che un trattamento diverso non sia giustificato da ragioni oggettive. Il punto 4 di tale clausola enuncia il medesimo divieto per quanto riguarda i criteri di periodi di anzianità relativi a condizioni particolari di impiego.
65      Occorre rammentare che, secondo costante giurisprudenza, il principio di non discriminazione impone che situazioni analoghe non siano trattate in modo dissimile e che situazioni diverse non siano trattate nello stesso modo, a meno che tale trattamento non sia obiettivamente giustificato (v., in particolare, sentenza 11 luglio 2006, causa C‑313/04, Franz Egenberger, Racc. pag. I‑6331, punto 33, e giurisprudenza ivi citata).
66      Al fine di valutare se le persone interessate esercitino un lavoro identico o simile nel senso dell’accordo quadro, occorre, in conformità delle clausole 3, punto 2, e 4, punto 1, di quest’ultimo, valutare se, tenuto conto di un insieme di fattori, come la natura del lavoro, le condizioni di formazione e le condizioni di impiego, si possa ritenere che si trovino in una situazione comparabile (ordinanza 18 marzo 2011, causa C‑273/10, Montoya Medina, punto 37).
67      In linea di principio spetta al giudice del rinvio accertare se il ricorrente nella causa principale, allorché esercitava le sue funzioni come dipendente temporaneo, si trovasse in una situazione analoga a quella dei dipendenti di ruolo che, nell’ambito della procedura di selezione di cui trattasi, hanno attestato di avere dieci anni di anzianità nelle categorie di dipendenti pubblici appartenenti al gruppo D.
68      Se dovesse appurarsi che le mansioni svolte dal ricorrente nella causa principale come dipendente temporaneo non corrispondevano a quelle svolte da un dipendente di ruolo rientrante nelle categorie appartenenti al gruppo D richieste dal bando di concorso, ne conseguirebbe che l’interessato non si trova, comunque, in una situazione comparabile a quella di un dipendente pubblico di ruolo candidato alla promozione interna, che abbia prestato i periodi di servizio richiesti nell’ambito delle summenzionate categorie.
69      Infatti, la natura delle funzioni espletate dal ricorrente nella causa principale negli anni in cui ha lavorato nei servizi della Junta de Andalucía come dipendente pubblico temporaneo e la qualità dell’esperienza che ha acquisito a tale titolo non costituiscono solo uno dei fattori atti a giustificare obiettivamente una disparità di trattamento rispetto ai dipendenti pubblici di ruolo. Tali elementi rientrano anche tra i criteri che consentono di verificare se l’interessato si trovi in una situazione comparabile a quella di questi ultimi.
70      Per contro, se il ricorrente nella causa principale aveva prestato servizio in qualità di dipendente pubblico temporaneo, per un periodo di dieci anni, nella categoria di dipendenti pubblici appartenenti al detto gruppo D, o in un’altra categoria le cui funzioni corrispondevano a quelle esercitate da un dipendente pubblico di ruolo rientrante nelle categorie appartenenti al detto gruppo, il solo elemento idoneo a differenziare la sua situazione da quella di un dipendente pubblico di ruolo candidato alla procedura di selezione in questione sembrerebbe essere la natura temporanea del rapporto di lavoro che lo vincolava al suo datore di lavoro al momento del compimento dei periodi di servizio in qualità di dipendente temporaneo.
71      In tale ipotesi, occorrerebbe quindi verificare se esiste una ragione oggettiva che giustifichi la mancata presa in considerazione, nell’ambito della procedura di selezione di cui trattasi, di detti periodi di servizio.
72      Secondo una giurisprudenza costante della Corte, la nozione di «ragione oggettiva» ai sensi della clausola 4, punto 1, dell’accordo quadro, dev’essere intesa nel senso che essa non autorizza a giustificare una differenza di trattamento tra i lavoratori a tempo determinato e i lavoratori a tempo indeterminato per il fatto che quest’ultima è prevista da una norma interna generale ed astratta, quale una legge o un contratto collettivo (sentenza Del Cerro Alonso, cit., punto 57; Gavieiro Gavieiro e Iglesias Torres, punto 54, nonché ordinanza Montoya Medina, cit., punto 40).
73      Tale nozione richiede che la disparità di trattamento in causa sia giustificata dalla sussistenza di elementi precisi e concreti, che contraddistinguono la condizione di impiego di cui trattasi, nel particolare contesto in cui s’inscrive e in base a criteri oggettivi e trasparenti, al fine di verificare se tale disparità risponda ad una reale necessità, sia idonea a conseguire l’obiettivo perseguito e risulti a tal fine necessaria. Detti elementi possono risultare segnatamente dalla particolare natura delle mansioni per l’espletamento delle quali sono stati conclusi contratti a tempo determinato e dalle caratteristiche inerenti a queste ultime o, eventualmente, dal perseguimento di una legittima finalità di politica sociale di uno Stato membro (v., in particolare, sentenze Del Cerro Alonso, cit., punti 53 e 58, nonché Gavieiro Gavieiro e Iglesias Torres, cit.,
punto 55).
74      Il riferimento alla mera natura temporanea del lavoro del personale della pubblica amministrazione non è conforme a tali requisiti e tale natura non può dunque costituire di per sé una ragione oggettiva ai sensi della clausola 4, punto 1, dell’accordo quadro. Infatti, ammettere che la mera natura temporanea di un rapporto di lavoro basti a giustificare una siffatta disparità di trattamento tra lavoratori a tempo determinato e lavoratori a tempo indeterminato priverebbe del loro contenuto gli scopi della direttiva 1999/70 e dell’accordo quadro ed equivarrebbe a perpetuare una situazione svantaggiosa per i lavoratori a tempo determinato (sentenza Gavieiro Gavieiro e Iglesias Torres, cit., punti 56 e 57, nonché ordinanza Montoya Medina, cit., punti 42 e 43).
75      Il governo spagnolo invoca l’esistenza di numerose differenze tra i dipendenti pubblici di ruolo e i dipendenti pubblici temporanei che potrebbero giustificare la disparità di trattamento di cui alla causa principale. Per quanto riguarda quest’ultima categoria, sottolinea anzitutto che sono loro imposti obblighi meno rigidi per quanto riguarda l’entrata in servizio e la giustificazione dei loro meriti e capacità. Inoltre, tale governo rileva la mancanza di mobilità dei dipendenti pubblici temporanei, poiché essi sono collegati ai posti che occupano temporaneamente, il che rende la loro attività diversa e di altro valore rispetto a quella di un dipendente pubblico di ruolo. Inoltre, ricorda che talune funzioni sono riservate esclusivamente ai dipendenti pubblici di ruolo, il che implica che esista una differenza qualitativa in termini di esperienza e di
formazione. Infine, tale governo sottolinea il fatto che lo scioglimento del rapporto di lavoro dei dipendenti pubblici temporanei può verificarsi quando non esiste più il motivo per cui sono stati nominati.
76      In considerazione della discrezionalità di cui dispongono gli Stati membri per quanto riguarda l’organizzazione delle loro amministrazioni pubbliche, essi possono, in linea di principio, senza violare la direttiva 1999/70 o l’accordo quadro, prevedere condizioni di anzianità per accedere a taluni posti, limitare l’accesso ad una promozione per via interna ai soli dipendenti pubblici di ruolo e richiedere che tali dipendenti comprovino un’esperienza professionale corrispondente al grado immediatamente inferiore a quello che è oggetto della procedura di selezione.
77      Tuttavia, nonostante tale discrezionalità, l’applicazione dei criteri che gli Stati membri stabiliscono deve essere effettuata in modo trasparente e poter essere controllata per impedire qualsiasi esclusione dei lavoratori a tempo determinato sul fondamento esclusivo della durata dei contratti o dei rapporti di lavoro che giustificano la loro anzianità e la loro esperienza professionale.
78      Come ha rilevato l’avvocato generale ai paragrafi 62-65 delle sue conclusioni, talune differenze invocate dal governo spagnolo relative all’assunzione di dipendenti pubblici temporanei e di ruolo, alle qualifiche richieste e alla natura delle mansioni di cui assumono la responsabilità potrebbero, in linea di principio, giustificare una disparità di trattamento nelle loro condizioni di lavoro.
79      In una procedura di selezione, quando tale disparità di trattamento risulta dalla necessità di tener conto di ragioni oggettive relative all’impiego che deve essere assegnato con tale procedura e che sono estranee alla durata determinata del rapporto di lavoro intercorrente tra il dipendente pubblico temporaneo e il suo datore di lavoro, essa può essere giustificata ai sensi della clausola 4, punto 1 e/o 4, dell’accordo quadro.
80      Per contro, una condizione generale ed astratta secondo cui il periodo di servizio richiesto dev’essere stato prestato integralmente come dipendente pubblico di ruolo, senza che vengano prese in considerazione, segnatamente, la natura particolare delle mansioni da svolgere né le caratteristiche inerenti ad esse, non corrisponde ai requisiti elaborati dalla giurisprudenza relativa alla clausola 4, punto 1, dell’accordo quadro, richiamata ai punti 72-74 della presente sentenza.
81      Benché il ricorrente nella causa principale soddisfi chiaramente il requisito relativo alla prestazione di almeno due anni di servizio come dipendente pubblico di ruolo rientrante nel gruppo il cui livello è immediatamente inferiore a quello della categoria cui appartiene l’impiego oggetto di concorso, dal fascicolo di cui dispone la Corte non risultano le funzioni esercitate dal ricorrente negli anni in cui aveva lavorato come dipendente pubblico temporaneo, né il grado in cui le ha esercitate e neppure il rapporto tra esse e le funzioni attribuite ai dipendenti pubblici di ruolo rientranti nel gruppo D.
82      Non risulta quindi dal fascicolo presentato alla Corte se l’esclusione dei periodi di servizio prestati dai dipendenti pubblici temporanei sia giustificata dalla sola durata dei loro contratti di lavoro o se vi siano altre giustificazioni collegate alle reali necessità degli impieghi oggetto della procedura di selezione, idonee ad essere qualificate «ragioni oggettive» ai sensi della clausola 4, punto 1, dell’accordo quadro.
83      Spetta quindi al giudice del rinvio verificare se, da un lato, la situazione del ricorrente nella causa principale fosse, rispetto ai periodi di servizio che aveva prestato in qualità di dipendente pubblico temporaneo, analoga a quella di un altro dipendente della Junta de Andalucía che aveva prestato periodi di servizio in qualità di dipendente pubblico di ruolo e, dall’altro, valutare, alla luce della giurisprudenza richiamata ai punti 72-74 della presente sentenza, se gli argomenti esposti dalla Consejería costituissero ragioni oggettive nell’accezione della clausola 4, punto 1, dell’accordo quadro.
84      Alla luce delle considerazioni che precedono, occorre risolvere la terza e la quarta questione dichiarando che la clausola 4 dell’accordo quadro dev’essere interpretata nel senso che osta a che i periodi di servizio prestati da un dipendente pubblico temporaneo di un’amministrazione pubblica non vengano presi in considerazione ai fini dell’accesso di quest’ultimo, divenuto nel frattempo dipendente pubblico di ruolo, ad una promozione per via interna cui possono esclusivamente aspirare i dipendenti pubblici di ruolo, a meno che tale esclusione non sia giustificata da ragioni oggettive ai sensi del punto 1 di tale clausola. Il semplice fatto che il dipendente pubblico temporaneo abbia prestato detti periodi di servizio in base ad un contratto o un rapporto di lavoro a tempo determinato non costituisce una tale ragione oggettiva.
 Sulla quinta questione pregiudiziale
85      Alla luce delle informazioni fornite dal giudice del rinvio e dal governo spagnolo, si deve intendere la quinta questione nel senso che il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se il diritto primario dell’Unione, la direttiva 1999/70 e l’accordo quadro debbano essere interpretati nel senso che ostano ad una normativa nazionale che prevede che il ricorso proposto da un dipendente pubblico di ruolo contro una decisione che respinge la sua candidatura ad un concorso e fondato sul fatto che la procedura di promozione era contraria alla clausola 4 dell’accordo quadro, deve essere proposto entro un termine di decadenza di due mesi a partire dalla data di pubblicazione del bando di concorso.
86      Il governo spagnolo constata che, in conformità delle disposizioni dell’art. 46, n. 1, della legge 13 luglio 1998, n. 29, sulla giurisdizione del contenzioso amministrativo (Ley 29/1998 reguladora de la Jurisdicción Contencioso‑administrativa; BOE n. 167, del 14 luglio 1998, pag. 23516), un ricorso avrebbe potuto essere proposto entro il termine di due mesi a partire dal giorno successivo alla pubblicazione del bando di concorso, ossia il 17 dicembre 2007. In conformità del diritto spagnolo, il ricorrente nella causa principale avrebbe dovuto o proporre un ricorso diretto contro i requisiti stabiliti nel bando di concorso entro il termine prescritto oppure proporre un ricorso per contestare il risultato del concorso se il vizio da cui nasceva la nullità allegata derivava dal comportamento dell’autorità competente in sede di applicazione dei requisiti di
ammissione al concorso, che non erano in quanto tali viziati da nullità. Non potrebbe invece impugnare indirettamente i requisiti di un concorso di accesso alla funzione pubblica oltre il termine prescritto, tramite un ricorso diretto proposto avverso il risultato del concorso stesso.
87      Conformemente a una giurisprudenza costante della Corte, in mancanza di una disciplina dell’Unione in materia, spetta all’ordinamento giuridico interno di ciascuno Stato membro, in forza del principio di autonomia procedurale, designare i giudici competenti e stabilire le modalità procedurali dei ricorsi intesi a garantire la tutela dei diritti spettanti ai singoli in forza del diritto dell’Unione (v., in particolare, sentenze Impact, cit., punto 44, e 23 aprile 2009, cause riunite da C‑378/07 a C‑380/07, Angelidaki e a., Racc. pag. I‑3071, punto 173).
88      Tuttavia gli Stati membri sono tenuti a garantire in ogni caso la tutela effettiva di tali diritti (v., segnatamente, sentenza Impact, cit., punto 45, e giurisprudenza ivi citata).
89      Sotto tale profilo, come risulta da giurisprudenza consolidata, le modalità procedurali dei ricorsi intesi a garantire la tutela dei diritti spettanti ai singoli in forza del diritto dell’Unione non devono essere meno favorevoli di quelle che riguardano ricorsi analoghi di natura interna (principio di equivalenza), né devono rendere praticamente impossibile o eccessivamente difficile l’esercizio dei diritti conferiti dall’ordinamento giuridico dell’Unione (principio di effettività) (v., in particolare, sentenza Impact, cit., punto 46 e giurisprudenza ivi citata).
90      Per quanto riguarda il rispetto del principio di equivalenza, esso presuppone che la norma nazionale controversa si applichi indifferentemente ai ricorsi fondati sulla violazione del diritto dell’Unione e a quelli fondati sull’inosservanza del diritto interno aventi un oggetto e una causa analoghi. Al fine di verificare se il principio di equivalenza sia rispettato, spetta al giudice nazionale, unico a disporre di conoscenza diretta delle modalità procedurali dei ricorsi nell’ambito del settore del diritto interno, verificare se le modalità procedurali destinate ad assicurare, in diritto interno, la tutela dei diritti attribuiti ai singoli dal diritto dell’Unione siano conformi a tale principio e esaminare tanto l’oggetto quanto gli elementi essenziali dei ricorsi di natura interna con i quali si asserisce che sussista un’analogia. Detto giudice deve, a tale
titolo, verificare le analogie tra i ricorsi di cui trattasi dal punto di vista del loro oggetto, della loro causa e dei loro elementi essenziali. Per stabilire se una disposizione procedurale nazionale sia meno favorevole, detto giudice deve tener conto della sua collocazione nel complesso della procedura e delle particolarità di tali regole (sentenze 8 luglio 2010, causa C‑246/09, Bulicke, non ancora pubblicata nella Raccolta, punti 26-29, nonché ordinanza 18 gennaio 2011, causa C‑272/10, Berkizi-Nikolakaki, punti 40 e 41).
91      Nel caso di specie, dagli elementi forniti alla Corte non risulta che il termine di decadenza di due mesi di cui alla causa principale sia contrario al principio di equivalenza. Come afferma il governo spagnolo, tale termine è quello di diritto comune previsto per tutti i ricorsi proposti contro atti amministrativi o disposizioni di essi. Tuttavia, spetta al giudice del rinvio verificare se ciò avvenga nella causa principale.
92      Per quanto riguarda l’applicazione del principio di effettività, la Corte ha già affermato che ciascun caso in cui si ponga la questione se una norma processuale nazionale renda praticamente impossibile o eccessivamente difficile l’esercizio dei diritti conferiti ai singoli dal diritto dell’Unione deve parimenti essere esaminato tenendo conto del ruolo di detta norma nell’insieme del procedimento, dello svolgimento e delle peculiarità dello stesso, dinanzi ai vari organi giurisdizionali nazionali. Sotto tale profilo si devono considerare, se necessario, i principi che sono alla base del sistema giurisdizionale nazionale, quali la tutela dei diritti della difesa, il principio della certezza del diritto e il regolare svolgimento del procedimento (sentenza Bulicke, cit., punto 35, e ordinanza Berkizi-Nikolakaki, cit., punto 48).
93      La Corte ha così riconosciuto la compatibilità con il diritto dell’Unione della fissazione di termini di ricorso ragionevoli a pena di decadenza nell’interesse della certezza del diritto, poiché termini del genere non sono tali da rendere praticamente impossibile o eccessivamente difficile l’esercizio dei diritti attribuiti dall’ordinamento giuridico dell’Unione. Quanto ai termini di decadenza, la Corte ha altresì dichiarato che spetta agli Stati membri determinare, per le normative nazionali che rientrano nella sfera d’applicazione del diritto dell’Unione, termini in funzione, segnatamente, della rilevanza che le decisioni da adottare rivestono per gli interessati, della complessità dei procedimenti e della legislazione da applicare, del numero di soggetti che possono essere coinvolti e degli altri interessi pubblici o privati che devono essere presi in
considerazione (v. sentenza Bulicke, cit., punto 36, e ordinanza Berkizi-Nikolakaki, cit., punto 49).
94      Nel caso di specie, il governo spagnolo fa valere che il termine di due mesi è fondato sul principio di certezza del diritto ed è principalmente diretto a tutelare gli altri candidati a procedure di selezione, in cui, da un lato, il numero di posti da assegnare è limitato e, dall’altro, l’annullamento dei requisiti applicabili al concorso obbligherebbe a riavviare la procedura e priverebbe i candidati vincitori del concorso dei diritti che credevano di aver acquisito.
95      A tale proposito occorre rilevare che la Corte ha già dichiarato che la previsione di un termine di decadenza di due mesi, nell’ambito delle cause dinanzi ad essa pendenti, non risulta atta a rendere praticamente impossibile o eccessivamente difficile l’esercizio dei diritti conferiti dal diritto dell’Unione (v. sentenza Bulicke, cit., punto 39, e ordinanza Berkizi-Nikolakaki, cit., punto 58). In particolare essa ha constatato la validità di detto termine in relazione ad un ricorso contro un atto di portata generale contenente una procedura complessa e che coinvolgeva un numero rilevante di soggetti (v., in tal senso, ordinanza Berkizi-Nikolakaki, cit., punti 56‑58).
96      Pertanto, si deve rilevare che un termine di decadenza come quello di cui alla causa principale non appare, in linea di principio, atto a rendere praticamente impossibile o eccessivamente difficile l’esercizio dei diritti attribuiti dall’accordo quadro.
97      Si deve tuttavia rilevare che, come risulta dalla decisione di rinvio, il ricorrente nella causa principale è stato ammesso ed ha partecipato con successo alle prove del concorso organizzato dalla Consejería e, fino all’adozione della decisione di cui alla causa principale da parte del suo segretario generale, figurava sull’elenco definitivo dei vincitori di tale concorso pubblicato il 12 novembre 2008. In tali circostanze, non può escludersi che far decorrere il termine di due mesi previsto dal diritto spagnolo dalla pubblicazione del bando di concorso, avvenuta il 17 dicembre 2007, poteva rendere impossibile o eccessivamente difficile l’esercizio dei diritti attribuiti dall’accordo quadro.
98      Infatti, tenuto conto della sua ammissione alle prove del concorso e, in particolare, della circostanza che il ricorrente nella causa principale è stato incluso nell’elenco definitivo dei vincitori di tale concorso, solo al momento in cui il segretario generale della Consejería, con la decisione di cui trattasi nella causa principale, e cioè il 25 marzo 2009, ha annullato l’ammissione e la nomina dell’interessato in qualità di dipendente pubblico di ruolo del gruppo C, è stato rilevato che il bando di concorso sarebbe stato applicato in modo tale da poter ledere i diritti conferiti dall’accordo quadro.
99      In tali circostanze e, tenuto conto degli elementi non certi presenti nel fascicolo di cui dispone la Corte, spetta al giudice del rinvio procedere alle verifiche necessarie relative al rispetto del principio di effettività e stabilire se il ricorrente nella causa principale abbia comunque proposto il suo ricorso in tempo utile, nel caso in cui il termine di ricorso di due mesi, nelle circostanze di cui alla causa principale, dovesse decorrere esclusivamente a partire dalla notifica di detta decisione.
100    Alla luce di quanto precede, occorre risolvere la quinta questione dichiarando che il diritto primario dell’Unione, la direttiva 1999/70 e l’accordo quadro devono essere interpretati nel senso che non ostano, in linea di principio, ad una normativa nazionale che prevede che il ricorso proposto da un dipendente pubblico di ruolo contro una decisione che respinge la sua candidatura ad un concorso e fondato sul fatto che tale procedura era contraria alla clausola 4 di detto accordo quadro, deve essere proposto entro un termine di decadenza di due mesi a partire dalla data di pubblicazione del bando di concorso. Tale termine non potrebbe tuttavia essere opposto ad un dipendente pubblico di ruolo, candidato a tale concorso, che sia ammesso alle prove e il cui nome rientrava nell’elenco definitivo dei vincitori di detto concorso, se fosse atto a rendere impossibile o
eccessivamente difficile l’esercizio dei diritti attribuiti dall’accordo quadro. In tali circostanze, il termine di due mesi potrebbe decorrere solo dalla notifica della decisione che annulla la sua ammissione al detto concorso e la sua nomina in qualità di dipendente pubblico di ruolo del gruppo superiore.
 Sulle spese
101    Nei confronti delle parti nella causa principale il presente procedimento costituisce un incidente sollevato dinanzi al giudice nazionale, cui spetta quindi statuire sulle spese. Le spese sostenute da altri soggetti per presentare osservazioni alla Corte non possono dar luogo a rifusione.
Per questi motivi, la Corte (Seconda Sezione) dichiara:
1)      La direttiva del Consiglio 28 giugno 1999, 1999/70/CE, relativa all’accordo quadro CES, UNICE e CEEP sul lavoro a tempo determinato, e l’accordo quadro che figura in allegato ad essa devono essere interpretati nel senso che, da un lato, essi si applicano ai contratti e rapporti di lavoro a tempo determinato conclusi con le amministrazioni e gli altri enti del settore pubblico e, dall’altro, richiedono che sia esclusa qualsiasi disparità di trattamento tra i dipendenti pubblici di ruolo e i dipendenti pubblici temporanei comparabili di uno Stato membro per il solo motivo che questi ultimi lavorano a tempo determinato, a meno che la disparità di trattamento non sia giustificata da ragioni oggettive nell’accezione di cui alla clausola 4, punto 1, di detto accordo quadro.
2)      La clausola 4 di detto accordo quadro sul lavoro a tempo determinato deve essere interpretata nel senso che osta a che i periodi di servizio prestati da un dipendente pubblico temporaneo di un’amministrazione pubblica non vengano presi in considerazione ai fini dell’accesso di quest’ultimo, divenuto nel frattempo dipendente pubblico di ruolo, ad una promozione per via interna cui possono esclusivamente aspirare i dipendenti pubblici di ruolo, a meno che tale esclusione non sia giustificata da ragioni oggettive ai sensi del punto 1 di tale clausola. Il semplice fatto che il dipendente pubblico temporaneo abbia prestato detti periodi di servizio in base ad un contratto o un rapporto di lavoro a tempo determinato non costituisce una tale ragione oggettiva.
3)      Il diritto primario dell’Unione, la direttiva 1999/70 e detto accordo quadro sul lavoro a tempo determinato devono essere interpretati nel senso che non ostano, in linea di principio, ad una normativa nazionale che prevede che il ricorso proposto da un dipendente pubblico di ruolo contro una decisione che respinge la sua candidatura ad un concorso e fondato sul fatto che tale procedura era contraria alla clausola 4 di detto accordo quadro, debba essere proposto entro un termine di decadenza di due mesi a partire dalla data di pubblicazione del bando di concorso. Tale termine non potrebbe tuttavia essere opposto ad un dipendente pubblico di ruolo, candidato a tale concorso, che sia stato ammesso alle prove e il cui nome rientrava nell’elenco definitivo dei vincitori di detto concorso, se fosse atto a rendere impossibile o eccessivamente difficile l’esercizio dei
diritti attribuiti dall’accordo quadro. In tali circostanze, il termine di due mesi potrebbe decorrere solo dalla notifica della decisione che annulla la sua ammissione al detto concorso e la sua nomina in qualità di dipendente pubblico di ruolo del gruppo superiore.
Firme

CONCLUSIONI DELL’AVVOCATO GENERALE
ELEANOR SHARPSTON
presentate il 12 maggio 2011 (1)
Causa C‑177/10
Francisco Javier Rosado Santana
contro
Consejería de Justicia y Administración Pública de la Junta de Andalucía
[Domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dal Juzgado de lo Contencioso-Administrativo n. 12 de Sevilla (Spagna)]
«Politica sociale – Lavoro a tempo determinato – Funzione pubblica – Principio di non discriminazione – Agenti temporanei»




1.        Con la presente domanda di pronuncia pregiudiziale, la Corte è ancora una volta chiamata a interpretare l’accordo quadro sul lavoro a tempo determinato concluso il 18 marzo 1999 tra la Confederazione europea dei sindacati (CES), l’Unione delle confederazioni delle industrie della Comunità europea (UNICE) e il Centro europeo dell’impresa a partecipazione pubblica (CEEP) (in prosieguo: l’«accordo quadro») riportato in allegato alla direttiva 1999/70/CE (in prosieguo: la «direttiva») (2).
2.        La questione particolare sorta nel caso di specie concerne la compatibilità con la clausola 4 dell’accordo quadro di una disposizione normativa disciplinante la procedura di promozione per i dipendenti pubblici. La disposizione in questione esigeva che i candidati avessero trascorso un periodo di tempo in qualità di dipendente pubblico di ruolo (vale a dire dipendente pubblico nominato di ruolo o permanente) per poter accedere a una promozione nell’ambito di tale procedura. I dipendenti pubblici con esperienza precedente acquisita sulla base di un contratto a tempo determinato erano quindi ritenuti non ammissibili.
 Contesto normativo
 Diritto dell’Unione europea
3.        Il secondo ‘considerando’ del preambolo dell’accordo quadro è così formulato:
«Le parti firmatarie dell’accordo [CES, UNICE e CEEP] riconoscono che i contratti a tempo indeterminato sono e continueranno ad essere la forma comune dei rapporti di lavoro fra i datori di lavoro e i lavoratori. Esse inoltre riconoscono che i contratti a tempo determinato rispondono, in alcune circostanze, sia alle esigenze dei datori di lavoro sia a quelle dei lavoratori».
4.        Ai sensi della clausola 1 dell’accordo quadro:
«L’obiettivo [di quest’ultimo] è:
a)      migliorare la qualità del lavoro a tempo determinato garantendo il rispetto del principio di non discriminazione;
(…)».
5.        La clausola 3 dell’accordo quadro in discussione stabilisce quanto segue:
« 1.      Ai fini del presente accordo, il termine “lavoratore a tempo determinato” indica una persona con un contratto o un rapporto di lavoro definiti direttamente fra il datore di lavoro e il lavoratore e il cui termine è determinato da condizioni oggettive, quali il raggiungimento di una certa data, il completamento di un compito specifico o il verificarsi di un evento specifico.
2.      Ai fini del presente accordo, il termine “lavoratore a tempo indeterminato comparabile” indica un lavoratore con un contratto o un rapporto di lavoro di durata indeterminata appartenente allo stesso stabilimento e addetto a lavoro/occupazione identico o simile, tenuto conto delle qualifiche/competenze.
(…)».
6.        La clausola 4 del suddetto accordo quadro, intitolata «Principio di non discriminazione», prevede:
«1.      Per quanto riguarda le condizioni di impiego, i lavoratori a tempo determinato non possono essere trattati in modo meno favorevole dei lavoratori a tempo indeterminato comparabili per il solo fatto di avere un contratto o rapporto di lavoro a tempo determinato, a meno che non sussistano ragioni oggettive.
(…)
4.      I criteri del periodo di anzianità di servizio relativi a particolari condizioni di lavoro dovranno essere gli stessi sia per i lavoratori a tempo determinato sia per quelli a tempo indeterminato, eccetto quando criteri diversi in materia di periodo di anzianità siano giustificati da motivazioni oggettive».
7.        La clausola 8, punto 5, dell’accordo quadro in discussione stabilisce che:
«La prevenzione e la soluzione delle controversie e delle vertenze scaturite dall’applicazione del presente accordo dovranno procedere in conformità con le leggi, i contratti collettivi e la prassi nazionali».
 Diritto nazionale
8.        Secondo la decisione di rinvio, oltre alla direttiva e all’accordo quadro, il ricorrente sig. Rosado Santana invoca: a) l’art. 14 della costituzione spagnola il quale sancisce il principio della parità di trattamento, e b) l’art. 1 della legge 26 dicembre 1978, n. 70, in materia di riconoscimento di servizi pregressi effettuati presso l’amministrazione pubblica (in prosieguo: la «legge 26 dicembre 1978, n. 70»), che stabilisce:
«1.      Si riconoscono ai dipendenti pubblici di ruolo dell’amministrazione dello Stato, delle amministrazioni locali, delle istituzioni, della giustizia, della giurisdizione del lavoro e della sicurezza sociale tutti i periodi di servizio prestati presso dette amministrazioni, anteriormente alla costituzione dei rispettivi settori, gradi e posti o all’ingresso negli stessi, nonché i periodi di tirocinio dei dipendenti pubblici che abbiano superato le prove di ammissione alla pubblica amministrazione.
2.      Si considerano servizi effettivi tutti i servizi prestati presso gli organismi della pubblica amministrazione menzionati al punto precedente, in qualità di dipendente pubblico a tempo determinato (a termine o temporaneo) nonché tutti i periodi di servizio prestati in virtù di un contratto disciplinato dal diritto amministrativo o del lavoro, sia esso formalizzato documentalmente o meno».
9.        Il testo della decisione di rinvio prosegue segnalando che l’applicabilità della legge 26 dicembre 1978, n. 70, è contestata nella causa principale dalla Junta de Andalucía (Amministrazione autonoma dell’Andalusia) (in prosieguo: la «Junta»), sulla base della giurisprudenza nazionale la quale prevede che tale normativa non trovi applicazione alcuna nelle procedure di selezione dei dipendenti pubblici basate sul merito.
10.      Nelle sue osservazioni scritte il governo spagnolo sostiene, inoltre, l’inapplicabilità della legge 26 dicembre 1978, n. 70. Si riferisce, da parte sua, alla 22ª disposizione aggiuntiva alla legge 2 agosto 1984, n. 30, relativa alla riforma della funzione pubblica. Tale disposizione stabilisce determinati motivi di ammissibilità per la promozione dai settori del gruppo D ai settori del gruppo C all’interno della struttura del pubblico impiego spagnolo. Questi includono dieci anni di servizio reso in qualità di dipendente pubblico di ruolo nel primo gruppo citato. Secondo la Junta, la disposizione in esame trova la sua espressione specifica, nell’ambito delle leggi della Comunità autonoma di Andalusia, nel decreto 9 gennaio 2002, n. 2, il cui art. 32, comma 2, è formulato in senso analogo.
11.      Il governo spagnolo fa anche riferimento alla legge 12 aprile 2007, n. 7, concernente lo statuto di base relativo ai dipendenti pubblici. L’art. 10 di tale legge si applica a dipendenti pubblici temporanei e contiene disposizioni relative alla loro nomina, alla natura delle loro funzioni e alla cessazione del loro ufficio (3).
12.      La decisione di rinvio prosegue esaminando la giurisprudenza della Corte costituzionale spagnola. La Corte sembra aver dichiarato che le differenze di remunerazione fra dipendenti pubblici a tempo determinato e dipendenti pubblici di ruolo con le stesse funzioni possono non essere contrarie al principio della parità di trattamento così come fissato dall’art. 14 della Costituzione spagnola. Un trattamento giuridico differenziato può, quindi, essere considerato costituzionalmente legittimo.
13.      Infine, la decisione di rinvio rileva che un gran numero di giudici spagnoli (ma non la totalità di essi) ritiene che, qualora un avviso pubblico di procedura di assunzione stabilisca le norme che disciplinano, tra l’altro, l’ammissibilità alla stessa, tale regolamento costituisca la «legge» di detta procedura. Se un candidato non impugna tali norme entro i termini stabiliti, egli non può più sostenere la loro illegittimità, al fine di contestare l’esito della procedura nella misura in cui questo lo riguarda.
14.      Secondo le osservazioni scritte del governo spagnolo, da tale giurisprudenza risulta che ci sono due, e solo due, possibilità per un candidato che intenda contestare le procedure di selezione nell’ambito dell’assunzione di dipendenti pubblici. Qualora il candidato intenda contestare le condizioni applicabili alla procedura di selezione in questione, deve impugnare tali condizioni in maniera specifica. Nel caso in cui, al contrario, il candidato intenda contestare il modo in cui è stata gestita la procedura di selezione, deve impugnare direttamente la gestione della procedura di selezione. Ciò che non è consentito è impugnare le condizioni applicabili alla procedura di selezione in maniera indiretta, sotto forma di contestazione apparentemente diretta alla gestione della procedura di selezione. Ai sensi della legge 13 luglio 1998, n. 29, recante disciplina dei
ricorsi amministrativi, in circostanze come quelle che caratterizzano la causa principale, un’eventuale contestazione delle condizioni applicabili alla procedura di selezione avrebbe dovuto essere presentata entro due mesi dalla data di pubblicazione dell’avviso della procedura. Nel caso in esame, ogni contestazione avrebbe dovuto dunque essere presentata entro e non oltre il 17 marzo 2008.
 Fatti, procedimento e questioni pregiudiziali
15.      Il sig Rosado Santana, ricorrente nella causa principale, ha inizialmente instaurato un rapporto di lavoro con la Junta il 19 maggio 1989, quando è stato assunto con un contratto a tempo determinato. Tale rapporto è terminato il 27 maggio 2005. Il 28 maggio 2005, egli è divenuto un dipendente pubblico di ruolo in virtù di un contratto a tempo indeterminato.
16.      La decisione di rinvio afferma che, con ordinanza 17 dicembre 2007 della Consejería de Justicia y Administración Pública (Ministero della Giustizia e della Pubblica amministrazione) della Junta, venivano indette prove selettive secondo il procedimento di promozione interna per l’avanzamento dei dipendenti pubblici al corpo generale dei dipendenti pubblici di detta amministrazione pubblica (in prosieguo: il «bando di concorso»). Ai sensi dell’art. 2, comma 1, lett. b), di tale ordinanza, i candidati dovevano «[e]ssere in possesso di un diploma di scuola superiore [licenza liceale] (…) o, in alternativa, possedere un’anzianità di dieci anni di servizio in qualità di dipendente pubblico di ruolo nei settori del gruppo D, ovvero di cinque anni avendo superato il corso di cui alla decisione dell’Instituto Andaluz de Administración Pública [Istituto
andaluso della Pubblica amministrazione] 4 luglio 2002, che indice un concorso di abilitazione per l’accesso mediante promozione interna a settori del gruppo C da settori del gruppo D dell’Administración General della Junta de Andalucía [Amministrazione generale della Junta] (…)».
17.      Mi riferirò, in prosieguo, al criterio di ammissibilità relativo ai dieci anni di anzianità di servizio in qualità di dipendente pubblico nella categoria D con il termine «il criterio contestato».
18.      Sebbene la decisione di rinvio non precisi la totalità dei termini dell’art. 2, comma 1, lett. b), del bando di concorso, le osservazioni scritte presentate dalla Junta intendono precisarli. Secondo tali osservazioni, la regola in questione prosegue stabilendo:
«(…) i periodi di servizio (…) prestati in qualità di dipendente pubblico in altri settori della pubblica amministrazione (…) saranno presi in considerazione con il fine di calcolare l’anzianità di servizio (…) Tuttavia non verranno computati i servizi precedentemente prestati in qualità di lavoratore temporaneo o interinale in un altro settore della pubblica amministrazione o di altri simili periodi di servizio precedenti».
19.      Il bando di concorso è stato pubblicato nel Boletín Oficial (Gazzetta ufficiale) della Junta del 16 gennaio 2008.
20.      Malgrado l’ordinanza di rinvio non sia del tutto chiara a questo proposito, il sig. Rosado Santana sembrerebbe aver soddisfatto il criterio contestato in virtù del servizio prestato presso la convenuta dal 19 maggio 1989, se non fosse per il fatto che il bando richiedeva che tale servizio fosse stato intrapreso come dipendente pubblico di ruolo. I restanti criteri di idoneità contenuti nel bando di assunzione non sono pertinenti al suo caso.
21.      Il sig. Rosado Santana, tuttavia, si è candidato alle prove di selezione in questione e la sua domanda è stata accettata. Ha partecipato alla procedura di concorso, che è stata suddivisa in due prove. Le ha superate e di conseguenza il suo nome è stato inserito nell’elenco degli idonei pubblicato il 12 novembre 2008.
22.      Il 2 febbraio 2009, è stato pubblicato un avviso di posto vacante. Il sig. Rosado Santana si è debitamente candidato per un posto presentando la documentazione richiesta. Il 25 marzo 2009, tuttavia, la Secretaría General para la Administración Pública (Segretariato generale per la Pubblica Amministrazione) della Junta ha adottato una decisione che annulla la sua classificazione come candidato idoneo (in prosieguo: la «decisione controversa»). La motivazione addotta per l’annullamento è che il sig. Rosado Santana non avrebbe soddisfatto nessuno dei criteri di ammissibilità specificati nel precedente paragrafo 16. In particolare, egli non soddisfaceva il criterio contestato, sulla base del fatto che il periodo durante il quale aveva prestato servizio come dipendente pubblico a tempo determinato non era da prendere in considerazione per determinare se tale
criterio fosse stato soddisfatto.
23.      L’8 giugno 2009, il sig. Rosado Santana ha proposto ricorso dinanzi al Juzgado de lo Contencioso-Administrativo n. 12 de Sevilla [Tribunale del contenzioso amministrativo n. 12, Siviglia (Spagna)], in cui ha contestato la decisione controversa. Nello specifico, ha impugnato la validità del criterio contestato in quanto richiedeva erroneamente che il servizio in questione fosse stato prestato in qualità di dipendente pubblico di ruolo.
24.      Il giudice nazionale sottopone alla Corte di giustizia le seguenti questioni pregiudiziali:
«1)      Se [detta direttiva] debba essere interpretata nel senso che, qualora un giudice costituzionale di uno Stato membro dell’Unione abbia stabilito che l’attribuzione ai dipendenti pubblici a tempo determinato di diritti diversi da quelli conferiti ai dipendenti pubblici di ruolo può risultare compatibile con la Costituzione di tale Stato, ciò escluda necessariamente l’applicabilità della menzionata normativa comunitaria nell’ambito della pubblica amministrazione dello Stato di cui trattasi.
2)      Se [detta direttiva] debba essere interpretata nel senso che osta a che un giudice nazionale interpreti il principio della parità di trattamento e il divieto di discriminazione in modo da escludere in generale dal loro ambito di applicazione l’equiparazione tra dipendenti pubblici a tempo determinato e dipendenti pubblici di ruolo.
3)      Se la clausola 4 [dell’accordo quadro] debba essere interpretata nel senso che osta a che i servizi prestati nell’ambito di un rapporto di lavoro a tempo determinato non vengano computati a titolo di anzianità di servizio acquisita quando si diviene dipendenti pubblici a tempo indeterminato e concretamente ai fini della retribuzione, classificazione o progressione di carriera nel pubblico impiego.
4)      Se la clausola 4 [dell’accordo quadro] obblighi a interpretare la normativa nazionale nel senso che non esclude dal computo dei periodi di servizio dei pubblici impiegati quelli prestati nell’ambito di un rapporto di lavoro a tempo determinato.
5)      Se la clausola 4 [dell’accordo quadro] debba essere interpretata nel senso che, quand’anche il regolamento di un concorso pubblico sia stato pubblicato e non sia stato impugnato dall’interessato, il giudice nazionale sia tenuto ad esaminare se tale regolamento risulti in contrasto con il diritto [dell’Unione europea] e, in caso affermativo, debba disapplicare il medesimo regolamento o la disposizione nazionale che ne costituisce il fondamento, in quanto contrarie alla menzionata clausola».
25.      Osservazioni scritte sono state presentate dal governo spagnolo, dalla Junta e dalla Commissione europea. Non è stata richiesta né si è tenuta udienza.
 Ricevibilità
26.      Nelle sue osservazioni scritte la Junta ha sollevato due eccezioni di ricevibilità.
27.      Nella prima di queste, la Junta sostiene che la decisione di rinvio non soddisfa i requisiti della giurisprudenza della Corte di giustizia. In particolare, il giudice nazionale ha omesso di precisare il quadro legislativo nazionale che si applica alle questioni sollevate nonché le ragioni che hanno portato tale giudice a scegliere una determinata disposizione del diritto dell’Unione europea (UE). Non ha neppure dimostrato il legame tra questa disposizione e le norme nazionali o la situazione di fatto che rappresenta il contesto della controversia. Il rinvio dovrebbe essere dichiarato pertanto irricevibile.
28.      Non condivido questa tesi.
29.      Per giurisprudenza consolidata, la procedura di cui all’art. 267 TFUE si fonda su una netta separazione delle funzioni tra i giudici nazionali e la Corte di giustizia. Spetta unicamente al giudice a quo, in considerazione delle particolarità della singola causa, valutare la necessità del rinvio pregiudiziale ai fini della pronuncia sul merito e la rilevanza delle questioni che sottopone alla Corte (4).
30.      Dall’esame dell’ordinanza di rinvio emerge che il giudice nazionale illustra la normativa nazionale invocata dal sig. Rosado Santana nella causa dinanzi allo stesso. Necessariamente, il giudice deve ritenere le disposizioni in materia come determinanti ai fini della risoluzione delle questioni pregiudiziali. L’atto prosegue fornendo dettagli relativi alla giurisprudenza nazionale che induce il giudice a dubitare della corretta applicazione della direttiva nella propria giurisdizione nazionale alla luce di tale giurisprudenza. È chiaro in ogni caso che, in un procedimento pregiudiziale, è competenza del giudice nazionale dinanzi al quale è stato introdotto il procedimento determinare le disposizioni di diritto nazionale che sono applicabili alla causa principale (5).
31.      Per quanto riguarda i motivi che hanno indotto il giudice nazionale a far riferimento alla direttiva e all’accordo quadro e il legame tra tali disposizioni e la controversia nella causa principale, l’ordinanza di rinvio chiarisce, di là da ogni dubbio, perché le disposizioni della direttiva siano pertinenti alla situazione di fatto descritta nell’ordinanza.
32.      Alla luce di tutto ciò, la prima obiezione deve essere, a mio avviso, respinta.
33.      Con la seconda eccezione la Junta sostiene, secondo la mia interpretazione, che le questioni sollevate sono irricevibili in quanto la clausola 4 dell’accordo quadro non può applicarsi alle circostanze alle quali il caso fa riferimento. La controversia nella causa principale non riguarda una «condizione d’impiego» ai sensi della clausola 4 dell’accordo quadro, ma piuttosto un criterio di partecipazione alla procedura di concorso alla quale il sig. Rosado Santana ha preso parte.
34.      È chiaro dalla giurisprudenza della Corte che, qualora la Corte riceva una richiesta di interpretazione del diritto dell’Unione europea che non sia manifestamente estranea alla realtà o all’oggetto della causa principale, deve rispondere a tale richiesta (6).
35.      Esaminerò la questione di cosa si intenda per «condizione d’impiego» nei successivi paragrafi 51 e segg. Tuttavia ritengo che la seconda eccezione della Junta sulla irricevibilità sia manifestamente erronea. È chiaro al di là di ogni dubbio che l’applicabilità della clausola 4 dell’accordo quadro, ivi compresa l’interpretazione da dare al termine «condizione d’impiego», è pertinente alle questioni che sorgono nel procedimento principale.
36.      Le eccezioni di ricevibilità della Junta devono pertanto essere respinte.
 Nel merito
37.      Nell’ordinanza di rinvio il giudice nazionale solleva cinque questioni pregiudiziali. La prima questione riguarda l’interazione tra il diritto nazionale e il diritto dell’Unione europea. Le questioni seconda, terza e quarta riguardano ognuna l’applicabilità e l’interpretazione della direttiva e, in particolare, della clausola 4 dell’accordo quadro. La quinta questione solleva problematiche concernenti la disponibilità di mezzi di ricorso di diritto interno ove si verifichino violazioni del diritto dell’Unione europea.
38.      Poiché la pertinenza delle questioni 1 e 5 dipende dalla soluzione che la Corte darà alla questione dell’applicabilità e dell’interpretazione della direttiva, analizzerò anzitutto le questioni seconda, terza e quarta. Esaminerò poi la prima questione, prima di passare alla quinta questione.
 Questioni seconda, terza e quarta
39.      Con tali questioni, da esaminare congiuntamente, il giudice nazionale chiede in sostanza alla Corte di pronunciarsi sull’applicabilità e sull’interpretazione della direttiva e, in particolare, della clausola 4 dell’accordo quadro, alle circostanze che emergono nella causa principale.
40.      In particolare, il giudice nazionale chiede di sapere se un bando di concorso, come quello di cui alla causa principale, che subordini il diritto alla promozione all’interno dell’impiego pubblico ad un periodo di servizio prestato in qualità di impiegato pubblico di ruolo ed escluda espressamente i periodi di tempo trascorsi in qualità di dipendente pubblico a tempo determinato, violi la clausola 4 dell’accordo quadro.
 L’applicabilità della direttiva alla fattispecie di cui alla causa principale
–        Dipendenti pubblici
41.      È chiaro dalla giurisprudenza della Corte di giustizia che il fatto che il sig. Rosado Santana abbia iniziato un rapporto di lavoro con un ente del settore pubblico non ha alcuna influenza sull’applicazione della direttiva e dell’accordo quadro in questa causa. Infatti, risulta sia dalla formulazione di tali provvedimenti che dal loro contesto che le disposizioni in essi contenuti possono applicarsi al contratto di lavoro a tempo determinato e ai rapporti di lavoro conclusi con le autorità pubbliche e gli enti del settore pubblico (7). Analogamente, il fatto che un posto possa essere classificato come «disciplinato» secondo il diritto interno è irrilevante ai fini dell’applicazione di tali provvedimenti (8).
42.      Di conseguenza, contrariamente alla tesi sostenuta dalla Junta in relazione alla seconda questione, i dipendenti pubblici a tempo determinato e quelli di ruolo devono essere considerati «comparabili» ai fini della clausola 4 dell’accordo quadro.
–        Applicabilità della direttiva e dell’accordo quadro a una persona che ha cessato di essere un lavoratore a tempo determinato
43.      Il governo spagnolo sostiene nelle sue osservazioni scritte che la direttiva e l’accordo quadro non possono essere applicate ad una persona, come il sig. Rosado Santana, che presenta ricorso come dipendente pubblico di ruolo, vale a dire come membro del personale a tempo indeterminato. A sostegno di tale tesi, cita i punti 28 e 30 della sentenza Del Cerro Alonso (9), in cui la Corte ha dichiarato che la direttiva e l’accordo quadro si applicano «a tutti i lavoratori che forniscono prestazioni retribuite nell’ambito di un rapporto di impiego a tempo determinato che li vincola al loro datore di lavoro», proseguendo poi con l’osservare che, poiché «la causa principale verte sul confronto tra un membro del personale di ruolo a tempo determinato ed un membro del personale di ruolo a tempo indeterminato», la ricorrente nella causa principale «[rientra] nel campo
di applicazione [della direttiva] e in quello dell’accordo quadro». Poiché il confronto che il sig. Rosado Santana cerca di stabilire in questo caso è tra se stesso, come dipendente pubblico di ruolo, e altri dipendenti pubblici di ruolo, si deve escludere che la direttiva e l’accordo quadro si applichino al suo caso.
44.      La Commissione adotta un approccio analogo.
45.      Mi pare che tale ragionamento non interpreti correttamente la giurisprudenza e adotti un approccio interpretativo della direttiva e dell’accordo quadro che non ha alcuna relazione con il loro obiettivo.
46.      Al fine di fornire una corretta interpretazione della direttiva e dell’accordo quadro, è necessario tener conto del contesto in cui tali provvedimenti sono stati emanati. Così, la Corte ha affermato nella sentenza Impact (10) che «l’accordo quadro, in particolare la sua clausola 4, (…) persegue uno scopo che rientra negli obiettivi fondamentali, iscritti al primo comma dell’[art. 151 TFUE] (…), del pari che all’art. 7 e al primo comma dell’art. 10 della Carta comunitaria dei diritti sociali fondamentali dei lavoratori cui rinvia la summenzionata disposizione del Trattato e che sono connessi al miglioramento delle condizioni di vita e di lavoro nonché all’esistenza di una protezione sociale adeguata, nel caso di specie dei lavoratori a tempo determinato. (…) Alla luce di tali obiettivi, la clausola 4 dell’accordo quadro dev’essere intesa nel
senso che esprime un principio di diritto sociale [dell’Unione europea] che non può essere interpretato in modo restrittivo» (11).
47.      Ciò che si sostiene nella causa principale è il diritto a veder riconosciuti i periodi di tempo trascorsi come lavoratore a tempo determinato ai fini dell’ammissibilità alla promozione allo stesso modo che per un lavoratore a tempo indeterminato comparabile, in un rapporto d’impiego con stesso datore di lavoro.
48.      Una simile interpretazione estensiva della clausola 4 può essere giustificata?
49.      A mio parere, tale interpretazione non soltanto è un’interpretazione accettabile, ma è la sola interpretazione rispondente all’esigenza che tale disposizione non sia interpretata in modo restrittivo. Il fatto che il sig. Rosado Santana si trovi ora in un rapporto di lavoro a tempo indeterminato con la Junta non ha alcuna influenza sull’argomento dedotto per parte sua. Ciò che è d’importanza fondamentale, invece, è determinare se la mancata considerazione dei periodi trascorsi in qualità di lavoratore a tempo determinato nel valutare la sua ammissibilità alla promozione unicamente a causa della natura a tempo determinato del suo rapporto di lavoro comporti una discriminazione ai fini della clausola 4.
50.      Un approccio più restrittivo vanificherebbe l’intero scopo della clausola 4 dell’accordo quadro. Renderebbe, infatti, ammissibile una delle forme di discriminazione per evitare le quali la direttiva e l’accordo quadro sono stati specificamente emanati.
–        «Condizione d’impiego»
51.      Affinché la clausola 4 dell’accordo sia applicata, la condizione in questione deve essere una «condizione d’impiego».
52.      La giurisprudenza della Corte chiarisce che l’espressione richiede anche un’interpretazione estensiva (12).
53.      Nel caso di specie, il fatto che il sig. Rosado Santana sia idoneo alla promozione costituisce un evento inerente al rapporto di lavoro del sig. Rosado Santana come dipendente pubblico di ruolo. In altri termini, a condizione che soddisfi i (validi) requisiti imposti dalla Junta in qualità di autorità datrice di lavoro, a tale riguardo, egli ha diritto a essere considerato per una promozione con tutti i benefici che ciò comporta, insieme ai suoi colleghi e agli altri candidati in una posizione simile.
54.      Tale diritto può essere definito come una condizione d’impiego ai fini della clausola 4 dell’accordo quadro?
55.      A mio avviso, la risposta non può che essere affermativa. Il rapporto di lavoro è caratterizzato da un diritto, da un lato, e da un corrispondente obbligo, dall’altro. Non vi è, a tal riguardo, alcuna differenza rispetto alle condizioni che disciplinano il pagamento delle retribuzioni per i servizi prestati (13).
 «Ragioni oggettive»
56.      La clausola 4 dell’accordo quadro prevede espressamente la disparità di trattamento tra lavoratori a tempo determinato e lavoratori a tempo indeterminato equiparabili, ove tale disparità di trattamento sia giustificata da ragioni oggettive.
57.      L’espressione «ragioni oggettive» non è stata definita né nella direttiva né nell’accordo quadro. È stata, tuttavia, interpretata dalla giurisprudenza nella Corte.
58.      Nella sentenza Del Cerro Alonso (14), la Corte ha dichiarato che l’espressione debba ricevere, per analogia, la stessa interpretazione della nozione di «ragioni oggettive», di cui alla clausola 5 dell’accordo quadro, in merito alla quale la giurisprudenza è già intervenuta (15). In base alla giurisprudenza relativa alla clausola 5, la Corte ha affermato che «la nozione di “ragioni oggettive” deve essere intesa nel senso che si riferisce a circostanze precise e concrete caratterizzanti una determinata attività e, pertanto, tali da giustificare in questo particolare contesto l’utilizzazione di contratti di lavoro a tempo determinato successivi. Tali circostanze possono risultare segnatamente dalla particolare natura delle mansioni per l’espletamento delle quali siffatti contratti sono stati conclusi e dalle caratteristiche inerenti a queste ultime o,
eventualmente, dal perseguimento di una legittima finalità di politica sociale di uno Stato membro» (16). Inoltre aggiunge che «il ricorso a contratti di lavoro a tempo determinato sulla sola base di una disposizione di carattere generale, senza relazione con il contenuto concreto dell’attività considerata, non consente di stabilire criteri oggettivi e trasparenti al fine di verificare se il rinnovo di siffatti contratti risponda effettivamente ad un’esigenza reale e sia atto a raggiungere lo scopo perseguito e necessario a tale effetto» (17).
59.      Applicando tale ragionamento alla clausola 4 dell’accordo quadro, la Corte dichiara, nella sentenza Del Cerro Alonso, che «[la nozione di ragioni oggettive] dev’essere intesa nel senso che essa non autorizza a giustificare una differenza di trattamento tra i lavoratori a tempo determinato e i lavoratori a tempo indeterminato per il fatto che quest’ultima sia prevista da una norma interna generale ed astratta, quale una legge o un contratto collettivo. Tale nozione richiede, al contrario, che la disparità di trattamento in causa sia giustificata dalla sussistenza di elementi precisi e concreti, che contraddistinguono il rapporto di impiego di cui trattasi, nel particolare contesto in cui s’inscrive e in base a criteri oggettivi e trasparenti, al fine di verificare se tale disparità risponda ad una reale necessità, sia idonea a conseguire l’obiettivo perseguito
e risulti a tal fine necessaria» (18).
60.      Di conseguenza, nella sentenza Gavieiro Gavieiro e Iglesias Torres (19), la Corte ancora una volta, nell’interpretazione della clausola 4 dell’accordo quadro, dichiara che «[gli elementi precisi e concreti in questione] possono risultare segnatamente dalla particolare natura delle funzioni per l’espletamento delle quali sono stati conclusi contratti a tempo determinato e dalle caratteristiche inerenti a queste ultime o, eventualmente, dal perseguimento di una legittima finalità di politica sociale di uno Stato membro. (…) Per contro, il riferimento alla mera natura temporanea del lavoro del personale della pubblica amministrazione non è conforme a tali requisiti e non può dunque costituire una ragione oggettiva ai sensi della clausola 4, punto 1, dell’accordo quadro. Infatti, una disparità di trattamento che riguardi le condizioni di impiego tra lavoratori
a tempo determinato e lavoratori a tempo indeterminato non può essere giustificata mediante un criterio che, in modo generale ed astratto, si riferisce alla durata stessa dell’impiego. Ammettere che la mera natura temporanea di un rapporto di lavoro basti a giustificare una siffatta disparità priverebbe del loro contenuto gli scopi [della direttiva] e dell’accordo quadro (…) Invece di migliorare la qualità del lavoro a tempo determinato e di promuovere la parità di trattamento cui mirano sia [la direttiva] sia l’accordo quadro, il ricorso ad un siffatto criterio renderebbe permanente il mantenimento di una situazione svantaggiosa per i lavoratori a tempo determinato» (20).
61.      Contrariamente a quanto sostiene il governo spagnolo nelle sue osservazioni scritte, ne consegue che il fatto che il rapporto di lavoro con un contratto a tempo determinato sia, per definizione, temporaneo non può costituire una «ragione oggettiva» che giustifichi una disparità di trattamento ai fini della clausola 4, punto 1, dell’accordo quadro. Ne consegue ulteriormente che, escludendo i periodi di servizio prestati come lavoratore a tempo determinato, come è avvenuto nel caso del sig. Rosado Santana, il bando di selezione non soddisfaceva i requisiti della clausola 4, punto 1, per quanto riguarda la nozione di «ragioni oggettive».
62.      Ciò non significa che non possano sussistere circostanze in cui la nozione di «ragione oggettiva» possa essere applicata a una differenza di trattamento tra dipendenti pubblici temporanei e dipendenti pubblici di ruolo. Il governo spagnolo dedica una parte relativamente ampia delle sue osservazioni scritte a descrivere le differenze di fondo da esso ritenute inerenti/determinanti tra dipendenti pubblici temporanei e dipendenti pubblici di ruolo. Tra queste, secondo il governo spagnolo, si annoverano le differenze relative al modo in cui sono impegnate le diverse categorie di dipendenti pubblici, i requisiti richiesti e la natura delle mansioni svolte.
63.      Nella misura in cui tali differenze non fanno altro che riflettere la natura temporanea del rapporto di lavoro in cui è impegnato un dipendente pubblico temporaneo, tali argomenti non riescono a giustificare una differenza di trattamento ai fini della clausola 4, punto 1, dell’accordo quadro. Tuttavia, tali differenze possono essere giustificate nella misura in cui rispecchino requisiti oggettivi, relativi al procedimento di promozione in casi specifici.
64.      In termini concreti, è verosimile immaginare circostanze in cui il posto da coprire richieda una particolare esperienza che solo un dipendente pubblico di ruolo possa aver conseguito. Ciò potrebbe, ad esempio, derivare dal fatto che tale precedente esperienza è disponibile solo in posti per i quali sono nominati solo dipendenti pubblici di ruolo. Nonostante il secondo ‘considerando’ del preambolo all’accordo quadro reciti che i contratti a tempo indeterminato rappresentano la forma comune dei rapporti di lavoro tra datori di lavoro e lavoratori, né la direttiva né l’accordo quadro stabiliscono un obbligo generale a che i rapporti di lavoro a tempo determinato debbano, se possibile, essere convertiti in rapporti permanenti (21).
65.      L’esistenza o meno di ragioni oggettive ai sensi della clausola 4, punto 1, in un caso particolare è una questione di fatto che dipenderà dalle circostanze particolari della procedura di promozione in questione. La questione deve essere affrontata in concreto caso per caso, tenendo conto di tutti i fattori che possono essere rilevanti, tra cui, in particolare, la natura della necessaria esperienza nel posto da coprire.
66.      Nel caso di cui alla causa principale, tuttavia, è evidente che, prevedendo semplicemente che i periodi di servizio come dipendente pubblico a tempo determinato non dovessero essere presi in considerazione, la procedura di selezione non avrebbe potuto beneficiare dell’esenzione in questione. Tali ragioni possono certamente essere esistite, ma anche in tal caso non sarebbero state espresse con la trasparenza necessaria a giustificare l’esenzione.
67.      Da quanto precede consegue che, a mio avviso, il bando di concorso è contrario alla clausola 4 dell’accordo quadro.
68.      Ritengo pertanto che le questioni seconda, terza e quarta dovrebbero essere risolte nel senso che la clausola 4 dell’accordo quadro è violata qualora un bando di concorso, come il bando di cui alla causa principale, subordini a un periodo di servizio in qualità di dipendente pubblico di ruolo l’idoneità per la promozione all’interno del pubblico impiego, escludendo i periodi di tempo trascorsi in qualità di dipendente pubblico a tempo determinato, senza addurre alcuna ragione oggettiva a fondamento di una siffatta esclusione.
 Prima questione
69.      Nell’ordinanza di rinvio il giudice nazionale indica che la Corte costituzionale spagnola ha stabilito che la disparità di trattamento tra dipendenti pubblici temporanei e dipendenti pubblici di ruolo, anche se esercitano le stesse funzioni, può non essere in contrasto con le disposizioni in materia di parità di trattamento sancite dall’art 14 della Costituzione nazionale.
70.      Per come io intendo la questione sollevata dal giudice nazionale, ci si chiede in sostanza se la definizione di parità di trattamento adottata da uno dei giudici supremi di tale Stato membro debba prevalere su una diversa definizione della stessa nozione secondo il diritto dell’Unione europea, in un ambito in cui il giudice nazionale è tenuto ad applicare il diritto dell’Unione europea. Qualora il giudice nazionale sia tenuto ad adottare la definizione della Corte costituzionale, il risultato sarebbe (o potrebbe essere) che la direttiva e l’accordo quadro non sarebbero considerati applicabili all’impiego pubblico di tale Stato membro.
71.      Nella parte in cui la questione riguarda l’applicabilità o meno della direttiva e dell’accordo quadro ai dipendenti pubblici, ho già affrontato tale questione ai precedenti paragrafi 41 e seguenti.
72.      Nella misura in cui la questione si chiede se il giudice nazionale possa essere obbligato ad applicare una definizione di parità di trattamento che si differenzia dalla definizione prevista dal diritto dell’Unione europea e assicura una tutela più debole, la risposta non può che essere negativa.
73.      Ciò è evidente dalla giurisprudenza consolidata della Corte.
74.      Nell’applicare il diritto nazionale, nel rispetto di una direttiva dell’Unione europea, i giudici nazionali sono tenuti ad interpretare quella legge, per quanto possibile, alla luce della formulazione e dello scopo della direttiva in questione e – poiché l’accordo quadro costituisce parte integrante della direttiva (22) – dell’accordo quadro. L’esigenza di un’interpretazione del diritto nazionale conforme al diritto dell’Unione europea attiene, infatti, al sistema del TFUE, in quanto permette ai giudici nazionali di assicurare, nell’ambito delle rispettive competenze, la piena efficacia del diritto dell’Unione quando risolvono le controversie ad essi sottoposte (23). Il principio di interpretazione conforme al diritto dell’Unione europea esige che i giudici nazionali si adoperino al meglio nei limiti della loro competenza, prendendo in
considerazione il diritto interno nella sua interezza al fine di garantire la piena effettività della direttiva e dell’accordo quadro e pervenire ad una soluzione conforme alla finalità perseguita (24).
75.      Ne consegue che il giudice nazionale è tenuto ad applicare l’interpretazione della direttiva e dell’accordo quadro fornita dalla Corte, nonostante la Corte costituzionale dello Stato membro in questione abbia stabilito che le differenze di trattamento tra dipendenti pubblici temporanei e dipendenti pubblici di ruolo non sono (o possono non essere) in contrasto con la Costituzione di tale Stato membro.
76.      Alla luce di quanto sopra esposto, ritengo che la prima questione dovrebbe essere risolta nel senso che il giudice nazionale è tenuto ad applicare l’interpretazione della direttiva e dell’accordo quadro fornita dalla Corte, anche se la Corte costituzionale spagnola ha stabilito che le differenze di trattamento tra dipendenti pubblici temporanei e dipendenti pubblici di ruolo non sono (o possono non essere) in contrasto con la Costituzione di tale Stato membro.
 Quinta questione
77.      Con tale questione, il giudice nazionale chiede in sostanza se il diritto dell’Unione europea, in particolare la clausola 4 dell’accordo quadro, richieda di esaminare le norme sostanziali della procedura concorsuale a prescindere da una preclusione processuale, quale il non aver presentato ricorso in tempo utile.
78.      La domanda del sig. Rosado Santana nella causa principale si fonda sulla tesi secondo cui, poiché il criterio contestato richiedeva un’esperienza decennale in qualità di dipendente pubblico di ruolo, il bando di concorso era in contrasto con il diritto dell’Unione europea. I suoi diritti sono stati quindi violati. Ho già affermato di essere d’accordo con tale tesi. Tuttavia, è evidente dall’ordinanza di rinvio che, quando il sig. Rosado Santana ha presentato ricorso, il termine dei due mesi previsto dal bando di concorso era già decorso.
79.      È possibile invocare un termine di prescrizione di questo tipo quando il ricorso si basa sulla violazione di diritti garantiti dal diritto dell’Unione europea?
80.      Risulta dalla giurisprudenza consolidata della Corte che, in mancanza di disciplina dell’Unione europea in materia, spetti all’ordinamento giuridico interno di ciascuno Stato membro stabilire le modalità procedurali dei ricorsi intesi a garantire la tutela dei diritti che derivano, per i singoli, dal diritto dell’Unione europea (25).
81.      Gli Stati membri, tuttavia, sono tenuti a garantire che tali diritti siano effettivamente tutelati in ciascun caso (26). Le dettagliate modalità procedurali di tali azioni non possono essere meno favorevoli di quelle che riguardano ricorsi analoghi di natura interna (principio di equivalenza), né rendere praticamente impossibile o eccessivamente difficile l’esercizio dei diritti conferiti dal diritto dell’Unione europea (principio di effettività) (27).
82.      Il rispetto del principio di equivalenza presuppone che la norma controversa si applichi indifferentemente ai ricorsi fondati sulla violazione del diritto comunitario e a quelli fondati sull’inosservanza del diritto interno aventi un oggetto e una causa analoghi (28). Poiché nessun elemento nell’ordinanza di rinvio suggerisce che tale principio sia stato violato nel caso di cui alla causa principale, spetta al giudice nazionale verificare la posizione (29).
83.      Per quanto riguarda il principio di effettività, secondo una giurisprudenza consolidata, la fissazione di termini di prescrizione ragionevoli soddisfa, in linea di principio, il requisito di effettività nella misura in cui ciò costituisca un’applicazione del principio fondamentale della certezza del diritto. La Corte ha altresì dichiarato che spetta agli Stati membri stabilire tali termini in funzione, segnatamente, della rilevanza che le decisioni da adottare rivestono per gli interessati, della complessità dei procedimenti e della legislazione da applicare, del numero di soggetti che possono essere coinvolti e degli altri interessi pubblici o privati che devono essere presi in considerazione (30).
84.      Il termine di due mesi previsto dalla legislazione nazionale rende l’esercizio dei diritti garantiti dal diritto dell’Unione europea eccessivamente difficile?
85.      È chiaro che il periodo in questione è breve.
86.      Tenuto conto, tuttavia, degli interessi da prendere in considerazione in una procedura di selezione del tipo di cui trattasi nella causa principale, non ritengo che sia talmente breve, di per sé, da violare i principi sopra enunciati. Come sottolineato dal governo spagnolo nelle sue osservazioni scritte, gli interessi degli altri candidati nella procedura di concorso e della Junta stessa, in quanto organo responsabile della buona amministrazione della procedura, sono rilevanti. Qualsiasi contestazione della procedura di selezione è probabilmente turbativa e può causare danni. Va osservato che, nella sentenza Bulicke (31), la Corte ha espressamente approvato un analogo periodo di prescrizione riguardo alla proposizione di azioni per trattamento discriminatorio nell’ambito di un rapporto di lavoro.
87.      È possibile affermare che il momento in cui il termine di due mesi ha iniziato a decorrere (cioè, dalla data di pubblicazione del bando di concorso sulla Gazzetta ufficiale dell’Andalusia) sia in contrasto con il principio di effettività? Detto principio richiede che il periodo debba iniziare in un secondo momento, per esempio, alla data in cui il sig. Rosado Santana è stato informato della propria inidoneità alla promozione?
88.      Non sono di questa opinione.
89.      Mi pare che gli interessi delle parti nel loro complesso possano essere soddisfatti dal requisito che ogni contestazione venga sollevata al più presto e, in ogni caso, prima che la procedura di gara inizi il suo corso. Imponendo tale norma, i responsabili dell’organizzazione del concorso saranno in grado di prendere in considerazione qualsiasi tipo di contestazione e (se opportuno) differire l’inizio della restante procedura nonché adottare tutte le misure necessarie al fine di far fronte alla contestazione. Coloro che partecipano alla procedura saranno consapevoli che, una volta avviata, questa non sarà prolungata o invalidata per la necessità di affrontare successive contestazioni circa la legittimità della stessa.
90.      Ritengo pertanto che la verifica di effettività sia stata soddisfatta nel caso di cui alla causa principale.
91.      Nel pervenire a tale conclusione, sono consapevole che essa lascia irrisolta la questione del sig. Rosado Santana, il quale ha subìto un trattamento pregiudizievole e probabilmente scorretto per effetto della sequenza di eventi successivi alla sua partecipazione alla procedura di concorso. Aver ricevuto la notifica del positivo superamento della procedura di selezione e successivamente essere stato informato della propria non idoneità a presentare domanda per tale posto costituisce un evento a dir poco increscioso.
92.      La sequenza degli eventi non emerge con chiarezza dall’ordinanza di rinvio. Se il sig. Rosado Santana ha ricevuto un’indicazione dalla Junta, esplicitamente o implicitamente, che la sua candidatura fosse idonea a soddisfare i requisiti del bando di concorso, qualsiasi informazione ulteriore che indicasse il contrario rappresenta, prima facie, un’omissione di carattere amministrativo da parte della Junta e/o una modifica della posizione inizialmente adottata. È possibile che sussistano principi di diritto amministrativo spagnolo utili in tali circostanze che impediscono a una amministrazione di tornare sulla propria indicazione iniziale (sulla quale il sig. Rosado Santana si è chiaramente basato, presentandosi al processo di selezione e superandolo). Tuttavia, tale questione è di competenza del giudice nazionale.
93.      Ne consegue che, a mio avviso, un’omissione di carattere amministrativo non rappresenterebbe né una violazione del principio di effettività né una violazione dei diritti derivanti dal diritto dell’Unione europea. I suoi effetti sarebbero, di conseguenza, valutati dal giudice nazionale ai sensi delle pertinenti disposizioni interne, ricadenti nella competenza esclusiva del giudice nazionale.
94.      Ritengo pertanto che la quinta questione dovrebbe essere risolta nel senso che il giudice nazionale non è tenuto ad esaminare le norme sostanziali della procedura concorsuale nel caso in cui vi sia una valida preclusione processuale. Al fine di soddisfare i requisiti del diritto dell’Unione europea, tale preclusione deve rispettare i principi di equivalenza e di effettività. Una preclusione temporale di due mesi a decorrere dalla data di pubblicazione di un bando di concorso del tipo di quello di cui trattasi nella causa principale non è in contrasto con il principio di effettività.
 Conclusione
95.      Alla luce di tutto quanto precede, propongo alla Corte di risolvere nel seguente modo le questioni pregiudiziali proposte dal Juzgado de lo Contencioso-Administrativo n. 12 de Sevilla:
(1)      La clausola 4 dell’accordo quadro sul lavoro a tempo determinato, concluso il 18 marzo 1999, contenuta nell’allegato alla direttiva del Consiglio del 28 giugno 1999, 1999/70/CE, relativa all’accordo quadro sul lavoro a tempo determinato concluso dalla CES, UNICE e CEEP, è violata qualora un bando di concorso, come il bando di cui alla causa principale, subordini l’idoneità per la promozione all’interno del pubblico impiego ad un periodo di servizio in qualità di dipendente pubblico di ruolo, escludendo i periodi di tempo trascorso in qualità di dipendente pubblico a tempo determinato, senza addurre alcuna ragione oggettiva a fondamento di una siffatta esclusione.
(2)      Il giudice nazionale è tenuto ad applicare l’interpretazione della direttiva e dell’accordo quadro fornita dalla Corte, anche se la Corte costituzionale spagnola ha stabilito che le differenze di trattamento tra dipendenti pubblici temporanei e dipendenti pubblici di ruolo non sono (o possono non essere) contrarie alla Costituzione di tale Stato membro.
(3)      Il giudice nazionale non è tenuto ad esaminare le norme sostanziali della procedura concorsuale nel caso in cui vi sia una valida preclusione processuale. Al fine di soddisfare i requisiti del diritto dell’Unione europea, tale preclusione deve rispettare i principi di equivalenza e di effettività. Una preclusione temporale di due mesi a decorrere dalla data di pubblicazione di un bando di concorso del tipo di cui trattasi nella causa principale non è in contrasto con il principio di effettività.

1 – Lingua originale: l’inglese.

2 – Direttiva del Consiglio 28 giugno 1999, 1999/70/CE, relativa all’accordo quadro CES, UNICE e CEEP sul lavoro a tempo determinato (GU L 175, pag. 43 e – rettifica – GU L 244, pag. 64).

3 – Il materiale fornito dal governo spagnolo nelle sue osservazioni non rende possibile accertare se tale legge contenga anche disposizioni che disciplinano gli effetti di un cambiamento di status come quello da dipendente pubblico a tempo determinato a dipendente pubblico di ruolo.

4 – V. , tra le tante, sentenze 26 giugno 2007, causa C‑305/05, Ordre des barreaux francophones et germanophone e a. (Racc. pag. I‑5305, punto 18), e 18 novembre 2010, causa C‑356/09, Kleist (non ancora pubblicata nella Raccolta, punto 44).

5 – V. , segnatamente, ordinanza 12 giugno 2008, causa C‑364/07, Vassilakis e a. (non ancora pubblicata nella Raccolta, punto 77).

6 – Sentenza 27 ottobre 1993, causa C‑127/92, Enderby (Racc. pag. I‑ 5535, punto 12).

7 – V., inter alia, sentenze 4 luglio 2006, causa C‑212/04, Adeneler e a. (Racc. pag. I‑6057, punti 54‑57); 13 settembre 2007, causa C‑307/05, Del Cerro Alonso (Racc. pag. I‑7109, punto 25), nonché sentenza 22 dicembre 2010, cause riunite C‑444/09 e C‑456/09, Gavieiro Gavieiro e Iglesias Torres (non ancora pubblicata nella Raccolta, punto 38).

8 – V., al riguardo, sentenza Del Cerro Alonso (cit. supra alla nota 7, punto 29).

9 – Cit. supra alla nota 7.

10 – Sentenza 15 aprile 2008, causa C‑268/06, Impact (Racc. pag. I‑2483).

11 – Punti 112 e 114. V. inoltre sentenza Del Cerro Alonso (cit. supra alla nota 7, punto 38).

12 – V., al riguardo, sentenze Del Cerro Alonso (cit. supra alla nota 7, punto 31 e segg.), e Impact (cit. supra alla nota 10, punto 115).

13 – È chiaro che le condizioni relative alla «retribuzione», nel senso di remunerazione per i servizi prestati, rientrano nella definizione di «condizione d’impiego», nella clausola 4 dell’accordo quadro (v. sentenza Del Cerro Alonso, cit. supra alla nota 7, punto 41, e sentenza Impact, cit. supra alla nota 10, punto 126).

14 – Cit. supra alla nota 7.

15 – Punto 56.

16 – V. sentenza Del Cerro Alonso (cit. supra alla nota 7, punto 53) e sentenza Adeneler e a. (cit. supra alla nota 7, punti 69 e 70).

17 – V. sentenza Del Cerro Alonso (cit. supra alla nota 7, punto 55) e sentenza Adeneler e a. (cit. supra alla nota 7, punto 74).

18– Punti 57 e 58.

19 – Cit. supra alla nota 7.

20 – Punti 55‑57.

21 – V. al riguardo, sentenza Adeneler e a. (cit. supra alla nota 7, punto 91), nonché sentenza 23 aprile 2009, cause riunite da C‑378/07 a C‑380/07, Angelidaki e a., (Racc. pag. I ‑3071, punto 183).

22 – V. , al riguardo, le conclusioni dell’Avvocato generale Kokott 15 aprile 2008, nella causa Impact (cit. supra alla nota 10, paragrafo 87).

23 – V., inter alia, sentenza 15 aprile 2008, Impact (cit. supra alla nota 10, punti 98 e 99 nonché la giurisprudenza ivi citata).

24 – V. , a tal riguardo, sentenza Impact (cit. supra alla nota 10, punto 101 e la giurisprudenza ivi citata).

25 – V., inter alia sentenza Impact (cit. supra alla nota 10, punto 44 e la giurisprudenza ivi citata), e sentenza Angelidaki e a. (cit. supra alla nota 21, punto 173).

26 – V.,, inter alia, sentenza Impact (cit. supra alla nota 10, punto 45 e giurisprudenza ivi citata).

27 – V., inter alia, sentenza Impact (cit. supra alla nota 10, punto 46 e giurisprudenza ivi citata).

28 – V. sentenza 8 luglio 2010, causa C‑246/09, Bulicke (non ancora pubblicata nella Raccolta, punto 26 e giurisprudenza ivi citata).

29 – V., al riguardo, sentenza Bulicke (cit. supra alla nota 28, punto 28 e giurisprudenza ivi citata).

30 – V., al riguardo, sentenza Bulicke (cit. supra alla nota 28, punto 36).

31 – Cit. supra alla nota 28.
Domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dallo Juzgado de lo Contencioso-Administrativo n. 12 de Sevilla (Spagna) il 7 aprile 2010 - Francisco Javier Rosado Santana / Consejería de Justicia y Administración Pública de la Junta de Andalucía
(Causa C-177/10)
Lingua processuale: lo spagnolo
Giudice del rinvio
Juzgado de lo Contencioso-Administrativo n. 12 de Sevilla
Parti
Ricorrente: Francisco Javier Rosado Santana
Convenuto: Consejería de Justicia y Administración Pública de la Junta de Andalucía
Questioni pregiudiziali
Se la direttiva [del Consiglio 28 giugno 1999, 99/70/CE 1, relativa all'accordo quadro CES, UNICE e CEEP sul lavoro a tempo determinato] debba essere interpretata nel senso che, qualora un giudice costituzionale di uno Stato membro dell'Unione abbia stabilito che l'attribuzione ai dipendenti pubblici a tempo determinato di diritti diversi da quelli conferiti ai dipendenti pubblici di ruolo può risultare compatibile con la Costituzione di tale Stato, ciò escluda necessariamente l'applicabilità della menzionata normativa comunitaria nell'ambito della pubblica amministrazione dello Stato di cui trattasi.
Se detta direttiva debba essere interpretata nel senso che osta a che un giudice nazionale interpreti il principio della parità di trattamento e il divieto di discriminazione in modo da escludere in generale dal loro ambito di applicazione l'equiparazione tra dipendenti pubblici a tempo determinato e dipendenti pubblici di ruolo.
Se [la] clausola [4 della direttiva] debba essere interpretata nel senso che osta a che i servizi prestati nell'ambito di un rapporto di lavoro a tempo determinato non vengano computati a titolo di anzianità di servizio acquisita quando si diviene dipendenti a tempo indeterminato e concretamente ai fini della retribuzione, classificazione o progressione di carriera nel pubblico impiego.
Se detta clausola obblighi a interpretare la normativa nazionale nel senso che non esclude dal computo dei periodi di servizio dei pubblici impiegati quelli prestati nell'ambito di un rapporto di lavoro a tempo determinato.
Se detta clausola debba essere interpretata nel senso che, quand'anche il regolamento di un concorso pubblico sia stato pubblicato e non sia stato impugnato dall'interessato, il giudice nazionale sia tenuto ad esaminare se tale regolamento risulti in contrasto con il diritto comunitario e, in caso affermativo, debba disapplicare il medesimo regolamento o la disposizione nazionale che ne costituisce il fondamento, in quanto contrarie alla menzionata clausola.
____________
1 - GU L 175, pag. 43.

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SENTENZA DELLA CORTE (Grande Sezione)
6 settembre 2011 (*)
«Politica sociale – Direttiva 77/187/CEE – Mantenimento dei diritti dei lavoratori in caso di trasferimento di imprese – Nozioni di “impresa” e di “trasferimento” – Cedente e cessionario di diritto pubblico – Applicazione, sin dalla data del trasferimento, del contratto collettivo vigente presso il cessionario – Trattamento retributivo – Riconoscimento dell’anzianità maturata presso il cedente»
Nel procedimento C‑108/10,
avente ad oggetto la domanda di pronuncia pregiudiziale proposta alla Corte, ai sensi dell’art. 267 TFUE, dal Tribunale di Venezia, con decisione 4 gennaio 2010, pervenuta in cancelleria il 26 febbraio 2010, nella causa
Ivana Scattolon
contro
Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca,
LA CORTE (Grande Sezione),
composta dal sig. V. Skouris, presidente, dai sigg. J. N. Cunha Rodrigues, K. Lenaerts, J.–C. Bonichot, J.–J. Kasel e D. Šváby, presidenti di sezione, dai sigg. G. Arestis, A. Borg Barthet, M. Ilešič (relatore), dalla sig.ra C. Toader e dal sig. M. Safjan, giudici,
avvocato generale: sig. Y. Bot
cancelliere: sig.ra A. Impellizzeri, amministratore
vista la fase scritta del procedimento e in seguito all’udienza del 1° febbraio 2011,
considerate le osservazioni presentate:
–        per la sig.ra Scattolon, dagli avv.ti N. Zampieri, A. Campesan e V. De Michele;
–        per il governo italiano, dalla sig.ra G. Palmieri, in qualità di agente, assistita dal sig. L. D’Ascia, avvocato dello Stato;
–        per la Commissione europea, dalla sig.ra C. Cattabriga e dal sig. J. Enegren, in qualità di agenti,
sentite le conclusioni dell’avvocato generale, presentate all’udienza del 5 aprile 2011,
ha pronunciato la seguente
Sentenza
1        La domanda di pronuncia pregiudiziale verte sull’interpretazione della direttiva del Consiglio 14 febbraio 1977, 77/187/CEE, concernente il ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri relative al mantenimento dei diritti dei lavoratori in caso di trasferimenti di imprese, di stabilimenti o di parti di stabilimenti (GU L 61, pag. 26), della direttiva del Consiglio 12 marzo 2001, 2001/23/CE, concernente il ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri relative al mantenimento dei diritti dei lavoratori in caso di trasferimenti di imprese, di stabilimenti o di parti di imprese o di stabilimenti (GU L 82, pag. 16), nonché di vari principi generali del diritto.
2        Tale domanda è stata presentata nell’ambito di una controversia tra la sig.ra Scattolon ed il Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca (in prosieguo: il «Ministero») in merito al mancato riconoscimento, a seguito del trasferimento della sig.ra Scattolon alle dipendenze del Ministero, dell’anzianità di servizio che la medesima aveva maturato presso il comune di Scorzè, suo originario datore di lavoro.
 Contesto normativo
 Il diritto dell’Unione
3        L’art. 1, n. 1, della direttiva 77/187 disponeva, nella sua versione iniziale, quanto segue:
«La presente direttiva si applica ai trasferimenti di imprese, di stabilimenti o di parti di stabilimenti ad un nuovo imprenditore in seguito a cessione contrattuale o a fusione».
4        Ai sensi dell’art. 2 di tale direttiva, si intendeva per «cedente» ogni persona fisica o giuridica che, in conseguenza di un trasferimento a norma dell’art. 1, n. 1, di detta direttiva, perde la veste di imprenditore, e per «cessionario» ogni persona fisica o giuridica che, in conseguenza di un trasferimento del genere, acquisisce la veste di imprenditore.
5        L’art. 3, nn. 1 e 2, della direttiva 77/187 disponeva che:
«1.      I diritti e gli obblighi che risultano per il cedente da un contratto di lavoro o da un rapporto di lavoro esistente alla data del trasferimento ai sensi dell’articolo 1, paragrafo 1, sono, in conseguenza di tale trasferimento, trasferiti al cessionario.
(…)
2.      Dopo il trasferimento ai sensi dell’articolo 1, paragrafo 1, il cessionario mantiene le condizioni di lavoro convenute mediante contratto collettivo nei termini previsti da quest’ultimo per il cedente, fino alla data della risoluzione o della scadenza del contratto collettivo o dell’entrata in vigore o dell’applicazione di un altro contratto collettivo.
Gli Stati membri possono limitare il periodo del mantenimento delle condizioni di lavoro purché esso non sia inferiore ad un anno».
6        L’art. 4 della direttiva 77/187 così recitava:
«1.      Il trasferimento di un’impresa, di uno stabilimento o di una parte di stabilimento non è di per sé motivo di licenziamento da parte del cedente o del cessionario. Tale dispositivo non pregiudica i licenziamenti che possono aver luogo per motivi economici, tecnici o d’organizzazione che comportano variazioni sul piano dell’occupazione.
(…)
2.      Se il contratto di lavoro o il rapporto di lavoro è rescisso in quanto il trasferimento ai sensi dell’articolo 1, paragrafo 1, comporta a scapito del lavoratore una sostanziale modifica delle condizioni di lavoro, la rescissione del contratto di lavoro o del rapporto di lavoro è considerata come dovuta alla responsabilità del datore di lavoro».
7        In seguito all’entrata in vigore della direttiva del Consiglio 29 giugno 1998, 98/50/CE, che modifica la direttiva 77/187 (GU L 201, pag. 88), il cui termine di recepimento scadeva, per gli Stati membri, il 17 luglio 2001, l’art. 1, n. 1, della direttiva 77/187 era così redatto:
«(a)      La presente direttiva si applica ai trasferimenti di imprese, di stabilimenti o di parti di imprese o di stabilimenti ad un nuovo imprenditore in seguito a cessione contrattuale o a fusione.
b)      Fatta salva la lettera a) e le disposizioni seguenti del presente articolo, è considerato come trasferimento ai sensi della presente direttiva quello di un’entità economica che conserva la propria identità, intesa come insieme di mezzi organizzati al fine di svolgere un’attività economica, sia essa essenziale o accessoria.
c)      La presente direttiva si applica alle imprese pubbliche o private che esercitano un’attività economica, che perseguano o meno uno scopo di lucro. Una riorganizzazione amministrativa di enti amministrativi pubblici o il trasferimento di funzioni amministrative tra enti amministrativi pubblici non costituisce trasferimento ai sensi della presente direttiva».
8        Per motivi di razionalizzazione normativa, la direttiva 77/187, come modificata dalla direttiva 98/50, è stata abrogata con la direttiva 2001/23.
9        Il tenore letterale dell’art. 1, n. 1, della direttiva 2001/23 corrisponde a quello dell’art. 1, n. 1, della direttiva 77/187, come modificata dalla direttiva 98/50. Le definizioni delle nozioni di «cedente» e di «cessionario» di cui alla direttiva 2001/23 sono sostanzialmente identiche a quelle di cui all’art. 2 della direttiva 77/187.
10      Quanto all’art. 3 della direttiva 2001/23, i nn. 1 e 3 del medesimo corrispondono sostanzialmente ai nn. 1 e 2 dell’art. 3 della direttiva 77/187. Quanto all’art. 4 della direttiva 2001/23, esso corrisponde all’art. 4 della direttiva 77/187.
 La normativa nazionale
 L’art. 2112 del codice civile italiano
11      In Italia, l’attuazione della direttiva 77/187 e, di conseguenza, della direttiva 2001/23 è garantita, in particolare, dall’art. 2112 del codice civile ai sensi del quale, «in caso di trasferimento d’azienda, il rapporto di lavoro continua con il cessionario ed il lavoratore conserva tutti i diritti che ne derivano. (…) Il cessionario è tenuto ad applicare [i] contratti collettivi (…) vigenti alla data del trasferimento, fino alla loro scadenza, salvo che siano sostituiti da altri contratti collettivi applicabili all’impresa del cessionario».
 L’art. 8 della legge n. 124/99 e i decreti ministeriali di esecuzione
12      Sino al 1999, i servizi ausiliari presso le scuole pubbliche italiane consistenti, in particolare, nella pulizia e nella manutenzione dei locali, nonché nell’assistenza amministrativa erano garantiti, in parte, tramite il personale amministrativo, tecnico ed ausiliario (in prosieguo: «ATA») dello Stato e, in parte, da enti locali, quali i comuni. Gli enti locali effettuavano tali compiti tramite il proprio personale amministrativo, tecnico ed ausiliario (in prosieguo: il «personale ATA degli enti locali»), ovvero mediante la stipula di contratti con imprese private.
13      Il personale ATA degli enti locali veniva retribuito sulla base del Contratto Collettivo Nazionale di Lavoro – Regioni Autonomie Locali (in prosieguo: il «CCNL del personale degli enti locali»). Il personale ATA dello Stato impiegato nelle scuole pubbliche era invece retribuito sulla base del Contratto Collettivo Nazionale di Lavoro della Scuola (in prosieguo: il «CCNL della scuola»).
14      La legge 3 maggio 1999, n. 124, recante disposizioni urgenti in materia di personale scolastico (GURI n. 107, del 10 maggio 1999, pag. 4; in prosieguo: la «legge n. 124/99»), ha previsto il trasferimento del personale ATA degli enti locali, impiegato nelle scuole pubbliche, nei ruoli del personale ATA dello Stato, a decorrere dal 1° gennaio 2000.
15      A tal proposito l’art. 8, commi 1 e 2, della legge n. 124/99 così dispone:
«1.      Il personale ATA degli istituti e scuole statali (…) è a carico dello Stato. Sono abrogate le disposizioni che prevedono la fornitura di tale personale da parte dei comuni e delle province.
2.      Il personale di ruolo di cui al comma l, dipendente dagli enti locali, in servizio nelle istituzioni scolastiche statali alla data di entrata in vigore della presente legge, è trasferito nei ruoli del personale ATA statale ed è inquadrato nelle qualifiche funzionali e nei profili professionali corrispondenti per lo svolgimento dei compiti propri dei predetti profili. Relativamente a qualifiche e profili che non trovino corrispondenza nei ruoli del personale ATA statale è consentita l’opzione per l’ente di appartenenza, da esercitare comunque entro tre mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge. A detto personale vengono riconosciuti ai fini giuridici ed economici l’anzianità maturata presso l’ente locale di provenienza nonché il mantenimento della sede in fase di prima applicazione in presenza della relativa disponibilità del posto».
16      La legge n. 124/99 è stata attuata con decreto 23 luglio 1999, relativo al trasferimento del personale ATA dagli enti locali allo Stato, ai sensi dell’art. 8 della legge 3 maggio 1999, n. 124 (GURI n. 16, del 21 gennaio 2000, pag. 28; in prosieguo: il «d.m. 23 luglio 1999»). L’art. 3 di tale decreto prevede quanto segue:
«(…)
Con successivo decreto (...) verranno definiti i criteri di inquadramento, nell’ambito del comparto scuola, finalizzati all’allineamento degli istituti retributivi del personale in questione a quelli del comparto medesimo, con riferimento alla retribuzione stipendiale, ai trattamenti accessori e al riconoscimento ai fini giuridici ed economici, nonché dell’incidenza sulle rispettive gestioni previdenziali, dell’anzianità maturata presso gli enti, previa contrattazione collettiva (...) fra [l’Agenzia per la rappresentanza negoziale delle pubbliche amministrazioni; in prosieguo: l’“ARAN”] e le organizzazioni sindacali (...)».
17      L’art. 9 del d.m. 23 luglio 1999 dispone quanto segue:
«Lo Stato subentrerà nei contratti stipulati dagli enti locali alla data del 24 maggio 1999, ed eventualmente rinnovati in data successiva, per la parte con la quale sono state assicurate le funzioni ATA per le scuole statali, in luogo dell’assunzione di personale dipendente. (…) Ferma restando la prosecuzione delle attività da parte di soggetti esterni impegnati (…) ai sensi delle leggi vigenti, lo Stato subentrerà nelle convenzioni stipulate dagli enti locali con i soggetti imprenditoriali (…) per lo svolgimento di funzioni ATA demandate per legge all’ente locale in sostituzione dello Stato. (…)».
18      L’accordo tra l’ARAN e le organizzazioni sindacali previsto dall’art. 3 del d.m. 23 luglio 1999 è stato firmato il 20 luglio 2000 ed approvato con decreto ministeriale 5 aprile 2001, recante recepimento dell’accordo ARAN – Rappresentanti delle organizzazioni e confederazioni sindacali in data 20 luglio 2000, sui criteri di inquadramento del personale già dipendente degli enti locali e transitato nel comparto scuola (GURI n. 162, del 14 luglio 2001, pag. 27; in prosieguo: il «d.m. 5 aprile 2001»).
19      Tale accordo dispone quanto segue:
«Articolo 1 – Ambito di applicazione
Il presente accordo si applica dal 1° gennaio 2000 al personale dipendente dagli enti locali e transitato nel comparto scuola, ai sensi dell’art. 8 della [legge n. 124/99] e (...) del decreto ministeriale 23 luglio 1999 (…).
Articolo 2 – Regime contrattuale
1.      Al personale di cui al presente accordo (...) cessa di applicarsi a decorrere dal 1° gennaio 2000 il [CCNL del personale degli enti locali] e dalla stessa data si applica il [CCNL della scuola], ivi compreso tutto quanto si riferisce al trattamento accessorio, salvo quanto diversamente stabilito negli articoli successivi.
(…)
Articolo 3 – Inquadramento professionale e retributivo
1.      I dipendenti, di cui all’art. l del presente accordo, sono inquadrati nella progressione economica per posizioni stipendiali delle corrispondenti qualifiche professionali del comparto scuola (...) con le seguenti modalità. Ai suddetti dipendenti viene attribuita la posizione stipendiale (...) d’importo pari o immediatamente inferiore al trattamento annuo in godimento al 31 dicembre 1999 costituito da stipendio e retribuzione individuale di anzianità nonché, per coloro che ne sono provvisti, [dalle indennità previste dal CCNL del personale degli enti locali]. L’eventuale differenza tra l’importo della posizione stipendiale di inquadramento e il trattamento annuo in godimento al 31 dicembre 1999, come sopra indicato, è corrisposta «ad personam» e considerata utile, previa temporizzazione, ai fini del conseguimento della successiva posizione stipendiale. Al
personale destinatario del presente accordo è corrisposta l’indennità integrativa speciale nell’importo in godimento al 31 dicembre 1999, se più elevata di quella della corrispondente qualifica del comparto scuola. (…)
(…)
Articolo 9 – Retribuzione fondamentale e salario accessorio
1.      A decorrere dal 1° gennaio 2000, al personale di cui al presente accordo si applicano tutti gli istituti a contenuto economico del [CCNL della scuola], secondo le modalità da questo previste.
2.      A decorrere dal 1° gennaio 2000, al personale di cui al presente accordo, è riconosciuto, a titolo provvisorio, il compenso individuale accessorio secondo le misure lorde mensili indicate nella tabella (...) allegata al [CCNL della scuola]. (…)
(…)».
20      Tale normativa ha dato luogo ad azioni giudiziarie promosse dai membri del personale ATA trasferito, i quali hanno chiesto il pieno riconoscimento della loro anzianità maturata presso gli enti locali. Costoro deducevano, a tale riguardo, che i criteri adottati nell’ambito dell’accordo approvato con d.m. 5 aprile 2001 facevano sì che essi, a partire dal loro inserimento nel personale ATA dello Stato, venissero inquadrati e retribuiti alla stessa maniera dei membri del personale ATA statale con minore anzianità. Secondo la loro tesi, l’art. 8 della legge n. 124/99 impone il mantenimento, per ogni membro del personale ATA trasferito, dell’anzianità maturata presso gli enti locali, di modo che ciascuno di detti membri deve percepire, a decorrere dal 1° gennaio 2000, la retribuzione corrisposta ad un membro del personale ATA statale con la medesima anzianità.
21      Tale contenzioso è sfociato, nel corso del 2005, in diverse sentenze pronunciate dalla Corte suprema di cassazione, nelle quali questa ha accolto, in sostanza, la suddetta argomentazione.
 La legge n. 266/2005
22      Il legislatore italiano, con l’approvazione di un emendamento presentato dal governo italiano, ha inserito nell’art. 1 della legge 23 dicembre 2005, n. 266, recante disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2006) (supplemento ordinario alla GURI n. 302, del 29 dicembre 2005; in prosieguo: la «legge n. 266/2005»), un comma 218, così redatto:
«Il comma 2 dell’art. 8 della legge [n. 124/99], si interpreta nel senso che il personale degli enti locali trasferito nei ruoli del [personale ATA] statale è inquadrato, nelle qualifiche funzionali e nei profili professionali dei corrispondenti ruoli statali, sulla base del trattamento economico complessivo in godimento all’atto del trasferimento, con l’attribuzione della posizione stipendiale di importo pari o immediatamente inferiore al trattamento annuo in godimento al 31 dicembre 1999 costituito dallo stipendio, dalla retribuzione individuale di anzianità nonché da eventuali indennità, ove spettanti, previste dai [CCNL del personale degli enti locali], vigenti alla data dell’inquadramento. L’eventuale differenza tra l’importo della posizione stipendiale di inquadramento e il trattamento annuo in godimento al 31 dicembre 1999 (...) viene corrisposta ad personam e
considerata utile, previa temporizzazione, ai fini del conseguimento della successiva posizione stipendiale. È fatta salva l’esecuzione dei giudicati formatisi alla data di entrata in vigore della presente legge».
23      Numerosi giudici hanno investito la Corte costituzionale di questioni vertenti sulla conformità dell’art. 1, comma 218, della legge n. 266/2005 con la Costituzione italiana, in particolare con la norma che sancisce l’autonomia del potere giudiziario, dal momento che quest’ultima implica, per il legislatore, un divieto di ingerenza nella funzione di interpretazione uniforme della legge, riservata alla Corte suprema di cassazione.
24      Con sentenza 18 giugno 2007, nonché con successive ordinanze, la Corte costituzionale ha dichiarato che l’art. 1, comma 218, della legge n. 266/2005 non violava i principi generali del diritto di cui si lamentava la lesione. In particolare, essa ha dichiarato che questa disposizione non innovava rispetto all’art. 8, secondo comma, della legge n. 124/99 e che consentiva di favorire il passaggio del personale ATA dagli enti locali verso lo Stato, dato che detto personale si trovava in una posizione diversa da quella del personale già inquadrato nei ruoli statali al momento del trasferimento.
25      Durante il 2008, la Corte suprema di cassazione ha sottoposto alla Corte costituzionale una nuova questione, concernente la legittimità costituzionale della legge n. 266/2005 alla luce del principio di una tutela giurisdizionale effettiva, sancito dall’art. 6 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, siglata a Roma il 4 novembre 1950 (in prosieguo: la «CEDU»).
26      Con sentenza 16 novembre 2009, la Corte costituzionale ha dichiarato che l’art. 1, comma 218, della legge n. 266/2005 non lede detto principio. In particolare, essa ha giudicato che questa disposizione costituisce una fra le possibili interpretazioni dell’art. 8, secondo comma, della legge n. 124/99 e che, pertanto, non implica una modifica sfavorevole di un diritto quesito.
27      Durante il 2008 e il 2009, dinanzi alla Corte europea dei diritti dell’uomo sono stati proposti tre ricorsi da membri del personale ATA degli enti locali sottoposti al trasferimento nei ruoli del Ministero, nei quali si accusava la Repubblica italiana di aver violato, adottando l’art. 1, comma 218, della legge n. 266/2005, l’art. 6 della CEDU e l’art. 1 del Protocollo addizionale della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali. Con sentenza 7 giugno 2011, detta Corte ha accolto questi ricorsi (Corte europea dei diritti dell’uomo, sentenza Agrati e a. c. Italia).
 Causa principale e questioni pregiudiziali
28      La sig.ra Scattolon, dipendente del comune di Scorzè dal 16 maggio 1980 in qualità di bidella in scuole statali, svolgeva tale attività lavorativa, fino al 31 dicembre 1999, come membro del personale ATA degli enti locali.
29      A decorrere dal 1° gennaio 2000, la medesima, in applicazione dell’art. 8 della legge n. 124/99, veniva trasferita nel ruolo del personale ATA dello Stato.
30      Ai sensi del d.m. 5 aprile 2001, la sig.ra Scattolon veniva inquadrata in una fascia retributiva corrispondente, nel suddetto ruolo, a nove anni di anzianità.
31      Poiché, a causa di ciò, essa non aveva ottenuto il riconoscimento della sua anzianità di circa vent’anni, maturata alle dipendenze del comune di Scorzè, e riteneva di aver sofferto, in tal modo, una notevole riduzione della sua retribuzione, con ricorso depositato in data 27 aprile 2005 essa ha adito il Tribunale di Venezia, per ottenere il riconoscimento integrale di detta anzianità e, di conseguenza, l’inquadramento nello scatto corrispondente, per il personale ATA dello Stato, a un’anzianità compresa tra i quindici e i vent’anni.
32      In seguito all’emanazione dell’art. 1, comma 218, della legge n. 266/2005, il Tribunale di Venezia ha sospeso il procedimento e ha sottoposto alla Corte costituzionale la questione della compatibilità di detta disposizione con i principi, in particolare, della certezza del diritto e di una tutela giurisdizionale effettiva. Con ordinanza 9 giugno 2008, la Corte costituzionale, richiamandosi alla propria sentenza 18 giugno 2007, ha dichiarato che il citato art. 1, comma 218, non è viziato dalle asserite violazioni di principi generali del diritto.
33      Ciò premesso, il Tribunale di Venezia ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:
«1)      Se la [direttiva 77/187] e/o la [direttiva 2001/23], o la diversa normativa [dell’Unione] ritenuta applicabile deve essere interpretata nel senso che quest’ultima può applicarsi ad una fattispecie di trasferimento di personale addetto a servizi ausiliari di pulizia e manutenzione degli edifici scolastici statali da enti pubblici locali (comuni e province) allo Stato laddove il trasferimento ha comportato il subentro non solo nell’attività e nei rapporti con tutto il personale (bidelli) addetto, ma anche nei contratti di appalto stipulati con imprese private per garantire i medesimi servizi.
2)      Se la continuità del rapporto di lavoro ex art. 3, n. 1, primo comma, della direttiva 77/187 (trasfusa, unitamente alla [direttiva 98/50, nella [direttiva 2001/23]) deve essere interpretato nel senso di una quantificazione dei trattamenti economici collegati presso il cessionario all’anzianità di servizio che tenga conto di tutti gli anni effettuati dal personale trasferito, anche di quelli svolti alle dipendenze del cedente.
3)      Se l’art. 3 della direttiva 77/187 e/o le [direttive 98/50 e 2001/23], devono essere interpretate nel senso che tra i diritti del lavoratore che si trasferiscono al concessionario rientrano anche posizioni di vantaggio conseguite dal lavoratore presso il cedente quale l’anzianità di servizio se a questa risultano essere collegati, nella contrattazione collettiva vigente presso il cessionario, diritti di carattere economico.
4)      Se i principi generali del vigente diritto [dell’Unione] della certezza del diritto, della tutela del legittimo affidamento, della uguaglianza delle armi del processo, dell’effettiva tutela giurisdizionale, ad un tribunale indipendente e, più in generale, ad un equo processo, garantiti dall’art. 6, n. 2, [TUE] in combinato disposto con l’art. 6 della [CEDU] e con gli artt. 46, 47 e 52, n. 3, della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, proclamata a Nizza il 7 dicembre 2000, come recepiti dal Trattato di Lisbona, debbano essere interpretati nel senso di ostare all’emanazione da parte dello Stato italiano, dopo un arco temporale apprezzabile (5 anni), di una norma di interpretazione autentica difforme rispetto al dettato da interpretare e contrastante con l’interpretazione costante e consolidata dell’organo titolare della funzione
nomofilattica, norma oltretutto rilevante per la decisione di controversie in cui lo stesso Stato italiano è coinvolto come parte».
 Procedimento dinanzi alla Corte
34      Con lettera datata 9 giugno 2011, la ricorrente nella causa principale, alla luce della citata sentenza Agrati e a. c. Italia, ha chiesto la riapertura della fase orale.
35      A questo proposito, occorre ricordare che, per giurisprudenza costante della Corte, quest’ultima, d’ufficio o su proposta dell’avvocato generale, o anche su domanda delle parti, può ordinare la riapertura della fase orale, ai sensi dell’art. 61 del suo regolamento di procedura, se ritiene necessari ulteriori chiarimenti o se la causa dev’essere esaminata sulla base di un argomento che non è stato dibattuto tra le parti (v., in particolare, sentenze 14 dicembre 2004, causa C‑210/03, Swedish Match, Racc. pag. I‑11893, punto 25; 26 giugno 2008, causa C‑284/06, Burda, Racc. pag. I‑4571, punto 37, e 17 marzo 2011, causa C‑221/09, AJD Tuna, non ancora pubblicata nella Raccolta, punto 36).
36      Nel caso di specie, la Corte ritiene di essere in possesso di tutti gli elementi necessari per trattare la domanda di pronuncia pregiudiziale e che detta domanda non dev’essere valutata in base ad un argomento non ancora dibattuto dinanzi ad essa.
37      Di conseguenza, non va accolta la domanda della ricorrente nella causa principale, mirante allo svolgimento di una nuova udienza, né quella, presentata in subordine, mirante ad ottenere un’autorizzazione al deposito di osservazioni scritte supplementari.
 Sulle questioni pregiudiziali
 Sulla prima questione
38      Con la sua prima questione il giudice del rinvio chiede sostanzialmente se la riassunzione, da parte di una pubblica autorità di uno Stato membro, del personale dipendente di un’altra pubblica autorità, addetto alla fornitura di servizi ausiliari presso le scuole, costituisca un «trasferimento di impresa» ai sensi della normativa dell’Unione relativa al mantenimento dei diritti dei lavoratori.
39      Poiché i benefici derivanti da detta normativa possono essere invocati solo da persone le quali, nello Stato membro interessato, siano tutelate in qualità di lavoratori a titolo della normativa nazionale in materia di diritto del lavoro (v., in particolare, sentenze 10 dicembre 1998, cause riunite C‑173/96 e C‑247/96, Hidalgo e a., Racc. pag. I‑8237, punto 24, nonché 14 settembre 2000, causa C‑343/98, Collino e Chiappero, Racc. pag. I‑6659, punto 36), è importante sottolineare sin d’ora che, in base alla ricostruzione effettuata dal giudice del rinvio, non contestata dal governo italiano, il personale ATA occupato presso le scuole pubbliche in Italia gode di una siffatta tutela. Ne consegue che la ricorrente nella causa principale ha il diritto di beneficiare della normativa dell’Unione relativa al mantenimento dei diritti dei lavoratori, purché
siano soddisfatti i presupposti di applicazione specificamente elencati nella normativa medesima.
40      In via preliminare occorre constatare parimenti che la riassunzione di detto personale è avvenuta il 1º gennaio 2000, cioè prima della scadenza del termine fissato agli Stati membri per recepire la direttiva 98/50 e anteriormente all’adozione della direttiva 2001/23. Da ciò deriva che la questione proposta dal giudice del rinvio va esaminata alla luce della direttiva 77/187 nella sua versione originaria (v., per analogia, sentenze 20 novembre 2003, causa C‑340/01, Abler e a., Racc. pag. I‑14023, punto 5, nonché 9 marzo 2006, causa C‑499/04, Werhof, Racc. pag. I‑2397, punti 15 e 16).
41      Ai sensi dell’art. 1, n. 1, della citata versione della direttiva 77/187, essa si applicava «ai trasferimenti di imprese, di stabilimenti o di parti di stabilimenti ad un nuovo imprenditore in seguito a cessione contrattuale o a fusione». Occorre pertanto verificare se, nell’ipotesi della riassunzione, da parte di un’autorità pubblica di uno Stato membro, del personale dipendente di un’altra autorità pubblica addetto ad attività del tipo di quelle di cui alla causa principale, si riscontri la presenza di tutti gli elementi elencati in tale disposizione.
 Sull’esistenza di un’«impresa» ai sensi della direttiva 77/187
42      La nozione di «impresa», ai sensi dell’art. 1, n. 1, della direttiva 77/187, comprende qualsiasi entità economica organizzata stabilmente, a prescindere dallo status giuridico e dalle modalità di finanziamento della medesima. Costituisce un’entità siffatta qualsiasi complesso di persone ed elementi che consenta lo svolgimento di un’attività economica che persegua un proprio obiettivo e che sia sufficientemente strutturata e autonoma (sentenze 10 dicembre 1998, cause riunite C‑127/96, causa C‑229/96 e C‑74/97, Hernández Vidal e a., Racc. pag. I‑8179, punti 26 e 27; 26 settembre 2000, causa C‑175/99, Mayeur, Racc. pag. I‑7755, punto 32, nonché Abler e a., cit., punto 30; v. altresì, relativamente all’art. 1, n. 1, della direttiva 2001/23, sentenze 13 settembre 2007, causa C‑458/05, Jouini e a., Racc. pag. I‑7301, punto 31,
nonché 29 luglio 2010, causa C‑151/09, UGT‑FSP, non ancora pubblicata nella Raccolta, punto 26).
43      La nozione di «attività economica», presente nella definizione ricordata nel punto precedente, comprende qualsiasi attività consistente nell’offerta di beni o servizi su un determinato mercato (sentenze 25 ottobre 2001, causa C‑475/99, Ambulanz Glöckner, Racc. pag. I‑8089, punto 19; 24 ottobre 2002, causa C‑82/01 P, Aéroports de Paris/Commissione, Racc. pag. I‑9297, punto 79, nonché 10 gennaio 2006, causa C‑222/04, Cassa di Risparmio di Firenze e a., Racc. pag. I‑289, punto 108).
44      Sono escluse, in linea di principio, dalla qualificazione di attività economica le attività che si ricollegano all’esercizio delle prerogative dei pubblici poteri (v., in particolare, sentenza 1° luglio 2008, causa C‑49/07, MOTOE, Racc. pag. I‑4863, punto 24 e giurisprudenza ivi citata, nonché, per quanto riguarda la direttiva 77/187, sentenza 15 ottobre 1996, causa C‑298/94, Henke, Racc. pag. I‑4989, punto 17). Viceversa, sono stati qualificati come attività economiche servizi che, senza essere ricollegati all’esercizio delle prerogative dei pubblici poteri, sono garantiti nell’interesse pubblico e senza fini di lucro e si trovano in concorrenza con quelli offerti da operatori che agiscono con fini di lucro (v., in proposito, sentenze 23 aprile 1991, causa C‑41/90, Höfner e Elser, Racc. pag. I‑1979, punto 22; Aéroports de
Paris/Commissione, cit., punto 82, nonché Cassa di Risparmio di Firenze e a., cit., punti 122 e 123).
45      Nel caso di specie, come si ricava dall’art. 8 della legge n. 124/99, il gruppo di lavoratori oggetto di riassunzione da parte dello Stato è costituito dal personale ATA degli enti locali occupato presso le scuole pubbliche. Dagli atti di causa si evince anche che le attività svolte da questo personale consistono nel garantire i servizi ausiliari di cui le scuole hanno bisogno per perseguire, in condizioni ottimali, i loro compiti di insegnamento. Questi servizi riguardano, segnatamente, la pulizia e la manutenzione dei locali, nonché compiti di assistenza amministrativa.
46      Inoltre, dagli elementi in fatto forniti dal giudice del rinvio, così come dall’art. 9 del d.m. 23 luglio 1999, si evince che tali servizi sono affidati, in determinati casi, ad operatori economici privati mediante subappalto. Del resto, è pacifico che detti servizi non sono ricollegati all’esercizio di prerogative dei pubblici poteri.
47      Appare evidente, pertanto, che le attività svolte dai lavoratori sottoposti al trasferimento di cui trattasi nella causa principale hanno carattere economico ai sensi della citata giurisprudenza e perseguono un proprio obiettivo, che consiste nell’inquadramento tecnico e amministrativo delle scuole. Del resto, è pacifico che il personale ATA è stato concepito come un complesso strutturato di lavoratori dipendenti.
48      Va ancora verificato, alla luce della giurisprudenza ricordata nel punto 42 della presente sentenza e delle osservazioni scritte del governo italiano, in primo luogo, se la qualifica del personale interessato come «impresa» sia rimessa in discussione dalla mancanza di elementi patrimoniali, in secondo luogo, se questo gruppo di lavoratori sia sufficientemente autonomo per essere qualificato come «entità economica» e, di conseguenza, impresa e, in terzo luogo, se abbia una qualche rilevanza la circostanza che detti lavoratori facciano parte della pubblica amministrazione.
49      Per quanto concerne, in primo luogo, la mancanza di elementi patrimoniali, la Corte ha giudicato ripetutamente che, in determinati settori, l’attività si basa essenzialmente sulla manodopera. Alla luce di ciò, un complesso strutturato di lavoratori, malgrado la mancanza di significativi elementi patrimoniali, materiali o immateriali, può corrispondere a un’entità economica ai sensi della direttiva 77/187 (v. in particolare, per quanto concerne i servizi di pulizia, le citate sentenze Hernández Vidal e a., punto 27, nonché Hidalgo e a., punto 26; v. altresì, in merito alla direttiva 2001/23, sentenza 20 gennaio 2011, causa C‑463/09, CLECE, non ancora pubblicata nella Raccolta, punto 39).
50      Questa giurisprudenza è applicabile alla fattispecie di cui alla controversia principale, dal momento che sembra che nessuna delle attività svolte dal gruppo di lavoratori in questione necessiti della disponibilità di significativi elementi patrimoniali. La qualificazione del gruppo di lavoratori quale entità economica non può essere esclusa pertanto per il fatto che detta entità non comprende, a parte il citato personale, elementi patrimoniali materiali o immateriali.
51      Per quanto riguarda, in secondo luogo, la questione relativa alla sufficiente autonomia di un gruppo di lavoratori come quello su cui verte la causa principale, si deve ricordare che, nel contesto della normativa dell’Unione in tema di mantenimento dei diritti dei lavoratori, la nozione di autonomia si riferisce ai poteri, riconosciuti ai responsabili del gruppo di lavoratori di cui trattasi, di organizzare, in modo relativamente libero e indipendente, il lavoro in seno al citato gruppo e, in particolare, di impartire istruzioni e distribuire compiti ai lavoratori subordinati appartenenti a tale gruppo, e ciò senza intervento diretto da parte di altre strutture organizzative del datore di lavoro (v., a questo proposito, la citata sentenza UGT‑FSP, punti 42 e 43). Benché, effettivamente, il ricorrere di un’entità sufficientemente autonoma non venga meno per via
della circostanza che il datore di lavoro impone a tale gruppo di lavoratori obblighi precisi ed esercita pertanto un’ampia influenza sulle attività del medesimo, occorre nondimeno che il gruppo in parola disponga di una certa libertà nell’organizzare ed eseguire i compiti affidatigli (v., in tal senso, sentenza Hidalgo e a., cit., punto 27).
52      Nel caso di specie, ferma restando l’esigenza di una verifica da parte del giudice del rinvio, emerge che il personale ATA degli enti locali impiegato nelle scuole costituiva, in seno all’amministrazione degli enti locali, un’entità che poteva organizzare e svolgere i suoi compiti in modo relativamente libero e indipendente mediante, in particolare, istruzioni impartite da membri di detto personale ATA investiti di compiti di coordinamento e direzione.
53      Per quanto concerne, in terzo e ultimo luogo, la circostanza che il personale trasferito e le sue attività siano integrate nella pubblica amministrazione, occorre ricordare che quest’unica circostanza non può sottrarre detta entità all’applicazione della direttiva 77/187 (v., in tal senso, sentenza Collino e Chiappero, cit., punti 33 e 35). La conclusione opposta non sarebbe coerente con la giurisprudenza citata nel punto 42 della presente sentenza, in base alla quale qualunque complesso sufficientemente strutturato e autonomo di persone ed elementi che consenta lo svolgimento di un’attività economica finalizzata a un proprio obiettivo costituisce un’«impresa», ai sensi dell’art. 1, n. 1, della direttiva 77/187, a prescindere dallo status giuridico e dalle modalità di finanziamento di quest’ultimo.
54      Benché sia vero che, come sottolineato dal governo italiano, la Corte ha escluso dalla sfera d’applicazione della direttiva 77/187 la «riorganizzazione amministrativa di enti pubblici» e il «trasferimento di funzioni amministrative tra pubbliche amministrazioni», eccezione sancita, successivamente, dall’art. 1, n. 1, di detta direttiva nella versione modificata con la direttiva 98/50, nonché dall’art. 1, n. 1, della direttiva 2001/23, ciò nonostante, come già rilevato dalla Corte e come ricordato dall’avvocato generale nei paragrafi 46–51 delle sue conclusioni, la portata di queste espressioni resta limitata alle ipotesi in cui il trasferimento riguarda attività rientranti nell’esercizio di pubblici poteri (sentenza Collino e Chiappero, cit., punti 31 e 32 e giurisprudenza ivi citata).
55      Vero è che dagli atti si ricava che la riassunzione da parte del Ministero del personale ATA degli enti locali è avvenuta nella cornice di una riorganizzazione della pubblica amministrazione in Italia. Tuttavia, lungi dall’aver giudicato che qualunque trasferimento collegato a, o inserito in, una riorganizzazione della pubblica amministrazione debba essere escluso dalla sfera d’applicazione della direttiva 77/187, la Corte ha soltanto precisato, nella giurisprudenza richiamata dal governo italiano, che la riorganizzazione di strutture della pubblica amministrazione e il trasferimento di funzioni amministrative tra pubbliche amministrazioni non costituiscono, di per se stesse e in quanto tali, un trasferimento di impresa ai sensi di detta direttiva (v. citate sentenze Henke, punto 14; Collino e Chiappero, punto 31, nonché Mayeur, punto 33).
56      La Corte ha giudicato, in particolare, che la creazione di un consorzio intercomunale e l’attribuzione a quest’ultimo di talune competenze dei comuni che ne fanno parte costituiscono una riorganizzazione dell’esercizio dei pubblici poteri e pertanto non possono essere soggette alla direttiva 77/187 (v. sentenza Henke, cit., punti 16 e 17), pur dichiarando, in altre ipotesi, che il trasferimento di personale addetto ad attività di natura economica in un’amministrazione pubblica rientra nella sfera di tale direttiva (v., in particolare, citate sentenze Hidalgo e a., punto 24, nonché Collino e Chiappero, punto 32).
57      Non c’è nulla che possa giustificare un’interpretazione di questa giurisprudenza nel senso che determinati pubblici impiegati, tutelati in quanto lavoratori in forza dell’ordinamento nazionale e soggetti a un trasferimento verso un nuovo datore di lavoro in seno alla pubblica amministrazione, non possano godere della tutela offerta dalla direttiva 77/187 sol perché questo trasferimento avviene nell’ambito di una riorganizzazione di detta amministrazione.
58      È importante rilevare, a tale proposito, che se un’interpretazione siffatta fosse accolta, qualunque trasferimento imposto a tali categorie di lavoratori potrebbe essere sottratto, dall’autorità pubblica interessata, alla sfera d’applicazione della direttiva 77/187 invocando la mera circostanza che il trasferimento rientra in una ristrutturazione del personale. In tal modo, importanti categorie di lavoratori addetti ad attività economiche ai sensi della giurisprudenza della Corte rischierebbero di venire private della tutela prevista da tale direttiva. Questo risultato sarebbe difficilmente conciliabile sia con il disposto dell’art. 2 di quest’ultima, ai sensi del quale possono essere cedente e cessionario tutte le persone fisiche o giuridiche aventi la veste di imprenditore, sia con la necessità, tenuto conto dello scopo di tutela sociale perseguito da detta
direttiva, di interpretare in senso restrittivo le eccezioni all’applicazione della medesima (v., per quanto attiene alla direttiva 2001/23, sentenza 11 giugno 2009, causa C‑561/07, Commissione/Italia, Racc. pag. I‑4959, punto 30 e giurisprudenza ivi citata).
59      Infine, va sottolineato che l’applicazione delle norme enunciate dalla direttiva 77/187 a situazioni quali quelle di cui alla controversia principale non lede il potere degli Stati membri di razionalizzare le rispettive pubbliche amministrazioni. L’applicabilità di questa direttiva ha come unico effetto quello di impedire che determinati lavoratori trasferiti siano collocati, in conseguenza del mero fatto del trasferimento, in una posizione meno favorevole di quella che essi occupavano prima del trasferimento. Come la Corte ha già dichiarato più volte e come si ricava, del resto, dall’art. 4 della direttiva 77/187, quest’ultima non priva gli Stati membri della facoltà di consentire ai datori di lavoro di modificare taluni rapporti di lavoro in senso sfavorevole, segnatamente per quanto concerne la tutela contro il licenziamento e le condizioni retributive.
Detta direttiva vieta soltanto che siffatte modificazioni avvengano in occasione e a causa del trasferimento (v. in tal senso, in particolare, sentenze 10 febbraio 1988, causa 324/86, Foreningen af Arbejdsledere i Danmark, detta «Daddy’s Dance Hall», Racc. pag. 739, punto 17; 12 novembre 1992, causa C‑209/91, Watson Rask e Christensen, Racc. pag. I‑5755, punto 28, nonché Collino e Chiappero, punto 52).
 Sull’esistenza di un «trasferimento» «in seguito a cessione contrattuale o a fusione» ai sensi della direttiva 77/187
60      Per determinare se sussista un «trasferimento» di impresa ai sensi dell’art. 1, n. 1, della direttiva 77/187, il criterio decisivo è quello di accertare se l’entità in questione conservi la propria identità dopo essere stata ceduta al nuovo datore di lavoro (v., in particolare, sentenze 18 marzo 1986, causa 24/85, Spijkers, Racc. pag. 1119, punti 11 e 12, nonché UGT‑FSP, cit., punto 22).
61      Se quest’entità opera senza significativi elementi patrimoniali, il mantenimento della sua identità dopo l’operazione di cui essa è oggetto non può dipendere dalla cessione di elementi siffatti (citate sentenze Hernández Vidal e a., punto 31; Hidalgo e a., punto 31, nonché UGT‑FSP, punto 28).
62      In quest’ipotesi, la quale, come accertato nel punto 50 della presente sentenza, è quella rilevante nella cornice della controversia principale, il gruppo di lavoratori in questione mantiene la propria identità quando il nuovo datore di lavoro prosegue le attività e riassume una parte sostanziale, in termini di numero e di competenze, di detti lavoratori (v. citate sentenze Hernández Vidal e a., punto 32, nonché UGT‑FSP, punto 29).
63      Per quanto concerne l’espressione «in seguito a cessione contrattuale o a fusione», parimenti contenuta nell’art. 1, n. 1, della direttiva 77/187, occorre ricordare che la Corte, a causa sia delle differenze tra le versioni linguistiche di questa direttiva sia delle divergenze tra le normative nazionali relative alle nozioni cui queste ultime fanno riferimento, ha fornito un’interpretazione sufficientemente elastica di quest’espressione per soddisfare lo scopo di questa direttiva, che è quello di tutelare i lavoratori in caso di cambiamento del titolare dell’impresa (sentenze 19 maggio 1992, causa C‑29/91, Redmond Stichting, Racc. pag. I‑3189, punti 10 e 11; 7 marzo 1996, cause riunite C‑171/94 e C‑172/94, Merckx e Neuhuys, Racc. pag. I‑1253, punto 28, nonché Jouini e a., cit., punto 24). Essa ha pertanto dichiarato che il fatto che il
trasferimento risulti da decisioni unilaterali delle pubbliche amministrazioni e non da un concorso di volontà non esclude l’applicazione di tale direttiva (v., in particolare, le citate sentenze Redmond Stichting, punti 15–17; Collino e Chiappero, punto 34, nonché UGT‑FSP, punto 25).
64      Senza voler rimettere in discussione né la giurisprudenza ricordata nei punti 60–63 della presente sentenza, né il fatto che l’operazione di trasferimento in questione nella causa principale è basata sulla legge n. 124/99 ed è pertanto frutto di una decisione unilaterale dei pubblici poteri, il governo italiano rileva che, nel caso di specie, la riassunzione del personale in questione da parte dello Stato italiano è stata solo facoltativa, dato che i membri di detto personale potevano scegliere di rimanere al servizio degli enti locali da cui essi dipendevano. Alla luce di ciò, non si avrebbe trasferimento ai sensi della direttiva 77/187.
65      Quest’osservazione del governo italiano si fonda tuttavia su una premessa in fatto che è contraddetta sia dalla decisione di rinvio, sia della stessa legge n. 124/99. In particolare, dall’art. 8, secondo comma, di quest’ultima si evince che gli unici membri del personale ATA che hanno avuto la facoltà di optare per il mantenimento del loro posto presso il loro datore di lavoro originario erano quelli le cui qualifiche e i cui profili non trovavano corrispondenti nei servizi del cessionario. Da questa norma, così come dal testo delle altre disposizioni di detto art. 8, discende che il personale ATA degli enti locali impiegato nelle scuole era, globalmente e in linea di principio, soggetto al trasferimento.
66      Alla luce di tutte le considerazioni sin qui svolte, occorre risolvere la prima questione dichiarando che la riassunzione, da parte di una pubblica autorità di uno Stato membro, del personale dipendente di un’altra pubblica autorità, addetto alla fornitura, presso le scuole, di servizi ausiliari comprendenti, in particolare, compiti di custodia e assistenza amministrativa, costituisce un trasferimento di impresa ai sensi della direttiva 77/187, quando detto personale è costituito da un complesso strutturato di impiegati tutelati in qualità di lavoratori in forza dell’ordinamento giuridico nazionale di detto Stato membro.
 Sulla seconda e sulla terza questione
67      Con le sue questioni seconda e terza, che occorre esaminare congiuntamente, il giudice del rinvio chiede sostanzialmente se l’art. 3 della direttiva 77/187 debba essere interpretato nel senso che, ai fini del calcolo della retribuzione di lavoratori oggetto di un trasferimento ai sensi di detta direttiva, il cessionario debba tener conto dell’anzianità lavorativa maturata dai citati lavoratori presso il cedente.
68      A questo proposito occorre esaminare preliminarmente la rilevanza, per una fattispecie quale quella oggetto della controversia principale, della citata sentenza Collino e Chiappero, con la quale la Corte si è pronunciata sulla questione relativa al riconoscimento dell’anzianità lavorativa in caso di trasferimento di impresa, sulla quale si basano sia la ricorrente nella causa principale sia il governo italiano nelle osservazioni da loro presentate alla Corte.
69      In tale sentenza si è dichiarato che, sebbene l’anzianità maturata presso il cedente non costituisca, di per sé, un diritto di cui i lavoratori trasferiti possano avvalersi nei confronti del cessionario, ciò nondimeno essa serve, se del caso, a determinare taluni diritti pecuniari dei lavoratori, che pertanto devono essere salvaguardati, in linea di principio, dal cessionario allo stesso modo del cedente (v. sentenza Collino e Chiappero, cit., punto 50).
70      Nel ricordare che il cessionario può modificare, eccetto nel caso di un trasferimento di impresa e solo nei limiti consentitigli dal diritto nazionale, le condizioni retributive in senso sfavorevole ai lavoratori, la Corte ha dichiarato che l’art. 3, n. 1, della direttiva 77/187 dev’essere interpretato nel senso che, per il calcolo di diritti di natura pecuniaria, il cessionario è tenuto a prendere in considerazione tutti gli anni di servizio effettuati dal personale trasferito nella misura in cui quest’obbligo risultava dal rapporto di lavoro che vincolava tale personale al cedente e conformemente alle modalità pattuite nell’ambito di detto rapporto (sentenza Collino e Chiappero, cit., punti 51 e 52).
71      Orbene, nella controversia che vede contrapposti la sig.ra Scattolon e il Ministero, è pacifico che i diritti e gli obblighi del personale trasferito e del cedente erano stabiliti in un contratto collettivo, vale a dire il CCNL del personale degli enti locali, la cui applicazione è stata sostituita, a partire dal 1° gennaio 2000, data del trasferimento, da quella del contratto collettivo in vigore presso il cessionario, ossia il CCNL della scuola. Alla luce di ciò, a differenza di quanto può essere avvenuto nella causa che ha portato alla citata sentenza Collino e Chiappero, l’interpretazione che viene chiesta della direttiva 77/187 non può vertere unicamente sull’art. 3, n. 1, di quest’ultima, bensì, come rilevato dall’avvocato generale nel paragrafo 75 delle sue conclusioni, deve tener conto anche del n. 2 di detto art. 3, disposizione che riguarda,
segnatamente, l’ipotesi in cui l’applicazione del contratto in vigore presso il cedente venga abbandonata a favore di quello in vigore presso il cessionario.
72      Ai sensi del citato art. 3, n. 2, primo comma, il cessionario è tenuto a mantenere le condizioni di lavoro convenute mediante contratto collettivo nei termini previsti da quest’ultimo per il cedente, fino alla data della risoluzione o della scadenza di tale contratto collettivo o dell’entrata in vigore o dell’applicazione di un altro contratto collettivo. Il secondo comma di detta disposizione aggiunge che gli Stati membri possono limitare il periodo di mantenimento delle condizioni di lavoro, purché esso non sia inferiore ad un anno.
73      Come già precisato dalla Corte, la norma prevista dall’art. 3, n. 2, secondo comma, della direttiva 77/187 non può privare di contenuti il primo comma del medesimo numero. Pertanto, questo secondo comma non osta a che le condizioni di lavoro enunciate in un contratto collettivo che si applicava al personale interessato prima del trasferimento cessino di essere applicabili al termine di un anno successivo al trasferimento, se non addirittura immediatamente alla data del trasferimento, quando si realizzi una delle ipotesi previste dal primo comma di detto numero, ossia la risoluzione o la scadenza di detto contratto collettivo oppure l’entrata in vigore o l’applicazione di un altro contratto collettivo (v. sentenza 9 marzo 2006, causa C‑499/04, Werhof, Racc. pag. I‑2397, punto 30, nonché, in tema di art. 3, n. 3, della direttiva 2001/23, sentenza 27
novembre 2008, causa C‑396/07, Juuri, Racc. pag. I‑8883, punto 34).
74      Di conseguenza, la norma prevista dall’art. 3, n. 2, primo comma, della direttiva 77/187, ai sensi della quale «il cessionario mantiene le condizioni di lavoro convenute mediante contratto collettivo nei termini previsti da quest’ultimo per il cedente, fino alla data (…) [di] applicazione di un altro contratto collettivo», dev’essere interpretata nel senso che il cessionario ha il diritto di applicare, sin dalla data del trasferimento, le condizioni di lavoro previste dal contratto collettivo per lui vigente, ivi comprese quelle concernenti la retribuzione.
75      Benché da quanto sin qui esposto discenda che la direttiva 77/187 lascia un margine di manovra, che consente al cessionario e alle altre parti contraenti di stabilire l’integrazione retributiva dei lavoratori trasferiti in modo tale che questa risulti debitamente adattata alle circostanze del trasferimento in questione, ciò nondimeno le modalità scelte devono essere conformi allo scopo di detta direttiva. Come la Corte ha ripetutamente dichiarato, quest’obiettivo consiste, essenzialmente, nell’impedire che i lavoratori coinvolti in un trasferimento siano collocati in una posizione meno favorevole per il solo fatto del trasferimento (sentenza 26 maggio 2005, causa C‑478/03, Celtec, Racc. pag. I‑4389, punto 26 e giurisprudenza ivi citata, nonché, in merito alla direttiva 2001/23, ordinanza 15 settembre 2010, causa C‑386/09, Briot, punto 26).
76      Il ricorso alla facoltà consistente nel sostituire, con effetto immediato, le condizioni di cui godevano i lavoratori trasferiti in base al contratto collettivo vigente presso il cedente con quelle previste dal contratto collettivo vigente presso il cessionario non può pertanto avere lo scopo, o l’effetto, di imporre a detti lavoratori condizioni globalmente meno favorevoli di quelle applicabili prima del trasferimento. Se così non fosse, la realizzazione dello scopo perseguito dalla direttiva 77/187 potrebbe essere agevolmente rimessa in discussione in qualsiasi settore disciplinato in forza di contratti collettivi, il che pregiudicherebbe l’efficacia pratica di detta direttiva.
77      Viceversa, la direttiva 77/187 non può essere validamente invocata per ottenere un miglioramento delle condizioni retributive o di altre condizioni lavorative in occasione di un trasferimento d’impresa. Peraltro, come rilevato dall’avvocato generale nel paragrafo 94 delle sue conclusioni, questa direttiva non osta a che sussistano talune disparità di trattamento retributivo tra i lavoratori trasferiti e quelli che, all’atto del trasferimento, erano già al servizio del cessionario. Benché altri strumenti e principi giuridici possano risultare rilevanti al fine di valutare la legalità di siffatte disparità, detta direttiva, per quanto la concerne, ha il solo scopo di evitare che determinati lavoratori siano collocati, per il solo fatto del trasferimento verso un altro datore di lavoro, in una posizione sfavorevole rispetto a quella di cui essi godevano
precedentemente.
78      Nel caso di specie, è pacifico che gli atti che hanno dato esecuzione all’art. 8, secondo comma, della legge n. 124/99 hanno stabilito le modalità del trasferimento del personale ATA degli enti locali presso i servizi del Ministero in modo tale che il contratto collettivo vigente presso quest’ultimo, ossia il CCNL della scuola, sia applicabile sin dalla data del trasferimento ai lavoratori trasferiti, senza tuttavia che questi ultimi beneficino di un trattamento retributivo corrispondente all’anzianità lavorativa da loro maturata presso il cedente.
79      Il fatto che il Ministero, piuttosto che riconoscere quest’anzianità in quanto tale e integralmente, abbia calcolato per ciascun lavoratore trasferito un’anzianità «fittizia» ha svolto un ruolo determinante nella fissazione delle condizioni retributive applicabili per il futuro al personale trasferito. Infatti, in base al CCNL della scuola, le posizioni e progressioni retributive dipendono in larga misura dall’anzianità quale calcolata e riconosciuta dal Ministero.
80      È altrettanto pacifico che i compiti svolti, prima del trasferimento, nelle scuole pubbliche dal personale ATA degli enti locali erano analoghi, se non identici, a quelli svolti dal personale ATA alle dipendenze del Ministero. Di conseguenza, sarebbe stato possibile qualificare l’anzianità maturata presso il cedente da un membro del personale trasferito come equivalente a quella maturata da un membro del personale ATA in possesso del medesimo profilo e alle dipendenze, prima del trasferimento, del Ministero.
81      In una situazione del genere, contrassegnata dalla possibilità di evitare, a causa di un riconoscimento a dir poco parziale dell’anzianità dei lavoratori trasferiti, che questi ultimi subiscano un peggioramento retributivo sostanziale rispetto alla loro posizione immediatamente precedente al trasferimento, sarebbe contrario allo scopo della direttiva 77/187, quale ricordato e delineato nei punti 75–77 della presente sentenza, non tener conto di detta anzianità nei limiti necessari all’approssimativo mantenimento del livello retributivo goduto da detti lavoratori presso il cedente (v., per analogia, sentenza 11 novembre 2004, causa C‑425/02, Delahaye, Racc. pag. I‑10823, punto 34).
82      È compito del giudice del rinvio verificare se la ricorrente nella causa principale abbia sofferto, all’atto del suo trasferimento, un siffatto peggioramento retributivo. A tal fine, spetterà a detto giudice esaminare in particolare l’argomento del Ministero, secondo il quale il calcolo definito nel punto 79 della presente sentenza sarebbe tale da garantire che il personale ATA interessato non sia collocato, per il semplice fatto del trasferimento, in una posizione globalmente sfavorevole rispetto a quella immediatamente precedente al trasferimento.
83      Alla luce di quanto sin qui esposto, occorre risolvere la seconda e la terza questione dichiarando che, quando un trasferimento ai sensi della direttiva 77/187 porta all’applicazione immediata, ai lavoratori trasferiti, del contratto collettivo vigente presso il cessionario e inoltre le condizioni retributive previste da questo contratto sono collegate segnatamente all’anzianità lavorativa, l’art. 3 di detta direttiva osta a che i lavoratori trasferiti subiscano, rispetto alla loro posizione immediatamente precedente al trasferimento, un peggioramento retributivo sostanziale per il mancato riconoscimento dell’anzianità da loro maturata presso il cedente, equivalente a quella maturata da altri lavoratori alle dipendenze del cessionario, all’atto della determinazione della loro posizione retributiva di partenza presso quest’ultimo. È compito del giudice del
rinvio esaminare se, all’atto del trasferimento in questione nella causa principale, si sia verificato un siffatto peggioramento retributivo.
 Sulla quarta questione
84      Vista la risposta data alla seconda e alla terza questione, non c’è più bisogno di esaminare se la normativa nazionale in oggetto, quale applicata alla ricorrente nella causa principale, violi i principi menzionati dal giudice del rinvio nella sua quarta questione. Di conseguenza, non occorre risolvere quest’ultima questione.
 Sulle spese
85      Nei confronti delle parti nella causa principale il presente procedimento costituisce un incidente sollevato dinanzi al giudice nazionale, cui spetta quindi statuire sulle spese. Le spese sostenute da altri soggetti per presentare osservazioni alla Corte non possono dar luogo a rifusione.
Per questi motivi, la Corte (Grande Sezione) dichiara:
1)      La riassunzione, da parte di una pubblica autorità di uno Stato membro, del personale dipendente di un’altra pubblica autorità, addetto alla fornitura, presso le scuole, di servizi ausiliari comprendenti, in particolare, compiti di custodia e assistenza amministrativa, costituisce un trasferimento di impresa ai sensi della direttiva del Consiglio 14 febbraio 1977, 77/187/CEE, concernente il ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri relative al mantenimento dei diritti dei lavoratori in caso di trasferimenti di imprese, di stabilimenti o di parti di stabilimenti, quando detto personale è costituito da un complesso strutturato di impiegati tutelati in qualità di lavoratori in forza dell’ordinamento giuridico nazionale di detto Stato membro.
2)      Quando un trasferimento ai sensi della direttiva 77/187 porta all’applicazione immediata, ai lavoratori trasferiti, del contratto collettivo vigente presso il cessionario e inoltre le condizioni retributive previste da questo contratto sono collegate segnatamente all’anzianità lavorativa, l’art. 3 di detta direttiva osta a che i lavoratori trasferiti subiscano, rispetto alla loro posizione immediatamente precedente al trasferimento, un peggioramento retributivo sostanziale per il mancato riconoscimento dell’anzianità da loro maturata presso il cedente, equivalente a quella maturata da altri lavoratori alle dipendenze del cessionario, all’atto della determinazione della loro posizione retributiva di partenza presso quest’ultimo. È compito del giudice del rinvio esaminare se, all’atto del trasferimento in questione nella causa principale, si sia verificato
un siffatto peggioramento retributivo.
Firme


SENTENZA DELLA CORTE (Grande Sezione)
6 settembre 2011 (*)
«Politica sociale – Direttiva 77/187/CEE – Mantenimento dei diritti dei lavoratori in caso di trasferimento di imprese – Nozioni di “impresa” e di “trasferimento” – Cedente e cessionario di diritto pubblico – Applicazione, sin dalla data del trasferimento, del contratto collettivo vigente presso il cessionario – Trattamento retributivo – Riconoscimento dell’anzianità maturata presso il cedente»
Nel procedimento C‑108/10,
avente ad oggetto la domanda di pronuncia pregiudiziale proposta alla Corte, ai sensi dell’art. 267 TFUE, dal Tribunale di Venezia, con decisione 4 gennaio 2010, pervenuta in cancelleria il 26 febbraio 2010, nella causa
Ivana Scattolon
contro
Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca,
LA CORTE (Grande Sezione),
composta dal sig. V. Skouris, presidente, dai sigg. J. N. Cunha Rodrigues, K. Lenaerts, J.–C. Bonichot, J.–J. Kasel e D. Šváby, presidenti di sezione, dai sigg. G. Arestis, A. Borg Barthet, M. Ilešič (relatore), dalla sig.ra C. Toader e dal sig. M. Safjan, giudici,
avvocato generale: sig. Y. Bot
cancelliere: sig.ra A. Impellizzeri, amministratore
vista la fase scritta del procedimento e in seguito all’udienza del 1° febbraio 2011,
considerate le osservazioni presentate:
–        per la sig.ra Scattolon, dagli avv.ti N. Zampieri, A. Campesan e V. De Michele;
–        per il governo italiano, dalla sig.ra G. Palmieri, in qualità di agente, assistita dal sig. L. D’Ascia, avvocato dello Stato;
–        per la Commissione europea, dalla sig.ra C. Cattabriga e dal sig. J. Enegren, in qualità di agenti,
sentite le conclusioni dell’avvocato generale, presentate all’udienza del 5 aprile 2011,
ha pronunciato la seguente
Sentenza
1        La domanda di pronuncia pregiudiziale verte sull’interpretazione della direttiva del Consiglio 14 febbraio 1977, 77/187/CEE, concernente il ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri relative al mantenimento dei diritti dei lavoratori in caso di trasferimenti di imprese, di stabilimenti o di parti di stabilimenti (GU L 61, pag. 26), della direttiva del Consiglio 12 marzo 2001, 2001/23/CE, concernente il ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri relative al mantenimento dei diritti dei lavoratori in caso di trasferimenti di imprese, di stabilimenti o di parti di imprese o di stabilimenti (GU L 82, pag. 16), nonché di vari principi generali del diritto.
2        Tale domanda è stata presentata nell’ambito di una controversia tra la sig.ra Scattolon ed il Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca (in prosieguo: il «Ministero») in merito al mancato riconoscimento, a seguito del trasferimento della sig.ra Scattolon alle dipendenze del Ministero, dell’anzianità di servizio che la medesima aveva maturato presso il comune di Scorzè, suo originario datore di lavoro.
 Contesto normativo
 Il diritto dell’Unione
3        L’art. 1, n. 1, della direttiva 77/187 disponeva, nella sua versione iniziale, quanto segue:
«La presente direttiva si applica ai trasferimenti di imprese, di stabilimenti o di parti di stabilimenti ad un nuovo imprenditore in seguito a cessione contrattuale o a fusione».
4        Ai sensi dell’art. 2 di tale direttiva, si intendeva per «cedente» ogni persona fisica o giuridica che, in conseguenza di un trasferimento a norma dell’art. 1, n. 1, di detta direttiva, perde la veste di imprenditore, e per «cessionario» ogni persona fisica o giuridica che, in conseguenza di un trasferimento del genere, acquisisce la veste di imprenditore.
5        L’art. 3, nn. 1 e 2, della direttiva 77/187 disponeva che:
«1.      I diritti e gli obblighi che risultano per il cedente da un contratto di lavoro o da un rapporto di lavoro esistente alla data del trasferimento ai sensi dell’articolo 1, paragrafo 1, sono, in conseguenza di tale trasferimento, trasferiti al cessionario.
(…)
2.      Dopo il trasferimento ai sensi dell’articolo 1, paragrafo 1, il cessionario mantiene le condizioni di lavoro convenute mediante contratto collettivo nei termini previsti da quest’ultimo per il cedente, fino alla data della risoluzione o della scadenza del contratto collettivo o dell’entrata in vigore o dell’applicazione di un altro contratto collettivo.
Gli Stati membri possono limitare il periodo del mantenimento delle condizioni di lavoro purché esso non sia inferiore ad un anno».
6        L’art. 4 della direttiva 77/187 così recitava:
«1.      Il trasferimento di un’impresa, di uno stabilimento o di una parte di stabilimento non è di per sé motivo di licenziamento da parte del cedente o del cessionario. Tale dispositivo non pregiudica i licenziamenti che possono aver luogo per motivi economici, tecnici o d’organizzazione che comportano variazioni sul piano dell’occupazione.
(…)
2.      Se il contratto di lavoro o il rapporto di lavoro è rescisso in quanto il trasferimento ai sensi dell’articolo 1, paragrafo 1, comporta a scapito del lavoratore una sostanziale modifica delle condizioni di lavoro, la rescissione del contratto di lavoro o del rapporto di lavoro è considerata come dovuta alla responsabilità del datore di lavoro».
7        In seguito all’entrata in vigore della direttiva del Consiglio 29 giugno 1998, 98/50/CE, che modifica la direttiva 77/187 (GU L 201, pag. 88), il cui termine di recepimento scadeva, per gli Stati membri, il 17 luglio 2001, l’art. 1, n. 1, della direttiva 77/187 era così redatto:
«(a)      La presente direttiva si applica ai trasferimenti di imprese, di stabilimenti o di parti di imprese o di stabilimenti ad un nuovo imprenditore in seguito a cessione contrattuale o a fusione.
b)      Fatta salva la lettera a) e le disposizioni seguenti del presente articolo, è considerato come trasferimento ai sensi della presente direttiva quello di un’entità economica che conserva la propria identità, intesa come insieme di mezzi organizzati al fine di svolgere un’attività economica, sia essa essenziale o accessoria.
c)      La presente direttiva si applica alle imprese pubbliche o private che esercitano un’attività economica, che perseguano o meno uno scopo di lucro. Una riorganizzazione amministrativa di enti amministrativi pubblici o il trasferimento di funzioni amministrative tra enti amministrativi pubblici non costituisce trasferimento ai sensi della presente direttiva».
8        Per motivi di razionalizzazione normativa, la direttiva 77/187, come modificata dalla direttiva 98/50, è stata abrogata con la direttiva 2001/23.
9        Il tenore letterale dell’art. 1, n. 1, della direttiva 2001/23 corrisponde a quello dell’art. 1, n. 1, della direttiva 77/187, come modificata dalla direttiva 98/50. Le definizioni delle nozioni di «cedente» e di «cessionario» di cui alla direttiva 2001/23 sono sostanzialmente identiche a quelle di cui all’art. 2 della direttiva 77/187.
10      Quanto all’art. 3 della direttiva 2001/23, i nn. 1 e 3 del medesimo corrispondono sostanzialmente ai nn. 1 e 2 dell’art. 3 della direttiva 77/187. Quanto all’art. 4 della direttiva 2001/23, esso corrisponde all’art. 4 della direttiva 77/187.
 La normativa nazionale
 L’art. 2112 del codice civile italiano
11      In Italia, l’attuazione della direttiva 77/187 e, di conseguenza, della direttiva 2001/23 è garantita, in particolare, dall’art. 2112 del codice civile ai sensi del quale, «in caso di trasferimento d’azienda, il rapporto di lavoro continua con il cessionario ed il lavoratore conserva tutti i diritti che ne derivano. (…) Il cessionario è tenuto ad applicare [i] contratti collettivi (…) vigenti alla data del trasferimento, fino alla loro scadenza, salvo che siano sostituiti da altri contratti collettivi applicabili all’impresa del cessionario».
 L’art. 8 della legge n. 124/99 e i decreti ministeriali di esecuzione
12      Sino al 1999, i servizi ausiliari presso le scuole pubbliche italiane consistenti, in particolare, nella pulizia e nella manutenzione dei locali, nonché nell’assistenza amministrativa erano garantiti, in parte, tramite il personale amministrativo, tecnico ed ausiliario (in prosieguo: «ATA») dello Stato e, in parte, da enti locali, quali i comuni. Gli enti locali effettuavano tali compiti tramite il proprio personale amministrativo, tecnico ed ausiliario (in prosieguo: il «personale ATA degli enti locali»), ovvero mediante la stipula di contratti con imprese private.
13      Il personale ATA degli enti locali veniva retribuito sulla base del Contratto Collettivo Nazionale di Lavoro – Regioni Autonomie Locali (in prosieguo: il «CCNL del personale degli enti locali»). Il personale ATA dello Stato impiegato nelle scuole pubbliche era invece retribuito sulla base del Contratto Collettivo Nazionale di Lavoro della Scuola (in prosieguo: il «CCNL della scuola»).
14      La legge 3 maggio 1999, n. 124, recante disposizioni urgenti in materia di personale scolastico (GURI n. 107, del 10 maggio 1999, pag. 4; in prosieguo: la «legge n. 124/99»), ha previsto il trasferimento del personale ATA degli enti locali, impiegato nelle scuole pubbliche, nei ruoli del personale ATA dello Stato, a decorrere dal 1° gennaio 2000.
15      A tal proposito l’art. 8, commi 1 e 2, della legge n. 124/99 così dispone:
«1.      Il personale ATA degli istituti e scuole statali (…) è a carico dello Stato. Sono abrogate le disposizioni che prevedono la fornitura di tale personale da parte dei comuni e delle province.
2.      Il personale di ruolo di cui al comma l, dipendente dagli enti locali, in servizio nelle istituzioni scolastiche statali alla data di entrata in vigore della presente legge, è trasferito nei ruoli del personale ATA statale ed è inquadrato nelle qualifiche funzionali e nei profili professionali corrispondenti per lo svolgimento dei compiti propri dei predetti profili. Relativamente a qualifiche e profili che non trovino corrispondenza nei ruoli del personale ATA statale è consentita l’opzione per l’ente di appartenenza, da esercitare comunque entro tre mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge. A detto personale vengono riconosciuti ai fini giuridici ed economici l’anzianità maturata presso l’ente locale di provenienza nonché il mantenimento della sede in fase di prima applicazione in presenza della relativa disponibilità del posto».
16      La legge n. 124/99 è stata attuata con decreto 23 luglio 1999, relativo al trasferimento del personale ATA dagli enti locali allo Stato, ai sensi dell’art. 8 della legge 3 maggio 1999, n. 124 (GURI n. 16, del 21 gennaio 2000, pag. 28; in prosieguo: il «d.m. 23 luglio 1999»). L’art. 3 di tale decreto prevede quanto segue:
«(…)
Con successivo decreto (...) verranno definiti i criteri di inquadramento, nell’ambito del comparto scuola, finalizzati all’allineamento degli istituti retributivi del personale in questione a quelli del comparto medesimo, con riferimento alla retribuzione stipendiale, ai trattamenti accessori e al riconoscimento ai fini giuridici ed economici, nonché dell’incidenza sulle rispettive gestioni previdenziali, dell’anzianità maturata presso gli enti, previa contrattazione collettiva (...) fra [l’Agenzia per la rappresentanza negoziale delle pubbliche amministrazioni; in prosieguo: l’“ARAN”] e le organizzazioni sindacali (...)».
17      L’art. 9 del d.m. 23 luglio 1999 dispone quanto segue:
«Lo Stato subentrerà nei contratti stipulati dagli enti locali alla data del 24 maggio 1999, ed eventualmente rinnovati in data successiva, per la parte con la quale sono state assicurate le funzioni ATA per le scuole statali, in luogo dell’assunzione di personale dipendente. (…) Ferma restando la prosecuzione delle attività da parte di soggetti esterni impegnati (…) ai sensi delle leggi vigenti, lo Stato subentrerà nelle convenzioni stipulate dagli enti locali con i soggetti imprenditoriali (…) per lo svolgimento di funzioni ATA demandate per legge all’ente locale in sostituzione dello Stato. (…)».
18      L’accordo tra l’ARAN e le organizzazioni sindacali previsto dall’art. 3 del d.m. 23 luglio 1999 è stato firmato il 20 luglio 2000 ed approvato con decreto ministeriale 5 aprile 2001, recante recepimento dell’accordo ARAN – Rappresentanti delle organizzazioni e confederazioni sindacali in data 20 luglio 2000, sui criteri di inquadramento del personale già dipendente degli enti locali e transitato nel comparto scuola (GURI n. 162, del 14 luglio 2001, pag. 27; in prosieguo: il «d.m. 5 aprile 2001»).
19      Tale accordo dispone quanto segue:
«Articolo 1 – Ambito di applicazione
Il presente accordo si applica dal 1° gennaio 2000 al personale dipendente dagli enti locali e transitato nel comparto scuola, ai sensi dell’art. 8 della [legge n. 124/99] e (...) del decreto ministeriale 23 luglio 1999 (…).
Articolo 2 – Regime contrattuale
1.      Al personale di cui al presente accordo (...) cessa di applicarsi a decorrere dal 1° gennaio 2000 il [CCNL del personale degli enti locali] e dalla stessa data si applica il [CCNL della scuola], ivi compreso tutto quanto si riferisce al trattamento accessorio, salvo quanto diversamente stabilito negli articoli successivi.
(…)
Articolo 3 – Inquadramento professionale e retributivo
1.      I dipendenti, di cui all’art. l del presente accordo, sono inquadrati nella progressione economica per posizioni stipendiali delle corrispondenti qualifiche professionali del comparto scuola (...) con le seguenti modalità. Ai suddetti dipendenti viene attribuita la posizione stipendiale (...) d’importo pari o immediatamente inferiore al trattamento annuo in godimento al 31 dicembre 1999 costituito da stipendio e retribuzione individuale di anzianità nonché, per coloro che ne sono provvisti, [dalle indennità previste dal CCNL del personale degli enti locali]. L’eventuale differenza tra l’importo della posizione stipendiale di inquadramento e il trattamento annuo in godimento al 31 dicembre 1999, come sopra indicato, è corrisposta «ad personam» e considerata utile, previa temporizzazione, ai fini del conseguimento della successiva posizione stipendiale. Al
personale destinatario del presente accordo è corrisposta l’indennità integrativa speciale nell’importo in godimento al 31 dicembre 1999, se più elevata di quella della corrispondente qualifica del comparto scuola. (…)
(…)
Articolo 9 – Retribuzione fondamentale e salario accessorio
1.      A decorrere dal 1° gennaio 2000, al personale di cui al presente accordo si applicano tutti gli istituti a contenuto economico del [CCNL della scuola], secondo le modalità da questo previste.
2.      A decorrere dal 1° gennaio 2000, al personale di cui al presente accordo, è riconosciuto, a titolo provvisorio, il compenso individuale accessorio secondo le misure lorde mensili indicate nella tabella (...) allegata al [CCNL della scuola]. (…)
(…)».
20      Tale normativa ha dato luogo ad azioni giudiziarie promosse dai membri del personale ATA trasferito, i quali hanno chiesto il pieno riconoscimento della loro anzianità maturata presso gli enti locali. Costoro deducevano, a tale riguardo, che i criteri adottati nell’ambito dell’accordo approvato con d.m. 5 aprile 2001 facevano sì che essi, a partire dal loro inserimento nel personale ATA dello Stato, venissero inquadrati e retribuiti alla stessa maniera dei membri del personale ATA statale con minore anzianità. Secondo la loro tesi, l’art. 8 della legge n. 124/99 impone il mantenimento, per ogni membro del personale ATA trasferito, dell’anzianità maturata presso gli enti locali, di modo che ciascuno di detti membri deve percepire, a decorrere dal 1° gennaio 2000, la retribuzione corrisposta ad un membro del personale ATA statale con la medesima anzianità.
21      Tale contenzioso è sfociato, nel corso del 2005, in diverse sentenze pronunciate dalla Corte suprema di cassazione, nelle quali questa ha accolto, in sostanza, la suddetta argomentazione.
 La legge n. 266/2005
22      Il legislatore italiano, con l’approvazione di un emendamento presentato dal governo italiano, ha inserito nell’art. 1 della legge 23 dicembre 2005, n. 266, recante disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2006) (supplemento ordinario alla GURI n. 302, del 29 dicembre 2005; in prosieguo: la «legge n. 266/2005»), un comma 218, così redatto:
«Il comma 2 dell’art. 8 della legge [n. 124/99], si interpreta nel senso che il personale degli enti locali trasferito nei ruoli del [personale ATA] statale è inquadrato, nelle qualifiche funzionali e nei profili professionali dei corrispondenti ruoli statali, sulla base del trattamento economico complessivo in godimento all’atto del trasferimento, con l’attribuzione della posizione stipendiale di importo pari o immediatamente inferiore al trattamento annuo in godimento al 31 dicembre 1999 costituito dallo stipendio, dalla retribuzione individuale di anzianità nonché da eventuali indennità, ove spettanti, previste dai [CCNL del personale degli enti locali], vigenti alla data dell’inquadramento. L’eventuale differenza tra l’importo della posizione stipendiale di inquadramento e il trattamento annuo in godimento al 31 dicembre 1999 (...) viene corrisposta ad personam e
considerata utile, previa temporizzazione, ai fini del conseguimento della successiva posizione stipendiale. È fatta salva l’esecuzione dei giudicati formatisi alla data di entrata in vigore della presente legge».
23      Numerosi giudici hanno investito la Corte costituzionale di questioni vertenti sulla conformità dell’art. 1, comma 218, della legge n. 266/2005 con la Costituzione italiana, in particolare con la norma che sancisce l’autonomia del potere giudiziario, dal momento che quest’ultima implica, per il legislatore, un divieto di ingerenza nella funzione di interpretazione uniforme della legge, riservata alla Corte suprema di cassazione.
24      Con sentenza 18 giugno 2007, nonché con successive ordinanze, la Corte costituzionale ha dichiarato che l’art. 1, comma 218, della legge n. 266/2005 non violava i principi generali del diritto di cui si lamentava la lesione. In particolare, essa ha dichiarato che questa disposizione non innovava rispetto all’art. 8, secondo comma, della legge n. 124/99 e che consentiva di favorire il passaggio del personale ATA dagli enti locali verso lo Stato, dato che detto personale si trovava in una posizione diversa da quella del personale già inquadrato nei ruoli statali al momento del trasferimento.
25      Durante il 2008, la Corte suprema di cassazione ha sottoposto alla Corte costituzionale una nuova questione, concernente la legittimità costituzionale della legge n. 266/2005 alla luce del principio di una tutela giurisdizionale effettiva, sancito dall’art. 6 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, siglata a Roma il 4 novembre 1950 (in prosieguo: la «CEDU»).
26      Con sentenza 16 novembre 2009, la Corte costituzionale ha dichiarato che l’art. 1, comma 218, della legge n. 266/2005 non lede detto principio. In particolare, essa ha giudicato che questa disposizione costituisce una fra le possibili interpretazioni dell’art. 8, secondo comma, della legge n. 124/99 e che, pertanto, non implica una modifica sfavorevole di un diritto quesito.
27      Durante il 2008 e il 2009, dinanzi alla Corte europea dei diritti dell’uomo sono stati proposti tre ricorsi da membri del personale ATA degli enti locali sottoposti al trasferimento nei ruoli del Ministero, nei quali si accusava la Repubblica italiana di aver violato, adottando l’art. 1, comma 218, della legge n. 266/2005, l’art. 6 della CEDU e l’art. 1 del Protocollo addizionale della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali. Con sentenza 7 giugno 2011, detta Corte ha accolto questi ricorsi (Corte europea dei diritti dell’uomo, sentenza Agrati e a. c. Italia).
 Causa principale e questioni pregiudiziali
28      La sig.ra Scattolon, dipendente del comune di Scorzè dal 16 maggio 1980 in qualità di bidella in scuole statali, svolgeva tale attività lavorativa, fino al 31 dicembre 1999, come membro del personale ATA degli enti locali.
29      A decorrere dal 1° gennaio 2000, la medesima, in applicazione dell’art. 8 della legge n. 124/99, veniva trasferita nel ruolo del personale ATA dello Stato.
30      Ai sensi del d.m. 5 aprile 2001, la sig.ra Scattolon veniva inquadrata in una fascia retributiva corrispondente, nel suddetto ruolo, a nove anni di anzianità.
31      Poiché, a causa di ciò, essa non aveva ottenuto il riconoscimento della sua anzianità di circa vent’anni, maturata alle dipendenze del comune di Scorzè, e riteneva di aver sofferto, in tal modo, una notevole riduzione della sua retribuzione, con ricorso depositato in data 27 aprile 2005 essa ha adito il Tribunale di Venezia, per ottenere il riconoscimento integrale di detta anzianità e, di conseguenza, l’inquadramento nello scatto corrispondente, per il personale ATA dello Stato, a un’anzianità compresa tra i quindici e i vent’anni.
32      In seguito all’emanazione dell’art. 1, comma 218, della legge n. 266/2005, il Tribunale di Venezia ha sospeso il procedimento e ha sottoposto alla Corte costituzionale la questione della compatibilità di detta disposizione con i principi, in particolare, della certezza del diritto e di una tutela giurisdizionale effettiva. Con ordinanza 9 giugno 2008, la Corte costituzionale, richiamandosi alla propria sentenza 18 giugno 2007, ha dichiarato che il citato art. 1, comma 218, non è viziato dalle asserite violazioni di principi generali del diritto.
33      Ciò premesso, il Tribunale di Venezia ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:
«1)      Se la [direttiva 77/187] e/o la [direttiva 2001/23], o la diversa normativa [dell’Unione] ritenuta applicabile deve essere interpretata nel senso che quest’ultima può applicarsi ad una fattispecie di trasferimento di personale addetto a servizi ausiliari di pulizia e manutenzione degli edifici scolastici statali da enti pubblici locali (comuni e province) allo Stato laddove il trasferimento ha comportato il subentro non solo nell’attività e nei rapporti con tutto il personale (bidelli) addetto, ma anche nei contratti di appalto stipulati con imprese private per garantire i medesimi servizi.
2)      Se la continuità del rapporto di lavoro ex art. 3, n. 1, primo comma, della direttiva 77/187 (trasfusa, unitamente alla [direttiva 98/50, nella [direttiva 2001/23]) deve essere interpretato nel senso di una quantificazione dei trattamenti economici collegati presso il cessionario all’anzianità di servizio che tenga conto di tutti gli anni effettuati dal personale trasferito, anche di quelli svolti alle dipendenze del cedente.
3)      Se l’art. 3 della direttiva 77/187 e/o le [direttive 98/50 e 2001/23], devono essere interpretate nel senso che tra i diritti del lavoratore che si trasferiscono al concessionario rientrano anche posizioni di vantaggio conseguite dal lavoratore presso il cedente quale l’anzianità di servizio se a questa risultano essere collegati, nella contrattazione collettiva vigente presso il cessionario, diritti di carattere economico.
4)      Se i principi generali del vigente diritto [dell’Unione] della certezza del diritto, della tutela del legittimo affidamento, della uguaglianza delle armi del processo, dell’effettiva tutela giurisdizionale, ad un tribunale indipendente e, più in generale, ad un equo processo, garantiti dall’art. 6, n. 2, [TUE] in combinato disposto con l’art. 6 della [CEDU] e con gli artt. 46, 47 e 52, n. 3, della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, proclamata a Nizza il 7 dicembre 2000, come recepiti dal Trattato di Lisbona, debbano essere interpretati nel senso di ostare all’emanazione da parte dello Stato italiano, dopo un arco temporale apprezzabile (5 anni), di una norma di interpretazione autentica difforme rispetto al dettato da interpretare e contrastante con l’interpretazione costante e consolidata dell’organo titolare della funzione
nomofilattica, norma oltretutto rilevante per la decisione di controversie in cui lo stesso Stato italiano è coinvolto come parte».
 Procedimento dinanzi alla Corte
34      Con lettera datata 9 giugno 2011, la ricorrente nella causa principale, alla luce della citata sentenza Agrati e a. c. Italia, ha chiesto la riapertura della fase orale.
35      A questo proposito, occorre ricordare che, per giurisprudenza costante della Corte, quest’ultima, d’ufficio o su proposta dell’avvocato generale, o anche su domanda delle parti, può ordinare la riapertura della fase orale, ai sensi dell’art. 61 del suo regolamento di procedura, se ritiene necessari ulteriori chiarimenti o se la causa dev’essere esaminata sulla base di un argomento che non è stato dibattuto tra le parti (v., in particolare, sentenze 14 dicembre 2004, causa C‑210/03, Swedish Match, Racc. pag. I‑11893, punto 25; 26 giugno 2008, causa C‑284/06, Burda, Racc. pag. I‑4571, punto 37, e 17 marzo 2011, causa C‑221/09, AJD Tuna, non ancora pubblicata nella Raccolta, punto 36).
36      Nel caso di specie, la Corte ritiene di essere in possesso di tutti gli elementi necessari per trattare la domanda di pronuncia pregiudiziale e che detta domanda non dev’essere valutata in base ad un argomento non ancora dibattuto dinanzi ad essa.
37      Di conseguenza, non va accolta la domanda della ricorrente nella causa principale, mirante allo svolgimento di una nuova udienza, né quella, presentata in subordine, mirante ad ottenere un’autorizzazione al deposito di osservazioni scritte supplementari.
 Sulle questioni pregiudiziali
 Sulla prima questione
38      Con la sua prima questione il giudice del rinvio chiede sostanzialmente se la riassunzione, da parte di una pubblica autorità di uno Stato membro, del personale dipendente di un’altra pubblica autorità, addetto alla fornitura di servizi ausiliari presso le scuole, costituisca un «trasferimento di impresa» ai sensi della normativa dell’Unione relativa al mantenimento dei diritti dei lavoratori.
39      Poiché i benefici derivanti da detta normativa possono essere invocati solo da persone le quali, nello Stato membro interessato, siano tutelate in qualità di lavoratori a titolo della normativa nazionale in materia di diritto del lavoro (v., in particolare, sentenze 10 dicembre 1998, cause riunite C‑173/96 e C‑247/96, Hidalgo e a., Racc. pag. I‑8237, punto 24, nonché 14 settembre 2000, causa C‑343/98, Collino e Chiappero, Racc. pag. I‑6659, punto 36), è importante sottolineare sin d’ora che, in base alla ricostruzione effettuata dal giudice del rinvio, non contestata dal governo italiano, il personale ATA occupato presso le scuole pubbliche in Italia gode di una siffatta tutela. Ne consegue che la ricorrente nella causa principale ha il diritto di beneficiare della normativa dell’Unione relativa al mantenimento dei diritti dei lavoratori, purché
siano soddisfatti i presupposti di applicazione specificamente elencati nella normativa medesima.
40      In via preliminare occorre constatare parimenti che la riassunzione di detto personale è avvenuta il 1º gennaio 2000, cioè prima della scadenza del termine fissato agli Stati membri per recepire la direttiva 98/50 e anteriormente all’adozione della direttiva 2001/23. Da ciò deriva che la questione proposta dal giudice del rinvio va esaminata alla luce della direttiva 77/187 nella sua versione originaria (v., per analogia, sentenze 20 novembre 2003, causa C‑340/01, Abler e a., Racc. pag. I‑14023, punto 5, nonché 9 marzo 2006, causa C‑499/04, Werhof, Racc. pag. I‑2397, punti 15 e 16).
41      Ai sensi dell’art. 1, n. 1, della citata versione della direttiva 77/187, essa si applicava «ai trasferimenti di imprese, di stabilimenti o di parti di stabilimenti ad un nuovo imprenditore in seguito a cessione contrattuale o a fusione». Occorre pertanto verificare se, nell’ipotesi della riassunzione, da parte di un’autorità pubblica di uno Stato membro, del personale dipendente di un’altra autorità pubblica addetto ad attività del tipo di quelle di cui alla causa principale, si riscontri la presenza di tutti gli elementi elencati in tale disposizione.
 Sull’esistenza di un’«impresa» ai sensi della direttiva 77/187
42      La nozione di «impresa», ai sensi dell’art. 1, n. 1, della direttiva 77/187, comprende qualsiasi entità economica organizzata stabilmente, a prescindere dallo status giuridico e dalle modalità di finanziamento della medesima. Costituisce un’entità siffatta qualsiasi complesso di persone ed elementi che consenta lo svolgimento di un’attività economica che persegua un proprio obiettivo e che sia sufficientemente strutturata e autonoma (sentenze 10 dicembre 1998, cause riunite C‑127/96, causa C‑229/96 e C‑74/97, Hernández Vidal e a., Racc. pag. I‑8179, punti 26 e 27; 26 settembre 2000, causa C‑175/99, Mayeur, Racc. pag. I‑7755, punto 32, nonché Abler e a., cit., punto 30; v. altresì, relativamente all’art. 1, n. 1, della direttiva 2001/23, sentenze 13 settembre 2007, causa C‑458/05, Jouini e a., Racc. pag. I‑7301, punto 31,
nonché 29 luglio 2010, causa C‑151/09, UGT‑FSP, non ancora pubblicata nella Raccolta, punto 26).
43      La nozione di «attività economica», presente nella definizione ricordata nel punto precedente, comprende qualsiasi attività consistente nell’offerta di beni o servizi su un determinato mercato (sentenze 25 ottobre 2001, causa C‑475/99, Ambulanz Glöckner, Racc. pag. I‑8089, punto 19; 24 ottobre 2002, causa C‑82/01 P, Aéroports de Paris/Commissione, Racc. pag. I‑9297, punto 79, nonché 10 gennaio 2006, causa C‑222/04, Cassa di Risparmio di Firenze e a., Racc. pag. I‑289, punto 108).
44      Sono escluse, in linea di principio, dalla qualificazione di attività economica le attività che si ricollegano all’esercizio delle prerogative dei pubblici poteri (v., in particolare, sentenza 1° luglio 2008, causa C‑49/07, MOTOE, Racc. pag. I‑4863, punto 24 e giurisprudenza ivi citata, nonché, per quanto riguarda la direttiva 77/187, sentenza 15 ottobre 1996, causa C‑298/94, Henke, Racc. pag. I‑4989, punto 17). Viceversa, sono stati qualificati come attività economiche servizi che, senza essere ricollegati all’esercizio delle prerogative dei pubblici poteri, sono garantiti nell’interesse pubblico e senza fini di lucro e si trovano in concorrenza con quelli offerti da operatori che agiscono con fini di lucro (v., in proposito, sentenze 23 aprile 1991, causa C‑41/90, Höfner e Elser, Racc. pag. I‑1979, punto 22; Aéroports de
Paris/Commissione, cit., punto 82, nonché Cassa di Risparmio di Firenze e a., cit., punti 122 e 123).
45      Nel caso di specie, come si ricava dall’art. 8 della legge n. 124/99, il gruppo di lavoratori oggetto di riassunzione da parte dello Stato è costituito dal personale ATA degli enti locali occupato presso le scuole pubbliche. Dagli atti di causa si evince anche che le attività svolte da questo personale consistono nel garantire i servizi ausiliari di cui le scuole hanno bisogno per perseguire, in condizioni ottimali, i loro compiti di insegnamento. Questi servizi riguardano, segnatamente, la pulizia e la manutenzione dei locali, nonché compiti di assistenza amministrativa.
46      Inoltre, dagli elementi in fatto forniti dal giudice del rinvio, così come dall’art. 9 del d.m. 23 luglio 1999, si evince che tali servizi sono affidati, in determinati casi, ad operatori economici privati mediante subappalto. Del resto, è pacifico che detti servizi non sono ricollegati all’esercizio di prerogative dei pubblici poteri.
47      Appare evidente, pertanto, che le attività svolte dai lavoratori sottoposti al trasferimento di cui trattasi nella causa principale hanno carattere economico ai sensi della citata giurisprudenza e perseguono un proprio obiettivo, che consiste nell’inquadramento tecnico e amministrativo delle scuole. Del resto, è pacifico che il personale ATA è stato concepito come un complesso strutturato di lavoratori dipendenti.
48      Va ancora verificato, alla luce della giurisprudenza ricordata nel punto 42 della presente sentenza e delle osservazioni scritte del governo italiano, in primo luogo, se la qualifica del personale interessato come «impresa» sia rimessa in discussione dalla mancanza di elementi patrimoniali, in secondo luogo, se questo gruppo di lavoratori sia sufficientemente autonomo per essere qualificato come «entità economica» e, di conseguenza, impresa e, in terzo luogo, se abbia una qualche rilevanza la circostanza che detti lavoratori facciano parte della pubblica amministrazione.
49      Per quanto concerne, in primo luogo, la mancanza di elementi patrimoniali, la Corte ha giudicato ripetutamente che, in determinati settori, l’attività si basa essenzialmente sulla manodopera. Alla luce di ciò, un complesso strutturato di lavoratori, malgrado la mancanza di significativi elementi patrimoniali, materiali o immateriali, può corrispondere a un’entità economica ai sensi della direttiva 77/187 (v. in particolare, per quanto concerne i servizi di pulizia, le citate sentenze Hernández Vidal e a., punto 27, nonché Hidalgo e a., punto 26; v. altresì, in merito alla direttiva 2001/23, sentenza 20 gennaio 2011, causa C‑463/09, CLECE, non ancora pubblicata nella Raccolta, punto 39).
50      Questa giurisprudenza è applicabile alla fattispecie di cui alla controversia principale, dal momento che sembra che nessuna delle attività svolte dal gruppo di lavoratori in questione necessiti della disponibilità di significativi elementi patrimoniali. La qualificazione del gruppo di lavoratori quale entità economica non può essere esclusa pertanto per il fatto che detta entità non comprende, a parte il citato personale, elementi patrimoniali materiali o immateriali.
51      Per quanto riguarda, in secondo luogo, la questione relativa alla sufficiente autonomia di un gruppo di lavoratori come quello su cui verte la causa principale, si deve ricordare che, nel contesto della normativa dell’Unione in tema di mantenimento dei diritti dei lavoratori, la nozione di autonomia si riferisce ai poteri, riconosciuti ai responsabili del gruppo di lavoratori di cui trattasi, di organizzare, in modo relativamente libero e indipendente, il lavoro in seno al citato gruppo e, in particolare, di impartire istruzioni e distribuire compiti ai lavoratori subordinati appartenenti a tale gruppo, e ciò senza intervento diretto da parte di altre strutture organizzative del datore di lavoro (v., a questo proposito, la citata sentenza UGT‑FSP, punti 42 e 43). Benché, effettivamente, il ricorrere di un’entità sufficientemente autonoma non venga meno per via
della circostanza che il datore di lavoro impone a tale gruppo di lavoratori obblighi precisi ed esercita pertanto un’ampia influenza sulle attività del medesimo, occorre nondimeno che il gruppo in parola disponga di una certa libertà nell’organizzare ed eseguire i compiti affidatigli (v., in tal senso, sentenza Hidalgo e a., cit., punto 27).
52      Nel caso di specie, ferma restando l’esigenza di una verifica da parte del giudice del rinvio, emerge che il personale ATA degli enti locali impiegato nelle scuole costituiva, in seno all’amministrazione degli enti locali, un’entità che poteva organizzare e svolgere i suoi compiti in modo relativamente libero e indipendente mediante, in particolare, istruzioni impartite da membri di detto personale ATA investiti di compiti di coordinamento e direzione.
53      Per quanto concerne, in terzo e ultimo luogo, la circostanza che il personale trasferito e le sue attività siano integrate nella pubblica amministrazione, occorre ricordare che quest’unica circostanza non può sottrarre detta entità all’applicazione della direttiva 77/187 (v., in tal senso, sentenza Collino e Chiappero, cit., punti 33 e 35). La conclusione opposta non sarebbe coerente con la giurisprudenza citata nel punto 42 della presente sentenza, in base alla quale qualunque complesso sufficientemente strutturato e autonomo di persone ed elementi che consenta lo svolgimento di un’attività economica finalizzata a un proprio obiettivo costituisce un’«impresa», ai sensi dell’art. 1, n. 1, della direttiva 77/187, a prescindere dallo status giuridico e dalle modalità di finanziamento di quest’ultimo.
54      Benché sia vero che, come sottolineato dal governo italiano, la Corte ha escluso dalla sfera d’applicazione della direttiva 77/187 la «riorganizzazione amministrativa di enti pubblici» e il «trasferimento di funzioni amministrative tra pubbliche amministrazioni», eccezione sancita, successivamente, dall’art. 1, n. 1, di detta direttiva nella versione modificata con la direttiva 98/50, nonché dall’art. 1, n. 1, della direttiva 2001/23, ciò nonostante, come già rilevato dalla Corte e come ricordato dall’avvocato generale nei paragrafi 46–51 delle sue conclusioni, la portata di queste espressioni resta limitata alle ipotesi in cui il trasferimento riguarda attività rientranti nell’esercizio di pubblici poteri (sentenza Collino e Chiappero, cit., punti 31 e 32 e giurisprudenza ivi citata).
55      Vero è che dagli atti si ricava che la riassunzione da parte del Ministero del personale ATA degli enti locali è avvenuta nella cornice di una riorganizzazione della pubblica amministrazione in Italia. Tuttavia, lungi dall’aver giudicato che qualunque trasferimento collegato a, o inserito in, una riorganizzazione della pubblica amministrazione debba essere escluso dalla sfera d’applicazione della direttiva 77/187, la Corte ha soltanto precisato, nella giurisprudenza richiamata dal governo italiano, che la riorganizzazione di strutture della pubblica amministrazione e il trasferimento di funzioni amministrative tra pubbliche amministrazioni non costituiscono, di per se stesse e in quanto tali, un trasferimento di impresa ai sensi di detta direttiva (v. citate sentenze Henke, punto 14; Collino e Chiappero, punto 31, nonché Mayeur, punto 33).
56      La Corte ha giudicato, in particolare, che la creazione di un consorzio intercomunale e l’attribuzione a quest’ultimo di talune competenze dei comuni che ne fanno parte costituiscono una riorganizzazione dell’esercizio dei pubblici poteri e pertanto non possono essere soggette alla direttiva 77/187 (v. sentenza Henke, cit., punti 16 e 17), pur dichiarando, in altre ipotesi, che il trasferimento di personale addetto ad attività di natura economica in un’amministrazione pubblica rientra nella sfera di tale direttiva (v., in particolare, citate sentenze Hidalgo e a., punto 24, nonché Collino e Chiappero, punto 32).
57      Non c’è nulla che possa giustificare un’interpretazione di questa giurisprudenza nel senso che determinati pubblici impiegati, tutelati in quanto lavoratori in forza dell’ordinamento nazionale e soggetti a un trasferimento verso un nuovo datore di lavoro in seno alla pubblica amministrazione, non possano godere della tutela offerta dalla direttiva 77/187 sol perché questo trasferimento avviene nell’ambito di una riorganizzazione di detta amministrazione.
58      È importante rilevare, a tale proposito, che se un’interpretazione siffatta fosse accolta, qualunque trasferimento imposto a tali categorie di lavoratori potrebbe essere sottratto, dall’autorità pubblica interessata, alla sfera d’applicazione della direttiva 77/187 invocando la mera circostanza che il trasferimento rientra in una ristrutturazione del personale. In tal modo, importanti categorie di lavoratori addetti ad attività economiche ai sensi della giurisprudenza della Corte rischierebbero di venire private della tutela prevista da tale direttiva. Questo risultato sarebbe difficilmente conciliabile sia con il disposto dell’art. 2 di quest’ultima, ai sensi del quale possono essere cedente e cessionario tutte le persone fisiche o giuridiche aventi la veste di imprenditore, sia con la necessità, tenuto conto dello scopo di tutela sociale perseguito da detta
direttiva, di interpretare in senso restrittivo le eccezioni all’applicazione della medesima (v., per quanto attiene alla direttiva 2001/23, sentenza 11 giugno 2009, causa C‑561/07, Commissione/Italia, Racc. pag. I‑4959, punto 30 e giurisprudenza ivi citata).
59      Infine, va sottolineato che l’applicazione delle norme enunciate dalla direttiva 77/187 a situazioni quali quelle di cui alla controversia principale non lede il potere degli Stati membri di razionalizzare le rispettive pubbliche amministrazioni. L’applicabilità di questa direttiva ha come unico effetto quello di impedire che determinati lavoratori trasferiti siano collocati, in conseguenza del mero fatto del trasferimento, in una posizione meno favorevole di quella che essi occupavano prima del trasferimento. Come la Corte ha già dichiarato più volte e come si ricava, del resto, dall’art. 4 della direttiva 77/187, quest’ultima non priva gli Stati membri della facoltà di consentire ai datori di lavoro di modificare taluni rapporti di lavoro in senso sfavorevole, segnatamente per quanto concerne la tutela contro il licenziamento e le condizioni retributive.
Detta direttiva vieta soltanto che siffatte modificazioni avvengano in occasione e a causa del trasferimento (v. in tal senso, in particolare, sentenze 10 febbraio 1988, causa 324/86, Foreningen af Arbejdsledere i Danmark, detta «Daddy’s Dance Hall», Racc. pag. 739, punto 17; 12 novembre 1992, causa C‑209/91, Watson Rask e Christensen, Racc. pag. I‑5755, punto 28, nonché Collino e Chiappero, punto 52).
 Sull’esistenza di un «trasferimento» «in seguito a cessione contrattuale o a fusione» ai sensi della direttiva 77/187
60      Per determinare se sussista un «trasferimento» di impresa ai sensi dell’art. 1, n. 1, della direttiva 77/187, il criterio decisivo è quello di accertare se l’entità in questione conservi la propria identità dopo essere stata ceduta al nuovo datore di lavoro (v., in particolare, sentenze 18 marzo 1986, causa 24/85, Spijkers, Racc. pag. 1119, punti 11 e 12, nonché UGT‑FSP, cit., punto 22).
61      Se quest’entità opera senza significativi elementi patrimoniali, il mantenimento della sua identità dopo l’operazione di cui essa è oggetto non può dipendere dalla cessione di elementi siffatti (citate sentenze Hernández Vidal e a., punto 31; Hidalgo e a., punto 31, nonché UGT‑FSP, punto 28).
62      In quest’ipotesi, la quale, come accertato nel punto 50 della presente sentenza, è quella rilevante nella cornice della controversia principale, il gruppo di lavoratori in questione mantiene la propria identità quando il nuovo datore di lavoro prosegue le attività e riassume una parte sostanziale, in termini di numero e di competenze, di detti lavoratori (v. citate sentenze Hernández Vidal e a., punto 32, nonché UGT‑FSP, punto 29).
63      Per quanto concerne l’espressione «in seguito a cessione contrattuale o a fusione», parimenti contenuta nell’art. 1, n. 1, della direttiva 77/187, occorre ricordare che la Corte, a causa sia delle differenze tra le versioni linguistiche di questa direttiva sia delle divergenze tra le normative nazionali relative alle nozioni cui queste ultime fanno riferimento, ha fornito un’interpretazione sufficientemente elastica di quest’espressione per soddisfare lo scopo di questa direttiva, che è quello di tutelare i lavoratori in caso di cambiamento del titolare dell’impresa (sentenze 19 maggio 1992, causa C‑29/91, Redmond Stichting, Racc. pag. I‑3189, punti 10 e 11; 7 marzo 1996, cause riunite C‑171/94 e C‑172/94, Merckx e Neuhuys, Racc. pag. I‑1253, punto 28, nonché Jouini e a., cit., punto 24). Essa ha pertanto dichiarato che il fatto che il
trasferimento risulti da decisioni unilaterali delle pubbliche amministrazioni e non da un concorso di volontà non esclude l’applicazione di tale direttiva (v., in particolare, le citate sentenze Redmond Stichting, punti 15–17; Collino e Chiappero, punto 34, nonché UGT‑FSP, punto 25).
64      Senza voler rimettere in discussione né la giurisprudenza ricordata nei punti 60–63 della presente sentenza, né il fatto che l’operazione di trasferimento in questione nella causa principale è basata sulla legge n. 124/99 ed è pertanto frutto di una decisione unilaterale dei pubblici poteri, il governo italiano rileva che, nel caso di specie, la riassunzione del personale in questione da parte dello Stato italiano è stata solo facoltativa, dato che i membri di detto personale potevano scegliere di rimanere al servizio degli enti locali da cui essi dipendevano. Alla luce di ciò, non si avrebbe trasferimento ai sensi della direttiva 77/187.
65      Quest’osservazione del governo italiano si fonda tuttavia su una premessa in fatto che è contraddetta sia dalla decisione di rinvio, sia della stessa legge n. 124/99. In particolare, dall’art. 8, secondo comma, di quest’ultima si evince che gli unici membri del personale ATA che hanno avuto la facoltà di optare per il mantenimento del loro posto presso il loro datore di lavoro originario erano quelli le cui qualifiche e i cui profili non trovavano corrispondenti nei servizi del cessionario. Da questa norma, così come dal testo delle altre disposizioni di detto art. 8, discende che il personale ATA degli enti locali impiegato nelle scuole era, globalmente e in linea di principio, soggetto al trasferimento.
66      Alla luce di tutte le considerazioni sin qui svolte, occorre risolvere la prima questione dichiarando che la riassunzione, da parte di una pubblica autorità di uno Stato membro, del personale dipendente di un’altra pubblica autorità, addetto alla fornitura, presso le scuole, di servizi ausiliari comprendenti, in particolare, compiti di custodia e assistenza amministrativa, costituisce un trasferimento di impresa ai sensi della direttiva 77/187, quando detto personale è costituito da un complesso strutturato di impiegati tutelati in qualità di lavoratori in forza dell’ordinamento giuridico nazionale di detto Stato membro.
 Sulla seconda e sulla terza questione
67      Con le sue questioni seconda e terza, che occorre esaminare congiuntamente, il giudice del rinvio chiede sostanzialmente se l’art. 3 della direttiva 77/187 debba essere interpretato nel senso che, ai fini del calcolo della retribuzione di lavoratori oggetto di un trasferimento ai sensi di detta direttiva, il cessionario debba tener conto dell’anzianità lavorativa maturata dai citati lavoratori presso il cedente.
68      A questo proposito occorre esaminare preliminarmente la rilevanza, per una fattispecie quale quella oggetto della controversia principale, della citata sentenza Collino e Chiappero, con la quale la Corte si è pronunciata sulla questione relativa al riconoscimento dell’anzianità lavorativa in caso di trasferimento di impresa, sulla quale si basano sia la ricorrente nella causa principale sia il governo italiano nelle osservazioni da loro presentate alla Corte.
69      In tale sentenza si è dichiarato che, sebbene l’anzianità maturata presso il cedente non costituisca, di per sé, un diritto di cui i lavoratori trasferiti possano avvalersi nei confronti del cessionario, ciò nondimeno essa serve, se del caso, a determinare taluni diritti pecuniari dei lavoratori, che pertanto devono essere salvaguardati, in linea di principio, dal cessionario allo stesso modo del cedente (v. sentenza Collino e Chiappero, cit., punto 50).
70      Nel ricordare che il cessionario può modificare, eccetto nel caso di un trasferimento di impresa e solo nei limiti consentitigli dal diritto nazionale, le condizioni retributive in senso sfavorevole ai lavoratori, la Corte ha dichiarato che l’art. 3, n. 1, della direttiva 77/187 dev’essere interpretato nel senso che, per il calcolo di diritti di natura pecuniaria, il cessionario è tenuto a prendere in considerazione tutti gli anni di servizio effettuati dal personale trasferito nella misura in cui quest’obbligo risultava dal rapporto di lavoro che vincolava tale personale al cedente e conformemente alle modalità pattuite nell’ambito di detto rapporto (sentenza Collino e Chiappero, cit., punti 51 e 52).
71      Orbene, nella controversia che vede contrapposti la sig.ra Scattolon e il Ministero, è pacifico che i diritti e gli obblighi del personale trasferito e del cedente erano stabiliti in un contratto collettivo, vale a dire il CCNL del personale degli enti locali, la cui applicazione è stata sostituita, a partire dal 1° gennaio 2000, data del trasferimento, da quella del contratto collettivo in vigore presso il cessionario, ossia il CCNL della scuola. Alla luce di ciò, a differenza di quanto può essere avvenuto nella causa che ha portato alla citata sentenza Collino e Chiappero, l’interpretazione che viene chiesta della direttiva 77/187 non può vertere unicamente sull’art. 3, n. 1, di quest’ultima, bensì, come rilevato dall’avvocato generale nel paragrafo 75 delle sue conclusioni, deve tener conto anche del n. 2 di detto art. 3, disposizione che riguarda,
segnatamente, l’ipotesi in cui l’applicazione del contratto in vigore presso il cedente venga abbandonata a favore di quello in vigore presso il cessionario.
72      Ai sensi del citato art. 3, n. 2, primo comma, il cessionario è tenuto a mantenere le condizioni di lavoro convenute mediante contratto collettivo nei termini previsti da quest’ultimo per il cedente, fino alla data della risoluzione o della scadenza di tale contratto collettivo o dell’entrata in vigore o dell’applicazione di un altro contratto collettivo. Il secondo comma di detta disposizione aggiunge che gli Stati membri possono limitare il periodo di mantenimento delle condizioni di lavoro, purché esso non sia inferiore ad un anno.
73      Come già precisato dalla Corte, la norma prevista dall’art. 3, n. 2, secondo comma, della direttiva 77/187 non può privare di contenuti il primo comma del medesimo numero. Pertanto, questo secondo comma non osta a che le condizioni di lavoro enunciate in un contratto collettivo che si applicava al personale interessato prima del trasferimento cessino di essere applicabili al termine di un anno successivo al trasferimento, se non addirittura immediatamente alla data del trasferimento, quando si realizzi una delle ipotesi previste dal primo comma di detto numero, ossia la risoluzione o la scadenza di detto contratto collettivo oppure l’entrata in vigore o l’applicazione di un altro contratto collettivo (v. sentenza 9 marzo 2006, causa C‑499/04, Werhof, Racc. pag. I‑2397, punto 30, nonché, in tema di art. 3, n. 3, della direttiva 2001/23, sentenza 27
novembre 2008, causa C‑396/07, Juuri, Racc. pag. I‑8883, punto 34).
74      Di conseguenza, la norma prevista dall’art. 3, n. 2, primo comma, della direttiva 77/187, ai sensi della quale «il cessionario mantiene le condizioni di lavoro convenute mediante contratto collettivo nei termini previsti da quest’ultimo per il cedente, fino alla data (…) [di] applicazione di un altro contratto collettivo», dev’essere interpretata nel senso che il cessionario ha il diritto di applicare, sin dalla data del trasferimento, le condizioni di lavoro previste dal contratto collettivo per lui vigente, ivi comprese quelle concernenti la retribuzione.
75      Benché da quanto sin qui esposto discenda che la direttiva 77/187 lascia un margine di manovra, che consente al cessionario e alle altre parti contraenti di stabilire l’integrazione retributiva dei lavoratori trasferiti in modo tale che questa risulti debitamente adattata alle circostanze del trasferimento in questione, ciò nondimeno le modalità scelte devono essere conformi allo scopo di detta direttiva. Come la Corte ha ripetutamente dichiarato, quest’obiettivo consiste, essenzialmente, nell’impedire che i lavoratori coinvolti in un trasferimento siano collocati in una posizione meno favorevole per il solo fatto del trasferimento (sentenza 26 maggio 2005, causa C‑478/03, Celtec, Racc. pag. I‑4389, punto 26 e giurisprudenza ivi citata, nonché, in merito alla direttiva 2001/23, ordinanza 15 settembre 2010, causa C‑386/09, Briot, punto 26).
76      Il ricorso alla facoltà consistente nel sostituire, con effetto immediato, le condizioni di cui godevano i lavoratori trasferiti in base al contratto collettivo vigente presso il cedente con quelle previste dal contratto collettivo vigente presso il cessionario non può pertanto avere lo scopo, o l’effetto, di imporre a detti lavoratori condizioni globalmente meno favorevoli di quelle applicabili prima del trasferimento. Se così non fosse, la realizzazione dello scopo perseguito dalla direttiva 77/187 potrebbe essere agevolmente rimessa in discussione in qualsiasi settore disciplinato in forza di contratti collettivi, il che pregiudicherebbe l’efficacia pratica di detta direttiva.
77      Viceversa, la direttiva 77/187 non può essere validamente invocata per ottenere un miglioramento delle condizioni retributive o di altre condizioni lavorative in occasione di un trasferimento d’impresa. Peraltro, come rilevato dall’avvocato generale nel paragrafo 94 delle sue conclusioni, questa direttiva non osta a che sussistano talune disparità di trattamento retributivo tra i lavoratori trasferiti e quelli che, all’atto del trasferimento, erano già al servizio del cessionario. Benché altri strumenti e principi giuridici possano risultare rilevanti al fine di valutare la legalità di siffatte disparità, detta direttiva, per quanto la concerne, ha il solo scopo di evitare che determinati lavoratori siano collocati, per il solo fatto del trasferimento verso un altro datore di lavoro, in una posizione sfavorevole rispetto a quella di cui essi godevano
precedentemente.
78      Nel caso di specie, è pacifico che gli atti che hanno dato esecuzione all’art. 8, secondo comma, della legge n. 124/99 hanno stabilito le modalità del trasferimento del personale ATA degli enti locali presso i servizi del Ministero in modo tale che il contratto collettivo vigente presso quest’ultimo, ossia il CCNL della scuola, sia applicabile sin dalla data del trasferimento ai lavoratori trasferiti, senza tuttavia che questi ultimi beneficino di un trattamento retributivo corrispondente all’anzianità lavorativa da loro maturata presso il cedente.
79      Il fatto che il Ministero, piuttosto che riconoscere quest’anzianità in quanto tale e integralmente, abbia calcolato per ciascun lavoratore trasferito un’anzianità «fittizia» ha svolto un ruolo determinante nella fissazione delle condizioni retributive applicabili per il futuro al personale trasferito. Infatti, in base al CCNL della scuola, le posizioni e progressioni retributive dipendono in larga misura dall’anzianità quale calcolata e riconosciuta dal Ministero.
80      È altrettanto pacifico che i compiti svolti, prima del trasferimento, nelle scuole pubbliche dal personale ATA degli enti locali erano analoghi, se non identici, a quelli svolti dal personale ATA alle dipendenze del Ministero. Di conseguenza, sarebbe stato possibile qualificare l’anzianità maturata presso il cedente da un membro del personale trasferito come equivalente a quella maturata da un membro del personale ATA in possesso del medesimo profilo e alle dipendenze, prima del trasferimento, del Ministero.
81      In una situazione del genere, contrassegnata dalla possibilità di evitare, a causa di un riconoscimento a dir poco parziale dell’anzianità dei lavoratori trasferiti, che questi ultimi subiscano un peggioramento retributivo sostanziale rispetto alla loro posizione immediatamente precedente al trasferimento, sarebbe contrario allo scopo della direttiva 77/187, quale ricordato e delineato nei punti 75–77 della presente sentenza, non tener conto di detta anzianità nei limiti necessari all’approssimativo mantenimento del livello retributivo goduto da detti lavoratori presso il cedente (v., per analogia, sentenza 11 novembre 2004, causa C‑425/02, Delahaye, Racc. pag. I‑10823, punto 34).
82      È compito del giudice del rinvio verificare se la ricorrente nella causa principale abbia sofferto, all’atto del suo trasferimento, un siffatto peggioramento retributivo. A tal fine, spetterà a detto giudice esaminare in particolare l’argomento del Ministero, secondo il quale il calcolo definito nel punto 79 della presente sentenza sarebbe tale da garantire che il personale ATA interessato non sia collocato, per il semplice fatto del trasferimento, in una posizione globalmente sfavorevole rispetto a quella immediatamente precedente al trasferimento.
83      Alla luce di quanto sin qui esposto, occorre risolvere la seconda e la terza questione dichiarando che, quando un trasferimento ai sensi della direttiva 77/187 porta all’applicazione immediata, ai lavoratori trasferiti, del contratto collettivo vigente presso il cessionario e inoltre le condizioni retributive previste da questo contratto sono collegate segnatamente all’anzianità lavorativa, l’art. 3 di detta direttiva osta a che i lavoratori trasferiti subiscano, rispetto alla loro posizione immediatamente precedente al trasferimento, un peggioramento retributivo sostanziale per il mancato riconoscimento dell’anzianità da loro maturata presso il cedente, equivalente a quella maturata da altri lavoratori alle dipendenze del cessionario, all’atto della determinazione della loro posizione retributiva di partenza presso quest’ultimo. È compito del giudice del
rinvio esaminare se, all’atto del trasferimento in questione nella causa principale, si sia verificato un siffatto peggioramento retributivo.
 Sulla quarta questione
84      Vista la risposta data alla seconda e alla terza questione, non c’è più bisogno di esaminare se la normativa nazionale in oggetto, quale applicata alla ricorrente nella causa principale, violi i principi menzionati dal giudice del rinvio nella sua quarta questione. Di conseguenza, non occorre risolvere quest’ultima questione.
 Sulle spese
85      Nei confronti delle parti nella causa principale il presente procedimento costituisce un incidente sollevato dinanzi al giudice nazionale, cui spetta quindi statuire sulle spese. Le spese sostenute da altri soggetti per presentare osservazioni alla Corte non possono dar luogo a rifusione.
Per questi motivi, la Corte (Grande Sezione) dichiara:
1)      La riassunzione, da parte di una pubblica autorità di uno Stato membro, del personale dipendente di un’altra pubblica autorità, addetto alla fornitura, presso le scuole, di servizi ausiliari comprendenti, in particolare, compiti di custodia e assistenza amministrativa, costituisce un trasferimento di impresa ai sensi della direttiva del Consiglio 14 febbraio 1977, 77/187/CEE, concernente il ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri relative al mantenimento dei diritti dei lavoratori in caso di trasferimenti di imprese, di stabilimenti o di parti di stabilimenti, quando detto personale è costituito da un complesso strutturato di impiegati tutelati in qualità di lavoratori in forza dell’ordinamento giuridico nazionale di detto Stato membro.
2)      Quando un trasferimento ai sensi della direttiva 77/187 porta all’applicazione immediata, ai lavoratori trasferiti, del contratto collettivo vigente presso il cessionario e inoltre le condizioni retributive previste da questo contratto sono collegate segnatamente all’anzianità lavorativa, l’art. 3 di detta direttiva osta a che i lavoratori trasferiti subiscano, rispetto alla loro posizione immediatamente precedente al trasferimento, un peggioramento retributivo sostanziale per il mancato riconoscimento dell’anzianità da loro maturata presso il cedente, equivalente a quella maturata da altri lavoratori alle dipendenze del cessionario, all’atto della determinazione della loro posizione retributiva di partenza presso quest’ultimo. È compito del giudice del rinvio esaminare se, all’atto del trasferimento in questione nella causa principale, si sia verificato
un siffatto peggioramento retributivo.
Firme

CONCLUSIONI DELL'AVVOCATO GENERALE
YVES BOT
presentate il 5 aprile 2011 (1)
Causa C‑108/10
Ivana Scattolon
contro
Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca
[domanda di pronuncia pregiudiziale, proposta dal Tribunale ordinario di Venezia (Italia)]
«Politica sociale – Direttiva 77/187/CEE – Mantenimento dei diritti dei lavoratori in caso di trasferimenti di imprese, di stabilimenti o di parti di stabilimenti – Trasferimento del personale di una pubblica amministrazione ad un’altra pubblica amministrazione – Riconoscimento, da parte della normativa nazionale, come interpretata dall’organo giurisdizionale supremo di tale Stato membro, dell’anzianità maturata prima di detto trasferimento quale diritto da mantenere – Adozione di una legge retroattiva che esclude tale interpretazione – Divieto per gli Stati membri di interferire, mediante l’adozione di leggi retroattive, con azioni giudiziarie – Principio della tutela giurisdizionale effettiva – Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea – Art. 47»






1.        La presente domanda di decisione pregiudiziale verte sull’interpretazione della direttiva del Consiglio 14 febbraio 1977, 77/187/CEE, concernente il ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri relative al mantenimento dei diritti dei lavoratori in caso di trasferimenti di imprese, di stabilimenti o di parti di stabilimenti (2), nonché sull’interpretazione del principio della tutela giurisdizionale effettiva, sancito dall’art. 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (3).
2.        La domanda è stata presentata nell’ambito di una controversia tra la sig.ra Scattolon ed il Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca in merito al mancato riconoscimento, a seguito del trasferimento della sig.ra Scattolon alle dipendenze del Ministero, dell’intera anzianità di servizio che la medesima aveva maturato presso il comune di Scorzè, suo originario datore di lavoro.
3.        Nella causa in esame la Corte è invitata a precisare la propria giurisprudenza per quanto concerne, da una parte, il campo d’applicazione della direttiva 77/187 in caso di trasferimento d’impresa tra pubbliche amministrazioni e, dall’altra parte, il riconoscimento da parte del cessionario dell’anzianità maturata dal personale trasferito presso il cedente.
4.        Viene parimenti offerta alla Corte l’opportunità di pronunciarsi sulla portata del diritto ad un ricorso effettivo alla luce di una norma di legge che, ponendosi in contrasto con una giurisprudenza nazionale favorevole a che il cessionario tenga conto dell’intera anzianità di servizio maturata dal personale trasferito presso il cedente, produce un effetto immediato su tutta una serie di procedimenti giudiziari pendenti, tra cui quello avviato dalla sig.ra Scattolon, a favore della posizione opposta, difesa dallo Stato italiano.
5.        Nelle presenti conclusioni esporrò le ragioni per le quali, a mio avviso, la direttiva 77/187 deve essere interpretata nel senso che essa si applica ad un trasferimento come quello oggetto del procedimento principale, ossia il trasferimento del personale addetto ai servizi ausiliari di pulizia, di manutenzione e di sorveglianza degli edifici scolastici statali dagli enti pubblici locali (comuni e province) allo Stato.
6.        Spiegherò, quindi, che, a mio avviso, in una fattispecie come quella in esame nel procedimento principale in cui, da una parte, le condizioni retributive previste dal contratto collettivo in vigore nei confronti del cedente non sono basate principalmente sul criterio dell’anzianità maturata presso detto datore di lavoro, e, dall’altra parte, il contratto collettivo in vigore nei confronti del cessionario sostituisce quello che era in vigore nei confronti del cedente, l’art. 3, nn. 1 e 2, della direttiva 77/187 deve essere interpretato nel senso che esso non esige che il cessionario tenga conto dell’anzianità maturata dal personale trasferito presso il cedente ai fini del calcolo della retribuzione di detto personale, anche nell’ipotesi in cui il contratto collettivo in vigore nei confronti del cessionario preveda che il calcolo della retribuzione sia
basato principalmente sul criterio dell’anzianità.
7.        Infine, proporrò alla Corte di dichiarare che l’art. 47 della Carta deve essere interpretato nel senso che esso non osta ad una disposizione legislativa come quella contestata nell’ambito del procedimento principale, a condizione che sia dimostrato, segnatamente in base a dati numerici, che l’adozione della medesima era volta a garantire la neutralità economica dell’operazione di trasferimento del personale amministrativo, tecnico ed ausiliario (ATA) dagli enti locali allo Stato, cosa che spetta al giudice del rinvio verificare.
I –    Contesto normativo
A –    La normativa dell’Unione
8.        Atteso che il trasferimento di cui nel procedimento principale è avvenuto il 1° gennaio 2000, ossia prima della data di scadenza del termine di trasposizione della direttiva del Consiglio 29 giugno 1998, 98/50/CE, che modifica la direttiva 77/187 (4), vale a dire il 17 luglio 2001, alla presente causa si applica la versione iniziale della direttiva 77/187 (5).
9.        L'art. 1, n. 1, della medesima direttiva dispone quanto segue:
«La presente direttiva si applica ai trasferimenti di imprese, di stabilimenti o di parti di stabilimenti ad un nuovo imprenditore in seguito a cessione contrattuale o a fusione».
10.      L’art. 2 della suddetta direttiva così recita:
«Ai sensi della presente direttiva si intende:
a)      per “cedente”, ogni persona fisica o giuridica che, in conseguenza di un trasferimento a norma dell’articolo 1, paragrafo 1, perde la veste di imprenditore rispetto all’impresa, allo stabilimento o a parte dell’impresa o dello stabilimento;
b)      per “cessionario”, ogni persona fisica o giuridica che, in conseguenza di un trasferimento a norma dell’articolo 1, paragrafo 1, acquisisce la veste di imprenditore rispetto all’impresa, allo stabilimento o a parte dell’impresa o dello stabilimento;
(…)».
11.      Ai sensi dell'art. 3 della direttiva 77/187:
«1. I diritti e gli obblighi che risultano per il cedente da un contratto di lavoro o da un rapporto di lavoro esistente alla data del trasferimento ai sensi dell'articolo 1, paragrafo 1, sono, in conseguenza di tale trasferimento, trasferiti al cessionario.
(…)
2. Dopo il trasferimento ai sensi dell'articolo 1, paragrafo 1, il cessionario mantiene le condizioni di lavoro convenute mediante contratto collettivo nei termini previsti da quest'ultimo per il cedente, fino alla data della risoluzione o della scadenza del contratto collettivo o dell'entrata in vigore o dell'applicazione di un altro contratto collettivo.
Gli Stati membri possono limitare il periodo del mantenimento delle condizioni di lavoro purché esso non sia inferiore ad un anno.
(…)»
12.      L’art. 4 della stessa direttiva prevede:
«1. Il trasferimento di un'impresa, di uno stabilimento o di una parte di stabilimento non è di per sé motivo di licenziamento da parte del cedente o del cessionario. (…)
2. Se il contratto di lavoro o il rapporto di lavoro è rescisso in quanto il trasferimento ai sensi dell’articolo 1, paragrafo 1, comporta a scapito del lavoratore una sostanziale modifica delle condizioni di lavoro, la rescissione del contratto di lavoro o del rapporto di lavoro è considerata come dovuta alla responsabilità del datore di lavoro».
13.      L’art. 7 della suddetta direttiva dispone che quest’ultima «non pregiudica la facoltà degli Stati membri di applicare e di introdurre disposizioni legislative, regolamentari o amministrative più favorevoli per i lavoratori subordinati».
B –    La normativa nazionale
1.      L’art. 2112 del Codice Civile e l’art. 34 del decreto legislativo n. 29/93
14.      In Italia, l’attuazione della direttiva 77/187/CE e, successivamente, della direttiva del Consiglio 12 marzo 2001, 2001/23/CE, concernente il ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri relative al mantenimento dei diritti dei lavoratori in caso di trasferimenti di imprese, di stabilimenti o di parti di imprese o di stabilimenti (6), è garantita, segnatamente, dall’art. 2112 del Codice Civile, secondo il quale «(i)n caso di trasferimento d’azienda, il rapporto di lavoro continua con il cessionario ed il lavoratore conserva tutti i diritti che ne derivano. (...) Il cessionario è tenuto ad applicare i (...) contratti collettivi (...) vigenti alla data del trasferimento, fino alla loro scadenza, salvo che siano sostituiti da altri contratti collettivi applicabili all’impresa del cessionario».
15.      L’art. 34 del decreto legislativo 3 febbraio 1993, n. 29, recante razionalizzazione della organizzazione delle Amministrazioni pubbliche e revisione della disciplina in materia di pubblico impiego (7), nella versione in vigore all’epoca dei fatti, prevede che «nel caso di trasferimento (...) di attività, svolte da pubbliche amministrazioni, enti pubblici o loro aziende o strutture, ad altri soggetti, pubblici o privati, al personale che passa alle dipendenze di tali soggetti si applica l’art. 2112 del codice civile (…)».
L’art. 8 della legge n. 124/99, i relativi decreti ministeriali di attuazione e la giurisprudenza correlata
16.      Fino al 1999, i servizi ausiliari delle scuole pubbliche italiane, come quelli di pulizia, manutenzione e vigilanza, erano garantiti e finanziati dallo Stato. Quest’ultimo delegava, in parte, la gestione di tali servizi ad enti locali, quali i comuni. Detti servizi erano effettuati, in parte, tramite il personale amministrativo, tecnico ed ausiliario (ATA) statale e, in parte, dagli enti locali.
17.      Gli enti locali effettuavano tali servizi tramite il proprio personale amministrativo, tecnico ed ausiliario (in prosieguo: il «personale ATA degli enti locali») ovvero mediante la stipula di contratti di appalto con imprese private. Il personale ATA degli enti locali era retribuito da questi ultimi, dietro integrale rimborso di tutti i costi da parte dello Stato.
18.      Il personale ATA degli enti locali veniva retribuito sulla base del Contratto Collettivo Nazionale di Lavoro – Regioni Autonomie Locali (in prosieguo: il «CCNL del personale degli enti locali»). Il personale ATA dello Stato impiegato nelle scuole pubbliche era invece retribuito sulla base del Contratto Collettivo Nazionale di Lavoro della Scuola (in prosieguo: il «CCNL della scuola»). Secondo le disposizioni del CCNL della scuola, la retribuzione si basa in misura considerevole sull’anzianità, mentre il CCNL del personale degli enti locali prevedeva un calcolo della retribuzione più complesso, legato alle funzioni esercitate e che integrava elementi salariali accessori.
19.      La legge 3 maggio 1999, n. 124/99, recante disposizioni urgenti in materia di personale scolastico (8), ha previsto il trasferimento del personale ATA degli enti locali nei ruoli del personale ATA dello Stato, a decorrere dal 1° gennaio 2000.
20.      A tale riguardo, l’art. 8 della legge n. 124/99 così recita:
«1. Il personale ATA degli istituti e scuole statali di ogni ordine e grado è a carico dello Stato. Sono abrogate le disposizioni che prevedono la fornitura di tale personale da parte dei comuni e delle province.
2. Il personale di ruolo di cui al comma l, dipendente dagli enti locali, in servizio nelle istituzioni scolastiche statali alla data di entrata in vigore della presente legge, è trasferito nei ruoli del personale ATA statale ed è inquadrato nelle qualifiche funzionali e nei profili professionali corrispondenti per lo svolgimento dei compiti propri dei predetti profili. Relativamente a qualifiche e profili che non trovino corrispondenza nei ruoli del personale ATA statale è consentita l’opzione per l’ente di appartenenza, da esercitare comunque entro tre mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge. A detto personale vengono riconosciuti ai fini giuridici ed economici l’anzianità maturata presso l’ente locale di provenienza nonché il mantenimento della sede in fase di prima applicazione in presenza della relativa disponibilità del posto.
(…)
4. Il trasferimento del personale di cui ai commi 2 e 3 avviene gradualmente, secondo tempi e modalità da stabilire con decreto del Ministro della pubblica istruzione (…).
5.      A decorrere dall’anno in cui hanno effetto le disposizioni di cui ai commi 2, 3 e 4 si procede alla progressiva riduzione dei trasferimenti statali a favore degli enti locali in misura pari alle spese comunque sostenute dagli stessi enti nell’anno finanziario precedente a quello dell’effettivo trasferimento del personale (…)».
21.      Alla legge n. 124/99 ha fatto seguito il decreto ministeriale 23 luglio 1999, relativo al trasferimento del personale ATA dagli enti locali allo Stato, ai sensi dell’art. 8 della legge 3 maggio 1999, n. 124 (9). Tale decreto così disponeva:
«Articolo 1
Il personale ATA di ruolo dipendente dagli enti locali e in servizio, alla data del 25 maggio 1999, nelle istituzioni scolastiche statali, per lo svolgimento di funzioni e compiti demandati per legge agli enti locali, in sostituzione dello Stato, è trasferito nei ruoli del personale ATA statale.
Articolo 2
Il trasferimento dagli enti locali allo Stato delle funzioni e del personale ATA, di cui al precedente art. 1, è disciplinato nei termini e con le modalità di cui agli articoli seguenti.
Articolo 3
Gli enti locali provvederanno, fino al termine dell’esercizio finanziario 1999, alla retribuzione e all’applicazione del (CCNL del personale degli enti locali), del personale di ruolo che passa allo Stato per effetto dell’art. 8 della (legge n. 124/99). (...) (V)errà corrisposta, a titolo provvisorio, a decorrere dallo gennaio 2000 la retribuzione stipendiale in godimento al personale trasferito.
Con successivo decreto del Ministro della pubblica istruzione (...) verranno definiti i criteri di inquadramento, nell’ambito del comparto scuola, finalizzati all’allineamento degli istituti retributivi del personale in questione a quelli del comparto medesimo, con riferimento alla retribuzione stipendiale, ai trattamenti accessori e al riconoscimento ai fini giuridici ed economici, nonché dell’incidenza sulle rispettive gestioni previdenziali, dell’anzianità maturata presso gli enti, previa contrattazione collettiva (...) fra [l’Agenzia per la rappresentanza negoziale delle pubbliche amministrazioni (in prosieguo: l’«ARAN»)] e le organizzazioni sindacali rappresentative dei comparti “Scuola” ed “Enti locali”, (...), ai sensi dell’art. 34 del decreto legislativo n. 29/93 (...).
(…)
Articolo 5
A decorrere dal 10 gennaio 2000, il personale di ruolo alla data del 25 maggio 1999 presso gli enti locali, in servizio presso scuole statali e trasferito nei ruoli dello Stato è collocato nelle aree e nei profili corrispondenti a quello di appartenenza (…).
(…)
Articolo 7
Il personale che passa dagli enti locali allo Stato per effetto del presente decreto sarà tenuto anche al mantenimento di tutti i preesistenti compiti attribuiti, purché previsti nel profilo statale.
Articolo 8
Al personale già dipendente dagli enti locali e trasferito allo Stato, verrà riconosciuto il diritto alla assegnazione della medesima sede di servizio occupata nell’anno scolastico 1998/99. In caso di indisponibilità del posto si provvederà, per l’anno scolastico 2000/2001, alle utilizzazioni secondo i vigenti contratti decentrati.
Articolo 9
Lo Stato subentrerà nei contratti stipulati dagli enti locali alla data del 24 maggio 1999, ed eventualmente rinnovati in data successiva, per la parte con la quale sono state assicurate le funzioni ATA per le scuole statali, in luogo dell’assunzione di personale dipendente. (...) Ferma restando la prosecuzione delle attività da parte di soggetti esterni impegnati (...) ai sensi delle leggi vigenti, lo Stato subentrerà nelle convenzioni stipulate dagli enti locali con i soggetti imprenditoriali (...) per lo svolgimento di funzioni ATA demandate per legge all’ente locale in sostituzione dello Stato. (…)
(…)».
22.      L’accordo tra l’ARAN e le organizzazioni sindacali previsto dall’art. 3 del decreto ministeriale 23 luglio 1999 è stato firmato il 20 luglio 2000 ed approvato dal decreto ministeriale 5 aprile 2001, recante recepimento dell’accordo ARAN – Rappresentanti delle organizzazioni e confederazioni sindacali in data 20 luglio 2000, sui criteri di inquadramento del personale già dipendente degli enti locali e transitato nel comparto scuola» (10).
23.      Tale accordo dispone quanto segue:
«Articolo 1 – Ambito di applicazione
Il presente accordo si applica dal 1° gennaio 2000 al personale dipendente dagli enti locali e transitato nel comparto scuola, ai sensi dell’art. 8 della (legge n. 124/99) e (...) del decreto ministeriale 23 luglio 1999 (…), con esclusione del personale che svolge funzioni o compiti rimasti di competenza dell’ente locale.
Articolo 2 – Regime contrattuale
1. Al personale di cui al presente accordo (...) cessa di applicarsi a decorrere dal 1° gennaio 2000 il (CCNL del personale degli enti locali) e dalla stessa data si applica il (CCNL della scuola), ivi compreso tutto quanto si riferisce al trattamento accessorio, salvo quanto diversamente stabilito negli articoli successivi.
(…)
Articolo 3 – Inquadramento professionale e retributivo
1. I dipendenti, di cui all’art. l del presente accordo, sono inquadrati nella progressione economica per posizioni stipendiali delle corrispondenti qualifiche professionali del comparto scuola (...) con le seguenti modalità. Ai suddetti dipendenti viene attribuita la posizione stipendiale (...) d’importo pari o immediatamente inferiore al trattamento annuo in godimento al 31 dicembre 1999 costituito da stipendio e retribuzione individuale di anzianità nonché, per coloro che ne sono provvisti, (dalle indennità previste dal CCNL del personale degli enti locali). L’eventuale differenza tra l’importo della posizione stipendiale di inquadramento e il trattamento annuo in godimento al 31 dicembre 1999, come sopra indicato, è corrisposta «ad personam» e considerata utile, previa temporizzazione, ai fini del conseguimento della successiva posizione stipendiale. Al personale
destinatario del presente accordo è corrisposta l’indennità integrativa speciale nell’importo in godimento al 31 dicembre 1999, se più elevata di quella della corrispondente qualifica del comparto scuola. L’inquadramento definitivo, nei profili professionali della scuola, del personale di cui al presente accordo dovrà essere disposto tenendo conto della tabella (...) di equiparazione (…).
(…)
Articolo 9 – Retribuzione fondamentale e salario accessorio
1. A decorrere dal 1° gennaio 2000, al personale di cui al presente accordo si applicano tutti gli istituti a contenuto economico del (CCNL della scuola), secondo le modalità da questo previste.
2. A decorrere dal 1° gennaio 2000, al personale di cui al presente accordo, è riconosciuto, a titolo provvisorio, il compenso individuale accessorio secondo le misure lorde mensili indicate nella tabella (...) allegata al (CCNL della scuola). (…)
(…)».
24.      L’interpretazione di tale normativa ha dato luogo ad azioni giudiziarie promosse dai membri del personale ATA trasferito, i quali hanno chiesto il pieno riconoscimento della loro anzianità maturata presso gli enti locali, senza che si tenesse conto dei criteri di inquadramento adottati nell’ambito dell’accordo tra l’ARAN e le organizzazioni sindacali e approvati con il decreto ministeriale 5 aprile 2001. Questi deducevano, a tal riguardo, che i criteri adottati nell’ambito del detto accordo facevano sì che essi, a partire dal loro inserimento nel personale ATA dello Stato, venissero inquadrati e retribuiti alla stessa maniera dei membri del personale ATA statale con minore anzianità. Secondo la loro tesi, l’art. 8 della legge n. 124/99 impone il mantenimento, per ogni membro del personale ATA trasferito, dell’anzianità maturata presso gli enti locali,
in modo che ciascuno di detti membri deve percepire, a decorrere dal 1° gennaio 2000, la retribuzione corrisposta ad un membro del personale ATA statale con la medesima anzianità.
25.      Tale contenzioso è sfociato in diverse sentenze pronunciate dalla Corte di cassazione nel 2005, nelle quali questa ha, in sostanza, accolto la suddetta argomentazione.
2.      La legge n. 266/2005 e la giurisprudenza correlata
26.      Il legislatore italiano, con l’approvazione di un «super-emendamento» (emendamento presentato dal governo ed approvato con voto di fiducia), ha inserito nell’art. 1 della legge 23 dicembre 2005, n. 266, recante disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2006) (11), un nuovo comma, il comma 218, contenente una norma interpretativa dell’art. 8 della legge n. 124/99 con portata retroattiva.
27.      L’art. 1, comma 218, della legge n. 266/2005 dispone quanto segue:
«Il comma 2 dell’art. 8 della legge 3 maggio 1999 n. 124, si interpreta nel senso che il personale degli enti locali trasferito nei ruoli del (personale ATA) statale è inquadrato, nelle qualifiche funzionali e nei profili professionali dei corrispondenti ruoli statali, sulla base del trattamento economico complessivo in godimento all’atto del trasferimento, con l’attribuzione della posizione stipendiale di importo pari o immediatamente inferiore al trattamento annuo in godimento al 31 dicembre 1999 costituito dallo stipendio, dalla retribuzione individuale di anzianità nonché da eventuali indennità, ove spettanti, previste dai (CCNL del personale degli enti locali), vigenti alla data dell’inquadramento. L’eventuale differenza tra l’importo della posizione stipendiale di inquadramento e il trattamento annuo in godimento al 31 dicembre 1999 (...) viene corrisposta ad
personam e considerata utile, previa temporizzazione, ai fini del conseguimento della successiva posizione stipendiale. È fatta salva l’esecuzione dei giudicati formatisi alla data di entrata in vigore della presente legge».
28.      Vari giudici hanno rimesso alla Corte costituzionale italiana questioni di conformità costituzionale dell’art. 1, comma 218, della legge n. 266/2005. Secondo tali giudici, tale norma interpretativa imponeva loro, nell’ambito di cause già pendenti in cui lo Stato è parte, di accogliere un’interpretazione favorevole a quest’ultimo, peraltro incompatibile con il tenore dell’art. 8, comma 2, della legge n. 124/99 e contraria all’interpretazione di tale disposizione fornita dalla Corte di cassazione. L’art. 1, comma 218, della legge n. 266/2005 reintrodurrebbe il sistema previsto dall’accordo 20 luglio 2000 e dal decreto ministeriale 5 aprile 2001, che la Corte di cassazione aveva ritenuto contrario alla legge n. 124/99. Vi sarebbe stata dunque un’ingerenza del legislatore nella funzione nomofilattica che, nella Repubblica italiana, è riservata alla
Corte di cassazione, e sarebbero in tal modo stati lesi l’autonomia del potere giudiziario nonché i principi della certezza del diritto e della tutela del legittimo affidamento.
29.      Con sentenza 18 giugno 2007, n. 234 (12) nonché con successive ordinanze, la Corte costituzionale ha dichiarato che l’art. 1, comma 218, della legge n. 266/2005 non era viziato dalle asserite violazioni di principi generali del diritto.
30.      Successivamente a tale intervento della Corte costituzionale, la Corte di cassazione, con sentenza 16 gennaio 2008, n. 677, ha rivisto la propria giurisprudenza precedente ed ha affermato che l’interpretazione dell’art. 8, comma 2, della legge n. 124/99 fornita dal legislatore nell’art. 1, comma 218, della legge n. 266/2005 è plausibile.
31.      Nondimeno, la Corte di cassazione, con ordinanza 3 giugno 2008, n. 22260, ha invitato la Corte costituzionale a riesaminare la propria posizione alla luce dei principi enunciati nell’art. 6 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, firmata a Roma il 4 novembre 1950 (in prosieguo: la «CEDU»).
32.      Con sentenza 16 novembre 2009, n. 311 (13), la Corte costituzionale ha dichiarato che l’art. 1, comma 218, della legge n. 266/2005 è compatibile con i diritti fondamentali sanciti dall’art. 6 della CEDU.
II – La causa principale e le questioni pregiudiziali
33.      La sig.ra Scattolon, dipendente del comune di Scorzè dal 16 maggio 1980 in qualità di bidella in scuole statali, svolgeva tale attività, fino al 31 dicembre 1999, come membro del personale ATA degli enti locali. Detto personale svolge attività di pulizia, di manutenzione e di vigilanza delle scuole pubbliche italiane.
34.      A decorrere dal 1° gennaio 2000, la medesima, in applicazione dell’art. 8 della legge n. 124/99, veniva trasferita nel ruolo del personale ATA dello Stato.
35.      Ai sensi del decreto ministeriale 5 aprile 2001, la sig.ra Scattolon veniva inquadrata in una fascia retributiva corrispondente, nel suddetto ruolo, a nove anni di anzianità.
36.      Non avendo quindi ottenuto il riconoscimento dei 20 anni di anzianità maturati presso il comune di Scorzè ed avendo, inoltre, perduto le voci di stipendio accessorie previste dal CCNL del personale degli enti locali, essa ritiene di avere subito una decurtazione di EUR 790 della propria retribuzione.
37.      Con ricorso depositato il 27 aprile 2005, la sig.ra Scattolon adiva il Tribunale ordinario di Venezia al fine di ottenere il riconoscimento dell’intera anzianità maturata presso il comune di Scorzè e di essere conseguentemente inquadrata nella fascia corrispondente ad un’anzianità da quindici a venti anni. Ella rivendicava, quindi, il diritto di essere integrata nelle stesse categorie retributive del personale ATA assunto sin dall’inizio dallo Stato ed in possesso della sua stessa anzianità. A sostegno del ricorso, invocava, in particolare, l’art. 2112 del Codice Civile, l’art. 8 della legge n. 124/99 e le sentenze della Corte di cassazione del 2005, le quali riconoscono il diritto del personale ATA trasferito al mantenimento della propria anzianità.
38.      A seguito dell’adozione dell’art. 1, comma 218, della legge n. 266/2005, il Tribunale di Venezia ha sospeso il giudizio proposto dalla sig.ra Scattolon e ha rimesso alla Corte costituzionale la questione della compatibilità della suddetta disposizione con i principi della certezza del diritto, della tutela del legittimo affidamento, della parità delle armi nel processo e del diritto ad una tutela giurisdizionale effettiva, nonché ad un tribunale indipendente e ad un equo processo. Il legislatore italiano, approvando la citata disposizione al fine di interpretare una legge adottata più di cinque anni prima e già interpretata dalla Corte di cassazione, avrebbe voluto definire un risultato diverso, questa volta favorevole allo Stato, nelle numerose controversie ancora pendenti.
39.      Con ordinanza 9 giugno 2008, n. 212 (14), la Corte costituzionale, richiamandosi alla propria sentenza 18 giugno 2007, n. 234, ha dichiarato che l’art. 1, comma 218, della legge n. 266/2005 non era viziato dalle asserite violazioni di principi generali del diritto.
40.      A seguito della riassunzione del procedimento, la sig.ra Scattolon ha sottolineato che l’art. 8, comma 2, della legge n. 124/99, come interpretato ai sensi dell’art. 1, comma 218, della legge n. 266/2005, è incompatibile con la regola sancita all’art. 3 della direttiva 77/187 e con i principi generali del diritto dell’Unione relativi alla certezza del diritto, alla tutela del legittimo affidamento ed alla tutela giurisdizionale effettiva.
41.      Il Tribunale ordinario di Venezia ritiene che, alla luce della direttiva 77/187, si debba tenere conto dell’intera anzianità del personale trasferito. L’art. 1, comma 218, della legge n. 266/2005 sarebbe in contrasto con tale regola e costituirebbe, inoltre, una norma retroattiva innovativa e non interpretativa, che lederebbe i principi garantiti dall’art. 6 TUE, in combinato disposto con l’art. 6 della CEDU e con gli artt. 47 e 52, n. 3, della Carta. La suddetta disposizione sarebbe, allo stesso tempo, contraria ai principi della certezza del diritto e della tutela del legittimo affidamento.
42.      Ciò premesso, il Tribunale ordinario di Venezia ha deciso di sospendere il giudizio e di sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:
«1)      Se la direttiva 77/187 (…) e/o la direttiva 2001/23 (…), o la diversa normativa (dell’Unione) ritenuta applicabile debba essere interpretata nel senso che quest’ultima può applicarsi ad una fattispecie di trasferimento di personale addetto a servizi ausiliari di pulizia e manutenzione degli edifici scolastici statali da enti pubblici locali (comuni e province) allo Stato laddove il trasferimento ha comportato il subentro non solo nell’attività e nei rapporti con tutto il personale (bidelli) addetto, ma anche nei contratti di appalto stipulati con imprese private per garantire i medesimi servizi.
2)      Se la continuità del rapporto di lavoro ex art. 3, n. 1, primo comma, della direttiva 77/187 (…) [trasfusa, unitamente alla direttiva 98/50 (…), nella direttiva 2001/23 (…)] debba essere interpretata nel senso di una quantificazione dei trattamenti economici collegati presso il cessionario all’anzianità di servizio che tenga conto di tutti gli anni effettuati dal personale trasferito, anche di quelli svolti alle dipendenze del cedente.
3)      Se l’art. 3 della direttiva 77/187 (…) e/o le direttive (…) 98/50 (…) e 2001/23 (…), debbano essere interpretate nel senso che tra i diritti del lavoratore che si trasferiscono al concessionario rientrano anche posizioni di vantaggio conseguite dal lavoratore presso il cedente quale l’anzianità di servizio se a questa risultano essere collegati, nella contrattazione collettiva vigente presso il cessionario, diritti di carattere economico.
4)      Se i principi generali del vigente diritto (dell’Unione) della certezza del diritto, della tutela del legittimo affidamento, della uguaglianza delle armi del processo, dell’effettiva tutela giurisdizionale, ad un tribunale indipendente e, più in generale, ad un equo processo, garantiti dall’art. 6, n. 2, (TUE) in combinato disposto con l’art. 6 della (CEDU) e con gli artt. 46, 47 e 52, n. 3, della (Carta) debbano essere interpretati nel senso di ostare all’emanazione da parte dello Stato italiano, dopo un arco temporale apprezzabile (5 anni), di una norma di interpretazione autentica difforme rispetto al dettato da interpretare e contrastante con l’interpretazione costante e consolidata dell’organo titolare della funzione nomofilattica, norma oltretutto rilevante per la decisione di controversie in cui lo stesso Stato italiano è coinvolto come parte».
III – Analisi
A –    Sulla prima questione
43.      Con la prima questione, il giudice del rinvio vuole sapere, in sostanza, se la direttiva 77/187 sia applicabile in caso di trasferimento del personale addetto ai servizi ausiliari di pulizia e manutenzione dei locali scolastici dello Stato dagli enti pubblici locali (comuni e province) allo Stato.
44.      In altri termini, se la circostanza che un trasferimento abbia luogo tra due enti che siano persone giuridiche di diritto pubblico sia o meno idonea a determinare l’esclusione di siffatto trasferimento dal campo di applicazione della direttiva 77/187.
45.      Il governo italiano fa valere che, in una situazione di tal genere di trasferimento del personale nell’ambito della riorganizzazione di un settore pubblico, non sussiste un «trasferimento d’impresa» ai sensi di questa direttiva. La sig.ra Scattolon e la Commissione europea sostengono la tesi opposta.
46.      La sentenza 15 ottobre 1996, Henke (15) costituisce un precedente interessante al fine di risolvere questa questione.
47.      Al fine di intendere appieno la portata di detta sentenza, occorre ricordarne i fatti. La signora Henke era stata assunta in qualità di segretario del sindaco dal Comune di Schierke (Germania). Detto comune aveva successivamente deciso di costituire insieme ad altri comuni, in applicazione della normativa comunale del Land Saxe-Anhalt, l'ente amministrativo intercomunale «Brocken», al quale esso trasferiva determinate funzioni amministrative. Di conseguenza, il comune di Schierke aveva rescisso il contratto di lavoro con la sig.ra Henke. Nell’ambito della controversia tra detto comune e la sig.ra Henke, l’Arbeitsgericht Halberstadt decideva di investire la Corte perché si pronunciasse sulla questione se la direttiva 77/187 fosse applicabile in caso di trasferimento di compiti amministrativi da un comune ad un consorzio intercomunale, come quello in causa nella
controversia principale.
48.      La Corte ha interpretato l’art. 1 della direttiva 77/187 nel senso che non costituisce un «trasferimento d’impresa», ai sensi di questa direttiva, la riorganizzazione delle strutture dell’amministrazione o il trasferimento di compiti amministrativi tra amministrazioni pubbliche (16).
49.      Oltre a prendere in considerazione l’obiettivo e il disposto della detta direttiva (17), la Corte ha rilevato che si trattava di un consorzio che aveva interessato diversi comuni del Land di Saxe-Anhalt, tra cui il comune di Schierke, e che aveva segnatamente lo scopo di migliorare lo svolgimento dei compiti amministrativi di detti comuni. La Corte ha constatato che detto raggruppamento aveva comportato, in particolare, la riorganizzazione delle strutture amministrative e il trasferimento di funzioni amministrative dal comune di Schierke a un ente pubblico creato appositamente a tal fine: l'ente amministrativo intercomunale «Brocken» (18).
50.      Essa ha quindi osservato che, nella circostanze della fattispecie, il trasferimento operato tra il comune e l'ente amministrativo intercomunale aveva avuto ad oggetto solo attività comportanti l'esercizio di pubblici poteri. Anche ammettendo che tali attività comprendessero elementi di natura economica, questi ultimi potevano avere solo carattere accessorio (19).
51.      Da detti elementi desumo che tale esclusione dal campo di applicazione della direttiva 77/187 è motivata non dalla natura giuridica di diritto pubblico degli enti in questione, ma piuttosto, secondo un approccio funzionale, dalla circostanza che un trasferimento riguardi attività rientranti nell’esercizio di pubblici poteri. Per contro, se un trasferimento concerne un’attività economica, esso rientra nel campo di applicazione di questa direttiva. Poco importa, al riguardo, la natura giuridica di diritto privato o di diritto pubblico del cedente e del cessionario. Sentenze successive testimoniano il mantenimento ad opera della Corte di tale approccio funzionale, che pone l’accento sull’esistenza o meno di un’attività rientrante nell’esercizio di pubblici poteri (20).
52.      Volendo ora qualificare le attività oggetto della causa principale, dalla giurisprudenza, come confermata ancora di recente, emerge che i servizi ausiliari prestati presso le scuole dello Stato, come quelli di pulizia e di manutenzione, non costituiscono attività rientranti nell’esercizio dei pubblici poteri.
53.      In due cause recenti, la Corte è stata invitata ad interpretare la direttiva 2001/23 con riguardo a fattispecie in cui un comune aveva acquisito attività esercitate in precedenza da imprese private. Si trattava, nella sentenza 29 luglio 2010, UGT-FSP (21), di attività di custodia e di pulizia di edifici scolastici pubblici, di pulizia delle strade e di manutenzione di parchi e giardini (22). Peraltro, nella sentenza 20 gennaio 2001, CLECE (23), l’attività in causa riguardava la pulizia delle scuole e dei locali municipali (24).
54.      In queste due sentenze la Corte ha dichiarato che tali attività presentano carattere economico e ricadono, dunque, nell’ambito di applicazione delle norme comunitarie relative al mantenimento dei diritti dei lavoratori in caso di trasferimento di imprese. Essa ha nuovamente affermato che la semplice circostanza che il cessionario sia un ente di diritto pubblico, nella specie un comune, non consente di escludere l’esistenza di un trasferimento rientrante nell’ambito di applicazione della suddetta direttiva (25).
55.      Desumo da questi elementi che la direttiva 77/187, salvo la verifica degli altri criteri per la sua applicazione, è applicabile in caso di trasferimento di personale addetto ai servizi ausiliari di pulizia, di manutenzione e di sorveglianza degli edifici scolastici dello Stato dagli enti pubblici locali (comuni e province) allo Stato.
56.      Resta da verificare se, nella specie, risultino soddisfatti gli altri criteri stabiliti dalla Corte ai fini di valutare se un trasferimento costituisca un «trasferimento d’impresa», ai sensi della direttiva 77/187.
57.      Ai sensi del suo art. 1, n. 1, la direttiva 77/187 «si applica ai trasferimenti di imprese, di stabilimenti o di parti di stabilimenti ad un nuovo imprenditore in seguito a cessione contrattuale o a fusione».
58.      A questo riguardo, da consolidata giurisprudenza emerge che la nozione di cessione contrattuale deve intendersi in maniera sufficientemente elastica per rispondere all’obiettivo della direttiva 77/187, che, come emerge dal suo secondo ‘considerando’, è quello di tutelare i lavoratori subordinati in caso di cambiamento del titolare dell’impresa (26). La Corte ha dunque dichiarato che la direttiva trova applicazione in tutti i casi di cambiamento, nell'ambito di rapporti contrattuali, della persona fisica o giuridica responsabile dell'impresa, che assume gli obblighi del datore di lavoro nei confronti dei dipendenti dell'impresa stessa (27).
59.      Tale giurisprudenza è applicabile anche in caso di trasferimento imposto per legge. La sig.ra Scattolon ricorda, giustamente, la giurisprudenza secondo la quale la direttiva 77/187 ricomprende parimenti i trasferimenti risultanti da decisioni unilaterali delle pubbliche amministrazioni, considerato che il criterio determinante non è dato dall’esistenza di un accordo contrattuale tra il cedente e il cessionario, bensì dal cambiamento della persona responsabile della gestione dell’impresa (28).
60.      Affinché la direttiva 77/187 sia applicabile, occorre anche verificare se il trasferimento verta su un’entità economica che mantiene la sua identità dopo il cambiamento del titolare dell’impresa.
61.      Per poter stabilire se tale entità conservi la propria identità, devono essere prese in considerazione tutte le circostanze di fatto che caratterizzano l'operazione di cui trattasi, fra le quali rientrano, in particolare, il tipo di impresa o di stabilimento in questione, la cessione o meno di elementi materiali, quali gli edifici e i beni mobili, il valore degli elementi immateriali al momento della cessione, la riassunzione o meno della maggior parte del personale da parte del nuovo imprenditore, il trasferimento o meno della clientela, nonché il grado di analogia delle attività esercitate prima e dopo la cessione e la durata di un'eventuale sospensione di tali attività. Tutti questi elementi, tuttavia, sono soltanto aspetti parziali di una valutazione complessiva cui si deve procedere e non possono, perciò, essere considerati isolatamente (29).
62.      La Corte ha già avuto modo di rilevare che un'entità economica è in grado, in determinati settori, di operare senza elementi patrimoniali ─ materiali o immateriali ─ significativi, di sorta che la conservazione della sua identità, al di là dell'operazione di cui essa è oggetto, non può, per ipotesi, dipendere dalla cessione di tali elementi (30). La Corte ha infatti dichiarato che, quando, in determinati settori in cui l'attività si fondi essenzialmente sulla mano d'opera, un gruppo di lavoratori che svolga stabilmente un'attività comune può corrispondere ad un'entità economica, si deve necessariamente ammettere che tale entità possa conservare la sua identità al di là del trasferimento, qualora il nuovo imprenditore non si limiti a proseguire l'attività stessa, ma riassuma anche una parte essenziale, in termini di numero e di competenza, del personale
specificamente destinato dal predecessore a tali compiti. In una siffatta ipotesi, il nuovo imprenditore acquisisce infatti il complesso organizzato di elementi che gli consentirà il proseguimento delle attività o di talune attività dell'impresa cedente in modo stabile (31).
63.      Dalla giurisprudenza della Corte si evince che un’attività di pulizia e di manutenzione degli edifici scolastici, come quella in causa nel procedimento principale, si fonda essenzialmente sulla mano d’opera, e, pertanto, un gruppo di lavoratori che assolva stabilmente detta attività comune di pulizia, di manutenzione e di sorveglianza può, in mancanza di altri fattori produttivi, corrispondere ad un’entità economica (32).
64.      Da questi elementi desumo che, nella causa principale, l’identità dell’ente economico è mantenuta a causa della riassunzione da parte dello Stato di lavoratori in precedenza addetti a questi compiti dai comuni (33).
65.      Come sottolinea dalla Commissione, il personale ATA interessato dalla legge n. 124/99 è stata trasferito in blocco, le sue attività di pulizia, di manutenzione e di vigilanza sono rimaste globalmente immutate sotto il profilo sia del loro oggetto, sia della loro organizzazione, e sono state realizzate negli stessi luoghi e senza alcuna interruzione. La solo modifica ha riguardato l’identità del datore di lavoro.
66.      Aggiungo che la continuità di questo complesso organizzato di elementi che consente l’attuazione delle attività di pulizia, di manutenzione e di vigilanza in seno alle scuole trova parimenti espressione nella rilevazione da parte dello Stato dei contratti con i quali gli enti locali, in taluni casi avevano affidato l’esecuzione di dette attività a imprese private.
67.      Infine, si deve ricordare che la direttiva 77/187 non si applica a persone che non sono tutelate in quanto lavoratori in forza della normativa nazionale. Infatti, questa direttiva mira solo ad un'armonizzazione parziale della materia in questione, ma non mira ad instaurare un livello di tutela uniforme nell’intera Comunità europea secondo criteri comuni (34). Dalla decisione di rinvio emerge, tuttavia, che il personale ATA de quo è soggetto al regime di diritto comune dei rapporti di lavoro, come previsto dal codice civile italiano (35).
68.      Dall’insieme di questi elementi emerge che il trasferimento del personale ATA risultante dalla legge n. 124/99 rientra nell’ambito di applicazione della direttiva 77/187.
B –    Sulla seconda e la terza questione
69.      Con la seconda e la terza questione, che suggerisco alla Corte di esaminare congiuntamente, il giudice del rinvio chiede alla Corte stessa, in sostanza, di stabilire se l’art. 3, n. 1, della direttiva 77/187, che prevede che i diritti e gli obblighi risultanti per il cedente da un contratto di lavoro o da un rapporto di lavoro esistente alla data del trasferimento siano trasferiti al cessionario, implichi che il cessionario debba tenere conto, nel calcolo della retribuzione del personale trasferito, dell’intera anzianità maturata presso il cedente.
70.      Ricordo che tale domanda del giudice del rinvio nasce dall’apparente divergenza tra la legge n. 124/99, l’accordo tra l’ARAN e le organizzazioni sindacali ripreso nel decreto ministeriale 5 aprile 2001 ed, infine, la legge n. 266/2005. Infatti, mentre la legge n. 124/99 sembra prevedere una presa in considerazione totale dell’anzianità maturata dal personale ATA presso gli enti locali, l’accordo sindacale e, quindi, la legge n. 266/2005 dispongono, per contro, che le condizioni di remunerazione di detto personale a seguito del trasferimento devono essere stabilite sulla base di quanto il personale stesso percepiva alla scadenza del rapporto di lavoro con il cedente. Vengono dunque ad opporsi due modalità di determinazione della retribuzione del personale trasferito, vale a dire un calcolo nuovo che tenga conto, nell’ambito della tabella retributiva del
cessionario basata principalmente sull’anzianità, della totalità dell’anzianità maturata presso il cedente, oppure la continuità della retribuzione precedentemente percepita sulla base delle «conquiste economiche» alla vigilia del trasferimento.
71.      Alla luce della precisazione apportata dalla legge n. 266/2005, che indica che l’intenzione iniziale del legislatore italiano era quella di garantire la continuità delle retribuzioni e non una ripresa totale dell’anzianità precedentemente maturata presso il cedente, il giudice del rinvio desidera sapere se la direttiva 77/187 esiga, invece, detto riconoscimento dell’anzianità.
72.      Rammento che, ai sensi dell'art. 3, n. 1, primo comma, della direttiva 77/187, i diritti e gli obblighi risultanti per il cedente da un contratto di lavoro o da un rapporto di lavoro esistente alla data del trasferimento, in conseguenza di tale trasferimento, sono trasferiti al cessionario.
73.      Laddove le condizioni di retribuzione del personale ATA siano stabilite con contratti collettivi, detta disposizione non deve essere interpretata isolatamente, ma in combinazione con l’art. 3, n. 2, di questa stessa direttiva, il quale, come indicato dalla Corte, «limita il principio dell’applicabilità del contratto collettivo al quale fa riferimento il contratto di lavoro» (36).
74.      Ricordo che, ai sensi di questa disposizione, «(D)opo il trasferimento ai sensi dell'art. 1 , paragrafo 1 , il cessionario mantiene le condizioni di lavoro convenute mediante contratto collettivo nei termini previsti da quest' ultimo per il cedente, fino alla data della risoluzione o della scadenza del contratto collettivo o dell' entrata in vigore o dell' applicazione di un altro contratto collettivo».
75.      La causa principale corrisponde all’ultima fattispecie di cui all’art. 3, n. 2, della direttiva 77/187, vale a dire quella in cui il trasferimento è seguito dall’applicazione di un altro contratto collettivo. Nella specie, infatti, il personale ATA in precedenza impiegato dagli enti locali nell’ambito di un contratto collettivo dei medesimi, si è trovato, con il trasferimento, assoggettato ad un nuovo contratto collettivo, quello concernente il personale dello Stato (37).
76.      Questi due contratti collettivi prevedono metodi di calcolo delle retribuzioni del personale, oggetto dei contratti medesimi, molto diversi. Secondo le disposizioni del CCNL della scuola, la retribuzione si fonda, in larga misura, sull’anzianità, mentre il CCNL del personale degli enti locali prevedeva una struttura di retribuzione più complessa, legata alle funzioni svolte e contenente elementi salariali accessori.
77.      Dal disposto dell’art. 3, n. 2, della direttiva 77/187, come interpretato dalla Corte, emerge che i lavoratori oggetto di un trasferimento possono avvalersi delle condizioni di lavoro previste da un contratto collettivo, per ipotesi quello di cui beneficiavano presso il cedente e che poteva prevedere condizioni più favorevoli, solo finché tale contratto collettivo, in virtù del diritto nazionale, sia produttivo di effetti giuridici nei loro confronti (38).
78.      Come precisato dalla Corte con riguardo alla data di scadenza di un contratto collettivo, l’art. 3, n. 2, di questa direttiva «mira quindi ad assicurare il mantenimento di tutte le condizioni di lavoro conformemente alla volontà delle parti contraenti del contratto collettivo, e ciò nonostante il trasferimento d’impresa. Per contro, questa stessa disposizione non è idonea a derogare alla volontà di dette parti, così come manifestata nel contratto collettivo. Di conseguenza, se le parti contraenti hanno stabilito di non garantire talune condizioni di lavoro oltre una determinata data, (l’art. 3, n. 2, della direttiva 77/187) non può imporre al cessionario l’obbligo di rispettarle posteriormente alla data convenuta di scadenza del contratto collettivo, giacché, al di là di questa data, il contratto collettivo di cui trattasi non è più in vigore» (39).
Secondo la Corte, «(n)e consegue che (questa disposizione) non impone al cessionario di garantire il mantenimento delle condizioni di lavoro stabilite con il cedente oltre la data della scadenza del contratto collettivo» (40).
79.      A mio avviso, questa giurisprudenza vale, per analogia, nel caso in cui, per effetto del trasferimento, il contratto collettivo in vigore nei confronti del cedente venga sostituito da quello in vigore nei confronti del cessionario. In tale ipotesi, l’art. 3, n. 2, della direttiva 77/187 non impone al cessionario di mantenere le condizioni di lavoro previste dal contatto collettivo vigenti nei confronti del cedente.
80.      È dunque perfettamente conforme a questa disposizione il fatto che il personale ATA trasferito, a decorrere dal 1° gennaio 2000, data del trasferimento, si sia trovato assoggettato alle disposizioni del CCNL della scuola e, di conseguenza, alle condizioni e alle modalità di calcolo della retribuzione applicabili al personale dello Stato. Il personale trasferito non poteva, dunque, più avvalersi dei vantaggi ad esso accordati dal CCNL del personale degli enti locali e, segnatamente, dei diritti pecuniari conferiti dal medesimo.
81.      A titolo d’esempio, in una fattispecie di tal genere di successione di contratti collettivi, il personale trasferito non può invocare nei confronti del cessionario il beneficio di una gratifica che fosse prevista dal contratto collettivo in precedenza applicabile presso il cedente. La composizione e le modalità di calcolo dello stipendio dopo il trasferimento sono disciplinate esclusivamente dal contratto collettivo nuovamente applicabile presso il cessionario (41).
82.      Il problema principale consiste quindi nell’accertare se, al fine di determinare la retribuzione del personale trasferito in funzione dei criteri previsti dal contratto collettivo applicabile nei confronti del cessionario, che attribuisce un peso predominante al criterio dell’anzianità, la direttiva 77/187 imponga, anche in caso di successione di contratti collettivi, di tener conto dell’intera anzianità precedentemente maturata da detto personale presso il cedente.
83.      La giurisprudenza della Corte contiene elementi utili ai fini della soluzione della questione generale del riconoscimento dell’anzianità.
84.      In tale senso, nella citata sentenza Collino e Chiappero, la Corte ha dichiarato che l’«anzianità acquisita dai lavoratori trasferiti presso il loro originario datore di lavoro non costituisce, di per sé, un diritto che questi potrebbero far valere presso il loro nuovo datore di lavoro» (42). Per contro, a suo giudizio, l’«anzianità serve a determinare taluni diritti dei lavoratori di natura pecuniaria e sono questi diritti che dovranno, se del caso, essere salvaguardati dal cessionario allo stesso modo del cedente » (43).
85.      Secondo la Corte, ne consegue che, «per il calcolo di diritti di natura pecuniaria, quali un trattamento di fine rapporto o aumenti di stipendio, il cessionario è tenuto a prendere in considerazione tutti gli anni di servizio effettuati dal personale trasferito nella misura in cui questo obbligo risultava dal rapporto di lavoro che vincolava tale personale al cedente e conformemente alle modalità pattuite nell'ambito di detto rapporto » (44).
86.      In questa sentenza la Corte ha affrontato la questione della presa in considerazione dell’anzianità secondo una logica che pone l’accento sul parallelismo dei rapporti di lavoro successivi e si fonda sulla necessità di un’equivalenza della tutela dei diritti riconosciuti ai lavoratori nell’ambito di tali rapporti.
87.      È peraltro in virtù di questa stessa logica che la Corte ha temperato immediatamente il principio di un riconoscimento da parte del cessionario, dei diritti pecuniari derivanti dall’anzianità di cui il personale trasferito godeva presso il cedente precisando che, «ove il diritto nazionale consenta, al di fuori dell'ipotesi di un trasferimento di impresa, di modificare il rapporto di lavoro in senso sfavorevole ai lavoratori, in particolare per quanto riguarda la loro tutela contro il licenziamento e le loro condizioni di retribuzione, una modifica del genere non è esclusa per il semplice fatto che l'impresa sia stata nel frattempo trasferita e che, di conseguenza, l'accordo sia stato concluso con il nuovo imprenditore. Infatti, dato che il cessionario, a norma dell'art. 3, n. 1, della direttiva (77/187), è surrogato al cedente nei diritti e negli obblighi derivanti
dal rapporto di lavoro, questo può essere modificato nei confronti del cessionario negli stessi limiti in cui la modifica sarebbe stata possibile nei confronti del cedente; ben inteso, in nessun caso il trasferimento dell'impresa può costituire di per sé il motivo di tale modifica» (45). Si tratta di una delle conseguenze del meccanismo di surrogazione. Il rapporto di lavoro può essere modificato nei confronti del cessionario negli stessi limiti in cui la modifica era possibile nei confronti del cedente.
88.      In sintesi, dalla sentenza Collino e Chiappero, citata supra, consegue che il personale trasferito può invocare nell’ambito del proprio rapporto di lavoro con il cessionario gli stessi diritti pecuniari derivanti dall’anzianità di cui beneficiava nell’ambito del rapporto di lavoro con il cedente. Tuttavia, il cessionario ha sempre la possibilità di modificare i termini del rapporto di lavoro, e, in particolare, le condizioni della retribuzione, nel modo in cui lo poteva fare il cedente in virtù del diritto nazionali al di fuori dell’ipotesi di trasferimento.
89.      La direttiva 77/187 intende evitare che il trasferimento d'impresa costituisca, di per sé, l’occasione per una modificazione in pejus della situazione del lavoratore, vale a dire la soppressione o la riduzione dei diritti acquisiti. Devono essere presi in considerazione soltanto i diritti che potevano essere opposti al cedente. Non vi è quindi un diritto ad una parità di trattamento con i nuovi colleghi (eventualmente meglio retribuiti), né, tantomeno, un diritto ad un'estensione retroattiva delle norme eventualmente più favorevoli previste dal cessionario, per gli anni passati alle dipendenze del cedente (46).
90.      Il tenore dei diritti e degli obblighi che sono trasmessi dipende dal diritto nazionale applicabile e varierà di conseguenza. Come ribadito dalla Corte, la direttiva 77/187 non mira ad instaurare un livello di tutela uniforme in funzione di criteri comuni. Per questo motivo, come precisato nella sentenza 10 febbraio 1988, Foreningen af Arbejdsledere i Danmark (47), ci si può avvalere delle norme della direttiva solo per garantire che il lavoratore sia tutelato, nei rapporti con il cessionario, nello stesso modo in cui era protetto nei rapporti con il cedente, secondo le norme del diritto interno dello Stato membro (48).
91.      Ne consegue che i lavoratori trasferiti hanno diritto ad un calcolo della loro retribuzione che tenga conto della loro anzianità complessivamente maturata presso il cedente soltanto nel caso in cui il contratto di lavoro stipulato con quest’ultimo prevedesse tale diritto e quest’ultimo non sia stato validamente modificato dal cessionario indipendentemente dal trasferimento dell’impresa.
92.      Orbene, abbiamo visto che, nella vigenza del CCNL del personale degli enti locali, la retribuzione era calcolata principalmente in base al tipo di funzione esercitata, integrando elementi salariali accessori e, dunque, non prevalentemente in base all’anzianità. In virtù della logica di equivalenza, il personale trasferito non può dunque esigere dal cessionario, in forza dell’art. 3, n. 1, della direttiva 77/187, che esso tenga conto della totalità dell’anzianità maturata al servizio del cedente.
93.      In ogni caso, tenuto conto dei rilievi precedentemente svolti relativi alla portata dell’art. 3, n. 2, di questa direttiva, come interpretata dalla Corte, dubito che, in caso di successione di contratti collettivi come quello nella specie della causa principale, tale disposizione consenta ai lavoratori di avvalersi, nei confronti del cessionario, dei diritti pecuniari derivanti dall’anzianità di cui avrebbero potuto beneficiare in virtù del contratto collettivo che vincolava il cedente.
94.      Si deve tuttavia precisare che l’esistenza di disparità retributive rispetto ai lavoratori già alle dipendenze dello Stato non è, di per sé, contraria alla direttiva 77/187. Infatti, essa non si spinge sino ad esigere che, per effetto di una fictio, i dipendenti del primo datore di lavoro siano retroattivamente assimilati a quelli del secondo, con esattamente gli stessi diritti di quelli. La direttiva de qua fissa il principio di una prosecuzione del rapporto di lavoro con il mantenimento delle condizioni di lavoro, e non quello di un cambiamento di dette condizioni al fine di allinearle alle condizioni di lavoro dei dipendenti che siano da sempre stati alle dipendenze del nuovo datore di lavoro.
95.      La sentenza 11 novembre 2004, Delahaye (49) solleva, tuttavia, un dubbio quanto alla portata della direttiva 77/187 in materia di riconoscimento dell’anzianità del personale trasferito, in quanto la Corte sembra mostrarsi attenta alla parità di trattamento tra il personale trasferito e il personale già al servizio del cessionario.
96.      I fatti della causa principale da cui è scaturita detta sentenza possono essere così riassunti. La sig.ra Delahaye era dipendente di un’associazione la cui attività veniva trasferita allo Stato lussemburghese. Di conseguenza, essa veniva assunta in qualità di impiegata dallo Stato lussemburghese. In base al regolamento granducale riguardante la retribuzione dei dipendenti dello Stato, alla sig.ra Delahaye veniva attribuita una retribuzione inferiore a quella che essa percepiva in base al contratto stipulato con il suo datore di lavoro originario (50).
97.      In tale causa, la questione sottoposta dalla Cour administrative (Lussemburgo) mirava ad accertare, in sostanza, se la direttiva 77/187 osti a che, in caso di trasferimento di un’impresa da una persona giuridica di diritto privato allo Stato, questo, in quanto nuovo datore di lavoro, proceda a una riduzione dell’importo della retribuzione dei lavoratori interessati allo scopo di conformarsi alle vigenti norme nazionali relative ai pubblici dipendenti.
98.      A tal riguardo, la Corte, richiamandosi alla propria giurisprudenza e, in particolare, alla sentenza Mayeur, citata supra, ha affermato che «(p)oiché la direttiva 77/187 persegue soltanto un’armonizzazione parziale della materia di cui trattasi (…), (essa) non osta, in caso di trasferimento di un’attività ad una persona giuridica di diritto pubblico, all’applicazione del diritto nazionale che prescriva la rescissione dei contratti di lavoro di diritto privato» (51). La Corte ha precisato, tuttavia, che «siffatta rescissione dev’essere considerata, conformemente all’art. 4, n. 2, della direttiva 77/187, come una sostanziale modifica delle condizioni di lavoro a scapito del lavoratore, direttamente derivante dal trasferimento, con la conseguenza che la cessazione dei detti contratti di lavoro deve, in siffatta ipotesi, considerarsi intervenuta per fatto
imputabile al datore di lavoro» (52).
99.      Trasponendo questo ragionamento alla causa in esame, la Corte ritiene che «lo stesso deve valere quando, (…), l’applicazione delle norme nazionali che disciplinano la situazione dei dipendenti dello Stato comporta la riduzione della retribuzione dei lavoratori interessati dal trasferimento. Questa riduzione, quando è sostanziale, dev’essere considerata come una sostanziale modifica delle condizioni di lavoro a scapito dei lavoratori di cui trattasi, ai sensi dell’art. 4, n. 2, della direttiva (77/187)» (53).
100. L’ammissione da parte della Corte di tale possibilità in capo alle amministrazioni pubbliche è stata tuttavia, successivamente, attenuata, laddove essa ha precisato che «le autorità competenti incaricate di applicare e di interpretare il diritto nazionale relativo al pubblico impiego sono tenute a farlo in tutta la misura possibile alla luce dello scopo della direttiva 77/187». In quest’ottica, la Corte osserva che «sarebbe contrario allo spirito di questa direttiva trattare il dipendente che proviene dal cedente non tenendo conto della sua anzianità se le norme nazionali che disciplinano la situazione dei dipendenti dello Stato prendono in considerazione l’anzianità del dipendente dello Stato per il calcolo della sua retribuzione» (54).
101. Le sentenze Collino e Chiappero e Delahaye, citate supra, possono, del resto, sembrare difficili da conciliare, in quanto adottano due logiche diverse. Mentre la prima poggia sull’idea di un’equivalenza della tutela dei lavoratori in caso di trasferimento d’impresa, la seconda pone l’accento sulla parità di trattamento tra il personale trasferito e il personale già al servizio presso il cessionario.
102. Se la parità di trattamento tra il personale trasferito e il personale già al servizio del cessionario è auspicabile in caso di trasferimento d’impresa, non penso, tuttavia, che la direttiva 77/187 la imponga. Mi sembra, dunque, più conforme allo spirito di questa direttiva seguire il criterio fondato sull’equivalenza della tutela inerente al meccanismo di surrogazione, accolto dalla Corte nella menzioanta sentenza Collino e Chiappero.
103. Da tutti i suesposti elementi desumo che, in una fattispecie come quella oggetto dellla causa principale, dove, da un lato, le condizioni retributive previste dal contratto collettivo in vigore presso il cedente non siano principalmente fondate sul criterio dell’anzianità maturata presso tale datore di lavoro e, d’altro lato, il contratto collettivo vigente nei confronti del cessionario sostituisca quello precedentemente vigente nei confronti del cedente, l’art. 3, nn. 1 e 2, della direttiva 77/187 debba essere interpretato nel senso che esso non esiga che il cessionario tenga conto, ai fini del calcolo della retribuzione del personale trasferito, dell’anzianità maturata presso il cedente dal personale medesimo ciò sebbene il contratto collettivo vigente nei confronti del cessionario preveda che il calcolo della retribuzione sia principalmente basato sul criterio
dell’anzianità.
C –    Sulla quarta questione
104. Con la sua quarta questione il giudice del rinvio chiede se taluni principi generali di diritto dell’Unione ostino all’adozione, ad opera di uno Stato membro, di una disposizione nazionale come quella dell’art. 1, comma 218, della legge n. 266/2005.
105. Si deve ricordare il contesto in cui si pone tale questione. Adottando l’art. 1, comma 218, della legge n. 266/2005, il legislatore italiano intendeva precisare la portata che voleva dare alla legge n. 124/99 per quanto concerne il punto se il trasferimento del personale ATA dovesse andare di pari passo con la presa in considerazione da parte dello Stato dell’intera anzianità maturata da detto personale presso gli enti locali. Prendendo una direzione opposta alla giurisprudenza sviluppata dalla Corte suprema di cassazione, il legislatore italiano ha ritenuto che la retribuzione del personale trasferito dovesse essere stabilita «sulla base del trattamento economico complessivo in godimento all’atto del trasferimento, con l’attribuzione della posizione stipendiale di importo pari o immediatamente inferiore al trattamento annuo in godimento al 31 dicembre 1999 costituito
dallo stipendio, dalla retribuzione individuale di anzianità nonché da eventuali indennità, ove spettanti, previste dai (CCNL del personale degli enti locali), vigenti alla data dell’inquadramento». Il legislatore medesimo ha anche precisato che, malgrado l’interpretazione dominante adottata dai giudici nazionali, la legge n. 124/99 non doveva intendersi nel senso che fondava il calcolo della retribuzione del personale trasferito sul criterio dell’anzianità maturata presso gli enti locali.
106. Abbiamo visto che questa posizione del legislatore italiano, a mio avviso, non può essere considerata come contraria alla direttiva 77/187, in quanto detta direttiva non impone, in una fattispecie come quella oggetto del procedimento principale, di tenere in conto l’intera anzianità in precedenza maturata dal personale trasferito presso gli enti locali.
107. Atteso che l’interpretazione della legge n. 124/99, di cui all’art. 1, comma 218, della legge n. 266/2005, produce un effetto immediato su tutta una serie di procedimenti giurisdizionali in corso, tra cui quello avviato dalla sig.ra Scattolon, in senso favorevole alla posizione difesa dallo Stato italiano, il giudice del rinvio si interroga anche sulla circostanza se tale intervento del legislatore italiano sia o meno conforme ai principi generali di diritto dell’Unione. Sia dalla decisione di rinvio, sia dalle osservazioni presentate alla Corte nelle fasi scritta e orale, emerge che detta questione concerne, in primo luogo, l’interpretazione del principio della tutela giurisdizionale effettiva e, segnatamente, il diritto ad un processo equo (55).
108. Conformemente ad una giurisprudenza constante, il principio della tutela giurisdizionale effettiva costituisce un principio generale di diritto dell’Unione, che discende dalle tradizioni costituzionali comuni agli Stati membri e che è stato sancito agli artt. 6 e 13 della CEDU (56). Questo principio è stato riaffermato all’art. 47 della Carta che, dopo l’entrata in vigore del trattato di Lisbona, ha acquisito «il medesimo valore giuridico dei trattati» (57). Considerato che la Carta occupa, attualmente, una posizione centrale nel sistema di tutela dei diritti fondamentali in seno all’Unione, essa deve costituire, a mio avviso, la norma di riferimento ogniqualvolta la Corte sia chiamata a pronunciarsi sulla conformità di un atto dell’Unione o di una disposizione nazionale con i diritti fondamentali tutelati dalla Carta stessa (58).
109. Prima di fornire, se del caso, al giudice del rinvio gli elementi che gli consentiranno di valutare la conformità dell’art. 1, comma 218, della legge n. 266/2005 all’art. 47 della Carta, occorre verificare se la Corte sia competente a farlo.
1.      Sulla competenza della Corte a risolvere la quarta questione
110. A seconda del tipo di fattispecie che le viene sottoposta (59), la Corte impone agli Stati membri di rispettare i diritti fondamentali tutelati nell’ordinamento giuridico comunitario, da una parte, allorché detti Stati danno attuazione al diritto dell’Unione e, dall’altra, quando una normativa nazionale ricade nell’ambito di applicazione del diritto dell’Unione.
111. Pertanto, secondo la giurisprudenza della Corte, i doveri inerenti alla tutela dei principi generali riconosciuti nell’ordinamento giuridico comunitario, tra i quali vanno annoverati i diritti fondamentali, vincolano parimenti gli Stati membri quando danno esecuzione alle normative comunitarie e, quindi, questi sono tenuti, quanto più possibile, ad applicare queste normative in condizioni tali da non violare detti doveri (60).
112. In tal senso, secondo giurisprudenza costante, qualora una normativa nazionale rientri nel campo di applicazione del diritto comunitario, la Corte, adita in via pregiudiziale, deve fornire tutti gli elementi di interpretazione necessari per la valutazione, da parte del giudice nazionale, della conformità di tale normativa con i diritti fondamentali di cui la Corte assicura il rispetto, quali risultano, in particolare, dalla Convenzione (61). Per contro, la Corte non dispone di tale competenza con riguardo ad una normativa che non si colloca nell’ambito del diritto comunitario e qualora l’oggetto della controversia non presenti alcun elemento di collegamento con il diritto comunitario (62).
113. Tenuto conto della soluzione che propongo alla Corte di dare alla prima questione, vale a dire che il trasferimento de quo costituisce un trasferimento d’impresa ai sensi della direttiva 77/187 e deve, dunque, avere luogo conformemente alle norme enunciate dalla direttiva medesima (come trasposte dall’art.  2112 del Codice Civile italiano e dall’art. 34 del decreto legislativo 29/93), la causa in esame si discosta nettamente dalle fattispecie che hanno dato luogo a decisioni nelle quali la Corte si è dichiarata incompetente ad interpretare principi generali e diritti fondamentali sulla base del rilievo che la controversia non presentava un collegamento sufficiente con il diritto dell’Unione (63).
114. Infatti, la legge n. 124/99, come precisata dal legislatore italiano nel 2005, è volta a definire una delle modalità di trasferimento del personale ATA dagli enti locali allo Stato, vale a dire la modalità di calcolo della loro retribuzione a seguito del trasferimento. Atteso che si tratta di un trasferimento che rientra nell’ambito di applicazione della direttiva 77/187, tale normativa deve essere considerata nel senso che presenta un sufficiente collegamento con il diritto dell’Unione. Dato che la normativa nazionale contestata si inserisce perfettamente nell’ambito del diritto dell’Unione, la Corte è competente per fornire al giudice nazionale gli elementi necessari per valutare la compatibilità di detta normativa con il principio dell’effettività della tutela giurisdizionale (64).
115. A mio avviso, ciò vale anche con riguardo all’art. 47 della Carta.
116. Sappiamo che, al fine di delimitare l’ambito di applicazione della Carta, i redattori della stessa hanno adottato la formula ripresa dalla sentenza Wachauf, citata supra (65). L’art. 51, n. 1, della Carta prevede, dunque, che le disposizioni della medesima di rivolgono agli Stati membri «soltanto allorché danno attuazione al diritto dell’Unione».
117. Alla luce del tenore di tale disposizione, la questione se l’ambito di applicazione della Carta, come definito all’art. 51, comma 1, della medesima, coincida con quello dei principi generali del diritto dell’Unione è tuttora dibattuta e non trova ancora una risposta certa nella giurisprudenza della Corte (66). Mentre i sostenitori di una concezione restrittiva della nozione di attuazione del diritto dell’Unione sostengono che questa riguardi soltanto la situazione in cui uno Stato membro agisca come agente dell’Unione, i sostenitori di una concezione più estesa ritengono che detta nozione si riferisca più ampiamente alla situazione in cui una normativa nazionale rientri nell’ambito di applicazione del diritto dell’Unione.
118. A mio avviso, la formula adottata dai redattori della Carta non significa che essi abbiano inteso restringere il campo d’applicazione della medesima rispetto alla definizione iure praetorio del campo di applicazione dei principi generali del diritto dell’Unione. Lo testimoniano le precisazioni relative all’art. 51, n. 1, della Carta le quali, conformemente all’art. 6, n. 1, ultimo comma, TUE e all’art. 52, n. 7, della Carta, devono essere prese in considerazione per l’interpretazione della medesima.
119. Osservo, a questo riguardo, che dette spiegazioni indicano che, per quanto concerne gli Stati membri, «dalla giurisprudenza della Corte risulta senza ambiguità che l’obbligo di rispettare i diritti fondamentali definiti nell’ambito dell’Unione s’impone agli Stati sono se agiscono nel campo di applicazione del diritto dell’Unione». Peraltro, queste stesse spiegazioni concernono la giurisprudenza relativa ai diversi casi di collegamento di una normativa nazionale con il diritto dell’Unione evocati in precedenza. A mio avviso, questi due elementi consentono alla Corte di adottare un’interpretazione estensiva dell’art. 51, paragrafo 1, della Carta senza snaturare l’intenzione dei redattori della stessa (67). Si potrebbe quindi riconoscere che questo articolo, letto alla luce delle spiegazioni che lo riguardano, debba essere interpretato nel senso che le
disposizioni della Carta si rivolgono agli Stati membri quando essi agiscono nel campo di applicazione del diritto dell’Unione. Peraltro, se ci si riferisce al caso particolare delle direttive, è meglio non circoscrivere la nozione di attuazione del diritto dell’Unione alle sole misure di trasposizione delle medesime. Detta nozione, a mio avviso, deve essere intesa come riguardante le applicazioni ulteriori e concrete enunciate da una direttiva, (68), nonché, in modo generale, tutte le situazioni nelle quali una normativa nazionale «affronta» o «incide su» una materia disciplinata da una direttiva il cui termine di trasposizione è scaduto (69).
120. Oltre al fatto che una restrizione del campo di applicazione della Carta rispetto a quello dei diritti fondamentali riconosciuti in quanto principi generali di diritto dell’Unione, a mio avviso, non era nelle intenzioni dei suoi redattori, un’interpretazione restrittiva dell’art. 51, comma 1, della Carta non sembra auspicabile. Essa, infatti, finirebbe per creare due regimi diversi di tutela dei diritti fondamentali in seno all’Unione, a seconda che questi derivino dalla Carta o dai principi generali di diritto. Ciò indebolirebbe il livello di tutela di questi diritti, il che potrebbe apparire in contrasto con la lettera dell’art. 53 della Carta stessa che prevede, segnatamente, che «(n)essuna disposizione della (presente) Carta deve essere interpretata come limitativa o lesiva dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali riconosciuti, nel rispettivo ambito di
applicazione, dal diritto dell'Unione».
121. Atteso che la competenza della Corte per risolvere la quarta questione mi sembra accertata, occorre adesso fornire al giudice del rinvio gli elementi che gli consentiranno di valutare la conformità dell’art. 1, comma 218, della legge n. 266/2005 con l’art. 47 della Carta.
2.      Sull’interpretazione dell’art. 47 della Carta
122. Come confermato dall’art. 47 della Carta, il diritto fondamentale ad una tutela giurisdizionale effettiva comprende il diritto ad un ricorso effettivo, che garantisca al ricorrente, segnatamente, che la sua causa sia esaminata equamente. Posto che l’art. 1, comma 218, della legge n. 266/2005 incide sul procedimento giurisdizionale avviato dalla sig.ra Scattolon, in particolare in favore dello Stato italiano, il diritto della medesima ad un ricorso effettivo può risultare pregiudicato.
123. Occorre, tuttavia, rammentare che l’art. 52, n. 1, della Carta consente che possano essere apportate limitazioni all’esercizio dei diritti e delle libertà sanciti da quest’ultima, purché tali limitazioni siano previste dalla legge, rispettino il contenuto essenziale di detti diritti e libertà e, nel rispetto del principio di proporzionalità, siano necessarie e rispondano effettivamente a finalità di interesse generale riconosciute dall’Unione o all’esigenza di proteggere i diritti e le libertà altrui.
124. Inoltre, dall’art. 52, n. 3, della Carta emerge che, laddove essa contenga diritti corrispondenti a quelli garantiti dalla CEDU, il significato e la portata degli stessi sono uguali a quelli conferiti dalla suddetta Convenzione (70). Secondo l’interpretazione di tale disposizione, il senso e la portata dei diritti garantiti sono determinati non soltanto dal testo della CEDU, ma anche, segnatamente, dalla giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’Uomo.
125. Al fine di fornire al giudice del rinvio gli elementi necessari per consentirgli di valutare la conformità dell’art. 1, comma 218, della legge n. 266/2005 con l’art. 47 della Carta, seguirò lo schema di analisi elaborato dalla Corte europea dei diritti dell’Uomo in casi analoghi di violazione dell’art. 6, n. 1, CEDU per effetto dell’impatto di una legge retroattiva su procedimenti giudiziari pendenti.
126. Esaminerò anche, in un primo momento, se sussista un’ingerenza del potere legislativo nell’amministrazione della giustizia. In caso affermativo, si dovrà verificare, in un secondo momento, se esista un motivo imperativo di interesse generale che giustifichi tale ingerenza.
a)      Sulla sussistenza di un’ingerenza del potere legislativo nell’amministrazione della giustizia
127. Come precisato dalla Corte europea dei diritti dell’Uomo nella sua sentenza Zielinski e Pradal & Gonzalez e altri c. Francia, 28 ottobre 1999 (71), «se, in linea di principio, il potere legislativo ha la facoltà di disciplinare in materia civile, con nuove disposizioni con efficacia retroattiva, diritti derivanti da leggi in vigore, il principio della preminenza del diritto e la nozione di processo equo sanciti dall’art.  6 (CEDU) ostano, salvo per motivi imperativi di interesse generale, all’ingerenza del potere legislativo nell’amministrazione della giustizia al fine di influenzare la soluzione della controversia» (72).
128. Da questa sentenza consegue che la prima tappa dell’esame della compatibilità di una legge retroattiva con l’art. 6, n. 1, CEDU è l’esistenza di un’incidenza su controversie pendenti dinanzi ad un giudice.
129. Nella sentenza Lilly France c. Francia, 25 novembre 2010, la Corte europea dei diritti dell’Uomo ha rammentato che essa si limita ad accertare se la legge controversa abbia impedito ad un giudice di pronunciarsi sulla controversia in esame (73). Nella sentenza Zielinski e Pradal & Gonzalez e altri c. Francia, citata supra, essa ha sottolineato che la legge controversa fissa definitivamente i termini della discussione sottoposta ai giudici dell’ordinamento giudiziario, e lo fa in modo retroattivo (74). La competenza del giudice chiamato a pronunciarsi sulla controversia risulta, dunque, esclusa a vantaggio dell’interpretazione data dal legislatore nazionale. Quand’anche quest’ultimo si fosse preoccupato di escludere l’applicazione della legge retroattiva alle decisioni divenute definitive, l’ingerenza del potere legislativo nell’amministrazione della giustizia è
accertata posto che il giudice è vincolato dalla lettera del testo.
130. Nel contesto della causa principale, l’art. 1, comma 218, della legge n. 266/2005 dà un’interpretazione dell’art. 8, n. 2, della legge n. 124/99 i cui effetti sono retroattivi «fatta salva l’esecuzione dei giudicati formatisi alla data di entrata in vigore della presente legge».
131. Sembra quindi sussistere la condizione di un’ingerenza del potere legislativo nell’amministrazione della giustizia. È infatti pacifico che la nuova interpretazione legislativa ha un impatto diretto sul procedimento che oppone la sig.ra Scattolon allo Stato, a sfavore della ricorrente, in quanto la legge interpretativa esclude l’interpretazione favorevole al personale trasferito che la Corte suprema di cassazione e la maggior parte dei giudici di merito avevano in precedenza adottato. Poco importa, al riguardo, che l’art. 1, comma 218, della legge n. 266/2005 sia inteso come una norma di interpretazione autentica o come una norma con un contenuto innovativo.
132. Occorre ora verificare se tale ingerenza possa essere considerata come giustificata da un motivo imperativo di interesse generale.
b)      Sull’esistenza di un motivo imperativo di interesse generale a giustificazione dell’ingerenza
133. In via generale, la giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’Uomo tende ad escludere il motivo finanziario come idoneo a giustificare, di per sé, un’ingerenza del potere legislativo nell’amministrazione della giustizia (75). Tuttavia, nella sentenza National & Provincial Building Society, the Leeds Permanent Building Society e the Yorkshire Building Society c. Regno Unito del 23 ottobre 1997 (76), la Corte europea dei diritti dell’Uomo ha ritenuto che la preoccupazione dello Stato di mantenere il livello di gettito fiscale costituisca un motivo d’interesse generale (77). È interessante osservare che, in quest’ultima causa, la legge retroattiva aveva l’obiettivo di ristabilire l’intenzione iniziale del legislatore e a correggere vizi di ordine tecnico nella redazione della normativa (78). Invece, nella sua sentenza OGIS-Institut Stanislas, OGEC St.
Pie X e Blanche de Castille ed altri c. Francia del 27 maggio 2004, si trattava di colmare una lacuna normativa (79).
134. Da questa giurisprudenza emerge che la Corte europea dei diritti dell’Uomo tende ad accettare l’esistenza di un motivo di interesse generale allorché si tratti di ottenere una buona legislazione (comprendente, segnatamente, la rettificazione di un errore tecnico e l’eliminazione di una lacuna giuridica) o di favorire la realizzazione di un progetto di generale convenienza (80). Il motivo finanziario, di per sé, non è sufficiente, ma può essere accolto se accompagnato da un’altra finalità d’interesse generale.
135. Nella causa in esame, il governo italiano giustifica l’intervento della legge n. 266/2005 con il fatto che la formulazione dell’art. 8, n. 2, della legge n. 124/99 era incerta e che aveva dato adito ad un abbondante contenzioso. Tale giustificazione potrebbe essere assimilata a quella volta ad ottenere una buona legislazione, vale a dire una legislazione di cui viene chiarita la portata.
136. Per quanto riguarda, invece, l’argomento secondo il quale si deve porre fine a controversie giurisprudenziali, al di là del fatto che tali controversie devono essere dimostrate, va osservato che la Corte europea dei diritti dell’Uomo è reticente ad ammetterlo. Infatti, nella sua sentenza Zielinski e Pradal & Gonzalez e altri c. Francia, citata supra, detta Corte ha dichiarato che divergenze di giurisprudenza sono inerenti ad ogni ordinamento giudiziario. Agli occhi di quella Corte, dunque, questo argomento non è di per sé rilevante.
137. Se è dimostrato che il legislatore italiano nel 1999 ha inteso lasciare alle parti sociali e al potere regolamentare il compito di realizzare le modalità concrete dell’incorporazione del personale trasferito, segnatamente per quanto concerne la retribuzione del medesimo successivamente al trasferimento, potrebbe accettarsi un ulteriore intervento di questo stesso legislatore destinato a porre fine ad una giurisprudenza non corrispondente né all’intenzione iniziale del legislatore medesimo, né alle modalità di applicazione definite dalle parti sociali, e quindi convalidate dal potere regolamentare. Osservo, in merito, che le precisazioni fornite dal legislatore nel 2005 confermano l’interpretazione adottata dalle parti sociali a seguito della legge n. 124/99, che hanno stabilito, come le invitava a fare il decreto ministeriale 23 luglio 1999, i criteri di incorporazione
del personale trasferito. Si potrebbe dunque ammettere, come riconosciuto dalla stessa Corte suprema di cassazione con sentenza 16 gennaio 2008 (81), che le precisazioni apportate dal legislatore italiano nel 2005, relative alla base del calcolo del trattamento annuale del personale trasferito, corrispondevano ad una delle possibili modalità del riconoscimento, sotto il profilo economico e sociale, dell’anzianità maturata. Il legislatore italiano ha dunque optato per un riconoscimento parziale dell’anzianità fondandosi, per l’inquadramento del personale trasferito, sulla retribuzione percepita dal medesimo il 31 dicembre 1999.
138. Al fine di giustificare tale scelta, il governo italiano fa valere il motivo relativo alla necessità di garantire la neutralità economica dell’operazione di trasferimento.
139. Può sembrare legittimo che lo Stato italiano abbia inteso raggruppare in un unico corpo il personale ATA che lavorava insieme, ma che era soggetto a due regimi diversi e, in particolare, che abbia voluto uniformare le condizioni di retribuzione di detto personale facendo in modo che, allo stesso tempo, tale operazione risultasse neutra sotto il profilo economico, vale a dire, in altri termini, che fosse realizzata a parità di costi.
140. Occorre tuttavia che il governo italiano dimostri che l’imperativo della neutralità di bilancio fosse ciò su cui verteva la riforma iniziale e che l’intervento del legislatore nel 2005 mirasse a salvaguardare detto obiettivo. Segnatamente, spetta a dettol governo dimostrare che solo l’interpretazione fondata su una considerazione soltanto parziale dell’anzianità fosse idonea a garantire la neutralità economica della riforma.
141. Osservo che, dinanzi alla Corte, il governo italiano ha fatto valere che la riforma avviata nel 1999, accompagnata dalla presa in considerazione solo parziale dell’anzianità del personale trasferito, non ha pregiudicato la situazione economica del personale medesimo. A fronte di tale affermazione la sig.ra Scattolon, a mio avviso, non è riuscita a dimostrare in modo rigoroso e certo che la situazione economica del personale trasferito fosse peggiorata a seguito del trasferimento (82). Gli elementi di cui dispongo non riescono, dunque, a convincermi che l’intervento del legislatore nel 2005 avesse uno scopo diverso da quello di garantire la neutralità di bilancio della riforma.
142. Spetta al giudice del rinvio, in definitiva, verificare, in particolare sulla base di dati numerici relativi ai costi comparati delle due interpretazioni sostenute (83), che l’interpretazione adottata dal legislatore italiano nel 2005 fosse idonea a perseguire l’obiettivo legittimo di neutralità di bilancio di una riforma amministrativa come quella in causa nel procedimento principale e che essa non abbia arrecato un pregiudizio sproporzionato al diritto tutelato dall’art. 47 della Carta.
143. Da questi elementi desumo che l’art. 47 della Carta deve essere interpretato nel senso che esso non osta ad una disposizione legislativa come quella contenuta all’art. 1, comma 218, della legge n. 266/2005, a condizione che risulti dimostrato, segnatamente sul fondamento di dati numerici, che l’adozione della medesima mirasse a garantire la neutralità economica dell’operazione di trasferimento del personale ATA dagli enti locali allo Stato, ciò che spetta al giudice del rinvio verificare.
IV – Conclusione
144. Alla luce delle suesposte considerazioni, propongo alla Corte di risolvere nei termini seguenti le questioni pregiudiziali sottopostele dal Tribunale ordinario di Venezia:
«1)      La direttiva del Consiglio 14 febbraio 1977, 77/187/CEE, concernente il ravvicinamento delle legislazioni degli Stati Membri relative al mantenimento dei diritti dei lavoratori in caso di trasferimenti di imprese, di stabilimenti o di parti di stabilimenti, deve essere interpretata nel senso che essa si applica ad un trasferimento come quello in esame nel procedimento principale, ossia il trasferimento del personale addetto ai servizi ausiliari di pulizia, di manutenzione e di vigilanza degli edifici scolastici dello Stato dagli enti pubblici locali (comuni e province) allo Stato.
2)      In una fattispecie come quella del procedimento principale, dove, da un lato, le condizioni retributive previste dal contratto collettivo in vigore nei confronti del cedente non sono principalmente fondate sul criterio dell’anzianità maturata nei confronti di detto datore di lavoro, e, dall’altro, il contratto collettivo in vigore nei confronti del cessionario sostituisce quello che era in vigore nei confronti del cedente, l’art. 3, nn.  1 e 2, della direttiva 77/187 deve essere interpretato nel senso che esso non esige che il cessionario tenga conto, ai fini del calcolo della retribuzione del personale trasferito, dell’anzianità maturata, presso il cedente, dal personale medesimo e ciò anche nel caso in cui il contratto collettivo in vigore nei confronti del cessionario preveda che il calcolo della retribuzione sia principalmente fondato sul criterio
dell’anzianità.
3)      L’art. 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea deve essere interpretato nel senso che esso non osta ad una disposizione di legge come quella di cui all’art. 1, comma 218, della legge n. 266/2005, recante disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2006), a condizione che sia dimostrato, segnatamente sulla base di dati numerici, che l’adozione della medesima mirasse a garantire la neutralità di bilancio dell’operazione di trasferimento del personale ATA dagli enti locali allo Stato, cosa che deve essere verificata dal giudice del rinvio».

1 – Lingua originale: il francese.

2 – GU L 61, pag. 26.

3 – In prosieguo: la «Carta».

4 – GU L 201, pag. 88.

5 – V., segnatamente, per analogia, sentenze 20 novembre 2003, causa C-340/01, Abler e a. (Racc. pag. I‑14023, punto 5), e 9 marzo 2006, causa C-499/04, Werhof (Racc. pag. I‑2397, punti 15 e 16).

6 – (GU L 82, pag. 16).

7 – Supplemento ordinario alla GURI n. 30, del 6 febbraio 1993, in prosieguo: il «decreto legislativo n. 29/93».

8 – GURI n. 107, del 10 maggio 1999; in prosieguo: la «legge n. 124/99».

9 - GURI n. 16, del 21 gennaio 2000; in prosieguo: il «decreto ministeriale del 23 luglio 1999».

10 – (GURI n. 162, del 14 luglio 2001; in prosieguo: il «decreto ministeriale 5 aprile 2001»).

11 – Supplemento ordinario alla GURI n. 302, del 29 dicembre 2005; in prosieguo: la «legge n. 266/2005».

12 – GURI del 4 luglio 2007.

13 – GURI del 2 dicembre 2009.

14 – GURI del 18 giugno 2008.

15 – Causa C‑298/94, Racc, pag. I‑4989.

16 – Punto 14.

17 – Rispettivamente, punti 13 e 15.

18 – Punto 16.

19 – Punto 17. Come rilevato dall’avvocato generale Alber al paragrafo 49 delle conclusioni nella causa definita dalla sentenza 14 settembre 2000, causa C-343/98, Collino e Chiappero (Racc. pag. I‑6659), «Nella sua motivazione la Corte di giustizia si è basata soprattutto sul fatto che la ristrutturazione non riguardava attività economiche. Se ne può concludere che l'ambito d'applicazione della direttiva (77/187) non dipende dal cedente e dalla sua appartenenza al diritto pubblico o al diritto privato, sempreché questi eserciti un'attività economica. Decisiva quindi non è la qualità del cedente, bensì il tipo di attività esercitata. Attività che implicano l'esercizio dei pubblici poteri non possono essere oggetto di un trasferimento d'impresa ai sensi d(i questa) direttiva».

20 – V., segnatamente, sentenze 10 dicembre 1998, cause riunite C-173/96 e C-247/96, Hidalgo e a. (Racc. pag. I‑8237, punto 24), per un’attività di assistenza a domicilio di persone disabili e per un’attività di sorveglianza; Collino e Chiappero, cit. (punti 31 e 32), nonché 26 settembre 2000, causa C-175/99, Mayeur (Racc. pag. I‑7755, punti 28-40).

21 – Causa C‑151/09, non ancora pubblicata nella Raccolta.

22 – Punto 12.

23 – Causa C‑463/09, non ancora pubblicata nella Raccolta.

24 – Punto 11.

25 – Sentenze cit. UGT-FSP (punto 23 e giurisprudenza citata), e CLECE (punto 26 e giurisprudenza citata).

26 – Sentenza CLECE, cit. (punto 29 e giurisprudenza citata).

27 – Ibidem (punto 30 e giurisprudenza citata).

28 – V., a questo riguardo, sentenza Collino e Chiappero, cit. (punto 34 e giurisprudenza citata).

29 – Sentenza CLECE, cit. (punto 34 e giurisprudenza citata).

30 – Ibidem (punto 35 e giurisprudenza citata).

31 – Ibidem (punto 36 e giurisprudenza citata).

32 – Ibidem (punto 39 e giurisprudenza).

33 – A contrario, l’identità di un’entità economica che sia fondata essenzialmente sulla mano d’opera non può essere conservata qualora la parte più rilevante del personale di tale entità non venga riassunta dal cessionario (v. sentenza CLECE, cit., punto 41).

34 – V. sentenza 11 luglio 1985, causa 105/84, Foreningen af Arbejdsledere i Danmark (Racc. pag. 2639, punti 26 e 27).

35 – V. pag. 13 della versione in lingua francese della decisione di rinvio.

36 – Sentenza Werhof, cit. (punto 28).

37 – V., a questo riguardo, Moizard, N., «Droit social de l’Union européenne», Jurisclasseur Europe, 2010, fascicolo 607, per cui la circostanza che l’art. 3, n. 2, della direttiva 77/187 concerne «l’applicazione di un altro contratto collettivo» significa che, «quando un altro contratto collettivo si applica presso il cessionario, questo si sostituisce immediatamente al contratto dello stesso livello che disciplinava inizialmente l’entità ceduta » (punto 33).

38 – V., in tal senso, sentenza 6 novembre 2003, causa C-4/01, Martin e a. (Racc. pag. I‑12859, punto 47).

39 – Sentenza 27 novembre 2008, causa C-396/07, Juuri (Racc. pag. I‑8883, punto 33).

40 – Ibidem (punto 34).

41 – Se taluni elementi della retribuzione previsti dal CCNL del personale degli enti locali sono stati mantenuti dal legislatore italiano, ciò è avvenuto, quindi, non per un obbligo imposto dalla direttiva 77/187, ma per la sola volontà del legislatore medesimo (si tratta della prestazione individuale di anzianità e di tre altre indennità).

42 – Punto 50.

43 – Idem.

44 – Punto 51.

45 – Punto 52.

46 – V. paragrafo 94 delle conclusioni dell’avvocato generale Alber nella causa definita dalla sentenza Collino e Chiappero, cit..

47 – Causa 324/86, Racc. pag. 739.

48 – Punto 16.

49 – Causa C‑425/02, Racc. pag. I‑10823.

50 – Ella faceva presente di essere stata inquadrata, senza tenere conto della sua anzianità, nel grado 1, ultimo scatto, della tabella delle retribuzioni, il che ha avuto la conseguenza di farle perdere il 37% della sua retribuzione mensile (punto 17 della sentenza).

51 – Sentenza Delahaye, cit. (punto 32).

52 – Idem.

53 – Ibidem (punto 33).

54 – Ci si può chiedere se ciò significhi che non si può totalmente prescindere dall’anzianità maturata presso il primo datore di lavoro.

55 – Si deve precisare che la Corte europea dei diritti dell’uomo è stata parallelamente investita di un problema analogo, in forza dell’art. 6, n. 1, della CEDU, con tre domande. Si tratta delle domande nn. 43549/08, Agrati e altri c. Italia; 5087/09, Carlucci c. Italia, nonché 6107/09, Cioffi e altri, c. Italia. Il 5 novembre 2009, la seconda sezione della Corte europea dei diritti dell’Uomo ha rivolto alle parti le questioni che seguono:

«1. Se l’applicazione dell’art. 1 della (legge n. 266/2005) ad un procedimento già pendente dinanzi ai giudici abbia pregiudicato la preminenza del diritto o l’equità del procedimento, quali garantite dall’art. 6 della CEDU.

2. In caso affermativo, se detta ingerenza fosse giustificata da motivi imperativi di interesse generale e fosse sufficientemente proporzionata agli obiettivi perseguiti dal legislatore.

3. Tenuto conto dell’art. 1 della (legge n. 266/2005) e della sua applicazione ad opera dei giudici nazionali in un procedimento già in corso, se sia stato pregiudicato il diritto dei ricorrenti al rispetto dei loro beni, ai sensi dell’art. 1 del Protocollo n. 1 (alla CEDU)».

56 – V., segnatamente, sentenza 22 dicembre 2010, causa C-279/09, DEB Deutsche Energiehandels-und Beratungsgesellschaft (non ancora pubblicata nella Raccolta, punto 29, e giurisprudenza citata).

57 – V. art. 6, comma 1, n. 1, TUE.

58 – V., in tal senso, per quanto attiene alla valutazione della validità di un atto dell’Unione, sentenza 9 novembre 2010, cause riunite C‑92/09 e C‑93/09, , Volker und Markus Schecke e Hactmut Eifert (non ancora pubblicata nella Raccolta, punti 45 e 46).

59 – A seconda che uno Stato membro agisca in quanto «agente dell’Unione», adottando le disposizioni nazionali imposte da una normativa comunitaria, che adotti una normativa nazionale derogante alla libertà di circolazione riconosciuta dal trattato oppure, in senso più ampio, che miri a realizzare l’obiettivo perseguito da una normativa comunitaria adottando le norme nazionali che gli sembrino necessarie a tal fine. Per illustrare queste tre fattispecie, v., segnatamente e rispettivamente, sentenze 13 luglio 1989, causa 5/88, Wachauf (Racc. pag. 2609); 18 giugno 1991, causa C-260/89, ERT (Racc. pag. I‑2925), nonché 10 luglio 2003, cause riunite C-20/00 e C-64/00, Booker Aquaculture e Hydro Seafood (Racc. pag. I‑7411).

60 – V., segnatamente, sentenza 27 giugno 2006, causa C-540/03, Parlamento/Consiglio (Racc. pag. I‑5769, punto 105 e giurisprudenza citata).

61 – V., segnatamente, sentenza 10 aprile 2003, causa C-276/01, Steffensen (Racc. pag. I‑3735, punto 70 e giurisprudenza citata).

62 – V., segnatamente, ordinanza 27 novembre 2009, causa C-333/09, Noël, (punto 11 e giurisprudenza citata).

63 – V., segnatamente, sentenze 13 giugno 1996, causa C-144/95, Maurin (Racc. pag. I‑2909), e 18 dicembre 1997, causa C-309/96, Annibaldi (Racc. pag. I‑7493), nonché ordinanze 6 ottobre 2005, causa C-328/04, Vajnai (Racc. pag. I‑8577); 25 gennaio 2007, causa C-302/06, Koval’ský, e 12 novembre 2010, causa C-339/10, Asparuhov Estov e a. (non ancora pubblicata nella Raccolta).

64 – Ovviamente, l’esistenza di un elemento di collegamento sufficiente con il diritto dell’Unione deve chiaramente emergere dalla decisione di rinvio. In mancanza di tale dimostrazione, la Corte si dichiarerà manifestamente incompetente, come avvenuto in una causa analoga a quella in esame, con l’ordinanza 3 ottobre 2008, causa C-287/08, Savia e a.

65 – Punto 19.

66 – V., segnatamente, su tale questione, Lenaerts, K., e Gutiérrez-Fons, J. A., «The constitutional allocation of powers and general principles of EU law», Common Market Law Review, 2010, n. 47, pag. 1629, specialmente pagg. 1657-1660; Tridimas, T., «The General Principles of EU Law», 2a edizione, Oxford University Press, 2006, pag. 363; Egger, A., «EU-Fundamental Rights in the National Legal Order: The Obligations of Member States Revisited», Yearbook of European Law, vol. 25, 2006, pag. 515, in particolare pagg. 547-550, e Jacqué, J. P., «La Charte des droits fondamentaux de l’Union européenne: aspects juridiques généraux», REDP, vol. 14, n. 1, 2002, pag. 107, in particolare pag. 111.

67 – V. Rosas, A. e Kaila, H., «L’application de la Charte des droits fondamentaux de l’Union européenne par la Cour de justice – un premier bilan», Il Diritto dell’Unione euroepa, 1/2011. Questi autori, riferendosi alle spiegazioni relative alla Carta e sottolineando che la questione è discussa in dottrina, ritengono che possa sostenersi che l’espressione «quando attuano il diritto dell’Unione», utilizzata all’art. 51, comma 1, della Carta «esiga un’interpretazione piuttosto ampia». A loro avviso, «ciò che importa sarebbe, segnatamente, alla luce della giurisprudenza della Corte, l’esistenza di un elemento di collegamento a questo diritto». Osservo anche che, nell’ordinanza Asparuhov Estov e a., cit., la Corte rileva che la sua competenza per interpretare la Carta non è stabilita allorché la decisione di rinvio non contenga alcun elemento che dimostri
che la decisione nazionale in causa «costituisce una misura di attuazione del diritto dell’Unione o che essa presenta altri elementi di collegamento a quest’ultimo» (punto 14). Questo riferimento ad «altri elementi di collegamento» al diritto dell’Unione depone piuttosto a favore di una concezione ampia ad opera della Corte quanto alla sua competenza ad interpretare la Carta.

68 – Sentenza 23 novembre 2010, causa C-145/09, Tsakouridis (non ancora pubblicata nella Raccolta, punti 50-52).

69 – Sentenza 19 gennaio 2010, causa C-555/07, Kücükdeveci (non ancora pubblicata nella Raccolta, punti 22-26).

70 – Detta disposizione non osta tuttavia a che il diritto dell’Unione attribuisca una tutela più estesa (v. art. 52, paragrafo 3, seconda frase, della Carta).

71 – Recueil des arrêts et décisions 1999-VII.

72 – § 57.

73 – § 49.

74 – § 58.

75 – V., segnatamente, Corte europea diritti dell’Uomo, sentenze Lecarpentier e altro c. Francia, 14 febbraio 2006 (§ 47), nonché Cabourdin c. Francia, 11 aprile 2006 (§ 37).

76 – Recueil des arrêts et décisions, 1997-VII.

77 – § 80-83.

78 – § 81.

79 – § 71.

80 – Voir Sudre, F., Marguénaud, J.-P., Andriantsimbazovina, J., Gouttenoire, A., e Levinet, M., Les grands arrêts de la Cour européenne des droits de l’homme, 5e édition, PUF, Paris, 2009, pag. 307.

81 – Sentenza n. 677 della sezione lavoro.

82 – Dall’udienza che si è tenuta dinanzi alla Corte il 1° febbraio 2011 emerge che le poche centinaia di euro che la sig.ra Scattolon asseriva di avere perduto a seguito del trasferimento dovevano piuttosto intendersi come una perdita dell’aumento retributivo di cui ella avrebbe potuto beneficiare se fosse stata riconosciuta tutta l’anzianità da lei maturata. Peraltro, con riguardo all’eventuale perdita di indennità previste dal CCNL del personale degli enti locali, diverse da quelle di cui l’art. 1, comma 218, della legge n. 266/2005 prevedeva la proroga, nulla indica che esse non trovino globalmente un equivalente nel CCNL della scuola.

83 – La necessità di detti dati numerici risulta, segnatamente, dalla sentenza Lilly France c. Francia, cit. supra (§ 51).
Domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dal Tribunale Ordinario di Venezia (Italia) il 26 febbraio 2010 - Ivana Scattolon / Ministero dell'Università e della Ricerca
(Causa C-108/10)
Lingua processuale: l'italiano
Giudice del rinvio
Tribunale Ordinario di Venezia
Parti nella causa principale
Ricorrente: Ivana Scattolon
Convenuto: Ministero dell'Università e della Ricerca
Questioni pregiudiziali
se la direttiva Cee del Consiglio n. 77/1871 e/o la direttiva 12 marzo 2001, 2001/23/CE2, o la diversa normativa comunitaria ritenuta applicabile deve essere interpretata nel senso che quest'ultima può applicarsi ad una fattispecie di trasferimento di personale addetto a servizi ausiliari di pulizia e manutenzione degli edifici scolastici statali da enti pubblici locali (comuni e province) allo Stato laddove il trasferimento ha comportato il subentro non solo nell'attività e nei rapporti con tutto il personale (bidelli) addetto, ma anche nei contratti di appalto stipulati con imprese private per garantire i medesimi servizi;
se la continuità del rapporto di lavoro ex art. 3, n. 1, primo comma, della direttiva 77/187 (trasfusa, unitamente alla Dir. 98/50/CE3, nella direttiva 2001/23/CE) deve essere interpretato nel senso di una quantificazione dei trattamenti economici collegati presso il cessionario all'anzianità di servizio che tenga conto di tutti gli anni effettuati dal personale trasferito, anche di quelli svolti alle dipendenze del cedente;
se l'art. 3 della direttiva 77/187 e/o le direttive del Consiglio 29 giugno 1998, 98/50/CE e 12 marzo 2001, 2001/23/CE, devono essere interpretate nel senso che tra i diritti del lavoratore che si trasferiscono al concessionario rientrano anche posizioni di vantaggio conseguite dal lavoratore presso il cedente quale l'anzianità di servizio se a questa risultano essere collegati, nella contrattazione collettiva vigente presso il cessionario, diritti di carattere economico,
se i principi generali del vigente diritto comunitario della certezza del diritto, della tutela del legittimo affidamento, della uguaglianza delle armi del processo, dell'effettiva tutela giurisdizionale, ad un tribunale indipendente e, più in generale, ad un equo processo, garantiti dall'art. 6 n. 2 del Trattato sull'Unione Europea (cosi come modificato dall'art 1.8 del trattato di Lisbona e al quale fa rinvio l'art 46 del trattato sull'Unione) - in combinato disposto con l'art 6 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, firmata a Roma il 4 novembre 1950, e con gli artt. 46 47 e 52, n. 3 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea, proclamata a Nizza il 7 dicembre 2000, come recepiti dal Trattato di Lisbona, debbano essere interpretati nel senso di ostare all' emanazione da parte dello Stato italiano, dopo un arco
temporale apprezzabile (5 anni), di una norma di interpretazione autentica difforme rispetto al dettato da interpretare e contrastante con l'interpretazione costante e consolidata dell'organo titolare della funzione nomofilattica, norma oltretutto rilevante per la decisione di controversie in cui lo stesso Stato Italiano è coinvolto come parte.

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1 - G.U. L 061, p. 26
2 - G.U. L 82, p. 16
3 - GU L 201, p. 88



   

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